Rassegna stampa 19 maggio

 

Giustizia: senza l’integrazione una sicurezza assai poco sicura

di Maurizio Ambrosini (Università di Milano)

 

www.innocentievasioni.net, 19 maggio 2009

 

Con l’approvazione del pacchetto sicurezza, blindato dal voto di fiducia, e il contemporaneo ricorso ai respingimenti verso la Libia, il governo Berlusconi afferma di aver risolto il problema dell’immigrazione definita "clandestina" e rafforzato la sicurezza degli italiani.

Come esito finale, tutta una serie di norme della legislazione vigente (che non è altro che la legge quadro del 1998, già modificata con la cosiddetta Bossi-Fini) sono state o verranno emendate a senso unico, penalizzante per gli immigrati, senza nessun cambiamento nel segno dell’integrazione. Si può ricordare come esempio emblematico il cosiddetto "permesso di soggiorno a punti": punti che gli immigrati possono solo perdere, mai guadagnare, per quanto bene si possano comportare. Neppure se salvassero delle vite umane, come è già successo.

Vorrei però segnalare qualche problema sul piano dell’efficacia delle norme adottate, che ne rivela a mio avviso il vero intento: quello di un’operazione propagandistica, talmente ben riuscita da riuscire a far breccia anche nelle file della sinistra e tra alcuni intellettuali.

Anzitutto, le espulsioni portate a compimento sono state poco più di 6.000 (fine ottobre), e non potrebbero essere molte di più. In tutta Italia, i posti nei centri di identificazione ed espulsione sono meno di 1.200. L’insistenza sui 18 mesi di trattenimento è fuorviante: non si farebbe altro che intasare, con pochi malcapitati, i pochi posti disponibili. Va ricordato che con l’ultimo decreto flussi sono state presentate domande per 740.000 immigrati, normalmente già di fatto presenti e occupati in Italia.

La Fondazione Ismu stima in un milione gli irregolari presenti sul territorio: persone che non arrivano via mare (30.000 sbarchi a Lampedusa nel 2008), ma con un permesso turistico che ad un certo momento arriva a scadenza, spesso proprio perché i migranti hanno trovato un qualche lavoro. Il tasso di espulsione si attesta quindi al di sotto dell’1% dei casi.

Tra sanatorie e decreti flussi, gli immigrati transitano progressivamente dall’irregolarità alla regolarità, con il beneplacito dei datori di lavoro: ancora ricorrendo alle analisi della Fondazione Ismu, in Lombardia 2 immigrati su 3, oggi regolari, sono passati attraverso un periodo di irregolarità. Tra i lavoratori, i valori sono ancora più alti, giacché gli immigrati che sono sempre stati regolari sono per lo più quelli che arrivano per ricongiungimento familiare.

Va rilevato, a questo riguardo, che il governo non è intervenuto sulla molla principale dell’immigrazione irregolare, ossia le grandi opportunità di lavoro nero che il nostro mercato offre. Anzi, ha alleggerito ispezioni e controlli. Ha proseguito sulla strada delle sanatorie mascherate attraverso i decreti-flussi.

Se nel 2009 non autorizzerà nuovi flussi di ingresso, a motivo della recessione, ha però promesso di regolarizzare un nutrito contingente (pare intorno alle 150.000 unità) di immigrati rimasti esclusi dal decreto flussi 2008, con ciò confermando che si tratta appunto di una manovra di sanatoria. Una severità di facciata è contraddetta dai comportamenti effettivi sul fronte decisivo della regolazione del mercato del lavoro

Giustizia: contro la mafia norme "al limite della Costituzione"

 

www.guidasicilia.it, 19 maggio 2009

 

Carcere ancora più duro per i mafiosi, ma anche nuove strutture penitenziarie in cui rinchiudere i boss. E poi misure personali e patrimoniali più incisive per aggredire i mafiosi e i loro patrimoni.

Il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ha presentato ieri a Palermo il pacchetto di norme contenute nell’articolo 2 del ddl sicurezza, approvato il 14 maggio scorso dalla Camera, che "rappresenta - ha detto Alfano - il più grosso sistema di contrasto alla mafia dai tempi di Giovanni Falcone al ministero della Giustizia". 42 pagine di un "unico articolo antimafia" che il ministro auspica "diventi legge al più presto possibile".

"Stiamo lavorando per un testo unico che contenga tutte le norme antimafia e le misure di prevenzione personali e patrimoniali". "L’ufficio legislativo del ministero - ha detto Alfano - sta già mettendo insieme tutte le norme che erano sparse per racchiuderle in un unico testo".

Il nuovo piano sulle carceri - Nell’articolo unico antimafia, dunque, l’intenzione del Governo di realizzare nuovi istituti di pena riservati ai boss al 41 bis. "Nel piano straordinario delle carceri - ha spiegato Alfano - vogliamo ridurre a poche strutture altamente specializzate i luoghi di detenzione per i detenuti al 41 bis". Ma non verranno riaperte quelle strutture che in passato erano state utilizzate come carceri di massima sicurezza, come l’Asinara, Ponza e Pianosa.

"Le nuove norme del 41 bis sono fortissime, ed è stato fatto il massimo, proprio al limite della Costituzione", ha spiegato il Guardasigilli. "Per il carcere duro la durata massima - ha detto Alfano - è stata innalzata a quattro anni, da due, la proroga potrà essere biennale anziché annuale con nuovi criteri per il giudice, ed è stato introdotto il 391 bis che punisce fino a 5 anni chi consente a un condannato al 41 bis di comunicare con l’esterno". Alfano ha inoltre annunciato che la competenza degli eventuali ricorsi contro il 41 bis sarà esclusivamente del tribunale di sorveglianza di Roma. Insomma, un provvedimento che "più duro non poteva essere fatto"

Nel testo unico anche le norme che regolano l’utilizzo dei beni sequestrati ai boss. Alfano ha infatti voluto sottolineare i poteri che saranno conferiti a prefetti e questori per rendere breve l’intervallo fra il blocco dei beni e quello dell’assegnazione ad associazioni di volontariato che combattono la mafia. "Il governo intende trasformare i tesori criminali in salvadanaio della legalità", ha aggiunto. È stato inoltre creato un albo nazionale dei beni confiscati alla criminalità organizzata per consentire una gestione più efficiente.

Al Procuratore nazionale antimafia viene invece data l’autorità per coordinare indagini sulle misure di prevenzione. Il ministro ha spiegato ancora che è stata introdotta la possibilità di irrogare "misure patrimoniali applicabili indipendentemente dalla pericolosità sociale del soggetto", e inoltre, "la responsabilità delle società e degli enti, sull’esclusione dalla partecipazione agli appalti pubblici delle aziende che avendo subito estorsioni non denunciano".

Il Guardasigilli ha infine osservato come in precedenza le norme antimafia siano state "figlie delle stragi", mentre adesso "abbiamo fatto queste leggi non sull’onda dell’emozione ma sulla rotta di ciò che ritenevamo giusto fare, e ne siamo lieti". Tutto ciò sarà alla base del G8 giustizia che si terrà a Roma, in cui Alfano vuole esportare nel mondo un metodo giuridico che contrasta la mafia. E vuole farlo ricordando il 29 maggio, giorno in cui Giovanni Falcone avrebbe compiuto 70 anni, "per rammentare al mondo questo magistrato che ha combattuto la mafia".

I Radicali contro il nuovo 41 bis - "Il ministro Alfano non può dirlo, ma il nuovo articolo 41 bis viola i principi costituzionali". È quanto afferma l’avvocato Alessandro Gerardi, del Comitato nazionale Radicali Italiani. "Le modifiche al regime carcerario che il Governo intende introdurre - prosegue Gerardi - peraltro con il placet dell’opposizione ed il complice silenzio dell’Anm, renderanno il carcere duro modalità stabile e ordinaria di espiazione della pena, tendenzialmente definitiva e revocabile soltanto in presenza di una prova "diabolica" negativa, per di più affidata alla giurisdizione di un vero e proprio Tribunale speciale. Con queste modifiche tutti i detenuti sottoposti al 41 bis verranno collocati in carceri speciali a loro esclusivamente dedicate; mentre la possibilità di avere colloqui con i familiari e con gli avvocati verranno ulteriormente ridotte, così come le ore dedicate allo svago e alle attività ricreative".

Secondo Gerardi "si comprende il motivo per cui oggi il ministro della Giustizia abbia definito il nuovo articolo 41 bis "al limite della Costituzione", con ciò implicitamente ammettendo che vi possano essere seri e fondati dubbi sulla compatibilità di questo particolare regime detentivo con le norme costituzionali che vietano qualsiasi trattamento contrario al senso di umanità e prevedono la funzione rieducativa della pena e con le raccomandazioni a più riprese indirizzate al nostro Paese dagli organi del Consiglio d’Europa e dall’Onu".

Giustizia: D’Antona; morte di mio marito ha creato insicurezza

 

L’Unità, 19 maggio 2009

 

Dieci anni domani. Le Nuove Br il 20 maggio del 1999 uccisero a due passi da casa sua, di primo mattino, alle 8 e mezza, il professor Massimo D’Antona. Era un giovedì. Spirò in ospedale dopo poco. Via Salaria era stretta nel traffico, come al solito. Sembrava una giornata qualunque scandita dai tempi del lavoro, dell’impegno, del ritorno a casa. Come sempre.

Il commando entrò in azione e stroncò la vita ad un uomo che aveva dedicato la sua tutta intera a studiare il difficile e affascinante meccanismo che regola il mondo del lavoro. Di chi ce l’ha e di chi spera di averlo. La drammatica realtà di quella mattina di maggio cambiò radicalmente la vita di una famiglia colpita brutalmente da una sentenza eseguita senza appello. Olga D’Antona, la moglie, ora è deputata del Partito democratico, è alla terza legislatura. Per la prima volta fu eletta nel 2001.

Membro della Commissione Affari costituzionali, rinnova il ricordo ma evita la rievocazione. C’è un libro in cui ha raccontato la sua vicenda, quella personale, quella dell’impegno nella società. "Il sottosegretario Gianni Letta mi sta aiutando a donarlo alle biblioteche delle carceri e di molte scuole. È stato lungimirante e sensibile in questa collaborazione. Ci siamo trovati alleati per contrastare ogni tipo di violenza politica". Stare in schieramenti diversi non ha impedito un lavoro insieme dalla parte di chi ha il diritto di conoscere gli avvenimenti che hanno segnato in modo indelebile la vita di questo Paese.

L’onorevole D’Antona preferisce, dunque, rivolgere lo sguardo al futuro. Al mondo che sta cambiando e si trova a fare i conti con una crisi senza precedenti. Più che di quella mattina di maggio parla più volentieri dei tanti giovani con i quali in questi anni si è confrontata, ha discusso, ai quali ha raccontato. Il passato. Le speranze. Lo stesso ha fatto nelle carceri.

Questa mattina sarà alla Sapienza, in mezzo agli studenti, ai ragazzi con tante speranze e tanti dubbi, senza politici, a ricordare suo marito, il docente, che "al di là di certe frasi estrapolate dal contesto" in modo strumentale "aveva già capito fino in fondo i mutamenti sociali che erano alle porte. Vedeva che il mercato del lavoro stava cambiando e che con la flessibilità bisognava farci i conti. Tutti. A cominciare dal sindacato che doveva metterci le mani dentro con determinazione. Partendo dalla formazione perché nulla garantisce di più che le competenze e la preparazione".

 

Eppure i ragazzi studiano, si preparano, ma la prospettiva di un lavoro stabile si allontana nel tempo.

"Questo è il problema dei nostri giorni. In una società in cui l’ammortizzatore sociale più efficace è ancora la famiglia come potrà continuare a funzionare il sistema se questi ragazzi sempre più tardi avranno la possibilità di farsi una famiglia e se, nel contempo, nessun altro meccanismo viene proposto".

 

Lei ha rimpianti, al di là del dolore personale?

"Ho la consapevolezza che la vocazione conservatrice delle Br ha imposto un arretramento, ha fermato con il sangue la possibilità di riuscire a costruire una società migliore. Le morti di mio marito e di Marco Biagi hanno contribuito a provocare insicurezza e precarietà. Nei giovani ma anche in quelli che un lavoro lo perdono a cinquant’anni e si confrontano con un’organizzazione sociale che non è preparata a dare prospettive a questi giovani di ritorno".

 

Onorevole D’Antona lei deputato del Partito democratico. Cosa le ha dato la politica in tutti questi anni?

"Mi ha dato voce. Molti dei parenti delle vittime hanno sofferto l’oblio. Io sono stata ascoltata, ho avuto visibilità, alleati".

 

Il presidente della Repubblica, nella giornata dedicata alla memoria delle vittime, si è ancora una volta schierato dalla parte di chi ha sofferto la pena indicibile della perdita di un affetto, invitando a ricordare ma anche a superare le contrapposizioni. Bisogna riuscire a guardare avanti, anche se è difficile, penoso, duro senza dimenticare quel che è accaduto ma superando ogni istintivo rancore, ha detto Napolitano. Lei condivide questa indicazione?

"Non ci può essere pacificazione senza una memoria condivisa, e il presidente Napolitano ha fatto una cosa giusta nell’indicare un percorso per arrivare al superamento di una stagione in cui l’odio superava qualunque altro sentimento, ma resto convinta che finché continuano ad aleggiare certi fantasmi è difficile che questi obiettivi possano essere raggiunti. In più occasioni ho avuto modo di dire che ci sono ancora troppe vicende oscure. Molto si è capito del terrorismo rosso ma sullo stragismo troppe sono le cose di cui non si sa nulla. Piazza Fontana, Piazza della Loggia, l’Italicus... Abbiamo fatto la riforma del segreto di Stato ma ancora è troppo difficile guardare negli archivi, bisognerebbe studiare accessi semplificati, un’informatizzazione capace di consentire di arrivare finalmente alla verità".

 

Abita sempre nella stessa casa di dieci anni fa?

"Certo. Non potrei stare altrove. Qui ho messo le mie radici. Ci sono tutti miei ricordi".

 

E com’è ora il legame con la memoria di quell’uomo che uscì di casa quella mattina per non tornarci più? Ricordi, rimpianti...

"Da quando avevo diciassette anni ha riempito la mia vita ed io mi sono occupata di lui. Mi continuo ad occupare di lui anche adesso. Facendolo ricordare da chi lo ha conosciuto. Facendolo conoscere a chi non ne ebbe modo".

Giustizia: Csm; i magistrati eletti? così si calpesta Costituzione

 

Corriere della Sera, 19 maggio 2009

 

Insorgono le toghe italiane, per bocca del presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara alla proposta del leader della lega Nord Umberto Bossi di una magistratura eletta dal popolo. Magistrati eletti? Così si calpesta la Costituzione e non si garantisce l’indipendenza della magistratura dal potere politico a garanzia dei cittadini, dice Palamara. "La Costituzione, su questo punto, va tutelata evitando qualsiasi discriminazione".

A Palamara fa eco il segretario dell’associazione Giuseppe Cascini: "L’Italia è un Paese che tutto il mondo guarda con attenzione e rispetto per la capacità che ha avuto la magistratura italiana di contrastare fenomeni come la corruzione della politica, la mafia, il terrorismo e i loro legami con centri di potere più o meno occulti. E questo è stato possibile grazie all’elevato livello di professionalità e di indipendenza dei magistrati italiani. Certamente è difficile immaginare che certe inchieste potessero solo essere avviate in un sistema in cui il pm fosse stato strettamente legato al potere politico".

Perché no - Per Palamara, la proposta di Bossi "non tiene conto di quanto previsto dalla Costituzione per realizzare la più ampia professionalità e indipendenza della magistratura a garanzia dei cittadini. Cioè - spiega - tramite la previsione di un concorso selettivo e non tramite una elezione popolare che, inevitabilmente, comporterebbe una politicizzazione della nomina e quindi del potere giudiziario".

Palamara poi aggiunge: "È vero che ci sono sistemi che prevedono l’elezione dei magistrati direttamente dal popolo, come in America per quanto riguarda i Pm distrettuali, ma deve considerarsi che siamo di fronte a sistemi completamente diversi da quello nostro e che di conseguenza rendono impossibile prendere singoli pezzi di un sistema e trasportarli in un altro". In questo modo, secondo il presidente dell’Anm "inevitabilmente avremmo un pubblico ministero espressione di una singola parte e quindi quella garanzia di indipendenza andrebbe persa. La funzione giudiziaria non può dipendere dalla provenienza regionale di un magistrato".

Reazioni - Non mancano ovviamente le reazioni politiche. Niccolò Ghedini (Pdl) afferma: "Bisogna andare avanti con giudizio" sostiene. "Quella dei pm votati dai cittadini - prosegue il consigliere giuridico (nonché avvocato) del premier - non è un’idea della Lega, è un’idea che l’avvocatura e il mondo liberale portano avanti da quarant’anni. Io che sono venticinque anni che faccio politica sulla giustizia ho sempre portato avanti questa ipotesi, ovvero far sì che ci sia una maggiore partecipazione del popolo alla gestione della giustizia".

Posizione contraria da parte di Federico Palomba, deputato dell’Italia dei Valori e vicepresidente della commissione giustizia alla Camera: "L’Idv è per l’affrancamento della giustizia da ogni dipendenza politica. Siamo, pertanto, fermamente contrari alla proposta di Bossi, di fare eleggere i magistrati dal popolo". "Tale proposta - aggiunge Palomba - oltre ad andare contro la Costituzione, darebbe luogo ad una magistratura fortemente politicizzata, l’esatto contrario di ciò cui noi e i cittadini tutti aspiriamo". Anche per Donatella Ferranti, capogruppo del Pd in commissione Giustizia della Camera, "gli esponenti del governo, progressivamente e a turno, tentano di erodere i principi fondamentali della Costituzione che garantiscono i diritti e l’uguaglianza dei cittadini di fronte alle legge".

Giustizia: magistrati "eletti dal popolo"? è più di una boutade

 

Aprile on-line, 19 maggio 2009

 

In campagna elettorale si tende a sottovalutare il pericolo: Umberto Bossi ci ha abituato alle sue provocazioni e quella "di magistrati eletti dal popolo" potrebbe sembrare tale. Ma l’Associazione nazionale magistrati, a ragione, la prende sul serio e insorge: "Così si calpesta la costituzione e non si garantisce l’indipendenza della magistratura dal potere politico a garanzia dei cittadini". No del Pd: "È l’ennesimo attacco ai principi costituzionali e all’equilibrio dei poteri dalla Costituzione repubblicana". Ghedini (Pdl) è possibilista: "Avanti con prudenza" e ammette che si potrebbe cominciare dai giudici di pace

Il "senatur" Umberto Bossi giorni fa aveva lanciato la proposta che i magistrati siano eletti dal popolo e aveva aggiunto che "il Veneto avrà i suoi magistrati perché non se ne può più di non avere neppure un magistrato veneto". Le reazioni della magistratura non si sono fatte attendere.

Magistrati eletti dal popolo? Così si calpesta la costituzione e non si garantisce l’indipendenza della magistratura dal potere politico a garanzia dei cittadini. "La Costituzione, su questo punto, va tutelata evitando qualsiasi discriminazione". Afferma il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati Luca Palamara commentando la proposta del leader della lega Nord Umberto Bossi. A Palamara fa eco il segretario dell’associazione Giuseppe Cascini: "L’Italia è un Paese che tutto il mondo guarda con attenzione e rispetto per la capacità che ha avuto la magistratura italiana di contrastare fenomeni come la corruzione della politica, la mafia, il terrorismo e i loro legami con centri di potere più o meno occulti. E questo è stato possibile grazie all’elevato livello di professionalità e di indipendenza dei magistrati italiani. Certamente è difficile immaginare che certe inchieste potessero solo essere avviate in un sistema in cui il pm fosse stato strettamente legato al potere politico".

Per Palamara, la proposta di Bossi "non tiene conto di quanto previsto dalla Costituzione per realizzare la più ampia professionalità e indipendenza della magistratura a garanzia dei cittadini. Cioè - spiega - tramite la previsione di un concorso selettivo e non tramite una elezione popolare che, inevitabilmente, comporterebbe una politicizzazione della nomina e quindi del potere giudiziario". Palamara poi aggiunge: "È vero che ci sono sistemi che prevedono l’elezione dei magistrati direttamente dal popolo, come in America per quanto riguarda i P.M. distrettuali, ma deve considerarsi che siamo di fronte a sistemi completamente diversi da quello nostro e che di conseguenza rendono impossibile prendere singoli pezzi di un sistema e trasportarli in un altro". In questo modo, secondo il presidente dell’Anm "inevitabilmente avremmo un pubblico ministero espressione di una singola parte e quindi quella garanzia di indipendenza andrebbe persa. La funzione giudiziaria non può dipendere dalla provenienza regionale di un magistrato".

Per Giuseppe Cascini: "il sistema di accesso in magistratura attraverso la selezione di un pubblico concorso, come disciplinato dalla Costituzione, è un sistema che ha garantito professionalità, autonomia e indipendenza dei magistrati italiani. Già questo dovrebbe essere sufficiente per mantenere questo sistema. Se poi si pensa al funzionamento in concreto di quelle pubbliche amministrazioni la cui nomina è espressione della politica, risulta evidente che difficilmente si potrebbero avere miglioramenti con un sistema elettivo".

Con L’Anm anche il partito democratico: La proposta di eleggere i pubblici ministeri è "stravagante e completamente inaccettabile", afferma il responsabile Giustizia, Lanfranco Tenaglia. "La nostra Costituzione - aggiunge l’esponente democratico - impone che il pm sia autonomo ed indipendente, cosa che stride completamente con l`elezione che vedrebbe il pm espressione di una parte politica. Altro che parità tra accusa e difesa, il pm eletto - avverte Tenaglia - sarebbe espressione di parte e non tutela dell`interesse dei cittadini ad avere un giudizio equo e paritario. Si tratta dell’ennesimo attacco ai principi costituzionali e all’equilibrio dei poteri dalla Costituzione repubblicana".

La questione sull’eleggibilità dei giudici venne portata alla ribalta già a gennaio scorso da un sondaggio pubblicato dal settimanale Panorama, secondo il quale al 63 per cento degli italiani piacerebbe eleggere i giudici. L’obiettivo sarebbe possibile con una legge ordinaria. Si tratta di un’ipotesi "all’interno delle norme costituzionali" che fa riferimento all’articolo 106 della Costituzione. Il secondo comma (l’articolo rientra tra quelli che si occupano della magistratura) dice espressamente: "La legge sull’ordinamento giudiziario può ammettere la nomina, anche elettiva, di magistrati onorari per tutte le funzioni attribuite a giudici singoli". In pratica, i giudici che decidono "da soli" (quelli che non fanno parte di un collegio) potrebbero essere sostituiti con magistrati onorari e questi, a loro volta, potrebbero essere nominati attraverso elezioni.

Apparentemente l’articolo 106 della Costituzione permetterebbe di sostituire tutti i giudici cosiddetti "monocratici" che oggi ci sono negli uffici giudiziari con magistrati onorari eletti dal popolo. Si tratta infatti di giudici "singoli". Tuttavia si tratta di un’interpretazione forzata: quando la Costituzione venne scritta, gli unici giudici "singoli" erano i pretori. E infatti, all’epoca, i pretori potevano essere sostituiti anche da vicepretori onorari. Già allora l’ordinamento giudiziario avrebbe potuto farli eleggere dal popolo. Oggi al posto dei pretori ci sono i giudici di pace. Dunque la definizione di "giudice singolo", secondo le interpretazioni dei costituzionalisti, andrebbe riferita soltanto ai giudici di pace. Non si potrebbe invece estendere ai giudici monocratici, che sono i magistrati di tribunale che, dopo la riforma del codice di procedura penale, decidono processi di notevole rilevanza.

Questi magistrati, in realtà - osservano i tecnici - sono magistrati di un collegio di tribunale, e perciò non "singoli", che in quel momento giudicano in "composizione monocratica". Insomma, ne vediamo uno solo dietro al banco ma "tecnicamente" si tratta di un tribunale intero. Un tribunale "in composizione monocratica". E allora di elezioni dirette non se ne parla neppure.

Ma per i giudici di pace sarebbe un’altra cosa. Già sono magistrati onorari, sono singoli e dunque il passo successivo, ammesso anche dalla Costituzione, potrebbe essere quello di renderli elettivi. Si tratta pur sempre di quei giudici che hanno a che fare con i problemi quotidiani del cittadino. L’ipotesi, sebbene a bassa voce, non viene scartata in alcuni ambienti della magistratura. E lo stesso Niccolò Ghedini, deputato del Popolo della libertà e legale di Silvio Berlusconi, commenta così la proposta di Umberto Bossi di eleggere i pm come in Svizzera e negli Stati Uniti d’America: "In realtà questa non è un’idea della Lega, è un’idea che l’avvocatura e il mondo liberale portano avanti da quarant’anni. Io che sono venticinque anni che faccio politica sulla giustizia ho sempre portato avanti questa ipotesi. È certamente un’idea interessante, anche se va coltivata con grande prudenza per le peculiarità che ha il nostro Paese e per quanto riguarda la criminalità organizzata, quindi anche per gli assetti costituzionali. Perciò avanti con giudizio".

Poi l’annuncio dell’esponente della maggioranza vicinissimo al presidente del Consiglio:"Iniziare con l’elezione popolare dei pubblici ministeri di fronte ai giudici di pace. Secondo me questo potrebbe essere un buon avvio e credo che potrebbe essere una sperimentazione assolutamente pregevole".

Giustizia: questo governo vuole un magistrato cieco per legge

di Bruno Tinti (Procuratore Aggiunto a Torino)

 

La Stampa, 19 maggio 2009

 

Il Parlamento (beh, non esageriamo, il governo, che lo obbligherà a votare la fiducia) sta per emanare una nuova legge che impedirà al Pm di prendere, di propria iniziativa, notizia dei reati. Fino ad ora c’era l’articolo 330 cpp che faceva obbligo a Pm e polizia di non aspettare le denunce dei cittadini: se un reato era stato commesso e se il Pm se ne rendeva conto, doveva subito aprire un’indagine.

In realtà proprio così sono cominciati molti processi importanti. Ne ricordo uno per tutti, aperto proprio da me, quand’ero procuratore aggiunto a Torino: Telekom Serbia, che permise di smascherare il complotto ordito nei confronti di Prodi, Dini e Fassino, accusati falsamente di aver intascato tangenti in occasione dell’acquisto fatto da Telecom Italia di una parte del pacchetto azionario di Telekom Serbia. Adesso il Pm non può più aprire un’indagine di sua iniziativa: se un reato è stato commesso la polizia deve mandargli un rapporto (oppure un privato cittadino deve fare denuncia); altrimenti niente, l’indagine non comincia e il processo non si fa.

Proviamo a immaginare che un ladruncolo in perfetta salute entri in un commissariato e ne esca con la faccia pesta; ovvero che un indagato per violenza carnale, pur essendo innocente, confessi alla polizia d’averla commessa. Non solo un sagace Pm ma qualunque persona ragionevole immaginerà che il primo è stato pestato e che il secondo potrebbe averlo fatto perché minacciato o picchiato.

Adesso, con la nuova legge, se le violenze eventualmente commesse dalla polizia vengono denunciate, il Pm aprirà un’indagine; se invece, come talvolta accade, verrà spiegato che le scale erano ripide e quell’incapace è inciampato; oppure che, in un momento di sconforto, il depresso di turno ha deciso di accusarsi di un reato mai commesso, non si potrà fare nulla. Certo, i due malcapitati potranno denunciare autonomamente il fatto; oppure lo potrà fare un collega o addirittura un superiore dei poliziotti che (forse) hanno pestato il primo e minacciato o torturato il secondo. Non sono situazioni molto frequenti.

Oppure proviamo a immaginare che qualche politico accetti le consuete tangenti per favorire qualcuno dei suoi passati o futuri elettori; e che il risultato della corruzione sia un appalto che non doveva essere attribuito, una concessione edilizia contraria alla legge e al piano regolatore, una nomina a un importante incarico pubblico che non doveva avvenire, finanziamenti pubblici dati a chi non ne ha diritto oppure utilizzati per scopi non istituzionali. E proviamo a immaginare che uno dei tanti ispettori, funzionari, ufficiali di polizia giudiziaria di specchiata onestà e di grande capacità investigativa, che collaborano con le Procure della Repubblica, si renda conto dei reati che vengono commessi e cominci a indagare.

E proviamo a immaginare che i ministri dell’Interno, della Difesa o delle Finanze (rispettivamente superiori gerarchici di Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza), espressione di quella stessa classe politica che ha applaudito l’autocertificazione d’innocenza di Mastella, che ha immediatamente preso le difese di Del Turco, che ha ordinato le ispezioni negli uffici giudiziari che indagavano il governatore Fitto... ma l’elenco è sterminato; ecco, proviamo a immaginare che telefonino al prefetto, al questore, al comandante generale dell’Arma o del Corpo; e che ordinino (ne hanno la facoltà) di smetterla, di non fare alcuna indagine, di lasciar perdere. Cosa pensate che accadrà? E come si sentiranno i poliziotti, i carabinieri, i finanzieri che hanno lavorato come bestie e a cui verrà detto che non se ne parla nemmeno, tutto nel cestino?

Per finire, provate a immaginare che cosa accadrebbe in Abruzzo, se il presidente del Consiglio, che ha già manifestato la sua insofferenza per le eventuali inchieste che la Procura della Repubblica dell’Aquila avrebbe potuto iniziare nei confronti dei criminali che avevano costruito i palazzi con la sabbia di mare, spiegasse ai ministri competenti che, adesso che si può per via della nuova legge, sarà proprio bene assicurarsi che Polizia, Carabinieri e Guardia di Finanza non facciano pervenire rapporti a questi Pm che fanno solo del male. Insomma, il Pm reso cieco per legge; e i suoi cani guida addestrati a obbedire ai comandi di qualcun altro.

Giustizia: per le carceri la "rivoluzione" del project financing

 

Redattore Sociale - Dire, 19 maggio 2009

 

Il sottosegretario alla Giustizia Caliendo spiega il ruolo dei privati nella costruzione degli istituti penitenziari previsti dal "Piano carceri". Ma la "finanza di progetto" è utilizzata anche per scuole e ospedali.

I privati entrano nell’edilizia penitenziaria, sanitaria e scolastica. Di questa "rivoluzione" si è parlato in un convegno organizzato oggi nei locali del Four Seasons Hotel, dal giornale Italia Oggi e da Dla Piper, uno dei più importanti studi legali internazionali.

Tra i relatori, il sottosegretario del ministero della Giustizia Giacomo Caliendo, che ha confermato che, anche attraverso la cosiddetta "finanza di progetto" (ovvero con il concorso di aziende private), un piano da circa un miliardo e mezzo di euro aumenterà di 17.634 unità i posti letto nelle carceri (cinquemila già nei prossimi due anni), con la ristrutturazione di sezioni esistenti o la loro costruzione ex novo, il completamento (in fase già avanzata) di una decina di nuovi istituti di pena e la futura realizzazione di altre 18 strutture di detenzione.

La sovrappopolazione delle carceri (soprattutto nell’Italia del Nord) è infatti tornata quasi ai livelli precedenti all’ultimo indulto. Caliendo ha aggiunto che il problema dell’affollamento degli istituti è aggravato dalla vetustà delle strutture, quasi tutte inserite nei centri storici cittadini: il 60% di queste risale al periodo tra il 1600 e il 1800, mentre un altro 20% risale addirittura agli anni tra il 1200 e il 1500.

Ai privati che interverranno nella realizzazione del "Piano Carceri" potrà anche essere ceduta la proprietà delle strutture storiche, spesso edifici di assoluto pregio architettonico, in cambio dei lavori di realizzazione di nuovi istituti di pena fuori città. Verranno perciò selezionate grandi aziende che possano assicurare la consegna delle opere "chiavi in mano". Tali opere vengono chiamate "fredde", differenziandosi dalle "calde" che, con il "project financing" tradizionale, vengono prese in gestione per un periodo variabile dai privati che le hanno realizzate.

Il "Piano Carceri" prevede anche una differente modulazione dei vari istituti, in relazione alla pericolosità degli ospiti, tenendo conto del fatto che, su un’attuale popolazione carceraria di 60 mila unità, circa 23 mila persone sono in continuo turnover, soggiornando nelle varie strutture per un massimo di venti giorni. Vi sarà poi un "salto di qualità" nella situazione delle 63 donne che vivono in carcere con figli minori di tre anni.

Giancarlo Ruscitti, direttore dipartimento "Sanità e Sociale" della regione Veneto, ha invece parlato delle esperienze di project financing già in atto nel Nord-Est. Da una situazione molto simile a quella delle carceri (strutture sanitarie vecchie di secoli), il Veneto sta arrivando a "pochi ma efficienti nuovi ospedali", con uno spinto decentramento di strutture non dedicate all’ospedalizzazione acuta.

Il primo caso di project financing sanitario si è verificato con l’Ospedale dell’Angelo di Mestre (800 posti letto), a metà degli anni ‘90. Le vecchie strutture del circondario sono state cedute ai privati. A oggi, la "razionalizzazione" ha ridotto il numero delle strutture ospedaliere venete da settanta a quaranta.

Da un’esperienza già in essere a ciò che per ora è soltanto un desiderio: Giacomo Gatta (Direttore Centrale Istruzione ed Edilizia Scolastica - Provincia di Milano) ha ricordato che l’amministrazione provinciale sta gestendo ben 235 milioni di euro per la ristrutturazione o la costruzione ex novo di edifici scolastici, che attualmente sono duecentotrenta. Ciò avviene ancora tramite la formula classica di finanziamento delle opere pubbliche (indebitamento con mutui). "La finanza di progetto, però - ha ammesso Gatta - si rende assolutamente necessaria. In questo senso, la provincia di Milano deve percorrere ancora molta strada".

Lazio: troppi detenuti e carcere chiuso per carenza personale

 

Redattore Sociale - Dire, 19 maggio 2009

 

L’allarme del garante Angiolo Marroni: A Rieti una struttura completamente finita non viene aperta per mancanza di personale". Al 30 aprile i reclusi erano 5.575 a fronte di una capienza regolamentare di 4.449 posti.

"Il protocollo d’intesa che andiamo a sottoscrivere oggi con la EpaC Onlus riguarda un problema molto importante dal punto di vista sanitario". Così il garante dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni, durante la conferenza stampa per la presentazione dell’accordo teso alla conoscenza e alla prevenzione, anche in carcere, dell’epatite C. Un’intesa che prevede, tra l’altro, la diffusione di un opuscolo, "Epatite C - Conoscerla per curarla", pubblicato in cinque lingue (italiano, inglese, francese, arabo e romeno) e stampato in mille copie da distribuire nei prossimi giorni a detenuti, familiari e operatori carcerari.

"Quando si parla della salute in carcere - ha proseguito il garante - si pensa sempre all’Aids, che però non rappresenta il problema principale per i detenuti. Adesso poi ha ripreso a crescere anche la tubercolosi, ma il male più diffuso è sicuramente l’epatite. Questo accade per molte ragioni, tra cui il fatto che questa patologia ha un livello di contagio molto alto e che tra i detenuti vi sono molti tossicodipendenti che hanno contratto la malattia prima di entrare in carcere".

Nel corso della conferenza stampa Marroni ha anche ricordato l’annoso problema del sovraffollamento delle carceri, che nei 14 istituti carcerari del Lazio sta registrando un incremento tra le 700 e le 800 unità al mese. E l’affollamento non giova certo alle condizioni sanitarie dei detenuti. "Nelle carceri italiane - ha affermato il garante - abbiamo superato i 62 mila detenuti andando oltre la capienza regolamentare degli istituti che si ferma a poco più di 43 mila reclusi".

Anche nel Lazio, secondo i dati del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria (Dap), diffusi questa mattina durante la conferenza stampa, al 30 aprile 2009 i detenuti presenti erano 5.575, di cui 5.153 uomini e 422 donne, a fronte di una capienza regolamentare di 4.449 posti (4.094 uomini e 355 donne). Mentre dei 5.575 detenuti presenti solo 2.593 risultano già condannati. "Il dato dell’affollamento non coincide con le capacità degli istituti di detenzione - ha sottolineato Marroni, precisando che all’aumento esponenziale dei detenuti non segue un conseguente ampliamento delle carceri. Un problema, quest’ultimo, che va a sommarsi alla costante carenza di organico. "Non mi stanco mai di ripetere - ha chiarito - che a Rieti vi è una struttura completamente finita, che però non viene aperta per mancanza di personale".

Lombardia: Radicali; carceri incostituzionali, serve il Garante

 

Agenzia Radicale, 19 maggio 2009

 

Dichiarazione dell’On. Elisabetta Zamparutti, deputata radicale del gruppo Pd e di Valerio Federico, segretario dell’associazione "Enzo Tortora - Radicali Milano".

In un Paese dove la Costituzione è violata da 60 anni e l’ordinamento giudiziario è carta straccia, dove il sistema penitenziario non tende alla rieducazione del condannato e le pene consistono in trattamenti contrari al senso di umanità, è indispensabile che i detenuti vengano visitati, ascoltati e garantiti nei loro diritti, per quanto possibile, da una figura istituzionale che non dipenda dalle congiunture politiche.

Dopo aver preso atto per l’ennesima volta delle sempre più drammatiche condizioni di vita dei detenuti della Casa Circondariale di S. Vittore, chiediamo dunque, in ossequio agli impegni assunti dall’Italia in sede internazionale, l’istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone limitate nella libertà (come da proposta di legge della Deputata radicale Bernardini) e - in vista di tale obiettivo e dell’inserimento dei Garanti ad oggi nominati presso Regioni, Province e Comuni nell’ordinamento penitenziario (visite senza autorizzazioni e colloqui con i detenuti) - chiediamo altresì al Presidente della Giunta Provinciale, al Presidente del Consiglio e un impegno a tutti candidati alla carica di presidente della Provincia affinché il Garante istituito presso la Provincia di Milano possa continuare ad operare, indipendentemente dalle maggioranze di volta in volta al governo dell’ente. In tal senso, è importante che la scelta operata meritoriamente dal Consiglio provinciale uscente venga confermata e consolidata attraverso la sua piena istituzionalizzazione. Chiediamo infine al Ministro dell’Interno che al Garante stesso siano concesse analoghe facoltà anche per coloro che sono trattenuti presso i Centri di Identificazione ed Espulsione, persone, è bene ricordarlo, che non hanno commesso reati o che hanno già scontato interamente la loro pena.

Milano: evasione da "Custodia Attenuata" per detenute madri

 

Corriere della Sera, 19 maggio 2009

 

L’ultimo suo appiglio è stato un davanzale. Dal cortile è salita sopra il davanzale e l’ha usato come base di (s)lancio per arrampicarsi in cima al muro. Ha scavalcato il muro, di quattro metri, si è lasciata cadere dall’altra parte, si è trovata in strada dove la aspettava un complice su un’auto. Questa è stata l’evasione di una cilena 29enne, domenica intorno alle 15.30, dall’Icam di via Macedonio Melloni. L’Icam ("collegato" a San Vittore, di fatto un suo braccio) è un carcere meno duro, negli spazi e nella gestione della quotidianità, per le detenute con figli piccolissimi.

In cortile c’erano due agenti (una donna e un uomo). Sono entrambi corsi a bloccare le altre detenute sia mai scattasse la voglia d’emulazione. Poche ore prima la sudamericana, che per una lunga scia di furti stava scontando una pena di anni - sarebbe uscita ad andar bene tra sconti e premi nel 2016 e in caso contrario nel 2019 - aveva lasciato il figlio al marito. I bimbi vivono con le madri da lunedì a venerdì. Il fine settimana, appunto, possono uscire dalla struttura con il papà.

Leo Beneduci è il capo dell’Osapp, agguerrito sindacato di polizia penitenziaria. "Adesso", dice Beneduci, "daranno la colpa come al solito a noi agenti". E invece? "È colpa delle istituzioni. Cosa attendono? Quali tragedie devono succedere prima di un intervento duro, radicale, netto per arginare tutte le emergenze delle carceri?". E se è vero che l’Icam resta un’intuizione positiva e all’avanguardia, sbagliata - in quanto inadatta dal punto di vista strutturale- è la sua sede. Il provveditore regionale alle carceri, Luigi Pagano, annuncia "aggiustamenti e miglioramenti tecnici" in punti "strategici ". Senza, "sia chiaro", stravolgere "il vero obiettivo: una soluzione alternativa rispetto a San Vittore. I bimbi non possono e non devono vivere nelle prigioni".

Si è detto di San Vittore. A San Vittore, oltre al cronico sovraffollamento, negli ultimi tempi si sono aggiunti altri problemi, oppure, poco cambia, alcuni problemi storici si sono incancreniti. Domenica un agente quarantenne è stato picchiato da un detenuto, sieropositivo, che "già un mese fa si era reso conto di un’altra aggressione a un’altra guardia". Il quarantenne ha rimediato la frattura di una mano. Tutto è avvenuto durante l’ora d’aria. L’evasione e l’aggressione sono state denunciate dall’Osapp. I fatti hanno trovato conferma a livello "ufficioso", cioè negli ambienti di San Vittore e dell’Icam, e poi a livello ufficiale.

Beneduci ha scritto al capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Senta, Beneduci: ma quale risposta spera di avere? "Non lo so. Sono preoccupato. La situazione è gravissima. Davvero". Tra le cose che non vanno, e in questo caso a parlare sono altri sindacati, c’è il parco mezzi. C’erano pullman per il trasporto dei carcerati in Tribunale. "Non ci sono più". Restano le auto. Vecchie. Molto vecchie. Ce ne sono certe che si ritrovano solo nei modellini in scala. Spesso le auto devono finire in officina per le riparazioni. Numerose officine le rifiutano. I pezzi di ricambio costano troppo, "e il Dipartimento non può permettersi spese".

Torino: intesa per inclusione di detenuti del Polo Universitario

 

Redattore Sociale - Dire, 19 maggio 2009

 

L’iniziativa mira a offrire opportunità di reinserimento ai detenuti iscritti all’Università per il conseguimento di lauree specialistiche in scienze politiche e in giurisprudenza e che hanno i requisiti per accedere alle misure alternative.

Un protocollo d’intesa per sostenere i percorsi di inclusione sociale dei detenuti del Polo universitario delle "Vallette", attraverso il lavoro e lo studio. È stato firmato questa mattina dalla provincia di Torino, assieme alla città di Torino, l’Università degli studi, l’Ufficio Pio della compagnia di San Paolo, la Casa circondariale "Lorusso e Cutugno", l’Ufficio di esecuzione penale esterna e il Garante dei diritti delle persone private della libertà.

Con questo protocollo i firmatari intendono perseguire insieme la finalità di offrire opportunità concrete di reinserimento sociale ai detenuti che sono iscritti all’Università per il conseguimento delle lauree specialistiche in scienze politiche e in giurisprudenza e che hanno i requisiti richiesti dalla legge per accedere alle misure alternative al carcere o per essere avviati al lavoro all’esterno. Questi studenti, per proseguire gli studi e per essere reinseriti nella società, hanno bisogno di percorsi propedeutici all’ingresso o reingresso nel mondo del lavoro con tirocini formativi che consentano anche la frequenza delle lezioni universitarie.

Un lavoro comune dei soggetti firmatari: il protocollo prevede infatti che la direzione della Casa circondariale individui tra gli studenti detenuti iscritti all’università quelli che hanno i requisiti per richiedere misure alternative e segua le pratiche per ottenerle; la Divisione Lavoro del Comune individui le aziende nelle quali effettuare i tirocini; l’Ufficio Pio della compagnia di San Paolo provveda all’attivazione dei tirocini, al monitoraggio dei percorsi e al pagamento delle borse lavoro; l’Università realizzi un tutoraggio per gli esami all’interno del carcere ed indichi un referente esterno per i partecipanti al progetto; l’Ufficio di esecuzione penale esterna eserciti azioni di sostegno per i soggetti ammessi ai benefici di legge e inseriti nel progetto; il Garante si impegni a facilitare l’integrazione con le risorse già presenti sul territorio della città; la provincia di Torino sostenga la realizzazione del progetto attraverso lo "Sportello Carcere", all’interno della Casa Circondariale. Il progetto è attivato per gli anni accademici 2008/2009, 2009/2010, 2010/2011. Ogni anno si terrà una riunione tra i partner per verificare i percorsi realizzati.

Siracusa: a breve riaprirà ala ristrutturata del carcere di Noto

 

La Sicilia, 19 maggio 2009

 

A breve riapre l’ala ristrutturata del carcere di Noto. La notizia arriva dal parlamentare regionale Enzo Vinciullo dopo che il ministro di Grazia e Giustizia Angelino Alfano ha dato disposizioni per l’organizzazione del personale penitenziario. "È importante la decisione del ministro Alfano - ha dichiarato Vinciullo, vice presidente della commissione regionale Affari Istituzionali. - Due settimane fa, in un incontro avuto con il ministro, avevo chiesto di prendere in considerazione l’ipotesi di poter aprire un’ala della casa di reclusione di Noto ultimata da tempo ma che, a causa di carenza del personale, non era stata ancora aperta".

Durante l’incontro il ministro si era impegnato per risolvere, nel più breve tempo possibile, la questione. A distanza di quindici giorni è arrivata la disposizione di Alfano che, in vista della riapertura della struttura, ha dato mandato agli uffici di procedere alle operazioni necessarie per individuare il personale di polizia penitenziaria. L’organico dovrà essere composto da trentasei agenti che dovranno occuparsi di cento detenuti (tale è la capacità dell’ala in riapertura).

La fruizione della nuova ala consentirà ai detenuti netini trasferiti in altre strutture penitenziarie di poter incontrare più agevolmente i familiari, e nel contempo si daranno nuove opportunità a tutti quegli agenti costretti a lavorare in trasferta. "I lavori edili per le complesse opere di recupero conservativo della struttura che ospita la casa di reclusione di Noto, originaria sede dei reparti detentivi, erano ormai da tempo completati - conclude Vinciullo. - Con la riorganizzazione del personale si è risolta una vicenda che rischiava di tramutarsi in una delle tante incompiute a cui purtroppo siamo costretti ad assistere".

Roma: a Regina Coeli lezione di sicurezza sul lavoro in carcere

 

Ansa, 19 maggio 2009

 

Anche nelle carceri si parla di Sicurezza sul lavoro. Se ne parla in particolare agli alunni di una classe speciale del Regina Coeli. È proprio ai detenuti del principale carcere circondariale di Roma, infatti, che è destinato questo corso di formazione sulla prevenzione organizzato dall’Inail Lazio in collaborazione con la Scuola media inferiore Antonio Gramsci di Roma. L’insegnante Clarissa Guiggi, come si legge in un comunicato dell’Inail ha dichiarato: "Questo progetto è stato possibile grazie all’incontro tra due persone. [...] Io stavo organizzando il corso per la licenza media ai detenuti e ho chiesto ai referenti dell’Inail regionale se avevano materiale informativo sulle misure di sicurezza nei luoghi di lavoro. Mi hanno risposto che potevano fare molto di più: venire qui e fare dei corsi per la prevenzione".

L’iniziativa, che ha coinvolto oltre cento detenuti del carcere romano, e che è stata voluta dalla struttura penitenziaria di Roma e dall’Inail Lazio si propone l’obiettivo di insegnare ai detenuti comportamenti e misure di prevenzione da adottare in vista del reinserimento professionale. "Un’esperienza importante anche per noi" ha dichiarato Luisa Paesano, la responsabile del progetto per l’Inail Lazio.

"Questi corsi rientrano nell’ambito delle iniziative che facciamo per il reinserimento lavorativo delle persone. Molti detenuti, avendo un livello di scolarizzazione piuttosto basso, una volta usciti di prigione trovano lavoro nei settori più a rischio, come l’edilizia. Per questo è importante che ricevano almeno una formazione di base sui pericolo che possono correre".

Roma: "Un occhio da dentro"; per detenute-madri Rebibbia

 

www.iniziativa.info, 19 maggio 2009

 

Dopo quello per la terra del 22 aprile e quello a San Giovanni per il primo maggio, a Roma continua la serie dei concerti gratuiti per una causa sociale. Il 14 maggio infatti il pratone centrale della Sapienza ha ospitato moltissimi artisti che con la loro musica hanno concluso il programma di iniziative della manifestazione "Un occhio da dentro".

Presentato dalle associazioni "Il Pavone" , "Il Viandante" e dalla società cooperativa sociale "Alba", in collaborazione con La Sapienza, il progetto, giunto già alla seconda edizione, è volto alla sensibilizzazione dell’opinione pubblica e delle istituzioni sulla mancata effettiva applicazione dalla legge Finocchiaro.

Questa normativa, approvata dal parlamento l’8 marzo 2001, prevede infatti " Misure alternative alla detenzione a tutela del rapporto tra detenute e figli minori", e quindi la possibilità, per le madri condannate con prole di età non superiore ad anni dieci, di scontare la pena in strutture alternative al carcere che abbiano posti adeguati alle esigenze dei bambini.

La permanenza in carcere dei piccoli è infatti incompatibile con le condizioni igienico- ambientali ed i ritmi di vita che il carcere impone. Si vengono così a creare in questi bambini seri problemi psico-fisici durante un periodo fondamentale per la crescita. Questi giovanissimi detenuti senza colpa soffrono infatti di patologie ampiamente documentate, proprio nella fase formativa più importante per lo sviluppo della personalità e delle capacità di apprendimento.

L’applicazione concreta della legge è però fortemente limitata da fatti concreti, tra cui la mancanza di strutture adeguate. Per questo nel gennaio 2005 è iniziato l’impegno concreto del Pavone per la creazione, presso il carcere di Rebibbia, di un Icam (Istituto Custodia Attenuata Madri) adeguato a questo scopo, attraverso la campagna di sensibilizzazione, informazione e raccolta-fondi "Belli come il sole" . Oltre al concerto, a cui hanno partecipato artisti del calibro di Cristiano Godano (Marlene Kuntz), Arisa, Brusco, Cor Veleno e Flaminio Maphia; il progetto ho compreso molte altre iniziative.

La prima è stata, lunedì 11 maggio; una triangolare di calcio tra una rappresentativa di studenti universitari della Sapienza, alcuni detenuti di Rebibbia e il gruppo sportivo Vigili Urbani di Roma. Martedì 12 maggio sul pratone del Rettorato si sono invece svolti incontri interregionali di pugilato tra gli sfidanti di Lazio e Abruzzo, mentre mercoledì 13 maggio presso nella facoltà di Scienze politiche si è tenuto un convegno sulla necessità di realizzare a Roma (come già avvenuto a Milano e in altre città d’Italia) una casa famiglia a custodia attenuata per tutelare i bambini nati nel carcere, vittime innocenti condannate alla nascita.

Perugia: finito il progetto sulla legalità, con studenti e detenuti

 

Ansa, 19 maggio 2009

 

Si è concluso con un conferenza dibattito a Palazzo Trinci, il progetto "Scuola e Legalità", realizzato dal Liceo Scientifico "Marconi" di Foligno. Un lungo lavoro, portato avanti per l’intero hanno scolastico con lezioni sul campo svolte al carcere di Spoleto, in comunità di recupero per carcerati, in Tribunale perseguire un processo ed in classe con il capitano dei carabinieri Andrea Mattei,comandante della Compagnia dell’arma territoriale di Foligno, ed il magistrato della Procura della Repubblica di Perugia, Manuela Comodi.

L’insieme delle esperienze emerse durante il progetto hanno portato gli studenti del Marconi al confronto con i detenuti nel solco del valore della libertà e dell’istruzione. Le classi coinvolte sono state quelle che si apprestano a sostenere l’esame di stato ed il lavoro prodotto sarà riassunto in un volume che andrà in stampa grazie alla tipografia interna al carcere spoletino ed all’impegno dei detenuti che cureranno la sua realizzazione.

Padova: derubato ricatta ladro pentito, arresto per estorsione

 

Il Gazzettino, 19 maggio 2009

 

Dopo aver rubato e utilizzato una carta di credito per pagare dei debiti un padovano di 26 anni ha chiamato il derubato per restituirgli la carta, ma questi gli ha chiesto 2.000 euro per non denunciarlo. Alla fine, il ladro, il padovano impossessatosi della carta di credito per pagare dei debiti, è un operaio ed è stato denunciato per furto e indebito utilizzo di un documento bancario, mentre il derubato, un impiegato, è stato arrestato per estorsione.

Protagonisti della vicenda Gianfranco Caputi, 36 anni, di Melisano (Lecce) e il giovane padovano L.V. Dopo aver rubato la carta di credito e prelevato 700 euro il padovano, che nel frattempo era riuscito a racimolare in modo lecito dell’altro denaro, ha deciso di contattare la sua vittima dichiarandosi disposto a restituirgli carta di credito e soldi. Soldi rubati per pagare i debiti. Il denaro, secondo quanto ricostruito dai carabinieri, è servito a L.V. per risolvere una difficile situazione economica familiare. Il giovane si era subito dopo attivato per recuperare la somma e, nel giro di una settimana, ha chiamato Caputo confessando la sottrazione di denaro, scusandosi e chiedendo di poterlo incontrare per restituire il denaro.

Alla richiesta di 2.000 euro per tacere, il ragazzo, che è incensurato, si è spaventato a morte. Nel frattempo, i carabinieri erano risaliti a lui e lo avevano chiamato in caserma, dove L.V. ha immediatamente confessato il furto e ha parlato della richiesta di denaro da parte del derubato. L’appuntamento per la consegna era in una piccola via di Bardolino, sul lago di Garda. Sono stati quindi fotocopiati mille euro e, quando Caputo è arrivato in macchina all’appuntamento, L.V. è salito e glieli ha consegnati. A questo punto, sono intervenuti i carabinieri di Peschiera del Garda che hanno arrestato il primo per estorsione e denunciato il secondo per furto.

Immigrazione: Maroni-La Russa; basta polemiche con l'Unhcr

 

Il Gazzettino, 19 maggio 2009

 

Oggi Maroni "battezzerà" direttamente sul territorio libico le tre motovedette che l’Italia ha donato a Gheddafi. Si tratta solo della prima aliquota, giacché nelle prossime settimane altre tre unità navali si uniranno a queste e costituiranno la prima flottiglia italo-libica per contrastare l’emigrazione clandestina. Più libica che italiana, per la verità. Di italiano ci saranno solo le imbarcazioni e poco più di una decina di militari della Guardia di Finanza specializzati nella manutenzione dei mezzi. La missione, che inizierà ufficialmente stamani, avrà una durata di tre anni.

Maroni puntualizza. Dunque il ministro dell’Interno, oggi impegnato nell’atto ufficiale di dare concretezza operativa alla politica "di contenimento" dell’immigrazione, che è poi stato il suo cavallo di battaglia sin dal momento dell’insediamento al Viminale, si è dato da fare per buttare acqua sul fuoco delle polemiche La Russa-Unhcr. Questo è il momento dell’operatività, oggi taglierà il nastro dei pattugliamenti insieme al suo omologo libico al-Obeidi, sicché non può correre rischi di scivoloni o di ulteriori gaffe internazionali. Per cui, andando al sodo e senza mai fare riferimento al botta e risposta la Russa-Unhcr, ha affermato a chiare lettere che "la polemica è incomprensibile".

Ha poi aggiunto: "Vorrei che la polemica terminasse. Innalzare i toni potrebbe pregiudicare il buon lavoro che abbiamo fatto in tutti questi dieci mesi". Ecco spiegata, allora, la principale preoccupazione di Maroni: che troppo can can nuoccia alle operazioni di polizia internazionale. Per cui il ministro ha ritenuto giusto usare parole morbide per l’Unhcr, dopo la tempesta scatenata da La Russa. Contrariamente alle opinioni del suo collega della Difesa, Maroni ha detto che l’Unhcr potrebbe svolgere un ruolo "fondamentale" in Libia.

Il ministro ha ricordato il lavoro del Viminale con l’Unhcr nelle commissioni provinciali per l’assegnazione dello status di rifugiato. "Ci siamo trovati con valutazioni diverse sui respingimenti - ha detto - ma rispetto le opinioni di tutti. Non penso sia utile tenere alti i toni della polemica". La speranza di Maroni è quella di arrivare ad una grande intesa che coinvolga la Commissione europea e l’Alto commissariato per i rifugiati.

"Abbiamo chiesto il coinvolgimento e il rafforzamento in Libia dell’Unhcr, che svolge un ruolo fondamentale - ha detto - e abbiamo chiesto e non ancora ottenuto il coinvolgimento della Commissione europea perché si definisca in Libia chi ha diritto o no all’asilo e poi chi ha diritto venga accolto in Europa con un’iniziativa che sia della Commissione. Chiediamo che l’Unione si faccia carico della questione - ha aggiunto Maroni - L’Italia non può fare il gendarme in giro per il mondo per vedere chi vuole venire in Europa".

Anche Frattini fa quadrato. Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha insistito nel chiedere un vertice dell’Unione europea sul tema dell’immigrazione entro giugno. Frattini ha precisato che dovrebbe essere "a livello di Capi di Stato e di Governo".

Poi il titolare della Farnesina si è lanciato, in un’intervista al Tg4, nella difesa dalle accuse di xenofobia rivolte all’Italia. "Non bisogna personalizzare - ha detto - ma occorre dire con chiarezza che nessuna Istituzione può indicare l’Italia come un Paese razzista e xenofobo". Secondo Frattini, tali accuse non possono essere rivolte all’Italia almeno per tre motivi.

Il primo: "L’Italia è il Paese a cui si deve il maggior numero di salvataggi di vite umane in mare". Il secondo: "L’Italia ha una tradizione di accoglienza in cui non è seconda a nessuno". E infine il terzo motivo: "Noi applichiamo delle regole europee che servono al resto d’Europa. Impedire il flusso dei clandestini è problema europeo".

Il piano della Ue. Sulla richiesta italiana del vertice sull’immigrazione la presidenza Ue "valuterà il valore aggiunto della proposta italiana". Il ministro degli Esteri della Repubblica Ceca (Nazione che detiene la presidenza di turno della Ue), Jan Kohout, ha affermato: "Dobbiamo riflettere sul valore aggiunto della proposta per evitare di giungere a conclusioni a cui si era già giunti in passato". Fonti di Bruxelles hanno osservato che "l’Europa non deve diventare una fortezza e non bisogna dare un messaggio in cui l’immigrazione deve essere presentata come una minaccia.

Allo stesso tempo occorre trovare un equilibrio tra le esigenze del mercato del lavoro e la necessità di combattere le attività criminali degli scafisti e dei trafficanti di esseri umani". Il piano della Commissione Ue dovrebbe essere pronto entro la fine del mese e avrà lo scopo, secondo quanto si dice a Bruxelles, di mettere in condizione chi è alla ricerca di asilo di non essere costretto a finire sotto le grinfie degli scafisti e di bloccare all’origine il fenomeno dell’immigrazione clandestina".

 

 

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