Rassegna stampa 26 giugno

 

Giustizia: giornata per vittime tortura; in Italia manca il reato

 

www.unimondo.org, 26 giugno 2009

 

"Nonostante l’esistenza di un esauriente quadro giuridico e istituzionale per la prevenzione della la tortura, questa è ancora largamente tollerata o addirittura praticata dai governi e l’impunità dei responsabili continua a persistere". È la denuncia contenuta nel messaggio del Segretario generale dell’Onu, Ban Ki-moon per la "Giornata internazionale per le vittime di tortura" che si celebra oggi 26 giugno. "La Giornata internazionale a sostegno delle vittime della tortura è un’occasione per riaffermare il diritto di tutti, uomini e donne, di viveri liberi dalla paura della tortura. Questa, così come qualsiasi forma di trattamento o punizione crudele, degradante e inumana, non ha alcuna giustificazione in nessun luogo e in nessuna circostanza" - ha detto Ban.

"Esorto tutti gli stati membri delle Nazioni Unite che non hanno ancora provveduto, a ratificare e applicare la Convenzione Onu contro la tortura e le disposizioni del Protocollo Facoltativo - ha aggiunto Ban. Inoltre faccio appello a tutti gli stati membri, affinché supportino le visite del Relatore Speciale delle Nazioni Unite sulla tortura in quei luoghi dove gli individui sono deprivati della propria libertà nel loro stesso paese e si impegnino a promuovere una maggior cooperazione per garantire il completo accesso".

L’esortazione del Segretario generale dell’Onu si applica anche all’Italia. Come sottolinea il recente Rapporto di Amnesty International, a distanza di 20 anni dalla ratifica della Convenzione Onu contro la tortura (Cat) l’Italia resta priva di uno specifico reato di tortura nel codice penale". "Di conseguenza - sottolinea la nota del rapporto sull’Italia - gli atti di tortura e maltrattamenti commessi dai pubblici ufficiali nell’esercizio delle proprie funzioni vengono perseguiti attraverso figure di reato ordinarie (lesioni, abuso d’ufficio, falso etc.) e puniti con pene non adeguatamente severe e soggetti a prescrizione.

Amnesty fa esplicito riferimento alle sentenze sui casi del luglio 2001 al G8 di Genova. Nella sentenza del tribunale per le violenze contro i manifestanti detenuti nella caserma di Bolzaneto 15 persone, tra cui agenti di polizia penitenziaria e medici, sono stati condannati in primo grado per le "condotte inumane e degradanti" che "avrebbero potuto senza dubbio ricomprendersi nella nozione di "tortura" adottata nelle convenzioni internazionali". Anche la condanna in primo grado a 13 agenti di polizia per le violenze commesse contro i manifestanti alloggiati presso la scuola Armando Diaz "per calunnia e per fabbricazione di prove false" è improbabile che venga scontata a causa dell’intervento della prescrizione.

La denuncia dell’associazione non è nuova: già lo scorso anno in occasione della "Giornata internazionale per le vittime di tortura", Amnesty aveva richiamato il Governo italiano ad adempiere all’obbligo internazionale di prevenire e reprimere la tortura introducendone il reato anche nel nostro ordinamento giuridico.

Per la giornata, Amnesty International ha lanciato diverse petizioni a vari governi per chiedere di mettere al bando la tortura e di adeguare le proprie normative alle convenzioni internazionali.

Giustizia: Anm; dialogo su riforme ma non toccare Costituzione

 

Ansa, 26 giugno 2009

 

Le riforme sulla giustizia non modifichino "l’assetto costituzionale della magistratura". Consapevole del "malfunzionamento" della giustizia, l’Associazione nazionale magistrati vuole "confrontarsi con la politica" su tutti gli strumenti in grado di migliorare il sistema, ma ad "un’unica condizione: quella di non intaccare l’autonomia e l’indipendenza della magistratura".

Lo dice a chiare lettere il presidente del sindacato delle toghe Luca Palamara, che nel suo intervento alla cerimonia per i cento anni dell’associazione, pur ribadendo il "rispetto assoluto" dell’autonomia del Parlamento, rivendica il "dovere" delle toghe di "segnalare alla politica" gli effetti dei suoi provvedimenti, "sulla efficacia dell’azione delle forze dell’ordine e della magistratura, e sulla sicurezza dei cittadini". Come è accaduto di recente sul ddl sulle intercettazioni e su quello sul processo penale.

Autonomia e indipendenza sono "presidi e garanzie preziosi" che hanno il loro fondamento "nell’esclusivo interesse dei cittadini", sottolinea il leader del sindacato delle toghe, che assicura che da parte dei magistrati sul tema delle riforme non c’è "nessuna chiusura corporativa". L’obiettivo "fondamentale" è "l’ammodernamento" del processo che deve svolgersi "in tempi ragionevoli, nel rispetto della promessa costituzionale dell’articolo 111". E invece "purtroppo - sottolinea Palamara - il dibattito sulla giustizia si concentra spesso sulle riforme costituzionali della magistratura, e in particolare sulla pretesa necessità di separare le carriere, rivedere il principio di obbligatorietà dell’azione penale, modificare il Consiglio superiore della magistratura".

 

Basta insulti ai magistrati da chi governa

 

Sono "inaccettabili le invettive rivolte a singoli magistrati da parte di esponenti politici e di governo", ed è "grave mettere in discussione non il merito dei provvedimenti, ma l’indipendenza e l’imparzialità dei giudici", perché "la credibilità dei provvedimenti è un pilastro irrinunciabile del sistema democratico".

Lo ribadisce il presidente dell’Associazione Nazionale Magistrati, Luca Palamara, nel suo intervento alla cerimonia per il centenario dalla fondazione del sindacato delle toghe. Intervento che terrà nel pomeriggio alla presenza del capo dello Stato e dei presidenti di Camera e Senato. "Resto convinto che il rapporto tra la magistratura e gli altri poteri dovrebbe accantonare polemiche e antagonismi, per individuare efficaci strumenti di politica giudiziaria - dice Palamara -. L’Anm si riconosce nei principi di leale collaborazione e di reciproco rispetto tra le istituzioni".

Proprio per questo se la critica ai provvedimenti dei magistrati "è sempre legittima, l’Anm non intende "assuefarsi ad un costume politico che ha reso pratica quotidiana l’insulto e il dileggio nei confronti delle istituzioni dello Stato". "Continueremo a reagire a queste aggressioni con dignità e con fermezza" assicura Palamara, che aggiunge: "Ci conforta non essere rimasti soli a farlo, e siamo certi che il prestigio della magistratura continuerà ad essere tutelato, e ben più autorevolmente, dal garante degli equilibri costituzionali".

 

Magistrati rispettino le regole del processo

 

Per lo svolgimento di "indagini delicate", come quelle che "toccano il potere", ma non solo per quelle, "c’è bisogno di magistrati professionalmente attrezzati, ai quali sia garantita la libertà di interpretare le leggi a tutela dei cittadini, e che operino con gli strumenti messi a disposizione dal processo". Perché "fuori dalle regole e dai vincoli del processo, è illusorio che la magistratura possa svolgere realmente ed efficacemente" il suo ruolo.

L’Associazione nazionale magistrati rilancia come centrale quella che il suo leader Luca Palamara definisce la "sfida della professionalità" dei magistrati. Un tema che riguarda non solo l’assegnazione degli incarichi ai vertici degli uffici giudiziari, ma anche gli avanzamenti di carriera e i controlli sull’operato delle toghe.

Autonomia e indipendenza delle toghe comportano "l’assunzione di responsabilità", dice Palamara, che chiede perciò "un efficace sistema di controlli non solo sui provvedimenti ma anche sulla professionalità del magistrato"; controlli "seri e efficaci", dice, dando atto al Csm di aver intrapreso questa strada soprattutto in tema di nomine, privilegiando merito e professionalità, ma auspicando un "maggior coraggio" in questa direzione.

 

Urgente ricondurre le correnti al loro ruolo

 

È "urgente" che le correnti della magistratura tornino a essere "solamente espressione delle diverse sensibilità culturali dell’Anm", pena il rischio che "l’opinione pubblica continui a percepire le nostre dinamiche interne come quelle tipiche di un corpo politico".

L’auspicio è del presidente dell’Associazione nazionale magistrati, Luca Palamara, che di fronte alle accuse alle correnti di aver occupato "ogni spazio" al Csm e nella stessa vita dell’associazione, chiede un "impegno comune" per ricondurre i gruppi della magistratura al loro ruolo. Vanno superate "le logiche di appartenenza", dice Palamara, che diversamente vede anche un altro pericolo: "la disaffezione di giovani magistrati spaventati dal rischio dell’etichettatura politica e che perciò considerano la vita nei gruppi associativi incompatibile con l’indipendenza nell’esercizio della giurisdizione".

Giustizia: Ucpi; l'Anm ipocrita su "non toccare la Costituzione"

 

Ansa, 26 giugno 2009

 

Auguri all’Anm che oggi festeggia i cento anni di vita ma dalle parole del presidente Palamara traspare "ancora una volta l’ipocrisia sottesa ai proclami di disponibilità al dialogo e l’utilizzo improprio della Costituzione quale arma di difesa della corporazione".

La Giunta dell’Unione delle Camere Penali non si esime, anche in questa occasione, da un commento critico sulle posizioni del sindacato delle toghe. "A parole - dice una nota - l’Anm afferma una propria leale disponibilità a collaborare alla riforma della giustizia, ma ancora una volta pone una inaccettabile preclusione: che non si tocchi la Costituzione. E ancora una volta Anm confonde strumentalmente i fondamentali valori di autonomia ed indipendenza della magistratura con l’attuale assetto costituzionale, quasi che non fosse possibile garantire i primi se non preservando l’attuale sistema".

I penalisti italiani ribadiscono ancora una volta "come, proprio per realizzare una riforma della giustizia che sia al servizio del cittadino, l’assetto costituzionale vada profondamente modificato nel senso di realizzare un nuovo governo della magistratura che ne garantisca effettiva indipendenza ed autonomia e la separazione delle carriere, unico presidio di vera terzietà del giudice".

Napolitano: la magistratura sia "indipendente ed equilibrata..."

 

Ansa, 26 giugno 2009

 

La missione della magistratura nella realizzazione della funzione fondamentale di assicurare la legalità e l’amministrazione della giustizia al Paese, è stata sottolineata dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, intervenuto alla cerimonia in Campidoglio a Roma per i 100 anni della Associazione Nazionale Magistrati (Anm).

"Sono venuto a rendere omaggio - ha detto Napolitano - ai 100 anni della Associazione Nazionale dei Magistrati, in cui si riconoscono in larghissima misura coloro che assolvono la fondamentale e delicata missione del controllo di legalità e dell’amministrazione della giustizia. È una funzione - ha aggiunto Napolitano - da esercitare secondo i principi della nostra Costituzione, in piena indipendenza e autonomia, con equilibrio e senso di responsabilità al servizio dei cittadini". "Nel celebrare il centesimo anno dalla fondazione (l’Anm, n.d.r.) è consapevole dei complessi problemi da affrontare per rendere più efficiente e credibile il sistema della giustizia e per rafforzare il Csm - ha concluso Napolitano - che ho l’onore di presiedere e nel cui insostituibile ruolo ho creduto e credo profondamente".

Giustizia: Alfano; l'indipendenza di magistratura non si discute

 

Ansa, 26 giugno 2009

 

"Sono state dette parole sagge, relativamente agli aspetti più importanti della funzione di magistrato. Noi, da parte nostra, mai e poi mai intendiamo porre in discussione l’indipendenza e l’autonomia della magistratura". Lo ha affermato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, al termine del discorso del presidente dell’Anm Luca Palamara e delle celebrazioni per il centesimo anniversario della fondazione dell’associazione, che si è svolto oggi alla sala Orazi e Curiazi in Campidoglio a Roma. "Quello del presidente Palamara - ha osservato ancora il Guardasigilli - mi sembra un discorso con significative aperture e importanti riconoscimenti".

Giustizia: basta con il "correntismo"; il Csm decida per i meriti

di Cosimo Maria Ferri (Magistrato e consigliere del Csm)

 

www.radiocarcere.com, 26 giugno 2009

 

Il Consiglio Superiore della Magistratura, scosso da eventi di grande rilievo istituzionale, sta attraversando un momento delicato. Non possiamo non riflettere sulle autorevolissime parole del Presidente della Repubblica, che hanno avuto ampia risonanza mediatica: egli ha apertamente invitato la magistratura ad interrogarsi su quanto abbiano potuto e possano nuocere alla sua credibilità tensioni ricorrenti al suo interno e, tra i temi più delicati, ha posto quello del rigore e della misura, dell’obiettività e imparzialità con cui il Consiglio deve esercitare le sue funzioni, senza farsi condizionare nelle sue scelte da logiche di appartenenza correntizia.

Un invito ad un’aperta e seria riflessione autocritica, e conseguentemente alle necessarie auto-correzioni, essendo ormai evidenti i danni che il "correntismo" sta arrecando alla magistratura. Per impedirli, credo che il rimedio non sia aumentare il peso dei componenti di estrazione politica, che comporterebbe inevitabilmente un aumento della "politicizzazione" del Consiglio, quanto piuttosto tentare di diminuire il peso delle correnti all’interno del Csm.

La polemica si è infuocata quando il Ministro Alfano ha reso in una intervista dichiarazioni esplicite in merito alla lottizzazione che caratterizzerebbe le nomine agli incarichi direttivi, provocando le dimissioni dalla commissione preposta di alcuni Consiglieri.

Non ho aderito ad una simile scelta, perché a mio giudizio la risposta efficace non poteva essere quella di abbandonare la commissione, bensì quella di analizzare le ragioni per cui l’impegno profuso dai Consiglieri in questi anni di attuazione della riforma della giustizia ha destato più di una volta dubbi e perplessità. Non penso - e voglio che sia chiaro - che tutte le nomine siano state frutto di scelte correntizie: per molte di esse ho espresso con convinzione il mio voto, avendo verificato la oggettiva superiorità del candidato indicato. Nessuna volontà di generalizzare.

Tuttavia, per quanto possa risultare scomodo, occorre proseguire sulla strada del confronto affinché, al di là delle percentuali di consenso (fosse anche unanime) sulle nomine, queste siano sempre tutte scevre dell’influenza del correntismo interno all’organo di autogoverno. Ciò anche in ragione del fatto che esso è stato spesso causa di contenzioso innanzi agli organi della giustizia amministrativa, sfociato nell’annullamento di decisioni che pure erano state assunte sulla base di larghe maggioranze.

Con l’attuazione della riforma della giustizia è stata abbandonata la regola dell’anzianità senza demerito, che aveva l’indiscutibile vantaggio dell’oggettività e trasparenza della scelta. Ora abbiamo criteri basati sul merito, che in quanto più discrezionali si prestano tuttavia a logiche di parte. Penso perciò che sia giunto il momento di affrontare questa questione con onestà intellettuale.

Gli esponenti delle correnti smettano di sostenere l’insostenibile, ovvero che non ricorrono logiche di appartenenza in diverse decisioni del Csm. E, soprattutto, abbandonino l’abitudine di "rinfacciarsi", di volta in volta e secondo i differenti esiti dell’attività consiliare, l’accusa di correntismo.

Mi auguro che la ricorrenza del centenario della istituzione dell’Associazione Nazionale Magistrati sia l’occasione per riflettere, per rileggere, per rivalorizzare i tanti interventi positivi e puntuali che hanno contraddistinto l’attività dell’Anm, ma al contempo sia momento per ridare priorità ad un’azione più incisiva, più attenta ai problemi dei magistrati e più lontana dagli effetti negativi del correntismo.

Se tanto può (anzi deve) essere richiesto alla magistratura associata, la politica, per parte propria, smetta però di alzare il livello dello scontro, affinché tutti si addivenga a soluzioni ragionevoli ed equilibrate, nel rispetto dei reciproci ruoli ed ambiti costituzionali.

Giustizia: psicologi carcerari in piazza; situazione insostenibile

 

Redattore Sociale - Dire, 26 giugno 2009

 

"Eterno precariato" e tagli alle ore per mancanza di risorse. "A Sulmona nel ‘carcere dei suicidi’ la psicologa ha a disposizione 40 ore per 500 detenuti". Chiedono di essere riconosciuti come figure sanitarie.

"Nel penitenziario di Sulmona, detto il carcere dei suicidi, perché è una struttura ad alto rischio, la psicologa ha a disposizione 40 ore per 500 detenuti. È una situazione insostenibile, che si ripete più o meno allo stesso modo in tutti gli istituti del territorio nazionale". Le carceri sono sovraffollate ma gli psicologi hanno sempre meno ore da dedicare ai detenuti. È l"allarme lanciato dagli psicologi ex articolo 80, che hanno dato vita questa mattina a Roma a una manifestazione, davanti Montecitorio.

Molte le ragioni della protesta. In primo luogo la situazione di "eterno precariato" in cui quasi tutti si trovano. Gli psicologi ex articolo 80, sono figure professionali istituite dalla legge 354 del 1975, che prevede la consulenza di esperti esterni per l’osservazione dei detenuti "risultiamo quindi dei liberi professionisti ma abbiamo orari imposti e lavoriamo a tutti gli effetti come dipendenti. Inoltre veniamo pagati 17 euro lorde l’ora, una cifra irrisoria considerata la nostra professionalità", spiega Giovanna Donzella, psicologa nel carcere circondariale di Padova.

Tra le richieste anche quella di essere riconosciuti come figure sanitarie. "L’anno scorso c’è stato il trasferimento delle competenze, di funzionari e di risorse nell’ambito della medicina penitenziaria dal ministero della Giustizia a quello della Salute ma gli ex art. 80, che sono 480 in tutta Italia, sono rimasti fuori - aggiunge Giuseppe Luigi Palma, presidente dell’Ordine degli psicologi - non è stato quindi riconosciuto a questi professionisti il diritto a passare al sistema sanitario, così come è avvenuto invece agli psicologi di ruolo. Si trovano così in un’assoluta condizione di precarietà in cui è per loro quasi impossibile lavorare".

Ad aggravare la situazione il taglio delle ore dovuto alla mancanza di risorse, che dal 1 gennaio ha riguardato quasi tutti i penitenziari italiani. "A San Vittore nell’arco di quattro ore gli psicologi sono costretti a fare circa 30 colloqui: vengono quindi dedicati solo pochi minuti a ciascun detenuto - continua Palma - questo significa che per loro è praticamente impossibile fare delle valutazioni adeguate e attendibili. E questo è particolarmente grave quando riguarda il Servizio Nuovi Giunti, dedicato alle persone che entrano per la prima volta in carcere, perché sono quelle più a rischio suicidio". E nei primi cinque mesi del 2009 sono state 28 le persone che si sono tolte la vita in carcere, un triste primato rispetto agli ultimi anni, sottolineano i promotori della manifestazione.

"Sono trent’anni che lavoro da precaria a Perugia. Ho a disposizione 20 ore mensili per 60 detenuti, ciò significa che posso stare solo pochi minuti con ognuno di loro. È assurdo - sottolinea Bruna Babini - la legge 354/75 prevede la nostra figura professionale per la rieducazione della popolazione carceraria, ma in queste condizioni è impossibile che ciò avvenga, dovremmo avere almeno un’ora a settimana per ciascun detenuto. Così, invece, siamo costretti a dover rivolgere la nostra attenzione solo a quelle persone che si trovano in una situazione particolare, tagliando fuori tutti gli altri, e spesso si tratta del 90 per cento dei detenuti".

Giustizia: Cgil; la protesta degli psicologi penitenziari è giusta

 

Ansa, 26 giugno 2009

 

La Fp Cgil condivide appieno le ragioni della protesta degli psicologi penitenziari. "Hanno ragione - scrive in una nota - a denunciare il totale stato di abbandono in cui versa l’assistenza psicologica nelle carceri Italiane, a cominciare da quella legata alle attività di osservazione e trattamento dei detenuti, attività ormai drammaticamente abbandonate dall’amministrazione penitenziaria e dal ministero della Giustizia: governo ed amministrazione penitenziaria hanno ormai deciso per un carcere afflittivo in sfregio al mandato costituzionale che affida alla pena finalità rieducative e di risocializzazione".

E secondo il sindacato, "hanno ragione a lamentare il totale disimpegno dell’amministrazione penitenziaria anche in termini di investimenti finanziari: l’impegno economico per questa delicatissima attività -puntualizza la Fp Cgil - è ormai la metà della metà di quello utilizzato non più di quattro anni fa". Il sindacato sostiene quindi le "rivendicazioni degli psicologi penitenziari" e proverà, "in quanto organizzazione rappresentativa nel servizio sanitario nazionale, a far corrispondere a questo disimpegno un corrispondente investimento da parte di Regioni ed Asl: stiamo già chiedendo in molte realtà territoriali - annuncia - che i servizi sanitari regionali si facciano carico di questo stato di abbandono".

Giustizia: edilizia carceri; cattive pratiche fra passato e futuro

di Cesare Burdese (Architetto)

 

Società della Ragione, 26 giugno 2009

 

La tipologia carceraria non è tra gli argomenti del dibattito architettonico del nostro Paese; sporadici a proposito sono stati i contributi teorici e pratici nel corso di questo ultimo trentennio da parte degli architetti.

Ricordo i più significativi ed autorevoli: Guido Canella, Sergio Lenci e Giovanni Michelucci, tre architetti che, ciascuno a modo loro, hanno saputo impegnarsi sul tema dell’architettura carceraria e del suo rapporto con la città, lasciandoci in eredità una lezione preziosa ed utile per proseguire nel percorso avviato.

Anche la produzione editoriale nazionale sull’argomento segue lo stesso destino, a differenza invece di quanto succede nei paesi più progrediti del mondo; non esistono pubblicazioni recenti sull’architettura carceraria in lingua italiana, le principali riviste italiane di Architettura dal dopoguerra ad oggi hanno pubblicato meno che raramente progetti di carceri; a proposito ho avuto occasione di chiedere, ad alcuni direttori delle più prestigiose tra queste riviste, perché non pubblicassero i carceri; la risposta è stata che non ritenevano che i carceri realizzati avessero i requisiti per essere pubblicati.

Un altro aspetto del problema che va considerato è il fatto che il carcere nelle nostre scuole di Architettura non viene insegnato, se non in modo estemporaneo ed episodico; sono a questo proposito obbligato mio malgrado, dopo aver riferito della didattica svolta negli anni 70 al Politecnico di Milano da Ernesto Nathan Rogers e di qualche iniziativa isolata qua e la per la penisola, ancora una volta a citarmi riferendo della mia attività didattica insieme all’amico Ugo Mesturino, presso la facoltà di Architettura del Politecnico di Torino svolta sul finire degli anni ‘90 ed i primi anni 2000 e delle tesi di laurea sull’argomento - anche di laureandi provenienti da altre regioni d’Italia - che ho seguito ed ancora seguo.

Il mondo accademico negli anni non ha saputo rendere sistematica la ricerca e l’insegnamento su tale argomento, assumendo a volte a riguardo atteggiamenti addirittura di rifiuto ed incomprensibile discriminazione; sono portato ad affermare, a proposito, che nelle facoltà di Architettura e di Ingegneria al carcere non si attribuisce il rango che si attribuisce ad analoghe strutture di pubblica utilità come l’ospedale, la scuola, la casa di riposo per anziani e quanto altro; ricordo come durante la discussione di una tesi di laurea in architettura sul carcere, in una improbabile e discutibile graduatoria di valori delle tipologie edilizie pubbliche in quella occasione stilata da un autorevole membro della commissione, al carcere fu assegnata, con mio grande stupore, l’ultima posizione.

Ma uno dei motivi principali che contribuiscono a fare dell’edilizia carceraria un mondo sconosciuto ed isolato, è sicuramente quello che vede la progettazione carceraria estromessa dal circuito del libero mercato della progettazione, in quanto oggi più che mai in carico agli uffici tecnici ministeriali ed ai cartelli delle imprese di costruzione.

A questo proposito rammento che la progettazione di nuovi istituti penitenziari compete al Ministero delle Infrastrutture, mentre l’Ufficio Tecnico Edilizia Penitenziaria e residenziale di servizio ubicata presso il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria a Roma, si occupa della manutenzione straordinaria, delle ristrutturazioni e dei restauri degli immobili demaniali dell’Amministrazione Penitenziaria con importi delle opere generalmente superiori a € 200.000,00 (ovvero il limite dei lavori in economia), gestendo tutte le fasi del procedimento tecnico-amministrativo, incluse quindi progettazione, direzione lavori e collaudo, ma grazie anche all’Ufficio gare tutte le fasi dell’appalto, ossia bando, procedure di gara e affidamento.

Di recente nell’attività dell’Ufficio sono incluse le realizzazioni dei nuovi padiglioni all’interno degli istituti penitenziari esistenti, secondo le disposizioni del programma straordinario elaborato dal Capo Dipartimento e Commissario Straordinario.

Ricordo che in Italia la progettazione e la realizzazione del carcere è soggetta alla normativa che disciplina le Opere pubbliche; come più volte ho avuto modo di sottolineare, - si veda a proposito in particolare il mio intervento nel seminario "Architettura e carcere: gli spazi della pena e la città" pubblicato su La Nuova Città - n. 2/3 maggio/dicembre 1998 - , ritengo che questa norma sacrifichi irrimediabilmente il ruolo del progettista inteso come portatore di valori culturali; secondo l’uso che si è fatto ultimamente della procedura della "concessione di costruzione" per la realizzazione degli istituti penitenziari, che prevede l’affidamento della progettazione, della costruzione e di ogni altra incombenza a gruppi di imprese, l’unico criterio ammissibile diviene sostanzialmente quello dell’economicità dell’opera da realizzare.

Queste pratiche determinano a mio parere un impoverimento sul piano concettuale delle realizzazioni edilizie, che per il carcere si amplia a dismisura sino a divenirne norma.

Questi in sintesi ritengo possano essere gli elementi negativi che configurano il contesto culturale architettonico nel quale il nostro paese si ritrova a dover fare i conti con la questione della sua edilizia penitenziaria ed a dover elaborare soluzioni.

Forse, anche a causa di questa insufficiente condizione culturale, ritengo sia mancata e continui a mancare da noi la capacità di rinnovare il carcere dal punto di vista della sua qualità architettonica e coerenza spaziale con le finalità della pena e di metterlo al passo con le realizzazioni carcerarie straniere più avanzate, che hanno visto la luce negli ultimi decenni.

La conseguenza di questo stato di cose rischia di essere quella di impedire, o perlomeno rendere difficoltoso il progredire dell’opera intrapresa con successo a partire dalla Riforma Penitenziaria del 1975 sul fronte del trattamento penitenziario.

A questo punto passo ad illustrare alcuni aspetti che l’Istituzione penitenziaria non ha considerato e pratiche che non ha attuato nel rinnovamento ed ampliamento del suo patrimonio edilizio penitenziario in questi ultimi decenni.

Una delle finalità primarie del nostro carcere riformato, come ben tutti sanno, è quella di realizzare, durante il periodo di espiazione della pena, le condizioni per il reinserimento sociale del reo, attraverso pratiche istituzionalizzate che vedono coinvolti nell’azione in qualità di comprimari con l’Amministrazione Penitenziaria, ampi settori della cosiddetta società civile.

Nel corso di questo ultimo trentennio l’Amministrazione Penitenziaria infatti ha avviato, ha sperimentato, ha affermato e consolidato, insieme alle Regioni, agli Enti locali, al mondo imprenditoriale, al mondo del volontariato, alle istituzioni culturali sia pubbliche che private, pratiche che non solo hanno contribuito a concretizzare i principi della riforma ma che hanno anche infranto parzialmente il suo storico isolamento dalla società civile.

Sia a livello nazionale, che a livello locale si è legiferato in materia di sanità, lavoro, istruzione, formazione professionale, assistenza, con particolare attenzione alla realtà carceraria, istituzionalizzando una partecipazione allargata di forze, sia pubbliche che private, nel settore del trattamento penitenziario, un tempo appannaggio esclusivo dell’Amministrazione penitenziaria. Ritengo però che il settore che riguarda l’Edilizia Penitenziaria non sia stato realmente coinvolto in questo processo di adeguamento e di apertura. Volendo ulteriormente puntualizzare, ritengo siano mancate le seguenti azioni istituzionali, che in questa sede diventano proposte concrete:

1. Provvedimenti legislativi volti a definire un nuovo modello spaziale carcerario coerente con le finalità della pena riformata e con le esigenze che il rapido evolversi della società richiedevano e richiedono. Per inciso devo registrare che i modelli spaziali prodotti dall’Amministrazione Penitenziaria a partire dagli anni settanta del ‘900 - indipendentemente dalla loro validità o meno dal punto di vista della sicurezza - sono certamente da considerarsi fortemente inadeguati in quanto privi, sin dalla fase meta-progettuale, di ogni elemento che li possa ricondurre a soluzioni architettoniche attente ai temi del benessere ambientale, della qualità compositiva, della coerenza spaziale; illuminante a proposito l’analisi critica che il compianto architetto Lenci fece degli schemi carcerari ministeriali posti alla base della realizzazione del nuovo programma di edilizia penitenziaria avviata nel 1981, da lui definiti in sostanza di uno stato pre-costituzionale. Peraltro le prescrizioni circa i requisiti degli edifici penitenziari contenuti nella legge di riforma del ‘75 e più avanti nel regolamento di esecuzione del 2000, non hanno certamente prodotto, né lo potevano, nuovi modelli spaziali veramente al passo con le istanze più progredite della riforma. In generale più che altro le suddette prescrizioni hanno riguardato gli aspetti edilizi relativi alle condizioni igienico-ambientali dell’edificio carcerario ed una migliore razionalizzazione dello spazio costruito; anche il tentativo di diversificazione delle strutture a seconda della tipologia di detenuti ospitati attraverso l’organizzazione e la costruzione di sezioni separate ed autonome, non ritengo possano identificarsi come risposte adeguate alle esigenze spaziali del carcere riformato.

2. Provvedimenti per avviare sistematiche collaborazioni con le facoltà di Architettura e di Ingegneria per l’elaborazione di modelli meta-progettuali volti all’innovazione dell’edilizia penitenziaria. A questo proposito identificherei la soluzione nella pratica già attuata della sottoscrizione di protocolli di intesa tra Amministrazione Penitenziaria ed Atenei universitari per l’istruzione universitaria dei detenuti.

3. Provvedimenti per avviare percorsi didattici a livello universitario sul tema dell’edilizia penitenziaria, sia rivolti al personale tecnico degli Uffici di progettazione Ministeriali sia a livello studentesco.

Questo è un punto che mi è molto caro e che considero di estrema importanza in quanto, come Vi ho accennato all’inizio, ne ho potuto personalmente sperimentare l’efficacia, nonostante la precarietà nella quale mi sono sempre trovato e mi trovo ad operare.

Ritengo strategico, nel quadro di un contesto socio-culturale caratterizzato dalla scarsa conoscenza ed attenzione alle problematiche reali del tema penale e del carcerario in particolare, strutturare percorsi formativi che non solo divengono funzionali per formare professionisti all’altezza dei compiti che gli vengono loro affidati, ma anche per sensibilizzarli sulle questioni aperte della giustizia e della pena.

Concludo riconducendomi alla cronaca di questo ultimo periodo che registra il varo di un nuovo programma di edilizia penitenziaria inteso a risollevare le sorti di una Amministrazione penitenziaria messa in ginocchio per il sovraffollamento delle strutture penitenziarie esistenti.

Già è stato detto e scritto a proposito, anche in questa sede, e pertanto non voglio tornare sull’argomento, permettetemi però di esprimere un commento critico che mi ha sollecitato lo schema di un "penitenziario-tipo per circa 400 posti detentivi, definibile ad aggregazione radiale - modello derivato dai vecchi sistemi fine ‘800 - Tipo Regina Coeli - Le Nuove " che viene allegato a titolo esemplificativo all’allegato D) del documento ministeriale a firma del Capo del Dipartimento e Commissario Straordinario Franco Ionta.

Questo schema tipologico rappresenta l’immagine della regressione dell’edilizia penitenziaria italiana, in totale assenza di attenzione da parte di chi di architettura si occupa.

Le tendenze evolutive dell’architettura penitenziaria che si sono attuate negli ultimi decenni in alcuni paesi del mondo sembrano essere sconosciute.

Questo Stato appare ingenuo nel rendere pubblico uno schema tipologico così assurdo e troppo fiducioso che nessuno oserà nemmeno sollevare delle critiche.

In silenzio e probabilmente senza che i responsabili se ne rendano conto, vengono ufficialmente proposti schemi tipologici che si muovono in senso diametralmente opposto all’azione intrapresa dal nostro parlamento verso un aumento delle garanzie democratiche per i detenuti ed il loro reinserimento nella società.

Giustizia: Marrazzo; preoccupa situazione degli istituti di pena

 

Agi, 26 giugno 2009

 

"Gli istituti di pena in Italia, sempre più affollati e sempre più luoghi di sola esclusione, destano preoccupazione: in cui è smarrito il senso costituzionale della pena". A parlare di fronte al Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, e al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, è il presidente della Regione Lazio, Piero Marrazzo, intervenuto alle celebrazioni per il cento anni della Anm: "il senso costituzionale della pena prevede che questa dovrebbe tendere alla rieducazione del condannato e non consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e dignità della persona".

Busto Arsizio: dietro le sbarre, l’emergenza è una quotidianità

 

Varese News, 26 giugno 2009

 

"Flash" dal carcere di via per Cassano, La Polizia Penitenziaria in festa accoglie la stampa e i rappresentanti del Comune, il direttore Nastasia racconta luci e ombre di una realtà difficile, bisognosa di risorse e dell’appoggio morale dei cittadini.

Il carcere apre i suoi battenti per una conferenza stampa in occasione della giornata di festa provinciale della Polizia Penitenziaria, corpo che quest’anno compie ben 192 anni. In rappresentanza del Comune, ad affiancare il direttore della struttura di via per Cassano, Salvatore Nastasia, e la comandante degli agenti Michela Cangiano gli assessori Mario Crespi e Alberto Ammiraglio in rappresentanza del Comune. La giornata avrebbe potuto vedere più autorità ma la concomitante festa regionale della Guardia di Finanza, organismo legato a filo doppio (anzi: "ammanettato"...) alla Penitenziaria date le mansioni, porterà via un minimo di attenzione. In serata comunque al Museo del Tessile si terrà una celebrazione, sobria, poiché parte dei fondi previsti vengono giustamente devoluti alla ricostruzione dell’Abruzzo ferito dal sisma.

"Ci inorgoglisce che questo corpo abbia un riconoscimento dalla città" dice il direttore Nastasia. "È un modo di sfuggire all’autoreferenzialità, a quella visibilità parziale sui mass media che scatta solo per fatti eclatanti". Il responsabile del carcere non perde occasione per ribadire che se qui i problemi sono all’ordine del giorno - "l’emergenza è la quotidianità" - altrove è anche peggio: lui ne sa qualcosa, gestendo per una sostituzione anche il carcere del Bassone di Como, perennemente sovraffollato. Non ridono, avverte, anche il Triveneto o il Piemonte (quest’ultimo "la Siberia dell’amministrazione...", detto da uno che lo conosce). Mancano risorse anche per interventi strutturali: per moderno che sia, anche il carcere bustese ne ha bisogno e in mancanza di questi rischia, alla lunga, di cadere in testa a chi lo occupa. Già ora vi sono infiltrazioni in caso di piogge persistenti.

Qui a Busto Arsizio il rapporto più stretto è quello con Malpensa e con il relativo nucleo della GdF, le dogane, la Polaria. Il turnover dei detenuti è altissimo, la percentuale di stranieri impressionante, sono in netta maggioranza. Al momento si trovano in via per Cassano in 408, vigilati da 251 agenti: nei suoi 25 anni di vita dal carcere bustese sono passate oltre ventimila persone. Da Malpensa quasi quotidianamente arrivano i "disperati", gli ovulatori disposti a ingerire quantitativi di droga per trasportarli nel proprio apparato digerente a rischio della vita. Il loro numero è in aumento, non vengono più solo dalle rotte classiche e, pertanto, sospette a priori, di Sudamerica e Africa: per non farsi beccare prendono sempre più voli a corto raggio da altre parti d’Europa, anche charter. Eppur finiscono dentro. Non prima di essere passati all’apposito reparto del Sant’Antonio Abate di Gallarate per ... evacuare il corpo del reato. Un impegno anche questo tipo di sorveglianza per la Penitenziaria bustese, già gravata da compiti ordinari e straordinari, e che già denunciava un anno fa tutta la difficoltà del proprio operare. "I detenuti hanno diritti, ma ciò a volte va a scapito dell’agente di turno che si trova a tenere d’occhio qualcosa come 75 persone... si creano situazioni ansiogene anche senza fatti straordinari". Quali detenuti che stanno male, molti per somatizzazioni psicologiche; altri che compiono atti di autolesionismo, o che rivolgerebbero la loro rabbia contro i compagni di sventura non fosse per l’attenzione del personale nel prevenire e tamponare, anche usando un pizzico di psicologia spicciola, queste esplosioni, comprensibili ma assai difficili da gestire, di insofferenza e ribellione tra i detenuti. Tra i quali a rendere difficili le cose sono le diversità etniche: 44 nazionalità differenti al momento, una vera Babele dietro le sbarre. Con problemi enormi di comprensione e convivenza, che si cerca in ogni modo di evitare degenerino in scontri a sfondo razziale o religioso. Né elementi all’apparenza unificanti, come l’Islam, sembrano in grado di sopire le differenze tra nazionalità diverse, pur vicine per contesto culturale.

In carcere tutto è molto complesso, non si stanca di dire Nastasia. Non è il mondo di Alcatraz, l’immaginario popolare non ha bene in mente come funzioni un carcere al giorno d’oggi. Il lavoro dei detenuti, inteso come riqualificazione e formazione professionale, è una realtà concreta, ma al tempo stesso limitata dalle risorse disponibili, tra volontariato ed aziende disposte a collaborare. Ciononostante i corsi professionali sono triplicati rispetto allo scorso anno. "Il lavoro non serve solo a non far vegetare in cella queste persone, ma anche a "dare loro la canna da pesca", perché a rieducazione si ferma sul portone d’uscita dal carcere. Oltre, non c’è nulla che aiuti a ricostruire una vita. Assumereste un ex detenuto? È quello il problema". Il carcere non fa buon curriculum. Ed è in certo senso un peccato: c’è chi in via per Cassano ha imparato un mestiere. Nastasia ricorda un piacere un ex detenuto che di recente gli ha scritto salutandolo dal Sudamerica: in carcere aveva appreso da zero i segreti dell’apicoltura, e tornato in patria a pena scontata vi si è dedicato con successo.

"Di carcere si parla troppo poco" dichiara l’assessore ai servizi sociali, avvocato Mario Crespi. "È una realtà importante sotto il profilo etico e sociale, una vera cittadella nella città". Vi sarà dato spazio anche in una nuova rivista giuridica da poco alle stampe, Themis, curata dall’avvocato Roberto Porrello. "Ogni giorno si compiono in silenzio atti di eroismo" racconta Michela Cangiano, a capo degli agenti di polizia penitenziaria di via per Cassano. "Si soccorre e si prevengono violenze e autolesionismi, talvolta a rischio per la nostra salute, molti detenuti sono malati", o sieropositivi. "Venendo qui oggi avete realizzato un dovere civico: il carcere non riguarda solo chi ci lavora o vi si trova recluso, ma tutti i cittadini. Tutela dei diritti, rispetto della dignità della persona, dare un’opportunità di reinserimento: va tutto bene, ma fuori non c’è nessuno che accompagna oltre l’ex detenuto. La sola repressione non serve, bisogna educare, seguire. Le coscienze si smuovano".

 

Non lasciamo il carcere nell’indifferenza

 

Il corpo di Polizia penitenziaria della provincia di Varese ha festeggiato oggi, giovedì 25 giugno, la festa per il 192esimo anniversario di fondazione. Nel Museo del tessile di Busto Arsizio i reparti di Busto e Varese hanno celebrato questa ricorrenza alla presenza delle autorità politiche, militari e religiose. A fare gli onori di casa il direttore della Casa circondariale Salvatore Nastasia, affiancato anche dal direttore dell’istituto di Varese Gianfranco Mongelli e dal sindaco di Busto Gigi Farioli. "Pur con tutte le difficoltà - spiega Nastasia - della gestione quotidiana e le poche risorse a disposizione, dobbiamo apprezzare il lavoro svolto da questi quattrocento uomini e donne". Un lavoro che, come è stato più volte sottolineato nel corso della serata, non consiste nella custodia delle persone detenute, ma anche nella prevenzione dei reati, nel garantire la legalità all’interno e all’esterno del carcere e nell’attività educativa. "Grazie all’attiva collaborazione fra operatori - continua il direttore -, amministrazione comunale, enti coinvolti e agenti negli ultimi anni abbiamo triplicato i progetti rieducativi. Solo con un adeguato percorso potremo restituire "persone nuove" alla società".

La cerimonia è stata anche l’occasione per salutare ufficialmente la vice commissario di Busto Michela Cangiano che a breve assumerà un nuovo incarico. "Devo ringraziare tutti i colleghi che hanno creduto di poter realizzare insieme un carcere degno di appartenere a uno stato di diritto. Un carcere senza ricatti, ma con dialogo. Un istituto pronto a tendere la mano, dove c’è la speranza che sia afferrata e che dia la possibilità di fare scelte diverse da quella criminale. Solo la Polizia penitenziaria in collaborazione con gli altri operatori del carcere può garantire riscatto e riabilitazione per le persone detenute". Visione condivisa da Luigi Pagani, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria. "Le carceri di Busto e Varese presentano due delle situazioni più difficili a livello regionale, per la vicinanza a Malpensa e per il sovraffollamento. È stupefacente però vedere come nonostante questo i livelli di sicurezza siano sempre elevati. Questo è importante soprattutto perché una persona recuperata è un pericolo in meno per la sicurezza dei cittadini. Il futuro al momento non è roseo, ma noi anche nelle situazioni critiche ci siamo. Anche la società civile però deve stare vicino alle istituzioni, perché il carcere lasciato nell’indifferenza, non potrà mai dare il meglio si sé". Anche per questo, Michela Cangiano ha realizzato una depliant pieghevole per i cittadini per spiegare le funzioni di un istituto e degli operatori che ci lavorano.

La festa si è chiusa con la consegna degli attestati di merito. Per la casa circondariale di Busto: ispettore Antonino Picara, sovrintendente capo Donato Contessa, assistente capo Efisio Floris, assistente capo Giuseppe La Placa, assistente capo Giorgio Mazza, assistente capo Spina Michele, assistente Alfonso Santillo, agente scelto Domenico Lo Cascio, agente Francesco Tramontata e vice commissario Michela Cangiano. Per quella di Varese: vicecommissario Alessandro Croci, ispettore Rosario Arcidiacono, assistente Antonino Costanza, agente scelto Lucio Formato, assistente capo Stefano Vargiu, agente Filippo Michele Ferraro, agente Sebastiano Mangiafico, assistente Domenico Aurora, assistente Giuseppe Alfieri e agente scelto Angelo Cassani.

Pisa: il carcere parla straniero, 75% dei detenuti non è italiano

 

L’Espresso, 26 giugno 2009

 

Il direttore denuncia: il Don Bosco scoppia e manca il personale PISA. In carcere si parla straniero. Il 75% dei detenuti infatti non è italiano, quelli che vengono dalla penisola sono solo il 25%. È uno dei dati forniti ieri dal direttore del Don Bosco, Vittorio Cerri, durante le cerimonie per la festa del Corpo di polizia penitenziaria, che sfiora i due secoli. Ieri, nel 192º anno del Corpo, si è svolta nella caserma di polizia penitenziaria, in via D’Achiardi, una cerimonia civile.

Hanno partecipato dirigenti di Pisa e Volterra, funzionari di polizia, carabinieri, finanza, aeronautica e prefettura. Martedì prossimo alle 10, invece, nella chiesa del carcere, l?arcivescovo, monsignor Giovanni Paolo Benotto, celebrerà una messa per ricordare il patrono del corpo, San Basilide.

La ricorrenza è stata per il direttore l?occasione per tirare le somme su problematiche annose che attanagliano il carcere, quella del sovraffollamento e della carenza di personale. Sono arrivate infatti a 385 le presenze al Don Bosco, nonostante la struttura abbia posto solo per 240 persone. La maggior parte dei detenuti è straniera, per lo più nordafricani, marocchini, tunisini, algerini, e in misura minore albanesi, rumeni ed ex jugoslavi. Solo 38 le donne, in misura uguale fra italiane e non.

"Le possibilità di recupero e interazione con gli italiani - ha spiegato Cerri - sono molto più alte perché si possono mettere in atto tutte le opportunità previste. Diverso è il discorso con gli stranieri, la cui cultura crea non poche barriere di gestione e controllo, con credenze religiose di ?premi oltre la vita? che non risparmiano comuni comportamenti suicidi o di autolesionismo. E non basta: la questione più urgente è quella del personale, meno di 300 guardie, sotto organico di 28 unità per distacchi senza cambio, cioè gente che ha ottenuto il trasferimento, quasi sempre al Sud, senza sostituzione, mentre la presenza di un centro clinico fa affluire a Pisa detenuti da tutta Italia, che si curano anche fuori, in ospedale, imponendo servizi di piantonamento: ce ne sono stati 12 da gennaio al 15 giugno. Il 2008 ha registrato 1.200 ingressi, il 2009 a metà giugno ne ha registrati già 629 con 578 uscite più 566 traduzioni in aule di giustizia. Un numero di servizi spropositati rispetto a carceri con più personale e meno sovraffollamento".

Ma c?è di più: per devolvere una cifra a favore dell’Abruzzo, il personale del carcere ha dovuto fare una colletta. Il desiderio di donare la cifra stanziata per la festa ha cozzato contro l?iceberg della burocrazia. "Stornare una spesa pubblica infatti - ha spiegato Cerri - è reato penale".

Cagliari: se la Polizia penitenziaria "festeggia" con la protesta

di Paolo Camedda

 

La Nuova Sardegna, 26 giugno 2009

 

Da una parte chi festeggia, dall’altra chi protesta. Per il centonovantaduesimo anniversario della nascita del corpo di Polizia penitenziaria le alte cariche militari, civili e religiose hanno fatto festa alla fiera campionaria. Ci son state cerimonie, una conferenza, una messa e un ampio buffet.

Molti agenti, invece, non avevano nulla da festeggiare, e a partire dalle 4 del pomeriggio hanno protestato davanti ai cancelli di viale Diaz e piazza Marco Polo assieme ai sindacati. C’erano Cgil, Cisl e Uil, e altre sigle, come Sappe, Osapp, Sinappe, Uspp e Fna/Cnpp. "In tutta Italia stiamo manifestando per il disinteresse totale dell’amministrazione pubblica nei confronti della situazione degli istituti penitenziari", ha dichiarato Roberto Picchedda, segretario regionale Uil per il comparto sicurezza.

"Chiediamo al ministro Giorgio Alfano e al capo dipartimento di Roma, Franco Ionta, come mai il piano futuro per le carceri non preveda un aumento degli organici in tutto il Paese", ha aggiunto. "Quella della polizia penitenziaria e del personale delle carceri è una protesta forte e vigorosa". ha proseguito. "In Sardegna, poi, si è raggiunto un livello di non ritorno.

Di fronte al sovraffollamento, più accentuato che in altre realtà", ha detto ancora, "il personale di polizia subirà ulteriori riduzioni". "Inoltre", ha concluso Picchedda, "che l’amministrazione centrale pensi a destinare i fondi per realizzare due strutture dove stipare mafiosi e camorristi senza dare garanzie precise ai territori e senza rinfoltire gli organici, è assolutamente inaccettabile.

Abbiamo chiesto più volte un colloquio con il provveditore regionale Francesco Massidda, ma, nonostante la mediazione del presidente Cappellacci e del vicepresidente della commissione giustizia della Camera Federico Palomba, al momento non abbiamo ottenuto risposte". I dipendenti dell’amministrazione penitenziaria in Sardegna sono al momento 1.315 (a giugno 2008 erano 1.324). I detenuti sono invece 2.179, di cui 52 donne. Il 41,8 per cento sono stranieri e il 25,8 per cento tossicodipendenti.

"Non critichiamo il procuratore regionale perché dice di non poter far nulla sulla riduzione degli organici in Sardegna", ha affermato il segretario regionale del Sappe Angelo Gavino Sappe, "ma per il modo in cui sono gestite le forze in campo. Peraltro, il suo rifiuto di incontrare i sindacati, viola l’accordo quadro nazionale, che prevede che ogni tre mesi vadano sentite le organizzazioni sindacali per discutere della gestione generale. Questo ha creato nei lavoratori delle carceri un clima di diffidenza diffuso".

"Contro il dottor Massidda lamentiamo la carenza di una contrattazione sindacale per il personale maschile e femminile", ha dichiarato il coordinatore regionale della Cgil sicurezza Efisio Concas. "Non ci sono caserme di polizia nei porti, negli aeroporti e nei nosocomi", ha denunciato. "Gli agenti di polizia penitenziaria sono costretti a spostarsi con vecchie automobili che hanno anche 400 mila chilometri, e spesso succede che diano problemi e si fermino a metà strada.

Negli ospedali le guardie sono costrette a stare con i detenuti ammanettati in mezzo ai normali pazienti. Alcuni istituti mantengono una struttura ottocentesca, con piccoli finestrini e celle da tredici-quattordici detenuti ciascuna". "Non c’è nulla da festeggiare", ha concluso. "Siamo contrari alla stessa festa. Avevamo chiesto che i soldi spesi per quest’ultima fossero mandati ai terremotati dell’Abruzzo o agli alluvionati di Capoterra, ma non siamo stati ascoltati nemmeno per questo".

Modena: Sappe; oggi non ci sono le condizioni per festeggiare

 

Comunicato Sappe, 26 giugno 2009

 

Il sindacato autonomo della Polizia Penitenziaria Sappe manifesterà il suo disappunto sulla criticità delle condizioni in cui versa il Sant’Anna di Modena. I numeri, drammatici, rispecchiano quello che oggi rappresenta un vero e proprio disagio. In un mese la popolazione detenuta, invece di diminuire, si è "arricchita" dell’ingresso di altri ventotto detenuti, per cui ad oggi i ristretti sono 580.

Le azioni intraprese dal Sappe, sindacato maggiormente rappresentativo, sono state molte e tutte di spessore: tutte le Autorità politiche e Amministrative sono state coinvolte, venendo tutte fortemente responsabilizzate.

Dopo l’incontro con il presidente della commissione Giustizia, on. Filippo Berselli e Isabella Bertolini, giunse da Roma, direttamente dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, un provvedimento che invitava la Direzione del carcere ad individuare 150 detenuti da trasferire, alleggerendo in tal modo l’eccessivo sovraffollamento dell’istituto in questione. Purtroppo solo 50 detenuti saranno a breve trasferiti presso altri istituti della penisola. Una piccolissima boccata d’ossigeno che però non può essere considerato un punto di arrivo.

Il sindacato, intenzionato a perorare e a garantire gli impegni assunti, ha già incontrato il 24 giugno Andrea Leoni, al quale hanno rappresentato ad oggi, il mancato rispetto del provvedimento di trasferimento, essendo solo un terzo i detenuti individuati e prossimi ad essere tradotti presso altre strutture penitenziarie. Qualcuno ha giocato sul provvedimento che investiva il carcere di Modena: infatti, mentre da Modena andranno via solo 50 detenuti, a Bologna, come decantato alla stampa dal Provveditore regionale Nello Cesari, ne partiranno 100. Il Sappe sospetta una "furbata", di certo architettata a dovere dal furbetto di turno. Per questo motivo, sin da subito, l’entourage di Isabella Bertolini ha subito attivato i dovuti controlli, volti a far luce sulla questione alquanto imbarazzante. Qualcuno si è preso gioco della Polizia Penitenziaria di Modena!

Per il resto, la mancata adesione all’annuale del Corpo della Polizia Penitenziaria, è anche l’occasione per rivendicare di come ormai il carcere sia una vera e propria polveriera: questa mattina, a seguito dell’ingresso di altro detenuto proveniente dalla libertà, non vi era più nemmeno un materasso, e le celle, che sono in misura di tre metri per quattro con un piccolo bagno, sono già occupate da cinque detenuti, alcuni dei quali dormono sotto le brande degli altri ristretti e per giunta sul pavimento.

Da novembre 2008 ad oggi oltre 2000 traduzioni sono state effettuate, con i disastrati mezzi che l’Amministrazione Penitenziaria ancora oggi mette a disposizione del Nucleo Traduzioni e Piantonamenti, e, notizia dell’ultima ora, ne sono ahimè rimasti solo due (immatricolati nel 1991) in quanto gli altri a disposizione sono tutti guasti e non riparabili per mancanza di fondi. L’esiguo personale rimasto espleta ormai servizi di cui si conosce solo l’inizio e non la fine, con gravi ripercussioni sulla vita familiare. Peccato per la festa, ma il Sappe sostiene che non c’è proprio niente da festeggiare.

Pordenone: Senatori Pd; sul carcere interrogazione al ministro

 

Messaggero Veneto, 26 giugno 2009

 

I senatori del Pd Carlo Pegorer, Flavio Pertoldi e Tamara Blazina hanno interrogato il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, sul problema del sovraffollamento del carcere di Pordenone e di quello di Trieste. "Il ministro Alfano è informato della grave situazione di sovraffollamento del carcere di Trieste e delle pessime condizioni negli altri istituti del Friuli Venezia Giulia come quello di Pordenone?" hanno scritto i tre senatori.

I tre esponenti dell’opposizione hanno chiesto ad Alfano "se non ritiene necessario adottare urgentemente provvedimenti per rimuovere tale disagi e garantire ai detenuti adeguate condizioni nel rispetto degli standard di sicurezza, così spesso invocata dall’attuale Governo, anche al fine - hanno scritto - di ristabilire un clima più adeguato al non facile processo di rieducazione su cui si basa la legittimità della pena nell’ordinamento costituzionale italiano".

Gorizia: provincia fa sondaggio internet sul futuro del carcere

 

Ansa, 26 giugno 2009

 

La Provincia di Gorizia ha avviato sul suo sito internet (www.provincia.gorizia.it) un sondaggio "per far scegliere ai cittadini il futuro del carcere cittadino". "Quale potrà essere il futuro per il carcere ora presente a Gorizia?", è la domanda alla quale i cittadini potranno scegliere tra la possibilità di ristrutturare l’esistente di via Barzellini, lo spostamento nella sede del Cpt di Gradisca d’Isonzo o, infine, la ristrutturazione di una caserma dismessa sul territorio isontino. "Stiamo cercando di sviluppare forme di partecipazione pubblica diretta - ha spiegato la Provincia - nel tentativo di cogliere le volontà e le opinioni della gente isontina, per operare in maniera condivisa e trasparente".

Parma: i detenuti si raccontano con lavoro di gruppo dell’Ausl 

 

www.parmadaily.it, 26 giugno 2009

 

Un anno di lavoro, 3 laboratori - musica, pittura e giornalismo - 67 persone coinvolte. Sono i numeri dei progetti realizzati, con il coordinamento dell’èquipe carcere dell’Ausl, all’interno degli Istituti Penitenziari di Parma.

Questi i progetti: la musicoterapia, per migliorare la qualità della vita attraverso l’utilizzo dell’espressione sonoro-musicale quale forma di comunicazione; il progetto di pittura murale "Trompe l’oeil", centrato sul tema della pittura creativa, che ha visto la realizzazione di opere nel corridoio di accesso alle celle, nella casa di reclusione; il progetto "Parole in libertà", centrato sul tema della scrittura giornalistica, per apprendere nuove modalità di auto-osservazione ed auto-espressione.

L’attività di gruppo, rivolta a persone detenute con problematiche legate all’abuso di sostanze, è parte integrante del percorso terapeutico offerto dall’Azienda sanitaria all’interno del carcere, con l’obietto di offrire ai partecipanti un’occasione di riflessione sui propri vissuti, per riprogettare, con consapevolezza, il proprio futuro.

La presentazione dei lavori si terrà lunedì 29 giugno, alle 13, nel teatro del carcere. Intervengono: Lucia Monastero, vice direttore degli Istituti penitenziari di Parma, Augusto Zaccariello, comandante della polizia penitenziaria di Parma, Nello Cesari, provveditore dell’amministrazione penitenziaria per l’Emilia Romagna, Paolo Volta, direttore programma dipendenze patologiche dell’Ausl, Rocco Caccavari, esperto in materia di tossicodipendenza. Questo evento è organizzato in occasione della giornata di lotta alla droga, che si celebra in tutto il mondo il 26 giugno.

Immigrazione: appello; perché diciamo "no" reato clandestinità

 

Il Manifesto, 26 giugno 2009

 

Il disegno di legge n. 733-B attualmente all’esame del Senato prevede varie innovazioni che suscitano rilievi critici. In particolare, riteniamo necessario richiamare l’attenzione della discussione pubblica sulla norma che punisce a titolo di reato l’ingresso e il soggiorno illegale dello straniero nel territorio dello Stato, una norma che, a nostro avviso, oltre ad esasperare la preoccupante tendenza all’uso simbolico della sanzione penale, criminalizza mere condizioni personali e presenta molteplici profili di illegittimità costituzionale.

La norma è, anzitutto, priva di fondamento giustificativo, poiché la sua sfera applicativa è destinata a sovrapporsi integralmente a quella dell’espulsione quale misura amministrativa, il che mette in luce l’assoluta irragionevolezza della nuova figura di reato; inoltre, il ruolo di extrema ratio che deve rivestire la sanzione penale impone che essa sia utilizzata, nel rispetto del principio di proporzionalità, solo in mancanza di altri strumenti idonei al raggiungimento dello scopo. Né un fondamento giustificativo del nuovo reato può essere individuato sulla base di una presunta pericolosità sociale della condizione del migrante irregolare: la Corte cost. ha infatti già escluso che la condizione di mera irregolarità dello straniero sia sintomatica di una pericolosità sociale dello stesso, sicché la criminalizzazione di tale condizione stabilita dal disegno di legge si rivela anche su questo terreno priva di fondamento giustificativo.

L’ingresso o la presenza illegale del singolo straniero dunque non rappresentano, di per sé, fatti lesivi di beni meritevoli di tutela penale, ma sono l’espressione di una condizione individuale, la condizione di migrante: la relativa incriminazione, pertanto, assume un connotato discriminatorio ratione subiecti contrastante non solo con il principio di eguaglianza, ma con la fondamentale garanzia costituzionale in materia penale, in base alla quale si può essere puniti solo per fatti materiali. L’introduzione del reato in esame, inoltre, produrrebbe una crescita abnorme di ineffettività del sistema penale, gravato di centinaia di migliaia di ulteriori processi privi di reale utilità sociale e condannato per ciò alla paralisi (...).

"Gli squilibri e le forti tensioni che caratterizzano le società più avanzate producono condizioni di estrema emarginazione, sì che (...) non si può non cogliere con preoccupata inquietudine l’affiorare di tendenze, o anche soltanto tentazioni, volte a "nascondere" la miseria e a considerare le persone in condizioni di povertà come pericolose e colpevoli". Le parole con le quali la Corte costituzionale dichiarò l’illegittimità del reato di "mendicità" (sent. n. 519 del 1995) offrono ancora oggi una guida per affrontare questioni come quella dell’immigrazione con strumenti adeguati allo loro straordinaria complessità e rispettosi delle garanzie fondamentali riconosciute dalla Costituzione a tutte le persone.

 

Firmatari: Angelo Caputo, Domenico Ciruzzi, Oreste Dominioni, Massimo Donini, Luciano Eusebi, Giovanni Fiandaca, Luigi Ferrajoli, Gabrio Forti, Roberto Lamacchia, Sandro Margara, Guido Neppi Modona, Paolo Morozzo della Rocca, Valerio Onida, Elena Pacioni, Giovanni Palombarini, Livio Pepino, Carlo Renoldi, Stefano Rodotà, Arturo Salerni, Armando Spataro, Lorenzo Trucco, Gustavo Zagrebelsky

Droghe: Agnoletto; da Giovanardi solo parole, ma nessun fatto

 

Redattore Sociale - Dire, 26 giugno 2009

 

Il fondatore della Lila: "La criminalizzazione dei consumatori continua ad essere la linea guida del governo. Fatta esclusione per certi festini".

"Da Giovanardi tante parole, ma nessun fatto: il governo è totalmente indifferente rispetto ai bisogni delle realtà che si occupano di contrasto alle tossicodipendenze. Gli sforzi dell’esecutivo non sono assolutamente orientati verso le politiche serie ed efficaci che servirebbero per contrastare il narcotraffico, quanto piuttosto sulla continua criminalizzazione dei consumatori e sulla repressione.

E di fronte alle notizie dei fiumi di cocaina che girerebbe in certi festini, è evidente che non tutti i consumatori di sostanze stupefacenti sono uguali", dichiara Vittorio Agnoletto, eurodeputato uscente, già fondatore e presidente della Lega Italiana per la Lotta contro l"Aids, medico, alla vigilia della Giornata mondiale contro la droga.

"L’Italia è il fanalino di coda in Europa nelle politiche sulle droghe. L’allarme sull’aumento del consumo di droghe è sempre alto, ma il governo intanto ha cancellato i progetti di riduzione del danno: nonostante tutte le istituzioni europee abbiano da tempo sottolineato l’importanza di questi progetti, ovvero interventi di strada, unità mobili, centri a bassa soglia, somministrazione di farmaci sostitutivi, Giovanardi annuncia nelle linee guida appena presentate nuovi tagli in questo senso.

La strategia del governo è arretrata su tutti i fronti: non abbiamo, ad esempio, il test rapido, ossia la possibilità di individuare attraverso un’analisi veloce della sostanza cosa contiene, per avvisare gli assuntori e tutelarne la salute, come avviene in altri Paesi europei. Di fronte a un mercato e a stili di consumo in forte evoluzione il governo non fa altro che dare risposte ideologiche, prive di fondamento scientifico: di fatto continua ad essere corresponsabile di tante morti che si potrebbero evitare".

Droghe: Gatti (Asl); trovare nuovo modo per fare prevenzione

di Daniele Biella

 

Vita, 26 giugno 2009

 

Droga, è emergenza educativa. "Ma non per i giovani. Piuttosto, per gli adulti, che non stanno più al passo delle nuove generazioni e delle loro forme di comunicazione". Ha le idee chiare in tal senso Riccardo Gatti, direttore del Dipartimento delle Dipendenze della Asl di Milano. Vita gli ha chiesto, in occasione della Giornata internazione della lotta alla droga ("una ricorrenza che rischia di essere di debole impatto, visto che oggi le energie per combattere le droghe non sono sufficienti", afferma Gatti), di fare il punto sul significato attuale del "fare prevenzione", anche alla luce del suo impegno con Prevolab, l’Osservatorio nato in seno al Dipartimento che Gatti dirige.

 

In che senso l’emergenza educativa di oggi riguarda gli adulti?

Ai nostri giorni esistono differenze generazionali molto grandi nell’attribuire un significato univoco al fenomeno droga. Ci sono almeno tre categorie che vedono le cose in modo completamente diverso: quella dei "grandi", con più di 50 anni, quella media tra i 30 e i 50, e i "ragazzi", sotto i 30. Ebbene, per i primi la prevenzione significa lotta alle droghe in genere, per i secondi alle tossicodipendenze, mentre i giovani pensano più agli incidenti stradali. Tre mondi distinti anche per quanto riguarda i filtri educativi a disposizione: per gli over 50 c’erano scuola, famiglia, radio e giornali, per la fascia intermedia è arrivata la televisione, per gli under 30 si è aggiunta la multimedialità, internet, un media senza filtri.

 

C’è comunicazione tra questi tre mondi?

Sempre meno. Con internet, Youtube e via dicendo il processo educativo vecchio, quello basato sull’esperienza, è oggi inutile. L’educatore di un tempo non educa perché non riesce più ad accompagnare il giovane. Ad esempio, ci si riferisce al web come "realtà virtuale", ma per lo meno è interattiva, non a senso unico come invece lo sono tv e giornali, in questo senso quindi ancora più virtuali. Faticando a stare al passo con i nuovi linguaggi dei ragazzi, l’unico argine che si riesce tuttora a trovare sono nuove norme, che però arrivano sempre troppo tardi, quando, volendo usare una metafora, "si è già andati a sbattere contro il guardrail", ovvero il danno è già compiuto. Prevenire oggi significa arrivare a capire che internet non è né un alleato né un avversario, ma un media che va valorizzato. Purtroppo oggi però non siamo ancora in grado di trovare in che modo valorizzarlo, e quindi si è preda dei ‘furbi’ che invece sanno usare alla perfezione le nuove tecnologie, veicolando messaggi in cui si ha un ritorno commerciale, legale o illegale che sia. E i mezzi d’informazione, per certi versi, fanno il loro gioco.

 

In che senso?

Sempre più spesso sulle testate on-line si discute di nuovi fenomeni legati all’uso di sostanze, se non di nuove sostanze stesse e dei loro effetti, si intervistano persone magari anche famose "che ne hanno fatto uso". È controproducente, più se ne parla più si sta al gioco di chi vuole guadagnarci, sia con la vendita on-line che tramite i canali normali.

 

Come uscirne?

Bisogna trovare un nuovo modo di fare prevenzione. Non dico di creare siti web appositi, non servirebbe a nulla. Piuttosto, entrare sempre di più in questo nuovo mondo multimediale volendo "studiare", imparare, per poi riuscire a intervenire. Non si è davanti a continue emergenze legate alla droga, ci si trova di fronte invece a una realtà sempre più complessa, che va prima accettata come tale per poi riuscire a essere davvero efficaci sulla lotta alle droghe. In questa direzione, istituzioni e operatori hanno molta strada ancora da compiere, e lo si è visto nell’ultimo Convegno nazionale di Trieste, che è risultato essere una fotografia statica, senza slancio né conclusioni concrete. Una lentezza, quella degli addetti ai lavori, che si rivela anacronistica, perché lavora con un mondo sempre più rapido e sfuggevole, quindi più difficile da intercettare.

Droghe: Braccio di Ferro "vietato a minori" perché fuma pipa

 

Ansa, 26 giugno 2009

 

Popeye rischia di diventare "vietato ai minori", se non smette di fumare la pipa. Il famoso marinaio potrebbe essere l’insolita vittima della crociata anti-fumo del Primary Care Trust (Pct) di Liverpool, in Gran Bretagna, che chiede la messa al bando di sigarette, sigari, pipe e affini dai film, cartoni animati inclusi. Altrimenti, vanno vietati agli under 18.

Sotto la scure del divieto potrebbe cadere, appunto, Braccio di ferro, nonostante da decenni invogli i bimbi di tutto il mondo a mangiare gli spinaci, ma anche altri personaggi dei cartoon con il vizio del fumo, come Bugs Bunny o il neonato di "Chi ha incastrato Roger Rabbit?", si legge su diversi quotidiani e tabloid britannici.

Il piano è ancora sottoposto a una consultazione generale. Le autorità politiche cittadine sono piuttosto scettiche sulla proposta, che non esitano a definire "censura". Il sostegno al divieto di fumo è incondizionato, spiegano, ma non ci sono "argomenti razionali" a sostegno della tesi che bimbi e ragazzini siano sedotti dalle sigarette viste nei film. Obiettano che "chi guarda un film su Che Guevara, non diventa un rivoluzionario".

I contrari alla proposta, inoltre, fanno presente che il Pct ha questioni più importanti di cui occuparsi, come la difficoltà dei cittadini a prenotare una visita dal medico o ad avere una terapia senza mettere mano al portafoglio. Un portavoce del Pct conferma la richiesta che "i film, compresi i cartoni animati, con personaggi che fumano vengano vietati ai minori, a meno che non mostrino i danni causati dal consumo di tabacco alla salute".

 

 

Segnala questa pagina ad un amico

Per invio materiali e informazioni sul notiziario
Ufficio Stampa - Centro Studi di Ristretti Orizzonti
Via Citolo da Perugia n° 35 - 35138 - Padova
Tel. e fax 049.8712059 - Cell: 349.0788637
E-mail: redazione@ristretti.it
 

 

Precedente Home Su Successiva