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Giustizia: con lettera di Napolitano, la forma diventa sostanza Michele Ainis
La Stampa, 17 luglio 2009
La promulgazione delle leggi è l’atto più rituale del nostro ordinamento. Nel caso della legge sulla sicurezza, Napolitano lo ha consumato nel modo più irrituale, accompagnandolo con una lettera carica di dubbi e di riserve. Da qui un diluvio di reazioni, dal plauso del presidente della Camera Fini al biasimo dell’ex presidente del Senato Pera. Ma da qui anche una doppia questione: di metodo e di merito, giuridica e politica. E almeno questa volta il metodo giuridico precede il merito politico, la forma condiziona la sostanza. Cominciamo allora da una domanda in punta di diritto: esiste la promulgazione con riserva? No, non esiste. Se il Presidente ha qualche riserva sulla legge che dovrebbe promulgare, non ha che da rinviarla al Parlamento, imponendo un nuovo voto, e magari talune correzioni. In altri termini, la riserva presidenziale si traduce nel rinvio, e dunque nel rifiuto di promulgazione. Infatti il rifiuto - a differenza del consenso - è sempre accompagnato da un messaggio motivato alle due Camere, come vuole l’articolo 74 della Costituzione. Significa perciò che nella circostanza Napolitano ha usato in modo distorto i suoi poteri? La risposta è un altro no, per almeno due specifiche ragioni. In primo luogo, le regole costituzionali hanno uno stampo diverso da quelle del codice stradale. Nella fattispecie l’automobilista è la politica, sicché la regola deve riflettere l’elasticità della politica, per calzarle come un guanto. Non per nulla negli ultimi anni si contano vari precedenti di promulgazioni accompagnate da una lettera presidenziale al governo e al Parlamento. È successo durante il settennato Ciampi, è successo in altre tre occasioni durante questo settennato. Dunque la regola si è via via innervata d’una prassi che la rende meno rigida, meno perentoria. Come d’altronde è già accaduto in sorte all’altro garante delle nostre istituzioni, la Consulta. Dovrebbe pronunziare unicamente sentenze d’accoglimento o di rigetto delle questioni che le vengono sottoposte; ha forgiato viceversa un intero arsenale di strumenti processuali, dalle sentenze manipolative a quelle monitorie, che fanno salva la legittimità costituzionale delle leggi, ma aggiungono un monito al legislatore affinché rimedi ai propri errori. Come ha fatto, per l’appunto, il presidente. In secondo luogo, rendere noti i propri dubbi, illustrare pubblicamente le ragioni del proprio operato, è sempre un elemento di trasparenza della vita democratica. Napolitano ci ha abituato già a questo costume intellettuale, per esempio quando ha spiegato ai giornalisti le sue scelte dopo la crisi del governo Prodi, all’atto di conferire un incarico a Marini. Un’altra prassi irrituale, ma non certo eversiva. Semmai è irrituale la confezione di leggi che si risolvono in altrettanti fritti misti, com’è il caso della legge sulla sicurezza. Tre soli articoli, ma un totale di 128 commi, che a loro volta modificano più di 200 disposizioni normative. Perle giuridiche, come una norma modificata da due distinte norme della legge di modifica. Sanzioni inapplicabili, che in nome della sicurezza generano maggiore insicurezza. Ecco, è qui che la forma diventa un problema di sostanza. Napolitano lo ha pubblicamente denunciato, pur senza accendere il rosso del semaforo. E la sua denuncia è insieme giuridica e politica. Perché la cattiva forma delle leggi è sempre figlia della cattiva politica. Giustizia: Fini con Napolitano... e Berlusconi dice "rifletteremo"
Corriere della Sera, 17 luglio 2009
"Politicamente incisiva". Il presidente della Camera ha definito così, nel corso della riunione con i capigruppo di Montecitorio, la lettera al governo e alle Camere con cui il capo dello Stato Giorgio Napolitano ha accompagnato, mercoledì, la promulgazione del pacchetto sicurezza. Durante la riunione, i capigruppo di Pd, Udc e Idv hanno rinnovato al governo la richiesta di riferire al Parlamento sul tema. Il ministro per i Rapporti con il Parlamento Elio Vito ha detto che il governo valuterà questa richiesta, anche se nel comunicato diffuso mercoledì da Palazzo Chigi è stato espressamente detto che si terrà conto dei rilievi del Quirinale. Anche Berlusconi, durante la sua visita a L’Aquila, è tornato a parlare della lettera del presidente della Repubblica dicendo che, con Napolitano, esiste "un rapporto di estrema cordialità e ci diciamo tutto in maniera esplicita, in un rapporto assolutamente positivo che si manifesta come tale in tutte le occasioni". Il presidente del Consiglio ha anche confermato "la riflessione" sui suggerimenti del Capo dello Stato. Giustizia: Mancino; nessuna bocciatura a riforma codice penale
Corriere della Sera, 17 luglio 2009
Nel parere fortemente critico sulla riforma del processo penale espresso dalla Sesta commissione ci sono alcune "forzature che andranno eliminate" durante la discussione in plenum, dunque è opportuno il rinvio della discussione a giovedì prossimo deciso dall’assemblea di Palazzo dei Marescialli. È il parere del vicepresidente del Csm Nicola Mancino, secondo cui è necessario "approfondire le valutazioni espresse in Commissione, ma anche per distinguere il momento della formulazione del parere dal momento della risoluzione finale, che è quello della competente sede plenaria". Il termine "bocciatura", usato dalla stampa, secondo Mancino rappresenta "un’indebita forzatura", mentre è corretto il commento del ministro Alfano, ovvero che si tratta solo di un parere. Il vicepresidente fa riferimento all’invito di Napolitano, che ha chiesto al Consiglio superiore della magistratura di "non dilatare i propri spazi di intervento", e sottolinea che "dialogare con il governo è necessario". Per Mancino, comunque, "sarà giusto apprezzare molti suggerimenti contenuti nello schema di parere, perché sono rivolti a razionalizzare, a semplificare e a ridurre i tempi lunghi del processo penale". Nel documento della Sesta commissione si dice che il ddl Alfano viola almeno quattro principi costituzionali, a cominciare da quello sull’obbligatorietà dell’azione penale, e avrà effetti "devastanti" sull’"efficacia" delle indagini. E inoltre, "rafforzando la dipendenza della polizia giudiziaria dal potere esecutivo" e al tempo stesso "estromettendo il pm dalle indagini", potrebbe permettere al governo di controllare o quanto meno di condizionare l’azione penale. "Ciascuno deve fare il proprio lavoro e il Csm ha espresso il suo parere, c’è una drammatizzazione dei suoi pronunciamenti" aveva commentato il ministro della Giustizia. Giustizia: Serra (Pd); serve una riforma generale del processo
Il Tempo, 17 luglio 2009
"Indignato". Ma "non certo meravigliato". È netto l’ex prefetto della Capitale e attuale senatore del Partito democratico Achille Serra nel commentare l’ennesimo caso di "malagiustizia". Ma la colpa, secondo Serra, non è della Magistratura. È di un sistema che ha ormai fatto il suo corso e da anni ha iniziato a mostrare evidenti segni di decadimento e inefficienza. "Serve una riforma globale", taglia corto il "Poliziotto senza pistola".
Senatore, cosa pensa del caso dei sei ladri romeni arrestati lunedì e scarcerati ieri dal Gip di Latina e che si sono subito dileguati? "Sono indignato, ma non certo meravigliato. Nella mia carriera da poliziotto di queste cose ne ho viste tantissime. Una volta, addirittura, una persona fu arrestata tre volte nello stesso giorno. Sono indignato per il modo in cui viene amministrata la giustizia in questo Paese, per come non si riesce a metter mano a una riforma seria e globale. Il Lodo Alfano non modifica affatto il sistema".
Quindi la colpa, secondo lei, è della politica e non dei giudici. "I magistrati non fanno altro che applicare le norme. Quel Gip ha convalidato l’arresto ma non ha ritenuto opportuno disporre la custodia cautelare in carcere. Ma è la giustizia così com’è congegnata che è sbagliata: manca di immediatezza".
Si spieghi meglio. "I processi sono troppo lenti. Prima che si arrivi a celebrarli passano anni. Si parla in continuazione di certezza della pena quando invece il problema è un altro: l’immediatezza della pena. Che viene irrogata dopo troppo tempo".
Eppure esistono i riti alternativi: il giudizio immediato e quello per direttissima. Non basta? "Sono riti che servono a velocizzare il procedimento in caso di flagranza o evidenza della prova. Ma il punto è un altro: hanno dei limiti. Il giudizio per direttissima è subordinato alla flagranza, mentre quello immediato deve essere richiesto dal pubblico ministero in caso di evidenza della prova e concesso dal Giudice per le indagini preliminari. C’è troppa discrezionalità. Io mi riferisco a una riforma ben più profonda".
Cioè? "Bisogna accelerare le procedure. In questo Internet può dare una mano. Il sistema ha necessità di una riforma telematica che consenta di abbreviare i tempi per le notifiche e l’iter burocratico che sta alla base del processo. Solo così sarà possibile avere immediatezza del giudizio e certezza della pena. Anche se i problemi non finiscono certo qui".
Che altro? "Le carceri. Due anni fa il ministro della Giustizia romeno spiegò che in Italia i criminali di quel Paese si trovavano bene a delinquere perché da noi non si sconta mai la pena, mentre in Romania sì. E questo vale per tutti i criminali stranieri. Ma il punto è anche un altro: una volta che vengono arrestate queste persone dove vengono messe? Quando un Gip convalida l’arresto e dispone una misura cautelare dove finiscono questi personaggi? Il problema delle carceri in Italia è serio, è una vera e propria emergenza. Abbiamo 60 mila detenuti per 45 mila posti. L’allora Guardasigilli Castelli disse che non si possono far miracoli e per costruire un penitenziario ci vogliono cinque anni. Ma da quel giorno nulla è stato fatto. È anche per questo che i criminali sono a piede libero".
E intanto si buttano anni di indagini e milioni di euro. "Esattamente. Così viene vanificata tutta la preziosa attività investigativa compiuta dalle forze dell’ordine. Per questo serve subito una riforma seria e globale". Giustizia: ma il garantismo va sospeso… per gli anti-garantisti? di Piero Sansonetti
L’Altro, 17 luglio 2009
L’agente Spaccarotella è stato condannato a sei anni di galera. Solo sei anni. Non è stato considerato colpevole di omicidio volontario ma di omicidio colposo. Molti sono insorti. I tifosi, innanzitutto, e poi la sinistra: soprattutto la sinistra radicale, la sinistra garantista. Anche questo giornale. Ieri abbiamo pubblicato un articolo intitolato: "Gabriele Sandri ammazzato un’altra volta". E poi un articolo nel quale si chiedevano 14 anni per l’agente che ha ucciso Sandri. Vi dirò che la cosa non mi convince. Perché un garantista dice che una pena è troppo piccola? Sono abituato a battermi su idee opposte. A dire che le pene sono esagerate. A denunciare come spesso, per forcaiolismo, si giudichi volontario un omicidio colposo o preterintenzionale. Cosa ci spinge a sostenere tesi che in genere sono sostenute da quelli che la pensano in modo opposto al nostro, cioè da quelli che considerano il garantismo un male, un danno? Ci spinge il fatto che l’imputato è un poliziotto. Un poliziotto pistolero. Cioè il simbolo dell’antigarantismo. E allora? Il garantismo, con gli anti garantisti, va sospeso? A noi non piace il carcere. Qualcuno di noi pensa che andrebbe abolito. Qualcun altro che andrebbe ridotto al minimo indispensabile. Ma questo non può valere solo per i nostri amici. Non possiamo rovesciare le nostre posizioni quando è in gioco il destino di uno che consideriamo avversario. C’è qualcosa che non va in questo ragionamento? Giustizia: nelle carceri "condizioni illegali"; i Pm non lo sanno? di Beppe Battaglia
Ristretti Orizzonti, 17 luglio 2009
Mai la Repubblica italiana ha avuto così tanti cittadini rinchiusi nelle sue carceri. E si tratta di numeri che continuano a crescere al ritmo di mille unità al mese. Verosimilmente questi numeri continueranno a crescere ad un ritmo più accelerato con la promulgazione del cosiddetto "pacchetto sicurezza" la cui filosofia consiste nell’incarcerazione di massa. Guerra ai poveri, migranti e tossicodipendenti sopratutto! E, per converso, impunità ai ricchi e potenti (lodo Alfano docet). Quand’anche il "piano carceri" (l’illusione di chi pensa di risolvere i problemi costruendo muri) dovesse realizzarsi coi tempi previsti dal ministero della giustizia, del che è legittimo per lo meno dubitarne, di pari passo la popolazione detenuta manterrà un sovraffollamento incontenibile, dati i tempi di realizzazione previsti per l’edilizia penitenziaria, senza contare i costi di gestione e del personale. Questa denuncia è ormai all’ordine del giorno da parte di tutti gli addetti ai lavori, oltre che dagli organi d’informazione prevalentemente locali. Si snocciolano e si risnocciolano i numeri delle persone detenute che di gran lunga sovrastano (senza eccezioni) i posti cella disponibili in ogni carcere. Ma i numeri potrebbero non dire nulla, se non si bada ai risvolti conseguenti. Infatti, "sovraffollamento" (che è un doppio superlativo) significa che le persone rinchiuse nelle carceri versano in condizioni igienico-sanitarie assolutamente al di sotto di ogni decenza minima; significa che le persone detenute hanno uno spazio fisico capitario di gran lunga al di sotto di quello previsto dall’Ue per non incappare nelle pratiche degradanti e inumane, tortura vera e propria; significa che i loro diritti garantiti dalla Costituzione e dalle leggi, e persino quei diritti umani inalienabili, vengono messi sotto i piedi con grande disinvoltura; significa che il personale che deve gestire l’esecuzione delle pene intramurarie è costretto a fare mille reati al giorno; significa che le persone così accatastate vanno prima "fuori" con la testa, poi tentano qualche protesta, magari autolesionandosi e, non di rado, approdano al suicidio (28 morti nelle carceri italiane nei primi cinque mesi dell’anno in corso non sono pochi. Salvato il fatto che uno solo sarebbe troppo! Se fosse vero che lo Stato garantisce la vita alle persone di cui ha il totale dominio!). L’umiliazione, il degrado morale, giuridico e fisico, il maltrattamento, la mortificazione a cui vengono violentemente sottoposte le persone detenute in queste condizioni sono devastanti ed acclarati. È questo il "senso di umanità" enunciato dalla Costituzione all’articolo 27? E che dire delle leggi fatte dal parlamento della Repubblica Italiana che pure garantiscono -sulla carta - i diritti inviolabili delle persone recluse? Ma la violazione dei diritti delle persone imprigionate garantiti da leggi, che non sono diritti minori rispetto a quelle che hanno portato quelle persone in galera, chiamano in causa, io credo, ben altri attori. Per esempio, che fine ha fatto l’obbligatorietà dell’azione penale a fronte di questi crimini così noti, così espliciti, così ripetuti quotidianamente e riportati dai media, testimoniati da tutto il personale penitenziario, dai direttori alla polizia penitenziaria, dai garanti agli educatori, agli psicologi, ai medici, alle associazioni di volontariato? I Pubblici Ministeri che sentono questo urlo di dolore, che leggono queste violenze quotidiane e sistematiche sulle persone detenute riportate dai media, che non possono dire di non sapere, di non sentire e di non vedere, che fanno? Eppure le "notizie criminis" che arrivano alle loro orecchie ogni giorno, dopo aver superato il muro di cinta di ogni carcere, dovrebbero imporgli di aprire decine di fascicoli ogni giorno, decine di procedimenti penali per violazioni della legge; dovrebbero indagare in nome della legge che sanno violata ogni giorno e non solo e non tanto dal personale addetto alla gestione del carcere che in qualche modo è costretto. Dovrebbero chiederne conto anche per via giudiziaria, i pm, con le loro inchieste, al ministro, al direttore generale delle carceri che sono i responsabili primi della realtà che dentro le carceri si produce ogni giorno. Ma, forse, i responsabili primi, gli strateghi delle politiche giudiziarie, sono così lontani dalla realtà, dagli uomini e dalle donne in carne ed ossa, così lontani dalla legge (che vorrebbe i cittadini imprigionati portatori di legittimi diritti inalienabili, come quelli umani, messi sotto i piedi) da non comprendere neppure cosa stanno ordinando di fare! Ma così lontani, dicevo, da sentirsi parenti di Dio, o forse più semplicemente auto assimilati alle quattro più alte cariche dello Stato. Dal torto alla beffa! I Pubblici Ministeri, i Procuratori della Repubblica sono pagati (coi soldi dei cittadini contribuenti) per dare inizio all’azione penale appena giunge loro la notizia (quale che sia la fonte) che si è consumato o è in corso un crimine. E invece che fanno, a fronte di una notizia criminale che si consuma rumorosamente in ogni carcere di ogni città ogni giorno? Si tappano gli occhi e le orecchie (come le scimmiette famose che non vedono, non sentono e dunque non parlano)! Eppure, questi signori pm sono così solerti quando a commettere i reati sono le persone che ora popolano le carceri! E ora che i reati vengono perpetrati sulla pelle delle persone ristrette, che fa il pm? Si volta dall’altra parte! Non sarà un comportamento doloso anche questo? Naturalmente, la responsabilità primaria del degrado morale, legale, fisico, ambientale che investe le nostre carceri spetta alla politica, al governo e specificamente al ministro della giustizia. Ma se la politica, il governo e il ministro della giustizia sono sordi di fronte all’emergenza carcere da loro stessi determinata, anzi la loro azione va in direzione opposta (vedi "pacchetto sicurezza") bisogna che qualcuno impedisca loro di portare ad ulteriori conseguenze il crimine in atto contro le persone detenute. Come dire: la via giudiziaria non può colmare le lacune politiche e governative, certamente però le istituzioni altre, quale quella della magistratura, possono non farsi complici di un crimine orrendo che si richiama ai diritti umani ormai inesistenti dentro le nostre carceri! Un’idea potrebbe essere quella di chiedere ai garanti (comunali o regionali) dove ci sono, di pari passo con le avvocature, a fronte della violenza legale nei confronti delle persone detenute della quale sono direttamente o indirettamente testimoni, d’intraprendere una formale azione penale nei confronti dell’Amministrazione Penitenziaria mediante denunce/querele da rivolgere alle Procure della Repubblica, ovviamente di concerto con le persone detenute in quanto parte lesa. E per Amministrazione Penitenziaria intendo dal direttore del carcere al ministro della giustizia, passando per il personale che gestisce la carcerazione. Potrebbe essere questa la procedura preliminare per accedere, successivamente, in caso di mancata o insufficiente risposta com’è ragionevole prevedere, alla Corte di Strasburgo. Giustizia o barbarie, welfare o tortura? La risposta, al di là delle opinioni salottiere, è nelle cose, nei fatti incontrovertibili che fanno a pezzi la moda della "percezione mediatica" tutta protesa a falsificare i crudi fatti nelle patrie galere. Giustizia: affollamento e caldo; in 30 carceri protesta detenuti
Ansa, 17 luglio 2009
Il sovraffollamento record nelle carceri italiane ha superato quota 64mila detenuti (di cui 21mila stranieri), contro un limite tollerabile di 63.702 e una soglia regolamentare di 43.201. Il caldo torrido estivo e la mancanza di spazio hanno indotto il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria ad alzare la guardia: in questo periodo ogni giorno sono quotidianamente una trentina le carceri dove si protesta. Per ora si tratta solo di sciopero del vitto e battitura delle sbarre da parte dei detenuti, ma la situazione è, per ammissione del Dap, "altamente critica". Proprio per questo il capo del Dap, da Franco Ionta, ha deciso di istituire un sistema di monitoraggio, vale a dire un gruppo di lavoro composto da sei persone (due magistrati, un dirigente penitenziario, un ufficiale giudiziario e due poliziotti penitenziari), con il compito di verifica e proposta, anche attraverso visite negli istituti. Nel frattempo, vista anche la protesta degli agenti penitenziari (le principali sigle hanno manifestato oggi a Bologna contro una situazione drammatica e una carenza di organico di 5mila unità), Ionta ha deciso di convocare i sindacati per il 20 luglio prossimo e allo stesso tempo ha inviato a tutti i provveditorati una circolare dando indicazioni su come far fronte ai disagi del cado estivo. Nel documento di sedici pagine Ionta suggerisce di individuare "spazi detentivi a gestione aperta - con limitate ricadute quindi sul contingente da impiegare per il controllo e la sicurezza - cui assegnare detenuti di minore pericolosità". Questi andrebbero in cella solo per dormire, mentre per il resto della giornata starebbero più che altro "nelle aree e nei luoghi destinati ad attività sportive e ricreative". Oltre ad un aumentato acquisto di ghiaccio, la circolare prevede che sia potenziato "il servizio di fruizione dell’aria e dei passeggi, facendo presente al riguardo - scrive Ionta - che nessuna asserita esigenza del personale potrà giustificare e comportare una contrazione del tempo" per questo servizio. In carcere, si sa, il rischio di suicidi o gesti autolesionistici aumenta d’estate. Gli agenti - sollecita il capo del Dap - dovranno essere ben attenti a che i detenuti non acquistino scatolame di latta o metallo, che i fornellini siano regolamentari e che i tossicodipendenti siano tenuti sotto controllo. A questi ultimi, in particolare, dovrà essere garantita la somministrazione di farmaci sostitutivi, in particolare il metadone. Tra la trentina di istituti dove è in corso la protesta ci sono quello di Lanciano, Napoli Secondigliano, Reggio Emilia, Rebibbia reclusione, Genova-Marassi, Como, Ascoli Piacenza, Saluzzo, Catania, Palermo, Pisa, Verona e Venezia. Si tratta di proteste che durano pochi giorni e che poi, come in una sorta di ideale staffetta, proseguono in altre carceri. Giustizia: cella sovraffollata; ministero deve risarcire detenuto di Donatella Stasio
Il Sole 24 Ore, 17 luglio 2009
Mille euro di risarcimento danni per aver tenuto un detenuto due mesi e mezzo in una cella sovraffollata. È la condanna inflitta ieri all’Italia dalla Corte europea dei diritti dell’uomo: il nostro governo ha violato l’articolo 3 della Convenzione, quello che vieta "trattamenti inumani e degradanti" e, per la prima volta, è stato sanzionato a causa della "mancanza di spazio" in cui costringe a far vivere gli "ospiti" delle patrie galere. Una condanna tanto più grave per le ricadute economiche che potrebbe determinare, considerato l’attuale sovraffollamento. Ieri i detenuti avevano toccato quota 65mila (rispetto a una capienza di 43mila posti regolamentari) e continuano a crescere al ritmo di 1.000 e più al mese. La sentenza della Corte di Strasburgo potrebbe aprire la strada a migliaia di ricorsi e a decine di milioni di euro di risarcimenti. La pronuncia nasce dal ricorso di un cittadino della Bosnia Erzegovina, Izet Sulejmanovic, condannato nel 2003, per vari furti, a 1 anno, 9 mesi e 5 giorni di prigione, scontati a Rebibbia. Non erano anni di sovraffollamento galoppante, ma all’epoca, nel carcere romano c’erano circa 1.500 detenuti su 1.271 posti regolamentari. Izet finisce in un cellone di 16,20 mq che, per due mesi e mezzo e per venti ore al giorno, divide con altre cinque persone. Ognuno ha a disposizione 2,70 mq di spazio. Ben al di sotto dei 7 mq stabiliti dal Comitato europeo per la prevenzione della tortura e oggettivamente tale, dice la Corte, da rappresenta "in sé" un "trattamento inumano o degradante", a prescindere da altri aspetti della carcerazione. Izet aveva chiesto 15mila euro di risarcimento, i giudici gliene hanno riconosciuti 1.000. Ma la sentenza (approvata col dissenso del giudice italiano Vladimiro Zagrebelsky) è un campanello d’allarme che preoccupa il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria. Come ricorda la Corte, infatti, l’articolo 3 della Convenzione "consacra uno dei valori fondamentali delle società democratiche"; la sua violazione è quindi considerata una vergogna per gli Stati che incappano in una condanna. Nelle attuali condizioni di sovraffollamento, la stragrande maggioranza dei detenuti potrebbe essere tentata di imboccare la strada di Strasburgo per denunciare il "danno morale" subito e se la Corte dovesse confermare l’orientamento di ieri, l’Italia, oltre alla vergogna di essere recidiva, rischia di pagare decine, forse centinaia di milioni di euro. Giustizia: su indulto vergognoso inciucio informazione-politica di Giuseppe Frangi
Vita, 17 luglio 2009
Sulla vicenda dell’indulto, la misura di clemenza chiesa da papa Wojtyla, sostenuta dal suo successore e approvata dal governo Prodi nel 2006, si è consumato uno dei più vergognosi "inciuci" tra informazione e politica della nostra storia recente. Lo dicono, in maniera clamorosa i numeri, ormai definitivi, di quella misura: l’indulto aprì le porte del carcere a 35.794 persone. Di questi, a tre anni di distanza, 10.182 sono rientrate in cella per aver commesso nuovi reati: il tasso di recidiva è stato quindi del 28,45%. Un tasso molto basso, se si pensa che tra i detenuti che portano a compimento la pena quello stesso tasso è più che doppio, assestandosi su una media del 68%. Cosa significano questi numeri? Che chi si è avvalso della misura di clemenza ha trovato più motivazioni nel reinserirsi nella vita normale di chi invece ha scontato la punizione sino in fondo. Insomma, l’indulto si è trasformato in un incentivo a uscire dal circuito dell’illegalità, con grande guadagno per le persone, per lo stato e per la sicurezza collettiva. Questi numeri che avete letto sono stati presentati mercoledì alla Camera da Giovanni Torrente, ricercatore dell’università di Torino, e Luigi Manconi, sociologo e sottosegretario alla Giustizia ai tempi di quella clemenza, e sono stati ricavati dai numeri ufficiali messi a disposizione del ministero degli Interni. Sono numeri importanti, eppure nessun organo di informazione ha ritenuto di doverne riferire. Vi chiederete perché. E la risposta è questa: in Italia esiste un asse devastante tra un’informazione iper legalista e di sinistra (tra i più violenti oppositori dell’indulto c’erano Beppe Grillo e Marco Travaglio) e una politica di destra securitaria e populista. In questo caso specifico ci permettiamo di dire che le responsabilità dell’informazione sono persino peggiori di quelle della politica. Primo, perché la politica ha dalla sua il merito e il coraggio di aver approvato un provvedimento di grande valore umanitario che ha dimostrato anche una notevole efficacia. In secondo luogo, perché la politica si è trovata in difficoltà proprio per l’offensiva a senso unico scatenata dall’informazione. Per mesi se un indultato commetteva un reato, meritava un trattamento speciale in prima pagina, sia che il giornale fosse di destra sia che fosse di sinistra come Repubblica. Alla fine si è creata la percezione diffusa che l’indulto fosse la radice di tutti i problemi della sicurezza in Italia. La politica si è adeguata. Lo stesso film lo stiamo vivendo sull’immigrazione: un’informazione sempre allarmista legittima il governo a provvedimenti solo in chiave securitaria. Poco importa che poi la stessa informazione scateni la polemica politica su quei provvedimenti. Il pasticcio è già stato fatto: quel che conta è la percezione che si è fatta crescere giorno dopo giorno, raccontando una realtà distorta e sempre a senso unico. Tra i dati resi noti mercoledì ce n’è uno che fa davvero pensare: la recidiva tra gli stranieri che hanno goduto dell’indulto è stata del 21,36%, dieci punti più bassa di quella degli italiani. Come si vede la realtà dice cose molto diverse da quello che il patto del diavolo tra media e politica vogliono far credere agli italiani Liguria: solo 1 detenuto su 10 ha possibilità di lavoro in carcere
La Repubblica, 17 luglio 2009
Un detenuto ogni dieci - dei 1.571 attualmente ospitati nelle carceri della Liguria - continua a lavorare: a Marassi è in funzione un laboratorio di panificazione gestito da una cooperativa sociale mentre una falegnameria è in attesa di essere avviata, non appena arriveranno commesse di lavoro. Per moltiplicare il numero dei detenuti in qualche modo occupati e per sensibilizzare il mondo economico ligure sul lavoro penitenziario come opportunità si è svolto, in Camera di commercio, un convegno sui benefici fiscali e gli sgravi contributivi previsti dalla "legge Smuraglia", che favorisce l’ attività lavorativa dei detenuti. Argomento insolito per la Camera di commercio e per il mondo politico: dopo Paolo Odone, Claudio Burlando e Alessandro Repetto, hanno parlato il provveditore dell’ amministrazione penitenziaria di Genova Giovanni Salamone e il capo del dipartimento dell’ amministrazione penitenziaria Franco Ionta. Nella sostanza assumere un detenuto - dal punto di vista delle agevolazioni - significa la riduzione dell’ ottanta per cento delle aliquote contributive e un credito di imposta di 516 euro al mese per ogni lavoratore detenuto. Ancora, la legge Smuraglia prevede che al detenuto possa applicarsi qualsiasi tipo di contratto previsto dalla normativa vigente, l’ interessato ha diritto a percepire gli assegni familiari e, in caso di licenziamento, ha diritto alle indennità previste dalla normativa. Forlì: 240 detenuti; il carcere è come una "pentola a pressione"
Ansa, 17 luglio 2009
Il carcere di Forlì è una "pentola a pressione". È l’allarme che lanciano i sindacati della funzione pubblica, dopo la fuga di un detenuto alcuni giorni fa mentre era piantonato in ospedale per degli esami medici. L’episodio non è altro che la spia di una situazione di carenze che, dicono i sindacalisti, "da anni viene segnalata a tutti, chiedendo un aiuto che non viene mai dato". Tutto questo mentre il carcere di Forlì si appresta a raggiungere un suo poco invidiabile massimo storico degli ultimi vent’anni: i detenuti sono ormai 240, contro una capienza di 135 elevata dal ministero, a parità di struttura, a 165. Di pari passo è in calo il personale per la sicurezza: a fronte di un organico di 125 agenti, gli effettivi sono 87. Questo significa che i turni, che dovrebbero essere di sei ore, diventano di otto, con picchi di nove e dieci ore consecutive di lavoro e riposi che saltano. Ma i problemi sono anche altri: mansioni specifiche che non vengono rispettate, dequalificazione del personale, continue aggressioni, mancanza di personale femminile per la sezione delle detenute. "Il problema - spiega Daniela Avvantaggiato, segretaria della Funzione pubblica della Cgil di Forlì - è a Roma, ma anche a Bologna: le assegnazioni sul territorio nazionale sono squilibrate, in Emilia-Romagna c’è una delle situazioni peggiori, e all’interno della regione è la Romagna che resta sempre all’asciutto di assegnazioni". La Rocca di Forlì sarebbe quindi la cenerentola. Ma il problema rischia ora di esplodere: "Siamo già oltre al massimo della capienza, e il dato aumenterà", avvertono alcuni sindacalisti di Cgil e Cnpp, sotto anonimato, "perché l’amministrazione penitenziaria è particolarmente vendicativa". Forlì è l’unica città in Romagna ad avere la sezione femminile e, quindi, qualsiasi arresto di donne che avviene sulla riviera, ora super-affollata di turisti, ma anche di malviventi, da Cattolica fino a Ravenna, peserà sulla struttura penitenziaria forlivese. Senza contare l’introduzione del reato di clandestinità, che potrebbe ripercuotersi su tutto il sistema carcerario. Mentre la Rocca non sarebbe più sicura: lo dimostra un tentativo di evasione dall’ospedale sventato e il fatto che già in due occasioni i detenuti sono riusciti a sfondare la porta della loro cella. "Non possiamo dire quanti siamo al turno di notte, ma i carcerati lo sanno benissimo e ce lo dicono che sanno che siamo pochi", continuano i rappresentanti della polizia penitenziaria. La struttura, risalente all’Ottocento, è fatiscente, "e non viene fatto alcun minimo lavoro di manutenzione anche piccola, con la scusa che il carcere sta per essere dismesso", lamenta Avvantaggiato. Mentre per la nuova struttura nel quartiere Quattro i lavori procedono con molta lentezza e ci vorranno anni per vedere il nuovo carcere. Senza dimenticare la questione della dignità dei detenuti: oggi al carcere della Rocca ci sono fino a quattro detenuti per una cella da 16 metri quadri. È per questo che il personale della Polizia Penitenziaria di Forlì sta valutando anche manifestazioni di protesta clamorose. Torino: Cgm; all’Ipm disagio ma non c’è riduzione "ora d’aria"
Comunicato stampa, 17 luglio 2009
Con riferimento agli articoli riguardanti l’Istituto Penale Minorile Ferrante Aporti, apparsi in data odierna sui quotidiani La Repubblica, Epolis e Torino Cronaca Qui, si precisa quanto segue, con preghiera di cortese pubblicazione. Negli articoli apparsi sulle testate sopra citate si trova una notizia falsa e una notizia vera: la notizia falsa è la riduzione "dell’ora d’aria" dei detenuti del Ferrante Aporti a solo mezz’ora al giorno (cosa che violerebbe la Legge); la notizia vera è il sovraffollamento del carcere minorile. Certamente la Garante dott.ssa Brunato, sempre molto attenta e scrupolosa nel suo operato, non avrà correttamente compreso quanto a lei relazionato nei giorni scorsi dal direttore del carcere minorile dott.ssa Picco circa la riorganizzazione della vita e delle attività dell’Istituto nell’imminenza dell’avvio dei lavori di ristrutturazione. I fatti sono i seguenti. Nelle scorse settimane, in previsione dell’avvio dei lavori di ristrutturazione generale del Ferrante Aporti, avvio previsto per il 1° luglio 2009 come da indicazione fornita dal competente Provveditorato Opere Pubbliche, la direzione del carcere minorile ha provveduto a riorganizzare la vita comunitaria dei ragazzi ospiti dell’Istituto, vita comunitaria che comprende, com’è noto, molteplici e differenziate attività educativo-trattamentali, ricreative, culturali e sportive, tutte svolte fuori dalle stanze ove i ragazzi soggiornano solo per dormire o riposare. Alcune delle citate attività si svolgono in appositi locali interni, altri in (peraltro ampi) locali esterni. Queste ultime, non di rado, con la partecipazione di settori della società civile (da ultimo segnaliamo un mini-torneo di calcio organizzato con la magistratura e l’avvocatura locale in data 8 luglio, evento conclusosi con la cena della legalità, organizzata insieme all’Associazione Libera di don Luigi Ciotti, che ha visto la graditissima partecipazione di S.E. il Prefetto di Torino dott. Padoin. Per problematiche di tipo amministrativo (non riconducibili né attribuibili all’Amministrazione della Giustizia Minorile), l’avvio dei lavori ha subìto uno slittamento, con ogni probabilità a dopo l’estate. Essendo però già stati svuotati i locali che saranno oggetto di ristrutturazione, è già operante la nuova organizzazione delle attività per i ragazzi ospiti di cui sopra. Rimane, certamente problematica, la questione del sovraffollamento, peraltro generalizzato su tutti gli Istituti Penali Minorili (secondo le informazioni apprese dal competente Dipartimento Giustizia Minorile presso il Ministero della Giustizia). Tale situazione di sovraffollamento, nello specifico della forzata riduzione degli spazi comuni, causa certamente problemi organizzativi che potrebbero aggravarsi stante la stagione estiva e il piano ferie in atto del personale. Per tali motivi lo scrivente dirigente interregionale ha già chiesto (e sollecitato) il competente Dipartimento Giustizia Minorile ad operare una necessaria e indispensabile riduzione della capienza del Ferrante Aporti da subito e per tutta la durata dei lavori. Tale riduzione, peraltro, è prassi in tali casi ed è già stata praticata dal Dipartimento, nel recente passato, in occasione di ristrutturazioni operate in altre carceri minorili.
Segreteria Particolare dott. Antonio Pappalardo Dirigente del Centro per la Giustizia Minorile Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria Pesaro: problemi carcere; presidente Provincia scrive ad Alfano
Il Messaggero, 17 luglio 2009
Dopo le agitazioni del personale della Casa Circondariale, il presidente della Provincia ha inviato una lettera al ministro della Giustizia per sollecitare un’integrazione di organico. "Distaccare personale da altri istituti delle Marche". Il presidente della Provincia Matteo Ricci ha scritto al ministro della Giustizia Angelino Alfano per sollecitare un’integrazione di organico nel carcere di Villa Fastiggi. Proprio la carenza di personale aveva portato in questi giorni a uno stato di agitazione degli addetti. Nella missiva il presidente spiega al ministro che "la carenza di organico, a fronte di un notevole aumento di detenuti che ha toccato il massimo storico di 300 unità, determina condizioni di sofferenza nell’espletamento del servizio. Su una pianta organica di 169 addetti, i dipendenti risulterebbero solo 119. Questo dato purtroppo è solo virtuale perché molti agenti sono assegnati ad attività diverse da quelle di sorveglianza". "Si aggiungono poi le fisiologiche assenze per malattia e permessi che impoveriscono ancora di più l’organico. Mi viene fatto presente, inoltre, che la carenza di personale, confermata dalla direzione della Casa circondariale di Pesaro, sarebbe aggravata anche da un esubero dei sottoufficiali in servizio rispetto al ridotto numero degli agenti assistenti". Il presidente della Provincia invita pertanto il ministro Alfano a "valutare la possibilità di integrare l’attuale organico assicurando l’effettiva copertura della dotazione prevista e, in attesa, di autorizzare distaccamenti di personale in servizio negli istituti penitenziari delle Marche". La Spezia: in prossimi giorni pronti 140-150 nuovi posti detentivi
Secolo XIX, 17 luglio 2009
"Nei prossimi giorni saranno pronti 140-150 nuovi posti detentivi per il carcere di Spezia". È quanto ha assicurato Franco Ionta, presidente del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e neo commissario straordinario per l’emergenza carceri, a margine del convegno che si è svolto ieri mattina a Genova sul lavoro penitenziario. "La situazione in Liguria è grave - ha detto il commissario - ma del tutto simile a quella di altre regioni italiane. Anche Imperia sarà tra le nostre priorità, e oggi pomeriggio (ieri ndr) mi recherò nel penitenziario per constatare di persona". "L’attenzione dell’amministrazione - ha specificato il presidente - è alta. E se ci sono delle procedure per snellire l’iter le userò. Genova merita una soluzione che sia all’altezza". Ionta ha anche accennato alla soluzione delle carceri galleggianti avanzata dal ministro Angelino Alfano nei giorni scorsi. "Che siano strutture stabili o galleggianti - conclude Ionta - una soluzione deve essere trovata. Vedremo nei prossimi giorni". Cagliari: da carcere alle campagne per rifarsi una vita col lavoro di Laura Sanna
La Nuova Sardegna, 17 luglio 2009
Dal carcere alla terra per ricostruire con il lavoro il futuro dei detenuti: tra campi e serre prosegue il progetto dei ragazzi della coop San Lorenzo che hanno iniziato a vendere i primi ortaggi. Frutta e verdura seguono un sistema di produzione certificato che non può dirsi biologico ma garantisce la provenienza dalle campagne alla periferia di Villamassargia. Per ora nella grande tenuta agricola che fu di Angelo Corsi (37 ettari, 24 concessi alla coop San Lorenzo) lavorano 10 persone, tra detenuti della casa circondariale di Sa Stoia e altri agli arresti domiciliari oppure con altre condanne. Dal lunedì al venerdì, nel gazebo in legno davanti alla casa padronale, gli ospiti vendono il loro raccolto e lavorano per quattro ore nei campi e nelle serre: c’è l’uliveto, il frutteto e l’agrumeto, qualche filare di uva, ogni tipo di ortaggio, circa sei ettari coltivati a grano e qualche animale. Ma in autunno l’attività aumenterà, dato che sono quasi completi i mini appartamenti ricavati da ambienti della fattoria che ospiteranno 25 persone in pianta stabile e allora la superficie per il grano aumenterà e arriveranno anche capre e pecore. La maggior parte della produzione è destinata all’auto-sostentamento della comunità e gli ospiti impareranno anche a farsi il pane e il formaggio (il progetto per il forno a legna è già pronto), mentre quello che si riesce a vendere aiuterà a pagare le altre spese: da quelle vive di funzionamento all’usura degli attrezzi, al noleggio di mezzi speciali. "I nostri prezzi stanno nella via di mezzo tra l’ingrosso e il dettaglio - spiega il presidente della coop San Lorenzo, Giuseppe Madeddu - ed è una scelta che abbiamo fatto seguendo il principio sociale della nostra cooperativa: è un prezzo che va incontro alle persone in difficoltà, che possiamo praticare perché non abbiamo costi da ammortizzare. Nello stesso tempo le nostre scorte in vendita sono piuttosto limitate e non possono essere in alcun modo un problema per gli altri produttori". Per ridurre i costi si ottimizzano le risorse e proprio pochi giorni fa, mentre si scavava una vasca per la raccolta delle acque meteoriche dal tetto delle serre è saltata fuori l’acqua, a meno di due metri di profondità. È proprio l’acqua la grande fortuna della tenuta, che permetterà di avviare anche la produzione dei tappeti erbosi e sviluppare il settore delle serre.
Grazie all’impegno più responsabilità e meno recidive
Tra gli ex detenuti che non hanno scontato la loro pena interamente in carcere la percentuale di recidiva è del settantacinque per cento mentre per chi ha scontato pene alternative e ha potuto lavorare scende al venti cinque per cento: "Ecco perché è obiettivamente importante investire in questi progetti". Salvatore Benizzi è stato cappellano nella casa circondariale cittadina e segue fin dall’inizio il progetto di Terramanna, il termine "rieducazione" non gli piace e quando parla degli uomini impegnati nella tenuta preferisce parlare di "ricostruzione dell’individuo". "Il lavoro impegna in modo costruttivo e responsabilizza - dice don Benizzi - dopo una giornata passata a lavorare in campagna è più difficile che si fantastichi su fatti criminosi. Il pensiero è rivolto a quello che si è fatto poche ore prima e a quello che si farà il giorno dopo. Si tiene la mente occupata e questo è importante". Questo non significa che tutto sia idilliaco e non esistano difficoltà, "i detenuti hanno problemi molto seri - prosegue - anche con i loro famigliari, spesso difficoltà economiche. Ma insegnare un lavoro a queste persone significa dargli una prospettiva per quando saranno fuori dal carcere e lo stipendio che prendono, nel frattempo, è una grande soddisfazione". Cuneo: eco-vigneto in carcere, con finanziamento da Provincia
Ansa, 17 luglio 2009
La formazione professionale come strumento di riscatto umano e sociale dei detenuti. È questo l’obiettivo che sta dietro al progetto dell’ecovigneto realizzato nella casa circondariale di Alba in sinergia tra la direzione dell’istituto penitenziario, la scuola enologica di Alba, l’agenzia formativa Cfpp (Centro di formazione professionale piemontese che gestisce corsi di formazione in carcere) e il sostegno tecnico e finanziario della Provincia. La prima vendemmia è prevista in autunno, poi la cantina sperimentale della Scuola Enologica provvederà a vinificare le uve coltivate (sono stai impiantati filari di dolcetto, nebbiolo, barbera e cortese) e a produrre un vino che non ha ancora un nome, ma che sarà forse unico in Italia. Nel progetto, la cui potenzialità produttiva del vigneto è di circa mille bottiglie all’anno, sono coinvolti i detenuti che hanno seguito i corsi di ortofrutticoltura del Cfpp. Oltre alla vigna sono stati realizzati anche orti coltivati dai detenuti che poi consumano gli ortaggi prodotti. Più lavoro e formazione per i detenuti è anche l’impegno del presidente della Provincia Gianna Gancia che nei giorni scorsi, accompagnata dall’assessore alle Politiche sociali Giuseppe Lauria, ha iniziato da Cuneo il suo giro di visite ai quattro istituti penitenziari della Granda. Bologna: arredi esterni e frigoriferi donati a carcere della Dozza
Comunicato stampa, 17 luglio 2009
Donazione dei Grandi Magazzini MOP s.r.l. di Villanova di Castenaso (Bo) alla Casa Circondariale della Dozza di Bologna. L’Ufficio del Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna informa che, grazie alla disponibilità e collaborazione di un azienda conosciuta nel territorio bolognese, sono stati donati in questi giorni al Carcere della Dozza materiali per arredo esterno e frigoriferi. L’opera di sensibilizzazione sulle difficili condizioni di vita delle persone detenute nella carcere di Bologna, determinate soprattutto dal numero ormai inaccettabile di persone presenti, quasi 1.200 a fronte di una capienza regolamentare di 482, e ad una cronica carenza di personale penitenziario, ha dato l’opportunità di ricevere 20 tavoli e 80 sedie in plastica da esterni, 20 ombrelloni che potranno permettere alle detenute di sostare d’estate all’aperto, di dotare la sezione femminile di 3 frigoriferi con freezer incorporato, consentendo una corretta conservazione del cibo soprattutto nel periodo estivo nonché di attrezzare l’area verde per rendere più fruibili i colloqui all’aperto tra le persone detenute e i familiari. È nota ormai la situazione della strutturale carenza di risorse economiche nella quale versano le carceri italiane. A volte solo con donazioni riescono ad essere soddisfatte richieste di beni essenziali e comunque a migliorare la qualità della vita delle persone detenute, la maggioranza delle quali ha una situazione socio-economica di estrema povertà. L’Ufficio del Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, unitamente alla Direzione della Casa Circondariale di Bologna, ringrazia Stefano Grandi, Direttore dei Grandi Magazzini Mop - Grossmop s.r.l. di Villanova di Castenaso (Bo), nonché consigliere comunale di Castenaso eletto nel Gruppo Consiliare "Il Centro e la Destra uniti per Castenaso", per la donazione degli arredi esterni e dei frigoriferi e per la sensibilità mostrata nei confronti di persone svantaggiate.
Avv. Desi Bruno Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna Napoli: a Secondigliano, parte mediazione linguistico-culturale
Redattore Sociale - Dire, 17 luglio 2009
Servizio avviato dalla cooperativa Dedalus. In Campania alla fine del 2008, la presenza di immigrati in carcere costituiva il 12,6% della popolazione complessiva. Le provenienze: Maghreb, Nigeria, l’Est Europa. Prende il via oggi nella Casa circondariale di Secondigliano un servizio di mediazione linguistico-culturale per i detenuti stranieri ospiti del penitenziario. È il progetto "Mediazione", che la cooperativa sociale Dedalus, in collaborazione con l’associazione Priscilla, ha avviato in seguito all’osservazione dei dati relativi alla composizione della popolazione carceraria in Italia. In Campania alla fine del 2008, la presenza di immigrati in carcere costituiva il 12,6% della popolazione complessiva; le aree di provenienza sono soprattutto quelle africane del Maghreb e della Nigeria, e l’Est Europa. "Un detenuto immigrato manifesta da subito grandi problemi relazionali con gli altri reclusi, e di comunicazione con il personale pubblico - spiegano i responsabili della cooperativa - inoltre, spesso, queste persone non conoscono i regolamenti interni, il codice penitenziario, gli aspetti sanzionatori ma anche le opportunità, come l’accesso alle misure alternative alla detenzione. Non sono in grado di accedere al sistema sanitario interno, non hanno relazioni esterne che li sostengano e li orientino nell’iter giudiziario. Quando s’individuano contraddizioni di tal genere, si pone una questione di potenziale conflittualità nella convivenza interna". Per questo i mediatori culturali della cooperativa Dedalus avranno il compito di facilitare la comunicazione tra detenuti immigrati e personale penitenziario, favorirne il dialogo, la comprensione e la collocazione nei ruoli specifici; proseguendo, poi, nella migliore ricerca di una relazione positiva con il resto della popolazione reclusa, accesso alla socializzazione, alle opportunità formative, laboratoriali, ai corsi di lingua italiana e di informatica - fino all’attribuzione di capacità autonome nel confrontarsi con i regolamenti, le leggi, i presidi interni ed esterni, la comunità esterna. Lodi: "porte aperte" in via Cagnola, ci si incontra con la musica
Il Cittadino, 17 luglio 2009
Il carcere apre le porte alla musica. Il rock degli H2O e il ritmo dei Milotango, questi gli appuntamenti organizzati dalla direzione della casa circondariale di via Cagnola. Musica e condivisione, per la città e per i familiari dei detenuti, il progetto "Viviamo il nostro quartiere" sta portando in carcere la possibilità di condividere momenti di buona musica. È il rock degli H2O ad aprire gli appuntamenti, domani a partire dalle 18.30. Band molto nota nel territorio, il genere è quello rock degli anni 60-70. Domenico Bernasconi, Gianluca Bossi, Eugenio De Vecchi, Stefano Scarabatta, Marco Guarnieri, questi i musicisti che offriranno la colonna sonora all’incontro tra i detenuti e le loro famiglie, obiettivo principe di questi genere di appuntamenti. Un tessuto di normalità, una cena con la famiglia e con una buona musica di sottofondo; i detenuti avranno la possibilità di condividere qualcosa di molto più significativo di un colloquio. Accolti nel cortile semplice e colorato della casa circondariale, i familiari potranno quindi parlare e vivere insieme per qualche ora, mentre i semplici cittadini che interverranno avranno la possibilità di conoscere la realtà del carcere cittadino più da vicino. E se il reinserimento passa anche attraverso le note e il ballo, il 21 luglio a partire dalle 20.30 sarà il ritmo argentino del trio Milotango a tenere alto il morale dei detenuti e dei loro familiari. Beatrice Bregoli al piano, Miriamo Nachtigall al flauto, Annette Isenberg al violoncello, questo il trio tutto al femminile che animerà la notte di via Cagnola, atmosfera intima per costrizione, ma che sarà degna cornice di uno spettacolo in cui le musiciste puntano tutto su un repertorio di musica argentina del XIX e del XX secolo. Un viaggio a ritroso nella culla del ritmo caliente che non mancherà di entusiasmare il pubblico. La "veja guardia" della tradizione argentina, i compositori contemporanei di diversi paesi dell’America Latina, il gusto del folkore; è un percorso di ascolto e di movimento, di chi lascia trascinare dal tango e di cerca di resistere. Un tentativo di conoscere qualcosa di nuovo, in compagnia della propria famiglia per un appuntamento che non toglie nulla al valore del contesto e invita alla conoscenza e alla condivisione. Livorno: e Giancarlo Bolognesi rivive, con le poesie dei detenuti
Il Tirreno, 17 luglio 2009
Aspettavano questo momento da quindici giorni dopo aver partecipato con tanto impegno e con tanta passione alla terza edizione del Premio di Poesia Giancarlo Bolognesi, il professore scomparso nel 2006 che aveva trasmesso, come pochi, una passione incondizionata per la poesia. Nella Casa Circondariale gli allievi della sezione omonima dell’Istituto A. Vespucci che da tre anni seguono i corsi di poesia e che sono in gara insieme agli studenti delle scuole cittadine, erano pronti a ricevere la giuria del concorso. Occhi sorridenti di adulti, qualche giovane, ma anche teste grigie di chi ha trascorso ormai tanti anni dietro quelle sbarre. "E nel silenzio della notte - sento solo il mio cuore che batte - che batte: è a vita che scorre e se ne va - in solitudine". Tempo, tanto tempo, ripensamenti e strazio "cumbatto cùa nostalgia - pènun murì accussì senza campà". Uno alla volta sono stati premiati ed hanno letto i loro versi. "Sono uno e moltitudine perché in - compagnia di libertà di carta chiamata libro". È Fulvio che scrive e che ha ricevuto il primo premio e risponde "Ho studiato ed ho scritto poesie per cercare dentro di me e mi sono conosciuto". Libro: "In carcere: del suicidio ed altre fughe", Edizioni Ristretti
Redattore Sociale - Dire, 17 luglio 2009
Dal 1980 al 2007, 1.371 detenuti si sono tolti la vita nelle carceri italiane. Ogni anno si registra in media un suicidio ogni 70 detenuti. I dati di "In carcere: del suicidio ed altre fughe", edito da Ristretti Orizzonti. Dal 1980 al 2007, 1.371 detenuti si sono tolti la vita nelle carceri italiane, uno su tre era in isolamento. Dietro le sbarre la frequenza dei suicidi è 21 volte superiore rispetto al resto della società: ogni anno si registra un suicidio ogni 924 detenuti (uno ogni 283 in regime di 41-bis) a fronte di un suicidio ogni 20mila abitanti. Non solo: ogni anno si registra in media un suicidio ogni 70 detenuti, un atto di autolesionismo ogni 10, uno sciopero della fame ogni 11 e un rifiuto delle terapie mediche ogni 20. Sono alcuni dei dati che emergono da "In carcere: del suicidio ed altre fughe", nuovo libro edito da Ristretti Orizzonti e curato da Laura Baccaro, psicologa e criminologa, esperta di problematiche della salute in carcere e da Francesco Morelli, curatore del Dossier "Morire di carcere" per Ristretti Orizzonti (Edizioni Ristretti, 2009; pag. 416; 15 euro). Il libro analizza il fenomeno dei suicidi in carcere, in rapporto alla posizione giuridica, ai "fattori di rischio" e ai cambiamenti legislativi, ma si occupa anche di tentati suicidi e comportamenti autolesionistici, in particolare tra le minoranze (stranieri, donne, minori, internati), raccoglie testimonianze di chi ha assistito a suicidi in carcere e passa in rassegna pratiche di prevenzione adottate in alcuni istituti. "Mi permetto due rilievi da persona che non fa lo statistico di mestiere - scrive nella prefazione il magistrato Sandro Margara -. La prima è che i c.d. tassi suicidari restano significativi, ma con una riserva, legata alla limitata grandezza del numero di suicidi (che, ovviamente, sono sempre troppi) rispetto ai grandi numeri (quello dei detenuti) con cui si opera il confronto: in altre parole, singoli episodi eccezionali possono elevare in un anno il numero, senza che questo riveli circostanze generali che riguardano il carcere. Queste, secondo me, possono essere meglio rappresentate dai tentativi e dagli autolesionismi, con numeri maggiori sui quali gli episodi eccezionali si avvertono meno. Un altro appunto riguarda tutte le ricerche effettuate in proposito: il tasso suicidarlo viene rilevato sul numero medio di detenuti presenti o sui detenuti presenti in un certo momento dell’anno (generalmente l’ultimo giorno). Ebbene: credo che sarebbe più esatto calcolare il tasso sul movimento annuo di detenuti, cioè sui detenuti che sono entrati nel corso di un anno e per tutti i quali esiste la possibilità dell’evento. Questo potrebbe valere per un lavoro futuro". "Ci si domanda in questo libro: come si sopravvive in carcere? - prosegue Margara -. E la risposta è individuata in quelli che vengono chiamati "fattori di resilienza", cioè la capacità di ritrovare rapidamente un equilibrio dopo l’evento negativo. Questi fattori sono descritti in una tabella riassuntiva, articolata in tre gruppi: risorse del soggetto, progettualità individuale e capacità relazionali e sociali. Chi ha queste risorse non vivrà certamente il carcere con disinvoltura, ma sarà in grado di reggere le sue dinamiche. Chi è privo di queste risorse, invece, vivrà il carcere con una particolare sofferenza che potrà portare anche alla fuga peggiore. C’è da chiedersi: ma il carcere darà spazio alle risorse di resistenza, le faciliterà o ne avrà paura?". Chi volesse acquistare il libro, può farlo ordinandolo al negozio on-line di Ristretti Orizzonti (www.ristretti.it) oppure facendo un versamento di 15 euro sul C.C. postale 67716852 (Associazione "Granello di Senape Padova", specificando il titolo del libro nelle causali di versamento) o ancora con bonifico bancario, utilizzando questo Iban: IT 21 H 07601 12100 000067716852 (Associazione "Granello di Senape Padova", specificando il titolo del libro nelle causali di versamento). Immigrazione: perché reato di clandestinità è inutile e dannoso di Rodolfo Piccin (Magistrato)
Il Gazzettino, 17 luglio 2009
Il 2 luglio 2009 il Senato ha approvato il disegno di legge 733-B, dopo che il Governo aveva posto per la terza volta il voto di fiducia sullo stesso provvedimento. I voti favorevoli sono stati 157, 124 i contrari 3 gli astenuti. Importanti le novità che spaziano dal reato di clandestinità alla legalizzazione delle cosiddette "ronde cittadine", passando per l’inasprimento delle norme anti-mafia e anti-riciclaggio. Il segno distintivo della nuova legge è, senza dubbio, il reato di immigrazione clandestina (art. 1, comma 16, lett. a della legge): lo straniero che fa ingresso o si trattiene nel territorio dello Stato in violazione delle disposizioni vigenti è punito con l’ammenda da 5 mila a 10 euro. Rispetto alla versione originaria è scomparsa la pena detentiva (che avrebbe prodotto un ulteriore, insopportabile, intasamento delle carceri), ma è stata mantenuta tuttavia la rilevanza penale del fatto. Anzi, se c’è flagranza, od evidenza del reato, è previsto il rito direttissimo davanti al giudice di pace. Su tale profilo che deve essere, pertanto, misurato il livello di civiltà e di razionalità del "legislatore nuovo" che si accinge, in un modo o nell’altro, a trasformare lo Stato italiano e la sua immagine. Numerosi lettori applaudiranno la nuova norma, ritenendo che essa costituisca un esempio di reazione forte dello Stato all’ingresso clandestino in Italia di stranieri delinquenti. In realtà il nuovo reato appare, ai tecnici del diritto, più che altro un "manifesto" privo di logica ed utilità, se non, addirittura, una novità foriera di danni per l’esercizio della giustizia. Quanto a quest’ultimo profilo la giustizia italiana è, già oggi, travolta da troppe incombenze e dalla privazione di risorse: l’effetto immediato della nuova disciplina è quello di creare migliaia di nuove iscrizioni nel registro degli indagati e di nuovi processi. Chi sarà, concretamente, in grado di gestire la tempesta? Si dirà: il giudice di pace, senza che la normale giustizia penale trattata dai magistrati togati sia sfiorata. Nessuno pensa tuttavia che, prima di arrivare davanti al giudice di pace, a gestire la situazione si troveranno le Forze dell’Ordine e le Procure, che dovranno iscrivere i reati, generalizzare gli indagati (e già questa sarà un’incombenza pesante), avviare i processi: esse saranno pertanto distolte dallo svolgere la loro stessa, usuale, attività d’indagine nei confronti di ben più gravi reati dei quali già oggi si occupano. Quanto alla logica: quale può essere la giustificazione della previsione di un "reato" di clandestinità? Il clandestino, se scoperto, deve essere ovviamente espulso dallo Stato, questo è l’obiettivo primario. Ed infatti anche la nuova legge prevede che lo straniero nei cui confronti si è aperto processo penale per clandestinità, o nei cui confronti c’è stata condanna penale, dovrà essere cacciato dal territorio nazionale. Anzi, se sarà espulso prima della condanna, il giudice dovrà dichiarare il non luogo a procedere. Ma allora, per raggiungere tale obbiettivo, sarebbe stato più ragionevole prevedere lo snellimento delle pratiche amministrative di espulsione, senza scomodare intasare la giustizia penale. La nuova incriminazione costituisce pertanto un semplice "manifesto", non è una norma rispettosa dei principi che dovrebbero, ragionevolmente, sorreggere l’attività di un legislatore scrupoloso. Ho del resto già avuto modo di illustrare, dalle colonne di questo giornale, che il reato di clandestinità finisce per punire una condizione sociale, come lo è la povertà, etichettando automaticamente con un’eccedenza di pericolosità sociale ogni straniero privo di permesso di soggiorno, circostanza non avallata dalla realtà dei fatti né dai dati disponibili: migrare, infatti, non è di per sé un indice di maggiore criminalità, né può far dubitare della dignità umana di cui ogni persona - anche quando migrante - è portatrice. L’esperienza sul campo ha evidenziato che i fattori di spinta delle migrazioni vengono scoraggiati solo se la diplomazia e la cooperazione internazionali assicurano condizioni di vita pacifiche e dignitose nei Paesi di provenienza dei migranti, investendovi risorse troppo a lungo lesinate. Non va poi dimenticato che l’immigrato irregolare è a sua volta spesso vittima di comportamenti ben più gravi di quello che può indirettamente conseguire dall’avere varcato una frontiera senza permesso: riflettiamo su quanti si servono della situazione di debolezza e di bisogno degli immigrati irregolari, ad esempio su coloro che ne sfruttano la forza lavoro, assunti in nero e senza norme di sicurezza; su chi approfitta della debolezza delle donne immigrate costringendole alla prostituzione in condizioni vicine alla schiavitù; su chi brucia i campi nomadi, abitati anche da donne e bambini; su chi affitta (sempre in nero e a prezzi elevati) immobili fatiscenti a frotte di immigrati. Straniero non è sinonimo di pericolo o di delinquente: la maggior parte degli immigrati che vivono e lavorano tra noi lo fanno in modo onesto e responsabile a tal punto da costituire una presenza fondamentale e insostituibile per molte attività produttive e per la vita di molte famiglie: la Corte Costituzionale ha, infatti, già escluso che lo stato d’irregolarità possa essere considerato, di per sé, sintomo presuntivo di pericolosità sociale (sentenza n. 78/2007). Gran Bretagna: nelle carceri arrivano i distributori di metadone
Ansa, 17 luglio 2009
Per i detenuti eroinomani arrivano nelle prigioni inglesi i distributori automatici di metadone. Il governo Gb ha investito 4 mln di sterline per questo progetto. Installati per ora in 57 penitenziari, i distributori identificano il detenuto tramite le sue impronte digitali e la scansione dell’iride e gli forniscono una dose personalizzata del farmaco.
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