Rassegna stampa 16 maggio

 

Giustizia: il ddl-sicurezza nasce da un difetto di lungimiranza

di Massimo Franco

 

Corriere della Sera, 16 maggio 2009

 

L’Italia ha deciso di svolgere il ruolo di battistrada della guerra all’immigrazione clandestina. È un compito scomodo, perché viene affidato a leggi che riflettono una visione del fenomeno agli antipodi rispetto al passato; rompe una cultura dell’inclusione mai messa in discussione fino a che i flussi hanno assunto una fisionomia tale da destare allarme; ed è accompagnato dal silenzio assordante e colpevole dell’Europa.

Ma l’approvazione del provvedimento che trasforma in reato l’ingresso irregolare nel nostro Paese costituisce un’incognita anche perché non si capisce se risolverà i problemi. Di certo si tratta di uno spartiacque, sul piano dei valori prima che su quello della politica sottolineato dalle riserve delle organizzazioni cattoliche. Rimane da chiedersi se il giro di vite sia stato deciso dal centrodestra assecondando gli umori profondi del Paese; o magari esasperandoli. Il fatto che sia il premier, Silvio Berlusconi, sia il capo della Lega, Umberto Bossi sventolino il consenso schiacciante della "gente ", non va sottovalutato. Conferma un malessere figlio dell’inerzia, che ha silenziosamente trasformato la tolleranza in un istinto di rifiuto alimentato dal timore della criminalità. Dunque, è probabile che la linea dura non sia soltanto formalmente legittima, ma sostenuta dal grosso del Paese.

Forse per questo nel governo emerge la tentazione di ritenere ogni critica oziosa e strumentale, e sotto sotto vagamente elitaria: e di certo qualcuna lo è. Sarebbe miope, tuttavia, non riconoscere una realtà che ad intermittenza assume i contorni odiosi del razzismo; ed escludere che le ragioni della maggioranza siano state incoraggiate dalle prossime scadenze elettorali. A seminare perplessità è l’ombra di trionfalismo che accompagna il "sì" alle misure sulla sicurezza. Si può anche tacere il contraccolpo sul piano dei diritti umani, che pure pesa. Ma sa di rimozione negare l’esistenza di una "retorica pubblica" impregnata di "accenti di intolleranza o xenofobia ", evocata ieri dal capo dello Stato.

Come sempre, Giorgio Napolitano ha affidato il suo monito a parole calibrate e misurate. Eppure ha provocato reazioni troppo sbrigative: come se avesse sfiorato nervi intoccabili nel momento di un successo parlamentare che in realtà è una vittoria un po’ amara per tutti. Sembra il prodotto italiano ed europeo di un difetto di lungimiranza e di prevenzione. Su questo sfondo il Paese appare l’avanguardia di un’esasperazione che presto sarà continentale. Ed anticipa soluzioni dettate da una deriva culturale giustificata dall’emergenza; ma priva di coordinamento con la Ue. Nessuno è in grado di presidiare la "nuova frontiera" mediterranea da solo. A ben vedere, per quanto discutibile nel metodo, il tentativo del governo di difenderla è una richiesta, quasi un grido d’aiuto.

Giustizia: ddl-sicurezza; il "gioco delle parti" tra Fini e Maroni 

 

Il Tempo, 16 maggio 2009

 

Il leader della Lega in passato faceva il "moderato" e sosteneva la necessità di prevedere solo un reato amministrativo. La campagna elettorale spinge il Carroccio a toni più aspri.

È difficile crederci. Ma ci sono stati anni in cui su un tema scottante e delicato come il contrasto all’immigrazione clandestina Gianfranco Fini e Umberto Bossi avevano ruoli e convinzioni esattamente opposte. Di più, vestivano perfettamente i panni l’uno dell’altro. L’attuale presidente della Camera - che con il suo nuovo profilo da uomo al di sopra delle parti è stato più volte dipinto come il "vero leader della sinistra" - quando era a capo di Alleanza Nazionale incarnava invece alla perfezione l’uomo duro della destra, quello che chiedeva - e proponeva - di usare le maniere forti contro gli stranieri irregolari. A tal punto che nel 2000 aveva presentato una proposta di legge che introduceva il reato di immigrazione clandestina che prevedeva l’arresto. Mentre oggi il ddl sicurezza approvato alla Camera lo punisce solo con un’ammenda.

Umberto Bossi - che ora spinge sul tasto dell’intransigenza su tutto quello che riguarda il tema della sicurezza, anche perché in campagna elettorale per le europee non vuole farsi scippare questo argomento da Berlusconi - vestiva invece i panni del moderato, del leader contrario alla mano dura sul reato di clandestinità. Il 14 dicembre del 2000 Fini, partecipando a un comizio all’Esquilino a Roma, uno dei quartieri più popolati da immigrati e dove la tensione tra romani e stranieri è più alta, spiegò alla folla plaudente che bisognava cambiare la legge Turco-Napolitano sull’immigrazione, introducendo provvedimenti che "garantiscano severità, rispetto della legalità, tempi più brevi nelle espulsioni, effettiva integrazione di chi rispetti le nostre regole, duro contrasto ai neoschiavisti". Insomma quello che sta facendo oggi il governo italiano riconducendo nei porti di partenza i migranti clandestini. Di quella posizione Gianfranco Fini è rimasto convinto fino a un anno fa.

Il 4 giugno del 2008, infatti, illustrava così il suo pensiero: non ci può essere "incostituzionalità" tra l’eventuale introduzione del reato di immigrazione clandestina e "gli articoli della Costituzione che prevedono il dovere dello Stato italiano di rispettare i diritti dell’uomo". Poi, da presidente della Camera, Fini ha iniziato qualche timoroso distinguo, ha seminato dubbi, avanzato obiezioni. "I rimpatri sono legittimi ma il diritto d’asilo va garantito", ha spiegato un paio di giorni fa. Ha proseguito ammonendo la Lega ad "evitare eccessi propagandistici" su una questione così delicata. E l’11 maggio, in visita ufficiale ad Algeri, ha ribadito che "il tema della sicurezza e della legalità è essenziale. Ma, per garantire una vera sicurezza ed una vera legalità, bisogna guardare un po’ oltre rispetto al contingente, in un’ottica non solo italiana ma europea".

Umberto Bossi gli ha replicato scherzosamente, con un "se non la fai sotto elezioni la propaganda, quando la fai?". Concludendo però poi con un più serio: "Chi la dura, la vince". Il leader della Lega nel 2001 si trovava invece dall’altra parte della barricata, costretto addirittura a far da pompiere sull’idea di Fini di arrestare i clandestini. "Per me è un errore introdurre il reato di immigrazione clandestina - spiegò in un’intervista davanti alle telecamere di Telepadania il 17 luglio del 2001 - significa tenere qui dieci anni i clandestini e riempire le carceri che già scoppiano. Deve essere, invece, un reato amministrativo perché così si espellono subito".

Giustizia: Pecorella (Pdl); ormai la politica è fatta dal Viminale

 

Ansa, 16 maggio 2009

 

"La politica viene ormai fatta dal ministro dell’Interno, con uno spostamento totale del processo penale come luogo di giustizia al processo penale come strumento di ordine pubblico". Al convegno sugli abusi nei confronti dei minori (promosso dall’Unione camere penali e dalla Società di psicologia giuridica), Gaetano Pecorella traccia un quadro sconsolato sulle prospettive: "Tra senso della giustizia e ansia delle mamme - è la fotografia del pidiellino - la politica si schiera decisamente dalla parte delle mamme".

Secondo Pecorella, alcune riforme nei processi di violenza sui minori sarebbero necessarie, ma "in questa fase- lamenta- un cambiamento non è facile. Se io mi schiero sostenendo garanzie indispensabili, mi diranno che sto dalla parte dei pedofili". Insomma, prevale ormai un clima emotivo che spinge a declinare ogni reato sulla falsariga dell’emergenza: "Poco alla volta - denuncia - il diritto penale e la procedura penale ordinaria è quella nata sull’onda del 416-bis".

Eppure, insiste Pecorella, sarebbe utile - sul fronte dei processi contro pedofili - avere giudici e avvocati specializzati, magari affidando competenze al Tribunale dei minori. E assicurare la presenza del difensore al momento dell’audizione del bambino imponendo sempre la videoregistrazione della testimonianza (che altrimenti non potrà essere accolta come prova): "L’audizione protetta - rimarca Pecorella - tiene infatti giustamente conto delle esigenze del minore, ma non di quelle della difesa". Ecco, "sono tutte modifiche che proporrei volentieri alla Camera - conclude il deputato del Pdl - se non fosse che oggi si tiene molto più conto del consenso piuttosto che di ciò che è giusto o sbagliato".

Giustizia: Cicchitto (Pdl); questa legge serve a evitare razzismo

 

Ansa, 16 maggio 2009

 

"La legge approvata dalla Camera va nella direzione di accogliere la domanda di sicurezza che c’è su vari temi nel Paese" afferma Fabrizio Cicchitto, presidente dei deputati del PdL, e aggiunge: "In primo luogo in essa c’è un’ulteriore durissima risposta alla criminalità organizzata. Su questo tema, non sappiamo per quali ragioni, c’è stato un totale silenzio da parte della sinistra. In secondo luogo bisogna che tutti capiscano che il razzismo e la xenofobia vengono evitati o ridimensionati se da un lato c’è una reale strategia dell’accoglienza e dell’inserimento della emigrazione regolare, funzionale alle nostre esigenze produttive e sociali, e dall’altro lato, invece, si blocca l’immigrazione clandestina".

Di conseguenza, sottolinea Cicchitto "quella che noi chiamiamo la plurietnicità non può andare oltre certi livelli anche quantitativi altrimenti il sistema si inceppa o esplode. L’immigrazione clandestina fa saltare il controllo sui livelli quantitativi e provoca un aumento di criminalità, che a sua volta può provocare risposte di tipo xenofobo: dunque è proprio la linea lassista della sinistra che può provocare il razzismo. Del resto la linea politica suicida seguita da Franceschini al Nord è stata una inconsapevole campagna pubblicitaria per il Pdl e la Lega".

Pertanto, dice ancora l’esponente del Pdl "se non stiamo attenti, avendo accanto due nazioni che si affacciano sul Mediterraneo, Francia e Spagna, che seguono sul tema una linea durissima, noi rischiamo di apparire il ventre molle dell’Europa con conseguenze devastanti. Infine, sul problema dei rifugiati, la cui qualità va filtrata e verificata, occorre una corresponsabilità dell’Europa e dell’Onu, che finora sono stati del tutto assenti". Il governo italiano, conclude Cicchitto, "non deve aver complessi di inferiorità e deve mettere queste strutture internazionali di fronte alle loro responsabilità".

Giustizia: Camere Penali; ddl poco efficace e ronde pericolose

 

Redattore Sociale - Dire, 16 maggio 2009

 

Sarà una legge "scarsamente efficace sul piano della sicurezza". Oreste Dominioni boccia il disegno di legge varato ieri dalla Camera rimarcando che "per tutelare la sicurezza non si deve ricorrere, se non in casi estremi, alla legge penale aumentando le pene o formulando nuovi reati. Sono strumenti spuntati, la sicurezza- avverte il presidente dell’Unione delle camere penali, a margine di un convegno sugli abusi nei confronti dei minori- la si garantisce intervenendo tecnicamente sul territorio".

Entrando nel merito, Dominioni esprime "totale dissenso" nei confronti delle ronde, che "rischiano di essere strutture che fomentano gli scontri anziché controllarli". Il presidente dell’Ucpi teme subito un aumento delle risse, del resto- osserva- "l’esclusività dello Stato come autorità di intervento sta proprio in questa ragione, nell’intervenire su situazioni di illiceità senza produrre altre controversie".

Ma non solo. Dominioni denuncia anche "l’escalation nel rendere sempre più duro il carcere duro, con il superamento del livello oltre il quale il trattamento diventa disumano", e contesta il ‘fermò nei Cie portato a 6 mesi: "Non si capisce bene- obietta- quale sia il comportamento rimproverato dalla legge per questa limitazione della libertà personale". Per l’Ucpi, tra l’altro, è sbagliato farlo rientrare nella competenza dei giudici di pace: "Per loro natura agiscono secondo il buon senso, che è il comune sentire, ma è pericoloso non affidare una materia ad alto tasso di emotività a un giudice non professionale".

Infine, altri rilievi. Sulla clandestinità come aggravante, ad esempio: "Secondo la logica della legge penale, in tanto si aumenta la pena in quanto c’è una condizione tale da aggravare il disvalore". O sulla reintroduzione dell’oltraggio, "reato di ventennia memoria. C’è una spinta a voler caricare l’autorità pubblica - segnala il presidente dell’Ucpi - di connotati non necessari alle sua funzioni".

Dominioni tira le somme: "Anziché affrontare i problemi, è facile che la politica scivoli sul terreno penale, che fa più effetto annuncio. E purtroppo è una linea che sta diventando bipartisan".

Giustizia: Assistenti Sociali; preoccupazione per il ddl-sicurezza

 

Comunicato stampa, 16 maggio 2009

 

Il Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali continua ad esprimere un forte preoccupazione sul "pacchetto sicurezza" e si allea a tutte le categorie degli operatori sociali e sanitari in un appello al buon senso.

Cresce lo sconforto degli Assistenti sociali italiani dopo il voto di fiducia di oggi alla Camera sul pacchetto-sicurezza, all’interno del quale viene confermato per tutti i pubblici ufficiali l’obbligo di denunciare gli immigrati non in regola con il permesso di soggiorno.

Il nostro appello al buon senso, diffuso tramite i media, ha lasciato indifferente il Governo - afferma la Presidente del Consiglio Nazionale Franca Dente - nonostante le forti critiche e proteste provenienti anche da parte di esponenti della maggioranza e dal Vaticano. Gli operatori sociali e sanitari infatti vengono esonerati dall’obbligo di segnalazione ma non, in quanto pubblici ufficiali, da quello di denuncia di un reato, quale quello di immigrazione clandestina appositamente introdotto, la cui omissione o ritardo comporta il rischio di sanzioni penali. Cosa inaccettabile la denuncia - continua Franca Dente - per chi come noi ha come compito primario, attribuitogli dallo Stato e dal proprio Codice deontologico, quello di offrire sostegno e aiuto a chi si trova in condizione di bisogno e di disagio sociale, nel rispetto assoluto del valore e della dignità di ogni persona, qualunque sia la sua condizione.

È per questo che gli Assistenti sociali si uniscono al coro trasversale delle organizzazioni mediche, dei giuristi, degli operatori sociali, degli educatori e in generale di tutti i dipendenti pubblici, richiamando nuovamente la responsabilità del Governo su questo provvedimento che rischia drammatiche ripercussioni, oltreché la sconfitta morale della società civile.

 

Ufficio Stampa Cnoas

Giustizia: Bossi; tra poco avremo i magistrati eletti dal popolo

 

La Repubblica, 16 maggio 2009

 

La giustizia, il referendum, il federalismo e l’immigrazione. Ha affrontato tutti i temi cari alla Lega Umberto Bossi, oggi pomeriggio impegnato in ben tre comizi nel trevigiano e a Belluno. Il senatùr ha fatto anche una dichiarazione a sorpresa: "Tra poco i magistrati saranno eletti dal popolo".

Referendum. Il patto politico tra Lega Nord e Pdl non si romperà neanche con il referendum. "Lui - ha detto Bossi riferendosi al premier - ha sempre mantenuto le promesse". Il referendum, però, potrebbe minare il rapporto tra Bossi e il Cavaliere. "Berlusconi vota ‘sì’ perché ne trarrebbe vantaggio - ha concluso Bossi - ma non capisco la posizione del centrosinistra. Berlusconi è un nostro amico e spero che ci pensi su".

Magistrati. "Tra poco i magistrati saranno eletti dal popolo", ha detto dal palco il ministro delle Riforme e del Federalismo. "Il Veneto avrà i suoi magistrati - ha proseguito - non se ne può più di non avere neppure un magistrato Veneto. Potrebbe essere presto - ha concluso a sorpresa - potrebbe essere prima di andare al voto".

Federalismo. La legge quadro sul federalismo fiscale deve essere completata con la distribuzione delle risorse e Umberto Bossi rivendica a sé questo compito: "I numeri li voglio scrivere io - ha mandato a dire ai colleghi dell’esecutivo - Fino ad oggi non è stato possibile farlo. Adesso, però, non bisogna sbagliare".

Il ministro alle Riforme ha ammesso che non è più tempo di slogan come Roma ladrona, sostituito dalla parola magica federalismo. Però ci sono ancora "presidenti di Regione che buttano i soldi, tanto arrivano lo stesso". "Adesso cambierà tutto - ha assicurato Bossi agli elettori di Scorzè - perché non c’è più la spesa storica ma quella standard. Non capisco perché un pacco di garze in una regione costa una somma e in un’altra tre volte di più, è chiaro che qualcuno si mette i soldi in tasca. Chi paga?", si è chiesto Bossi. "Pagano gli imbecilli sopra il Po. Ma ora i popoli della Lombardia e del Veneto si sono svegliati".

Salario territorializzato. Incassato il federalismo fiscale e la legge contro i clandestini, la prossima battaglia della Lega Nord sarà il "salario territorializzato", ha detto Bossi. "La sinistra parla di gabbie salariali, ma noi diciamo che ai nostri lavoratori spetta una busta paga proporzionale al costo della vita. Non è una regola contro il Sud - ha annunciato - ma dobbiamo tutelare chi è più penalizzato".

Immigrazione. Bossi ha anche rassicurato il capo dello Stato Giorgio Napolitano sulle misure per combattere l’immigrazione clandestina. "Non deve temere la legge perché c’era da preoccuparsi se la legge non passava. Non c’è rischio razzismo. Sono scuse che qualcuno va agitando. Il mondo cambia usando i criteri della legalità". Il leader della Lega ha attaccato, poi, la sinistra "che pensava di far venire un mucchio di gente e di dargli il voto".

Giustizia: 8,5 milioni di cause pendenti; un piano dal Governo

di Anna Nei

 

Donne e Giustizia, 16 maggio 2009

 

Si può davvero pensare a un sistema di processi efficace e funzionale, dove la giustizia arrivi nel momento in cui è necessaria? Le parole della senatrice Elisabetta Casellati, sottosegretario alla Giustizia, sembrano indicare la reale possibilità di un sistema differente.

Milioni di cause arretrate. Riti in eccesso. Tempi biblici. Lungaggini rituali. Si può pensare ad un processo efficiente e razionale, dove la giustizia torni ad essere un servizio per il cittadino? Le parole della Sen. Maria Elisabetta Alberti Casellati, Sottosegretario alla Giustizia, sembrano indicare la possibilità di invertire la tendenza attraverso incisivi interventi riformatori del sistema giudiziario. La giustizia italiana è in affanno: cinque milioni di cause civili pendenti e tre milioni e mezzo di cause penali pendenti. L’organico dei magistrati, composto negli anni 60, non è stato adeguato alle trasformazioni del tessuto economico e sociale che hanno investito le varie aree del Paese. Maria Elisabetta Alberti Casellati spiega quali sono i punti qualificanti della riforma in atto.

 

In tema di sicurezza, con il decreto anti-stupri il governo ha dato un segnale forte. Quali passi sono ancora necessari perché in Italia sia garantita la certezza della pena? E, ancora, non c’è il rischio di una deriva xenofoba?

"Con il decreto anti-stupri il Governo ha anticipato una nuova linea di fermezza per garantire ai cittadini una maggiore tutela della sicurezza a fronte di un crescente allarme sociale, determinato da reati odiosi come la violenza sessuale. L’esecutivo ha stabilito infatti l’obbligatorietà della custodia cautelare in carcere e l’esclusione di misure premiali. Stiamo varando un pacchetto di norme che possa assicurare la certezza della pena per eliminare un’anomalia del nostro sistema giudiziario che, a fronte di carcerazioni preventive troppo spesso lunghe e odiose, permette scarcerazioni inspiegabili, che suscitano sfiducia nelle istituzioni. Ciò ingenera la convinzione che se lo Stato non risponde ad un torto subito i cittadini possano seguire tracciati alternativi rispetto alla legalità o peggio possano ricorrere alla "giustizia fai da te".

Io non credo che il nostro Paese rischi una deriva xenofoba. Un conto è la cultura dell’accoglienza che è nel nostro Dna, che ha favorito l’integrazione di comunitari e non, arrivati nel nostro Paese per lavorare onestamente. Un conto è la repressione dei reati che deve essere dura nei confronti di tutti, perché anche attraverso il rispetto delle regole e dei principi di una comunità si favoriscono le relazioni sociali e la possibilità stessa di una convivenza serena".

 

Lei si è occupata principalmente della riforma del processo civile. Quale è oggi la situazione in Italia?

"Il nostro sistema giudiziario è al collasso. Con cinque milioni e mezzo di cause civili pendenti e una durata media dei processi dagli otto ai dieci anni, l’Italia è al 150° posto nella graduatoria mondiale di efficienza nel giudizio civile dopo l’Angola ed il Gabon. C’è una consapevolezza ormai diffusa che i rapporti economici e sociali e perfino i rapporti famigliari non possano svolgersi serenamente e dare i loro frutti in termini di benessere, ricchezza e sviluppo se l’apparato giudiziario non assicura le necessarie garanzie di tutela rispetto al danno, al sopruso e all’inadempimento. Un sistema che dispensi certezza giudiziaria ai cittadini è conveniente, perché promuove lo sviluppo ed il benessere economico. Una giustizia civile veloce fa girare velocemente l’economia.

 

Quali sono le misure contenute nella vostra riforma?

"Abbiamo adottato una serie di misure che hanno come obiettivo quello di rendere giustizia ai cittadini in tempi brevi nella consapevolezza che una giustizia lenta è una giustizia denegata, che una giustizia lenta non è equanime, perché danneggia i più deboli; una giustizia inefficiente diventa una risorsa ed un alleato del malaffare. Una riforma che introduce, da una lato, la mediazione come possibilità di comporre le controversie fuori dall’aula del Tribunale, dall’altro, all’interno del processo, il filtro della cassazione, per cui non tutte la cause arriveranno al terzo grado, la prova testimoniale scritta, la semplificazione dei riti processuali (saranno tre o quattro invece di trenta), una sentenza più snella e un complesso di sanzioni economiche per chi allunga i tempi di durata del giudizio in mala fede. In questo modo si creerà un sistema processuale rapido ed efficiente che potrà restituire credibilità e fiducia nella giustizia.

Giustizia: Uil; "no" alla soppressione del Dipartimento Minorile

 

Comunicato Uil, 16 maggio 2009

 

"Sopprimere il Dipartimento della Giustizia Minorile sarebbe l’ennesima contraddizione del Governo Berlusconi in materia di Giustizia e Sicurezza. Come si possa immaginare di estinguere una delle poche realtà che, per anni, ha funzionato nell’ambito della disastrata giustizia italiana è qualcosa che il Ministro Alfano dovrebbe spiegare con argomentazioni più che convincenti, sempreché pensi davvero di fare ciò".

Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari commenta così le notizie di stampa in relazione alla paventata volontà di sopprimere il Dipartimento della Giustizia Minorile.

"Per quanto ci riguarda a tempo debito abbiamo fornito al Ministro della Giustizia la nostra contrarietà all’ipotesi, spiegando come il Dgm costituisce un avamposto di legalità cui non si può rinunciare. È evidente che la concezione ragionieristica sopravviene alle ragioni dell’opportunità e del buon senso. Con tale decisione si vuole, evidentemente, affermare un modello di sicurezza imperniato solo sulla repressione e non anche sulla prevenzione. In ogni caso, l’accorpamento all’Organizzazione Giudiziaria rappresenterebbe un atto contro natura. È logico immaginare che in caso di cancellazione del Dgm, la Giustizia Minorile trovi ospitalità nell’ambito del Dap certamente connotato da similarità nel mandato. Già ora il personale di polizia penitenziaria operante nel Dgm è amministrato dal Dap. Ma queste sono quelle guerre di potere giudiziario e di palazzo che rischiano di passare sulle teste degli incolpevoli operatori"

Giustizia: Uil; le "carceri galleggianti"? sono una stravaganza

 

Comunicato Uil, 16 maggio 2009

 

"La proposta delle prigioni galleggianti mi pare una stravaganza, una proposta priva di ogni razionalità. D’altro canto come tutto ciò che abbiamo letto sino ad ora del piano carceri anche questa era già stata una idea dell’ex Ministro Castelli, che intelligentemente la accantonò immediatamente. Prima o poi, però, leggeremo questo piano carceri e potremo dire la nostra anche con qualche competenza", ha dichiarato Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari.

"Nel frattempo il Capo del Dap persegue nella politica degli annunci senza confrontarsi con le rappresentanze sindacali. Ieri mattina - ricorda Sarno - Cgil-Cisl-Uil Sappe e Osapp, che rappresentano oltre i tre quarti della polizia penitenziaria, hanno scritto ad Alfano chiedendo un incontro immediato. Non tanto perché abbiamo necessità di capire chi sia effettivamente il nostro interlocutore al Dap, quanto per pretendere risposte concrete alla gravissima crisi che attanaglia il sistema penitenziario. Nel frattempo abbiamo già indetto lo stato di agitazione e previsto per il 17 giugno , a Roma, in concomitanza con la celebrazione della Festa del Corpo una protesta Nazionale che farà sentire alta e forte la nostra voce "

Giustizia: Ugl; le "carceri galleggianti" non risolvono i problemi

 

Agi, 16 maggio 2009

 

"Non è con le carceri galleggianti che si può risolvere il problema del sovraffollamento degli istituti penitenziari, e si tratterebbe peraltro di un provvedimento limitante alle funzioni rieducative della pena, conformemente a quanto prevede ordinamento penitenziario". Lo dichiara il segretario nazionale Ugl Polizia Penitenziaria, Giuseppe Moretti commentando l’ipotesi di navi ormeggiate, come nella proposta fatta dal Dap per Genova.

"Sono necessari - ha aggiunto - investimenti per realizzare nuove strutture che rispondano agli standard di vivibilità richiesti negli istituti penitenziari e soprattutto condizioni di sicurezza per i detenuti e per gli agenti chiamati a svolgere le loro funzioni. Oggi a fronte di istituti sovraffollati, di fatto il personale è in carenza di organico di ben 5 mila unità".

"Non ci convincono inoltre le altre proposte riguardanti il recupero del personale, che tendono a sminuire la professionalità raggiunta dalla polizia penitenziaria nei vari servizi fino ad ora realizzati a garanzia della sicurezza della società. Chiediamo, dunque, al ministro un incontro urgente, visto anche l’emergere di voci incontrollate che alimentano il malumore e il disagio lavorativo del personale penitenziario".

Sicilia: lavoro in carcere; i soldi ci sono, ma mancano gli spazi

di Roberto Puglisi

 

www.livesicilia.it, 16 maggio 2009

 

In teoria ci sarebbe una legge approvata dal Parlamento siciliano per finanziare le attività lavorative dei detenuti che facciano richiesta di un contributo. Ci sono cinquecentomila euro da rosicchiare. Un massimo di finanziamento di 25 mila euro a testa. Si direbbe un segnale concreto, una dimostrazione di interesse.

"Purtroppo - spiega Lino Buscemi, dell’ufficio del garante per i diritti dei detenuti in Sicilia - in molti casi quella norma giustissima non è applicabile". Come mai? "Ma se lo immagina un detenuto che vuole impiantare una falegnameria nelle nostre prigioni? I penitenziari siciliani a parte qualche lodevole eccezione, non sono dotati di spazio per le attività. I piccoli lavoretti in ceramica si possono tollerare, le piccole cose degli artigiani.

Per il resto… l’unica sarebbe la concessione del trasferimento, ma c’è il problema del sovraffollamento". Buscemi è un osservatore attento e un interlocutore competente e appassionato della sua materia. Sotto la guida di Salvo Fleres, l’ufficio del garante ha ricevuto un nuovo impulso per l’affermazione dei diritti dei detenuti. L’elencazione delle spine che affliggono la situazione è stata fin qui puntuale.

"La legge - spiega Buscemi - riguarda anche le pene alternative. Ma il nodo è in carcere. Non ci sono gli spazi. E i direttori sono costretti a negare le autorizzazioni, spesso a malincuore. Noi vorremmo che almeno sospendessero il giudizio". Una bella contraddizione. Una delle tante che Buscemi sta raccogliendo nei suoi viaggi (tanti) all’interno del sistema carcerario siciliano. Spesso gli istituti sono indecenti, "al limite della costituzionalità".

A Catania ci sono i topi. A Favignana i carcerati aspettano nudi in corridoio il turno della doccia, con la pioggia o col sole. E la storia penitenziaria è piena di beffe. La legge per il reinserimento lavorativo c’è. Ma spesso resta lettera morta.

Padova: detenuto 30enne muore in cella, forse per un infarto

 

Il Mattino di Padova, 16 maggio 2009

 

Un detenuto è stato trovato morto nel carcere "Due Palazzi" di Padova, probabilmente a causa di un arresto cardiaco. Sono stati i compagni di cella ad allertare i soccorsi nell’edificio del penale dove un uomo di nazionalità marocchina di circa 30 anni è stato trovato esanime. In un primo momento si era pensato un suicidio, poi con l’arrivo del medico legale la verità è venuta a galla.

L’uomo potrebbe essere morto per cause naturali. L’allarme per un suicidio era stato lanciato perché nei giorni scorsi un detenuto aveva tentato di togliersi la vita. Sull’onda emotiva quando è stato scoperto il cadavere dell’extracomunitario si è subito pensato a una morte provocata volontariamente dalla stessa vittima. Il cadavere è stato trasportato in obitorio ed è ora a disposizione dell’autorità giudiziaria che probabilmente disporrà l’autopsia.

Campobasso: detenuto 27enne muore in cella, ignote le cause

 

Ansa, 16 maggio 2009

 

Sarà l’autopsia a fare chiarezza sulla morte di un ragazzo trovato senza vita nella propria cella nel carcere di via Cavour a Campobasso. La scoperta è stata fatta ieri mattina dal detenuto che condivideva la stanza con il campobassano. Il 27enne, un pregiudicato (con anche precedenti per droga) è morto nella notte. Il compagno di cella, quando si è accorto che era senza vita, immediatamente ha allertato la sicurezza. Gli agenti di polizia penitenziaria hanno chiamato quindi i soccorsi. Ma una volta sul posto, non c’è stato nulla da fare, poiché l’uomo era morto da tempo. Sul posto, come detto, anche il magistrato di turno che ha disposto l’esame autoptico per accertare le cause del decesso.

Livorno: sull’isola di Pianosa non sarà riaperto il supercarcere

 

Il Tirreno, 16 maggio 2009

 

A Pianosa non sarà riaperto il carcere duro. Niente supercarcere. Il Governo accoglie, come raccomandazione, l’ordine del giorno al disegno di legge sulla sicurezza e elimina questa possibilità Silvia Velo, deputato del gruppo Partito democratico è soddisfatta. Dice: "Avevo presentato un emendamento allo stesso disegno di legge ma con il voto di fiducia posto dal Governo l’unica strada possibile è stata quella dell’ordine del giorno impegnando il Governo a non inserire Pianosa, in quanto Parco naturale, tra quelle sedi in cui si potrebbero istituire istituti carcerari di cui all’articolo 41-bis".

Un passo in avanti. Rimarca Velo "Sono soddisfatta del risultato in quanto il Governo ha confermato l’impegno preso in sede di risposta all’interrogazione da me presentata, proseguendo nel percorso di valorizzazione del patrimonio archeologico ed ambientale dell’Isola ed escludendo Pianosa sia dal Piano straordinario di edilizia penitenziaria che dall’ipotesi di riapertura del carcere per i detenuti sottoposti al regime del 41-bis".

Rimane in piedi la possibilità di realizzare una centrale nucleare Pianosa è infatti una delle sei possibili localizzazioni del nucleare italiano. Il primo sì del Parlamento al nucleare è arrivato. Il Senato ha approvato il ddl 1195 e ha apportato alcune modifiche all’articolo 14 che regola i principi e le direttive sulla costruzione delle centrali e lo stoccaggio delle scorie, e getta le basi per individuare i siti più idonei sul territorio nazionale. Sarebbero solo sei, in tutto il Paese, i luoghi che tecnicamente potrebbero ospitare una centrale, considerando zone le sismiche, quelle a rischio alluvioni, quelle a rischio siccità, le coste in erosione e le città densamente popolate. Fra questi c’è Pianosa.

Venezia: l'Ass. "Granello di Senape"… dà una mano ai carcerati

 

La Nuova di Venezia, 16 maggio 2009

 

Il lavoro dell’Associazione "Il Granello di Senape" spesso è poco conosciuto. Perché molti dei volontari lavorano senza fare troppo rumore. È però un aiuto prezioso e indispensabile per rendere migliore e più a misura d’uomo la vita di tanti carcerati e carcerate.

"Si tratta di volontariato molto particolare - spiega la presidente dell’associazione, Maria Teresa Menotto - che si svolge all’interno degli istituti e che per la maggior parte coinvolge persone non giovanissime. Lo zoccolo duro degli operatori è formato da una ventina di persone. Le attività sono le più diverse. C’è, ad esempio, una branca che si occupa di acquistare generi utili per le detenute. Nel carcere qualche cosa si trova, ma non tutto quel che può servire ad una donna".

"Il Granello, - prosegue la presidente - gestisce anche la biblioteca del carcere di Santa Maria Maggiore e si occupa di migliorare la comunicazione tra i detenuti, specialmente ora che tanta parte è straniera". E ci sono poi la sensibilizzazione verso il mondo esterno, lo sportello informativo per detenuti ed ex detenuti e le loro famiglie, aperto il martedì e il giovedì dalle 15 alle 17 in campo santa Margherita.

Ravenna: corruzione nel carcere; agente ascoltato in Procura

 

Ansa, 16 maggio 2009

 

Non sono emersi nuovi particolari dal nuovo interrogatorio a cui è stato sottoposto venerdì mattina in Procura di Ravenna Vito Cosimo Miacola, l’assistente capo del carcere di Port’Aurea arrestato a febbraio dalla Squadra Mobile di Ravenna nell’ambito dell’inchiesta sulla corruzione all’interno del penitenziario.

L’uomo, 49 anni di Erchie (Brindisi), difeso dall’avvocato Gabriele Sangiorgi, si trova agli arresti domiciliari nell’abitazione della madre. È accusato dal pm Stefano Stargiotti, che coordina le indagini, di corruzione, istigazione alla corruzione e tentata concussione.

Altre due persone sono finirono in manette. Si tratta dell’assistente capo Giovanni Pipoli, 42 anni, di Foggia, e di Antonio Sciuto, 56 anni, originario di Catania, in passato detenuto a Ravenna ed ora detenuto nel carcere di San Gimignano (Siena) dove sta scontando una condanna per spaccio di stupefacenti.

Ancona: il "Rigoletto", nella Casa Circondariale di Montacuto

 

Il Messaggero, 16 maggio 2009

 

Prosegue il progetto Musesociale lavoro di formazione che la Fondazione Teatro delle Muse svolge con lo scopo di far incontrare la musica lirica ed il teatro d’opera con il mondo di chi soffre e di chi è emarginato.

Il progetto si divide in tre laboratori: Liricabile, Liberamente e Liricamente, ispirati a Rigoletto di Giuseppe Verdi. Dopo il successo dello spettacolo della sezione Liricabile, andato in scena mercoledì 13 maggio, è la volta di Liberamente, che porta in scena i detenuti della Casa Circondariale di Montacuto (Ancona) il 19 e 20 maggio con lo spettacolo Rigoletto/Variazioni.

Il progetto Liberamente, torna dopo il grande successo di Una storia antica - liberamente ispirato a La traviata di Giuseppe Verdi e rappresentato per ben tre volte all’interno del carcere nel maggio 2008. Quest’anno il gruppo si è confrontato con l’opera lirica attraverso un ciclo di laboratori, guidato da esperti di teatro-educazione provenienti da Urbino (Teatro Aenigma - Vito Minoia), che si è tenuto da ottobre 2008 a maggio 2009 all’interno della Casa Circondariale.

Il progetto si compie poi con la messa in scena dello spettacolo Rigoletto/Variazioni che si compone di due studi teatrali: Finzione e realtà ispirato al dramma omonimo di un detenuto e Opera ispirato al dramma omonimo di Eugenio Sideri.

Lo spettacolo in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche Sociali del Comune di Ancona si terrà presso la Sala Polivalente della Casa Circondariale, alla presenza dei detenuti del carcere. Nel nostro lavoro - dice Vito Minoia - abbiamo dato spazio a due rivisitazioni teatrali di Rigoletto, mediate da due testi, liberamente ispirati all’opera di Verdi, "Finzione e realtà" di un detenuto e "Opera" di Eugenio Sideri.

Le due creazioni, si sono concentrate sulla necessità di tratteggiare un personaggio dalla personalità complessa e contraddittoria: quello del buffone deforme (Rigoletto) che vede il proprio atto di giustizia di padre disonorato trasformarsi nell’autodistruzione di un uomo cinico e crudele. In entrambi i lavori, ambientati ai giorni nostri, la personalità di Rigoletto è resa più completa giocando su contrasti e chiaroscuri (nel primo è un barman di una bisca clandestina, nel secondo è un vocalist di una discoteca).

Roma: rassegna di film a Rebibbia, premiato "Il rabdomante"

 

Adnkronos, 16 maggio 2009

 

La scelta tra 8 pellicole italiane di notevole pregio artistico e culturale, rimaste escluse dalla tradizionale distribuzione in sala. A ritirare la targa presso il teatro dell’istituto il regista Fabrizio Cattani e la protagonista femminile, Andrea Osvart.

Una rassegna di film invisibili per un pubblico altrettanto invisibile. Questo il senso della rassegna "Filmspray", promossa e organizzata dall’Istituto di cultura Lorenzo dei Medici, che si è svolta a Roma dal 7 al 9 maggio coinvolgendo i detenuti del Penitenziario di Rebibbia.

Otto film italiani, di notevole pregio artistico e culturale, rimasti esclusi dalla tradizionale distribuzione in sala, sono stati proiettati anche all’interno del penitenziario a dimostrazione che la cultura e un certo cinema, considerato di nicchia, possono essere strumenti attraverso cui lenire il disagio e le sofferenze della reclusione.

I detenuti con il loro voto hanno decretato come Miglior Film "Il rabdomante" e mercoledì pomeriggio il regista Fabrizio Cattani insieme alla protagonista femminile Andrea Osvart sono andati a Rebibbia a ritirare la targa presso il teatro dell’istituto. Alla premiazione hanno partecipato tutti i trenta reclusi membri della giuria e con particolare trasporto hanno accolto la bella attrice ungherese, alla quale hanno tributato applausi e complimenti.

La Osvart, davanti ai detenuti, si è detta onorata di aver avuto una giuria simile. "Il film che ho interpretato è un piccolo miracolo - ha sottolineato - considerando che è autoprodotto e che ha avuto una distribuzione indipendente. Anche noi siamo prigionieri di un sistema che non ci rende liberi di diffondere la nostra arte. Se siamo riusciti col nostro film a emozionare un pubblico sensibile e particolarmente ricettivo come voi, vuol dire che abbiamo raggiunto l’obiettivo. Sono orgogliosa di essere qui in questa occasione".

E dalla platea in fermento sono arrivate domande puntuali per Cattani, persino su scelte registiche particolari, che hanno denotato quanta attenzione abbiano posto i giurati durante la visione del film, alla stregua di critici cinematografici più che competenti. "L’entusiasmo che si respira durante iniziative di questo genere - ha detto il vice direttore del penitenziario Maria Carla Covelli a margine della premiazione - è un tratto distintivo delle nostre politiche trattamentali. I detenuti in questo settore partecipano a molte attività culturali e sportive che rappresentano per loro una opportunità concreta di riabilitazione".

Immigrazione: l’Onu contro l’Italia; il respingimento è illegale

 

www.unimondo.org, 16 maggio 2009

 

L’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (Unhcr) ha reiterato ieri al ministro dell’Interno, Roberto Maroni, e al Governo italiano la richiesta di porre fine alla prassi del respingimento di migranti dalla Libia e di "riammettere le persone bisognose di protezione sul territorio". L’Unhcr ha ribadito al ministro che la nuova politica inaugurata dal governo italiano "si pone in contrasto con il principio del non respingimento sancito dalla Convenzione di Ginevra sui Rifugiati del 1951, che trova applicazione anche in acque internazionali". "Questo fondamentale principio, che non conosce limitazione geografica, è contenuto anche nella normativa europea e nell’ordinamento giuridico italiano" - sottolinea l’agenzia dell’Onu.

L’incontro, "caratterizzato da uno spirito costruttivo", si è tenuto ieri pomeriggio presso il Viminale, fra il Ministro dell’Interno, Roberto Maroni ed il Rappresentante in Italia dell’Unhcr, Laurens Jolles, per discutere delle implicazioni derivanti dalla politica dei respingimenti di migranti e richiedenti asilo verso la Libia attuata recentemente dal governo italiano. Confermando che fra coloro che sono stati rinviati in Libia vi sono "persone bisognose di protezione", l’Unhcr ha rinnovato la richiesta al Governo di riammettere queste persone sul territorio italiano sottolineando che "dal punto di vista del diritto internazionale, l’Italia è responsabile per le conseguenze del respingimento".

L’Unhcr aveva già espresso nei giorni scorsi con due comunicati la propria "forte preoccupazione" per la prassi dei respingimenti adottata dal Governo - definendola un "radicale mutamento nelle politiche migratorie del Governo italiano" e aveva rivolto un appello alle autorità italiane a continuare "ad assicurare alle persone salvate in mare e bisognose di protezione internazionale pieno accesso al territorio e alla procedura di asilo nell’Unione Europea" e a " riammettere sul proprio territorio coloro che sono stati rimandati indietro dall’Italia e che sono stati identificati dall’Unhcr come richiedenti asilo".

In merito alla possibilità di vagliare in Libia le domande di asilo, l’Unhcr ha sottolineato "che non vi sono al momento le condizioni necessarie per svolgere tale attività". Nel corso dell’incontro l’Unhcr ha discusso col ministro Maroni della possibilità di costituire un tavolo tecnico con le parti coinvolte e la partecipazione dell’Unione Europea, per elaborare una strategia che miri a rafforzare lo spazio di protezione in Libia, ivi compresa la ratifica da parte di questo paese della Convenzione di Ginevra del 1951.

Le preoccupazioni dell’Unhcr sono acuite dal fatto che la Libia non ha firmato la Convenzione di Ginevra e non possiede una legge sull’asilo né un sistema di accoglienza e protezione dei rifugiati. Ciò nonostante, l’Unhcr sta facendo il possibile per fornire assistenza umanitaria e di base ai migranti rinviati in Libia dall’Italia. Il ministro dell’Interno ha affermato che non intende cambiare linea: "Andiamo avanti con i respingimenti, del problema si faccia carico l’Unione Europea" - ha detto Maroni.

Tra i respinti in Libia lo scorso 7 maggio vi sono 24 persone, per la maggior parte somali ed eritrei, che hanno richiesto al Consiglio Italiano per i Rifugiati (Cir) di presentare ricorso contro il Governo italiano presso la Corte Europea dei Diritti Umani di Strasburgo. "La Libia - afferma l’avv. Anton Giulio Lana, del Direttivo dell’Unione forense per la tutela dei diritti dell’uomo - non ha aderito alla Convenzione di Ginevra sui Rifugiati e non dispone sino ad oggi di alcun sistema di protezione dei rifugiati.

È dunque alto, concreto e documentabile il rischio di rimpatrio in Somalia e in Eritrea o in altri Paesi che violano sistematicamente i diritti umani". "Risulta, inoltre, che le persone respinte in Libia non siano state nemmeno identificate - conclude l’Avv. Lana - non sono state accertate le loro generalità, né tanto meno esse hanno ricevuto un provvedimento individuale di respingimento" - come richiesto dalle norme internazionali. Il Cir ha presentato inoltre una serie di foto scattate al porto di Tripoli all’arrivo dei 238 migranti respinti in Libia lo scorso 7 maggio.

L’Alto Commissariato ha anche presentato al ministro Maroni e reso pubblico un dettagliato documento che riporta il "Parere consultivo sull’applicazione extraterritoriale degli obblighi di non-refoulement derivanti dalla Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e dal suo Protocollo del 1967" (in .doc). "Il principio di non-refoulement (non respingimento) - si legge nel documento - così come enunciato nell’art. 33 della Convenzione del 1951 non implica, come tale, il diritto di un individuo di ottenere l’asilo in un determinato Stato. Esso comunque significa che, anche nel caso in cui gli Stati non siano preparati a garantire asilo a persone che cercano protezione internazionale sul loro territorio, essi devono seguire un percorso che non risulti nel loro trasferimento, diretto o indiretto, in un luogo nel quale la loro vita o libertà sarebbe in pericolo a causa della loro razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale od opinioni politiche. Come regola generale, al fine di dare attuazione agli obblighi assunti con la Convenzione del 1951 e/o col Protocollo del 1967, agli Stati è richiesto di fornire accesso al territorio e a eque ed efficienti procedure d’asilo agli individui che cercano protezione internazionale".

La pratica del respingimento è stata nei giorni scorsi ripetutamente denunciata dal Tavolo Asilo e da numerose associazioni per la tutela dei diritti umani laiche e cattoliche che hanno chiesto al governo italiano di rimettersi in linea con il diritto internazionale sui diritti umani, a partire dal rispetto del principio di non respingimento contenuto nella Convenzione di Ginevra. Ieri il Presidente della Commissione Libertà civili dell’Europarlamento, Gerard Deprez ha scritto al vicepresidente della Commissione Ue, Jacques Barrot, per chiedere di conoscere "con urgenza" la posizione dell’esecutivo europeo sui respingimenti di immigrati effettuati dall’Italia verso la Libia.

L’Unhcr sottolinea che "il 75% circa dei 36.000 migranti sbarcati sulle coste italiane nel 2008 - due su tre - ha presentato domanda d’asilo, sul posto o successivamente, mentre il tasso di riconoscimento di una qualche forma di protezione (status di rifugiato o protezione sussidiaria/umanitaria) delle persone arrivate via mare è stato di circa il 50%". "Nel 2008, la maggior parte delle persone arrivate via mare che ha ottenuto protezione internazionale proviene da Somalia, Eritrea, Iraq, Afghanistan e Costa d’Avorio".

Va ricordato che dal marzo 2006, l’Unhcr ed i propri partner, l’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (Oim) e la Croce Rossa Italiana (Cri) hanno stabilito un presidio fisso a Lampedusa. Il progetto, finanziato dal Ministero dell’Interno e dal programma Argo dell’Unione Europea, mira al rafforzamento delle capacità di accoglienza e dei servizi per chi, in fuga da persecuzioni e conflitti armati, rischia la vita per attraversare il Canale di Sicilia.

Immigrazione: Bressa (Pd); Maroni risponda alle critiche Onu

 

Redattore Sociale - Dire, 16 maggio 2009

 

"Dario Franceschini, nel suo intervento in aula ha semplicemente spiegato quali saranno gli effetti per gli stranieri e i cittadini italiani di questa sciagurata legge votata dalla maggioranza di Berlusconi: meno diritti e più insicurezza per tutti". Lo ha detto Gianclaudio Bressa, vicepresidente dei deputati Pd, invitando il ministro dell’Interno Roberto Maroni a provare, "se ne è capace, a rispondere convincentemente a queste critiche che oggi sono state mosse in parlamento dal Pd e che nei giorni scorsi il segretario delle Nazioni unite, organizzazioni internazionali e i vescovi italiani avevano già mosso". Secondo Bressa Maroni "non potrà farlo perché le cose dette da Franceschini sono la verità e l’unico modo per smentirle è cambiare la legge".

Il vicepresidente dei deputati Pd indica "l’occasione" che Maroni avrà al Senato ma confessa di temere "che ancora una volta l’animo dell’ex capo delle camicie verdi padane prevarrà sul senso di responsabilità del ministro dell’Interno della Repubblica italiana. Per il momento - conclude - ci accontenteremmo che la smettesse di insultare i parlamentari che, in modo legittimo e motivatamente, contestano questa ignobile ordalia che Berlusconi e la sua maggioranza ostinano a chiamare legge".

Immigrazione: Caritas; ddl-sicurezza viola i diritti dei migranti

 

Redattore Sociale - Dire, 16 maggio 2009

 

Il direttore della Caritas ha parlato di "strada senza uscita e molto pericolosa". Presentato il libro "La Chiesa della carità", miscellanea di quindici contributi di studiosi tra vescovi, laici, presbiteri e religiosi.

"In vari punti del pacchetto sicurezza approvato vengono violati di diritti degli immigrati". È quanto ha affermato stamattina monsignor Giovanni Nervo, primo direttore della Caritas italiana, durante la presentazione del libro "La Chiesa della carità", dedicato al suo impegno nella Caritas alla presenza del segretario generale della Cei mons. Mariano Crociata.

"Ringrazio la Cei per la posizione che ha preso per la tutela dei diritti degli immigrati - ha detto Nervo - Si sta andando per una strada che non ha uscita ed è molto pericolosa. E" vero che ci sono i mercanti, ma perché non combattono i mercanti al posto dei poveri disgraziati che cercano di venire qui. Siamo sulla strada sbagliata, perché è un fenomeno che non si riesce a fermare".

L’impegno per i più poveri e l’esperienza di accoglienza degli immigrati tra i ricordi dell’impegno di Nervo contenuti nel libro. "Sono stato come un capo cordata - ricorda spesso Nervo - in una scalata alpina: inevitabilmente ha più visibilità, rispetto agli altri. Ma la scalata è di tutti". Il volume è una miscellanea di quindici contributi di altrettanti studiosi italiani, tra vescovi, laici, presbiteri e religiosi che descrivono la responsabilità della carità nella Chiesa.

Partendo dalla nascita della Caritas italiana, "all’interno del fondamentale processo di rinnovamento ecclesiologico ed ecclesiale - spiega Giancarlo Perego, responsabile centro Documentazione Caritas Italiana Migrantes - legato al Concilio Vaticano II", si passa attraverso un percorso teologico sulla carità per concludersi sul ruolo della Caritas oggi con un saggio dello stesso Nervo sullo specifico della Caritas.

"Il volume - ha affermato Vittorio Nozza, attuale presidente della Caritas -, tenta di delineare un percorso che ci aiuta a far ritornare rafforzare un cammino di Chiesa e della carità fortemente radicata nella parola e nell’Eucarestia e spesa dentro la storia".

"La Chiesa della carità, non c’è un’altra - ha detto mons. Giovanni Nervo -. Tutta la Chiesa deve essere della carità e la Caritas ha un compito duplice, la prevalente pedagogica e il richiamo costante e concreto nel realizzare la scelta preferenziale dei poveri".

Dopo aver istituito la Scuola superiore di servizio sociale di Padova, e il centro di studio Zancan, di ricerca e formazione nel settore delle politiche sociali e dei servizi sociali e sanitari, Nervo viene incaricato di presiedere la Caritas italiana, istituita nel 1971 dalla Cei. Innovazione e cambiamento, queste le parole d’ordine della sua strategia d’intervento.

Cogliere e promuovere il nuovo non soltanto sotto l’aspetto operativo, ma soprattutto sotto quello dei valori, partendo dalla persona e dalle famiglie, creando occasione di confronto fra diverse espressioni culturali e discipline sui problemi dell’uomo e della società, modello che è diventato ‘la via italiana del servizio sociale, conosciuta a livello internazionale.

"La storia della Caritas non è fatta solo di documenti - ha detto Perego -, ma anche di esperienze, di testimonianze, secondo l’indicazione preferenziale di scegliere la strada di una pedagogia dei fatti, cioè di partire dalla storia, dai fatti per costruire percorsi, scelte e progetti educativi".

Per il suo impegno nel sociale, mons. Nervo ha anche ricevuto due lauree honoris causa, la prima in Economia e commercio dall’Università di Udine, per il lavoro fatto dalla Caritas con il volontariato in occasione del terremoto del 1976 in Friuli. La seconda, invece, è in Scienze dell’educazione dall’Università di Padova per l’impegno con la scuola superiore di servizio sociale e con la Fondazione Zancan.

"Bisogna scegliere la strada della pedagogia dei fatti", scrive Nervo nella postfazione del libro, cioè realizzare la prevalente funzione pedagogica, anche attraverso la realizzazione di segni promozionali, intesi come opere capaci di rispondere ai bisogni dei poveri e, al contempo, realizzare un’autentica celebrazione di speranza.

"L’auspicio - spiega Perego - è che il volume aiuti a scoprire da una parte una Chiesa della carità in Italia e dall’altra l’aiuti a costruirla nel solco della Scrittura e della Tradizione, dentro i volti e le esperienze di una storia e dell’attualità. Fedeli al Concilio, aperti al cambiamento, esperti di umanità, aperti alla speranza, sempre accompagnati da testimoni come mons. Nervo".

Stati Uniti: dietrofront di Obama e Guantanamo non chiude più

 

Ansa, 16 maggio 2009

 

Obama corregge la rotta. Dopo aver sospeso i procedimenti a carico dei detenuti di Guantanamo e dichiarato di chiudere entro l’anno la stessa prigione, il presidente americano ha annunciato che l’attività del tribunale per terroristi continuerà. Tuttavia saranno fatte riforme per garantire i diritti dei sospetti, con riferimento all’uso della tortura.

Tali riforme, si dice nella nota diramata dalla Casa Bianca, riguardano le commissioni per garantire lo stato di diritto e soprattutto le prove estorte con la tortura, che non saranno più accettate, così come le testimonianze indirette. Inoltre gli imputati potranno scegliere i loro difensori, cosa che non poteva essere fatta durante la amministrazione Bush.

Si tratta di una delusione per le associazioni di diritti civili che da tempo chiedevano di portare il caso nei tribunali federali. E ciò si può dire anche per gli stessi democratici che già in precedenza si videro rifiutare da Obama la pubblicazione di varie foto su abusi commessi in Iraq e Afghanistan dai militari per non esporli al rischio di ritorsioni.

 

 

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