Rassegna stampa 27 giugno

 

Giustizia: 64mila detenuti,140mila prescrizioni; serve l'amnistia!

di Rita Bernardini (Radicali Italiani)

 

Terra, 27 giugno 2009

 

Lo stato della giustizia in Italia ha raggiunto livelli di inefficienza assolutamente inaccettabili, sconosciuti in altri Paesi democratici. Da anni e in modo permanente l’Italia versa, in una situazione di illegalità tale da aver generato numerosissime condanne da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo.

Questa denuncia costantemente documentata nel corso dei decenni dai Radicali oggi è riconosciuta ovunque nel panorama politico italiano, ma poco credibili sono i richiami alla riforma di quella che efficacemente Pannella ha definito "la più grande questione istituzionale e sociale del nostro Paese".

Oggi Silvio Berlusconi invoca la separazione della carriere dei magistrati e la trasformazione del Csm troppo correntizio, ma nel suo discorso di insediamento alle Camere volto a illustrare il programma di governo, non fece alcun cenno ai temi della giustizia se non legandoli al problema quanto creato ad arte della sicurezza.

Un silenzio significativo che come delegazione radicale all’interno del gruppo parlamentare del Pd non esitammo a censurare in aula, seppure dichiarandoci pronti a dare il nostro contributo nel momento in cui l’attuale maggioranza avesse deciso di elaborare e mettere all’ordine del giorno un piano per una riforma organica della giustizia.

È da tempo, infatti, che noi Radicali riteniamo non più rinviabile un intervento legislativo che non solo difenda il "giusto processo", garantisca la "terzietà" del giudice, riformi il codice penale e la legge sull’ordinamento giudiziario, ma che, soprattutto, si ispiri a un’idea organica e moderna della funzione del processo e della pena.

Continuare, invece, a contrapporsi, come fino a oggi è avvenuto, tra destra e sinistra, su specifici interventi settoriali, sulle singole norme, spesso partendo da singoli episodi di cronaca, non è degno della funzione della politica.

A parte le considerazioni assolutamente negative sul famigerato Lodo Alfano dove, perlomeno, le intenzioni sono palesi, anche la nuova disciplina sulle intercettazioni telefoniche, approvata alla Camera e attualmente in discussione al Senato, pare ispirata a una visione del legislatore miope e limitata (la necessità di impedire illegittime pubblicazioni di notizie di reato), senza farsi carico di come questo indispensabile intervento legislativo debba inserir si nel più ampio panorama dei mezzi investigativi e della formazione della prova.

Da questo punto di vista pei noi Radicali il problema non è tanto (e comunque non solo) di quali tipologie di reati "intercettare" o per quanto tempo, ma della effettività dei controlli sui parametri legislativi che già oggi sono previsti dal codice di procedura penale (il giudice che autorizza l’intercettazione non è infatti un giudice terzo stante la mancata separazione delle carriere).

È bene fin da ora chiarire che anche la migliore e ideale riforma, sarà nulla se non si partirà con un azzeramento della situazione esistente: la zavorra dei quasi tre milioni e mezzo di processi penali pendenti, infatti, non potrà far decollare nessuna riforma. C’è dunque bisogno di una amnistia. Era quello che avevamo chiesto assieme a presidente della Repubblica Napolitano con la "Marcia di Natale del 2005" e di cui c’era bisogno per il Paese. È quello di cui hanno bisogno gli stessi magistrati per tornare a lavorare serenamente t in condizioni umanamente accettabili.

Insomma, l’amnistia rappresenta un atto di buon governo ormai necessario e, dati alla mano, assolutamente improcrastinabile. Basti pensare al fatto che a fronte dei quasi 64mila detenuti ogni anno 140mila reati cadono in prescrizione. Ciò vuol dire che all’aumento delle carcerazioni si accompagna un altrettanto vertiginoso aumento delle prescrizioni.

Da una parte, dunque, abbiamo l’amnistia strisciante, crescente, nascosta e di classe delle prescrizioni e, dall’altra, il popolo e le cifre dell’esclusione sociale, dei senza avvocati e senza difesa, degli immigrati e dei tossicodipendenti, ultra penalizzati e verso i quali si scarica per intero e inesorabilmente la mano pesante della macchina della giustizia.

Mi dà fiducia concludere con una citazione di Nicolò Amato, capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria in anni difficili, durante il recente Congresso Uil penitenziari: "L’utopia alcune volte salva la speranza, perché come diceva un’antica massima, "gli innocenti non sapevano che la cosa era impossibile, e dunque la fecero".

Giustizia: il Piano carceri? è uno "spot", patrie galere al collasso

di Gennaro Santoro (Coordinatore Associazione Antigone)

 

Aprile on-line, 27 giugno 2009

 

Lo spot "piano carceri" propinato dal governo non risolverà il dramma del sovraffollamento in quanto prevede 18.000 posti in più entro il 2012 mentre ne servirebbero (almeno) 57.000. Il carcere è un’istituzione totale chiusa dove l’assenza di mediazione è sinonimo di assenza di diritto. Ed è la cartina di tornasole dello stato di salute di una democrazia. Promuovere e garantire i diritti di chi è detenuto significa, in ultima istanza, contribuire ad arginare la deriva democratica (e culturale) che dilaga nella nostra società.

Oltre il tollerabile. È questo il titolo significativo dell’iniziativa dell’Associazione Antigone del prossimo 30 giugno (ore 10.00, Istituto di studi italo-francesi dell’Università di Roma tre, Piazza Campitelli, Roma).

Le patrie galere sono infatti al collasso, avendo largamente superato il limite della capienza tollerabile. Sono quasi 64.00 i detenuti, più di quelli presenti prima del tanto contestato indulto, contro una capienza regolamentare di circa 43.000 posti. Intanto i detenuti aumentano di 1.000 unità al mese, grazie alle leggi riempi carcere (la Bossi-Fini sull’immigrazione, la Fini-Giovanardi sulle droghe e la ex Cirielli sulla recidiva). Visto che in Italia un processo penale dura in media tre-quattro anni, si spiega perché solo ora si subiscono gli effetti inflattivi di quelle tre leggi. E la situazione è destinata a peggiorare non appena entrerà in vigore il reato di clandestinità.

Dunque, lo spot "piano carceri" propinato dal governo non risolverà il dramma del sovraffollamento in quanto prevede 18.000 posti in più entro il 2012 mentre ne servirebbero (almeno) 57.000.

Intanto i detenuti (il 60% è in attesa di giudizio, presunti innocenti) si preparano a vivere in celle sovraffollate i mesi più afosi dell’anno. L’Italia continua a detenere il 156 posto al mondo per il funzionamento della giustizia, con i suoi tre milioni e mezzo di processi penali pendenti (cinque milioni quelli civili). Ma l’importante per il governo è gettare fumo negli occhi negli italiani, illudere che vi sarà maggiore certezza della pena, maggiore sicurezza.

Così si preferisce continuare ad intervenire con provvedimenti inutili e populisti al posto di dare priorità alla diminuzione delle fattispecie penali. Eppure soltanto tale riduzione può snellire il carico di lavoro dei tribunali e, di conseguenza, migliorare l’efficienza degli stessi.

Così si preferisce continuare a prevedere il carcere come unica modalità (o quasi) di scontare la pena piuttosto che ricorrere maggiormente alle misure alternative alla detenzione carceraria. Eppure le misure restrittive della libertà diverse dal carcere abbattono la recidiva molto più che la pena carceraria. Basti pensare che in Italia, secondo le statistiche del Ministero, reitera il reato il 68% degli ex detenuti, mentre cade nella recidiva il 19% di coloro che hanno usufruito di una misura alternativa.

In questo contesto, l’iniziativa dell’Associazione Antigone del prossimo 30 giugno ha innanzitutto il merito, con la presentazione del VI Rapporto sulle condizioni di detenzione, di sensibilizzare l’opinione pubblica sull’inefficacia delle politiche securitarie e sulle nefaste conseguenze di tali provvedimenti (anche) nella quotidianità della vita carceraria.

Ma il merito dell’iniziativa è anche quello di proporre in concreto uno strumento di tutela per la garanzia dei diritti dei detenuti: il Difensore civico. Un’autorità garante prevista in quasi tutti i paesi Ue ma che in Italia non riesce ad essere istituita. Dopo 10 anni di faticosi tentativi legislativi, l’Associazione Antigone ha deciso di dotarsi di un proprio Difensore civico, Stefano Anastasia, che presenterà la relazione sul primo anno di attività dell’ufficio in compagnia di Mauro Palma (Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura), Patrizio Gonnella (Presidente Antigone) e Daniela Ronco (curatrice del VI rapporto di Antigone sulle carceri).

Dalla relazione emergono con chiarezza gli effetti negativi del sovraffollamento: celle insalubri, violenze, trasferimenti coatti in luoghi lontani da casa, assenza di progetti educativi. Ma, in chiave costruttiva, emerge anche che laddove il Difensore è intervenuto, nella maggior parte dei casi, il problema è stato risolto o segnalato all’autorità competente. Una goccia nell’oceano che però dimostra l’utilità dell’istituzione di un’Autorità nazionale per la tutela dei diritti dei detenuti. Perché il carcere è un’istituzione totale chiusa dove l’assenza di mediazione è sinonimo di assenza di diritto. E il carcere è la cartina di tornasole dello stato di salute di una democrazia. Promuovere e garantire i diritti di chi è in carcere significa, in ultima istanza, contribuire ad arginare la deriva democratica (e culturale) che dilaga nella nostra società.

Giustizia: Gasparri (Pdl); l'inefficienza Dap, aggrava i problemi

 

Ansa, 27 giugno 2009

 

"Ho ancora una volta raccolto l’appello del Sappe e di numerosi sindacati della Polizia Penitenziaria che tornerò ad incontrare nei prossimi giorni anche per assumere, d’intesa con loro, iniziative nell’ambito del Senato. L’inefficiente gestione del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria aggrava un’emergenza che deve essere affrontata con vigore e determinazione". Lo afferma Maurizio Gasparri, capogruppo del Pdl al Senato.

"Ho purtroppo più volte rappresentato questa esigenza ai vertici del ministero della Giustizia - prosegue - ma credo che si debba e si possa fare di meglio e di più. Si devono affrontare i problemi del personale oltre che quelli dell’edilizia carceraria. Ci sono piani ed intenzioni, ma occorre un maggiore impulso all’iniziativa operativa. La stessa gestione del Dap presenta croniche debolezze e le proposte e le osservazioni che sono state fatte dai sindacati della Polizia Penitenziaria sono ragionevoli e condivisibili". "Credo che oramai - aggiunge - sia maturo il tempo per un’iniziativa in ambito parlamentare che consenta l’esame e la discussione di queste vicende, al fine di ottenere dal Ministero della Giustizia concrete risposte che sin qui sono purtroppo mancate, nonostante le numerose e responsabili sollecitazioni avanzate. Così non si può più andare avanti".

Giustizia: Osapp; agenti penitenziari protestano in tutta Italia

 

Ansa, 27 giugno 2009

 

"La Polizia Penitenziaria si sta mobilitando in tutto il territorio nazionale ed il ministro Alfano è come se fosse distolto da altre faccende": lo afferma Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma della Polizia Penitenziaria (Osapp).

"Con i detenuti presenti adesso nelle carceri italiane, affidarsi al piano carceri non può trovarci concordi - osserva Beneduci -. Di assunzioni straordinarie promesse, nemmeno l’ombra e il piano Alfano (che il Ministro continua a chiamare Ionta) è ancora chiuso nel cassetto. Le carceri nuove, che solo nel Lazio vedono Rieti e Viterbo in attesa di apertura, nonché il braccio ristrutturato a Regina Coeli, giacciono lì con il rischio di non essere mai messe in uso". Oggi - dice una nota - una manifestazione di protesta si è svolta nel carcere di San Gimigliano. Le proteste continueranno il 30 giugno a Milano, il 21 luglio a Napoli e si concluderanno il 22 settembre a Roma.

Giustizia: sovraffollamento anche in Ipm; 540 ragazzi nelle celle

 

Redattore Sociale - Dire, 27 giugno 2009

 

Sono 100 in più rispetto alla capienza prevista. Al Beccaria di Milano la festa del corpo di Polizia penitenziaria. Pesarin: "I minori sono sempre più violenti". 18 mila quelli che scontano la pena fuori dagli istituti.

Anche negli istituti penali per i minorenni c’è sovraffollamento. I reclusi di età fra i 14 e i 18 anni, sono infatti 540 in Italia, circa 100 in più rispetto alla loro capienza. A lanciare l’allarme è Serenella Pesarin, direttore generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari per i minori del ministero della Giustizia, che è intervenuta questa mattina alla festa del corpo di Polizia penitenziaria al Beccaria di Milano (vedi lanci successivi). "Possono sembrare numeri piccoli - afferma Serenella Pesarin - se paragonati ai circa 60 mila detenuti delle carceri per adulti. Ma 100 minori in più rispetto a una capienza di 400 è una situazione ancora più grave". Rispetto al 2008 la situazione è peggiorata: in media l’anno scorso erano reclusi 470 minori, il 55% italiani e il 45% stranieri.

Il tutto esaurito nei 18 istituti penitenziari non dipende da un aumento dei reati. "Stanno cambiando le modalità con le quali i minori delinquono - spiega Serenella Pesarin -. Sono sempre più violenti e per questo finiscono in istituto". Il dipartimento per la giustizia minorile inoltre segue circa 18 mila minori che stanno scontando la pena fuori dagli istituti, in comunità, in affido ai servizi sociali o in regime di detenzione domiciliare.

La soluzione al sovraffollamento? Certo non è quella di costruire nuovi istituti per minori. "Ci vogliono più progetti educativi che permettano a questi giovani di scontare la pena fuori -sottolinea Serenella Pesarin -. Inoltre gli adulti devono chiedersi che tipo di educazione stanno dando alle future generazioni. Sono giovani senza punti di riferimento".

Giustizia: interrogazione sul Concorso per i 133 Vice Commissari

 

www.camera.it, 27 giugno 2009

 

Interrogazione a risposta orale 3-00570, presentata da Luciano Ciocchetti giovedì 25 giugno 2009, seduta n.193. Ciocchetti e Rao. Al Ministro della giustizia.- Per sapere - premesso che:

il concorso pubblico per complessivi 133 posti di vice commissario in prova del Corpo di polizia penitenziaria, bandito nel 2006, è giunto al termine nel maggio scorso, dopo un lungo e rigoroso iter selettivo della durata complessiva di tre anni, conclusosi con il conseguimento dell’idoneità da parte di circa trecento giovani laureati;

il Governo sta provvedendo alla predisposizione di un apposito piano organico delle carceri italiane che ha lo scopo di risolvere la questione del sovraffollamento, dato l’esaurimento del cosiddetto "effetto indulto", attraverso la realizzazione di ben ventiquattro nuovi istituti di pena e la predisposizione di nuovi padiglioni detentivi all’interno di istituti preesistenti;

è opportuno notare che sono presenti sul territorio nazionale istituti ultimati dal punto di vista edilizio ma non ancora operativi per carenza di personale;

per questi motivi si renderà necessario far fronte al problema del sovraffollamento, non solo predisponendo nuove strutture, ma anche prevedendo un adeguato e consistente incremento numerico del personale del Corpo della polizia penitenziaria, che già ad oggi risulta essere insufficiente, attesa la lamentata carenza di organico in tutto il territorio nazionale;

in particolare, appare urgente ridefinire le piante organiche del ruolo direttivo ordinario del Corpo, risalenti all’ormai datato decreto legislativo n. 146 del 2000, non solo in funzione del nuovo piano carceri ma anche in considerazione del fatto che esse sono ferme ad un contesto in cui molte delle attuali attività istituzionali del Corpo non erano ancora state assegnate allo stesso;

sarebbe, inoltre, opportuno procedere quanto prima al riallineamento dei funzionari del ruolo direttivo, anche al fine di evitare ogni elemento di sperequazione rispetto ad altri corpi di polizia ad ordinamento civile, quali la Polizia di Stato e il Corpo forestale dello Stato;

infine, il passaggio degli attuali commissari alla qualifica superiore di commissario capo comporterà un’ulteriore carenza di organico. Pertanto, lo svolgimento di un eventuale nuovo concorso, da un lato, produrrebbe un elevato dispendio di risorse economiche (in contrasto con i principi di economicità ed efficienza cui deve ispirarsi l’attività della pubblica amministrazione), nonché il decorso di numerosi anni per l’espletamento delle prove selettive; dall’altro, svilirebbe la professionalità, la preparazione e l’entusiasmo dimostrati dai concorrenti, giudicati già idonei e desiderosi di entrare a far parte quanto prima del ruolo direttivo del Corpo di polizia penitenziaria -:

se non ritenga opportuno, ove non sia possibile un ampliamento che coinvolga tutti gli idonei, adottare provvedimenti finalizzati allo scorrimento della graduatoria definitiva.

Giustizia: Manuel morì in carcere; interviene l'Italia dei Diritti

 

www.imgpress.it, 27 giugno 2009

 

Anche l’Italia dei Diritti, il movimento a carattere nazionale presieduto da Antonello De Pierro, che sin dalla sua costituzione si occupa di tutelare i diritti dei cittadini e di sollevare di fronte all’opinione pubblica eventuali soprusi ai danni di essi, scende in campo al fianco dei famigliari di Manuel Eliantonio, al fine di fare chiarezza su una vicenda alquanto complicata e oscura.

Una vicissitudine iniziata la sera del 23 dicembre del 2007 quando una macchina con a bordo cinque ragazzi, uno dei quali Manuel, viene fermata dalla polizia stradale in un autogrill della A6 Torino-Savona. Il protagonista dell’accaduto, la cui notorietà in seguito alla sua morte è ormai l’unica cosa certa, è stato l’unico a reagire al fermo e a fuggire.

Questo lo porterà in carcere con un’accusa ben precisa: resistenza a pubblico ufficiale. Il 16 gennaio gli vengono concessi gli arresti domiciliari, revocati due mesi dopo per non aver rispettato l’obbligo di dimora. Da quel momento in poi inizia il calvario di Manuel Eliantonio. Dopo essere stato condannato a 5 mesi e 10 giorni, morirà suicida, secondo gli atti, nel successivo mese di luglio. Ma a contraddire le pratiche, ormai chiuse con il lucchetto dell’omertà, i segni visibili sul corpo della vittima: lividi, percosse e tracce di sangue che sembrerebbero stridere con la presunta causa del decesso. Sarebbe morto, infatti, dopo aver ingerito una corposa dose di butano.

A nulla è servita la reazione della madre che ha prontamente denunciato l’accaduto, dichiarando che il ragazzo avesse timore di qualsiasi tipo di gas e portando alla ribalta delle cronache il fatto che la notifica del decesso sia giunta alla famiglia con una semplice telefonata, che invitava oltretutto la donna a non recarsi nel carcere in cui suo figlio era detenuto, perché la sua vita non esisteva più. E infatti al suo posto, la madre ha trovato, raggiungendo immediatamente l’obitorio del San Martino a Genova, il corpo esanime di un 22enne, come freddamente annunciato dalla comunicazione telefonica.

A sostenere la tesi dei famigliari, ovvero che Manuel non si sia suicidato, una lettera da lui firmata e giunta alla madre che parlerebbe di abusi nei suoi confronti. Sembra infatti che subisse percosse e fosse costretto a ingerire psicofarmaci. "Mi sembra innanzitutto doveroso esprimere a nome di tutto il movimento il cordoglio alla madre e a tutti famigliari di Manuel per quanto accaduto" dichiara Antonello De Pierro, presidente dell’Italia dei Diritti.

"Nell’attesa auspico che gli inquirenti agiscano, con la stessa celerità usata l’anno scorso per processare, arrestare e quindi giungere all’archiviazione del caso, al fine di far luce e chiarezza su questa triste e penosa vicenda. Per tale ragione attiveremo al più presto i nostri responsabili di zona, Antonella Silipigni, responsabile per la città di Genova e Maurizio Ferraioli, responsabile per la Liguria per seguire da vicino il caso. Al di là delle motivazioni magari giuste - afferma De Pierro - che hanno portato all’arresto e poi alla condanna, vale a dire la resistenza a pubblico ufficiale, non ci sono giustificazioni per lo scempio che la madre, al momento del riconoscimento, ha trovato davanti a sé.

Le percosse e le umiliazioni alle quali Manuel sarebbe stato sottoposto, risulterebbero piuttosto evidenti dalle foto del suo cadavere che, da quel 25 luglio, giorno della sua morte, affollano le pagine del web. Al contrario i veri motivi del decesso sono taciuti quasi ovunque. La cosa che mi lascia veramente perplesso - aggiunge De Pierro - è che mentre un ragazzo si macchiava di reato di resistenza a pubblico ufficiale, entrando così in una vicenda che lo avrebbe portato a un triste epilogo, ovvero la sua morte, contemporaneamente un personaggio già condannato in via definitiva per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale assumeva l’incarico di ministro dell’Interno nell’attuale governo Berlusconi, a capo degli stessi poliziotti che hanno legittimamente arrestato Manuel".

Giustizia: l'arrivo dei "barbari" e la costruzione Grande Nemico

di Roberto Escobar

 

www.innocentievasioni.net, 27 giugno 2009

 

Come sempre accade, abbiamo fondato la nostra sicurezza e il nostro ordine nella paura, nella sua trasformazione e strutturazione, cercando di ricondurla a una qualche misura, cercando di farne il punto d’appoggio di un qualche senso. Il nostro mondo, anzi proprio la nostra domus è stata così con-fermata e mantenuta, garantita e fondata mediante la contrap-posizione all’insensatezza dell’Altro, al suo disordine.

Ma certo si è trattato per molti anni di una contrapposizione incerta, inadeguata. Se lo specchio dell’Impero (sovietico) del Male era capace di restituirci un’immagine convincente di noi, i barbari brulicanti non lo sono stati, né lo sono. La loro debolezza era ed è troppo evidente, così come la loro povertà. Insomma, quel che ci serviva era un nuovo Grande Nemico. Per la verità, già lo si intravedeva, e proprio in quei barbari, per gran parte provenienti dalle coste meridionali del Mediterraneo e dai Paesi di cultura islamica. Poi, proprio all’inizio del millennio, c’è stata una svolta decisiva, una svolta tragica, come tragico fu l’attentato alle Torri gemelle.

Di colpo, dopo l’11 settembre 2001 il nostro mondo ha ri-trovato un nuovo, antico specchio. Di colpo, istituzioni e centri di potere hanno ritrovato nuovi, antichi slogan. Alla fine, abbiamo ritrovato un nuovo, antico Grande Nemico: l’Islam. E come accade per ogni Grande Nemico, nessuna distinzione facciamo fra individui e individui, gruppi e gruppi, culture e culture. Tutto è ridotto a identità immodificabili, a radici incompatibili, a fedi violente e a dèi e anzi proprio a dèi gelosi. Il mondo è ancora una volta diviso in due, anche se ora non più sul modello moderno delle ideologie e dei partiti ma su quello vecchio, anzi arcaico delle religioni e delle chiese. In ogni caso, la nostra paura promette di farsi di nuovo netta, e perciò densa di certezze e valori.

Giustizia: Maroni; nelle ronde non potrà esserci nessun pistolero

 

Secolo d’Italia, 27 giugno 2009

 

Quando sarà approvato il disegno di legge che disciplina le ronde, non saranno ammissibili pistoleros o Rambo. Lo ha detto ieri il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, nel suo intervento alla conclusione dell’anno accademico della scuola di perfezionamento delle forze di polizia. Il ministro ha spiegato che il ddl sarà approvato dal Senato la prossima settimana e subito dopo sarà licenziato il decreto attuativo, già pronto, che regolamenterà le ronde.

"Oggi ha ricordato Maroni - succede che chiunque può mettersi un berretto in testa e girare per le strade della città. Ciò non sarà possibile con il provvedimento che regolamenterà l’attività della partecipazione di associazioni di cittadini alla sicurezza urbana". È prevista, ha sottolineato, "una procedura rigida per cui è il sindaco che decide se la ronda serve e informa poi il prefetto che riunisce il comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza per stabilire il piano d’azione".

Alle ronde, ha aggiunto, possono partecipare non singoli cittadini, ma associazioni che vengano valutate e necessitano di requisiti molto chiari. I sindaci potranno avvalersi in primo luogo di associazioni di ex poliziotti, carabinieri o appartenenti alle forze armate, e i cittadini che vorranno partecipare dovranno svolgere un corso di formazione". Le ronde, ha proseguito il ministro, "diventeranno così gli occhi e le orecchie delle forze dell’ordine, con il compito di segnalare situazioni di rischio e, in più, di fare prima assistenza quando c’è bisogno".

Giustizia: La Russa; per le "Strade sicure", 1.250 militari in più

 

Asca, 27 giugno 2009

 

Via libera del Cdm alla proroga di sei mesi, con possibilità di proseguire per altri sei, dell’operazione "Strade sicure", con l’arrivo di 1.250 militari in più, che si aggiungono ai precedenti 3.000. Lo ha annunciato il ministro della Difesa Ignazio La Russa in conferenza stampa a Palazzo Chigi.

Di Giovan Paolo (Pd) - "Quando una misura non funziona, in genere, chi ne è responsabile rafforza quel provvedimento. Il ministro la Russa non fa eccezione. Come è avvenuto per i poliziotti di quartiere, non si è avuto notizia di come i militari nelle città siano stati impiegati, se non per sostare di fronte alle ambasciate. La Russa, nei fatti, ammette il fallimento dell’iniziativa e rilancia". Lo afferma in una nota il senatore del Pd Roberto Di Giovan Paolo, segretario della Commissione Affari Europei. "I 1.250 militari in più serviranno a rintracciare quelli di cui non si ha traccia?", si chiede Di Giovan Paolo secondo il quale "La Russa e il governo non hanno capito che l’insicurezza nasce dal disagio sociale e l’unica cosa che sanno fare è inviare più militari in città. Molto meglio sarebbe stato dotare di più strumenti e risorse le forze dell’ordine".

Giustizia: Zanonato; sicurezza con mix severità e integrazione

 

Asca, 27 giugno 2009

 

"Il fatto che io abbia inquadrato con chiarezza il problema della sicurezza non mi ha portato ad avere posizioni simili alla destra. Ho sempre messo in atto politiche di inclusione e integrazione perché la solidarietà è una delle caratteristiche delle politiche sulla sicurezza". È il pensiero espresso da Flavio Zanonato, il riconfermato sindaco di Padova nelle file di centrosinistra.

"Credo che abbia pesato il fatto - dice Zanonato - che il mio antagonista si sia esposto come il sindaco di una parte della città e ha usato solo l’argomento della paura sul tema della sicurezza. Io invece mi sono presentato come il sindaco di tutti i cittadini parlando del futuro di Padova e di programma che contiene anche il capitolo sicurezza ma non solo quello".

"La mia affermazione - ha proseguito il sindaco di Padova - è stata possibile perché si è amministrato in modo positivo e in forte contatto con la città e sicuramente su questo si è costruito un consenso". Inoltre, ammonisce il sindaco "i cittadini vogliono che almeno i problemi siano considerati per avere una soluzione. A volte il centro-sinistra ha dato l’idea non solo di non dare la risposta giusta ma anche di non prendere in considerazione i problemi reali che toccano la gente da vicino".

Per il sindaco di Padova la sicurezza si ottiene con un mix tra intransigenza e integrazione e a questo proposito conclude: "La soluzione della destra propone solo rigore e repressione e a volte è sembrato che la sinistra, in nome dell’integrazione, sacrificasse il rispetto delle regole. Tutti devono rispettare le regole e contemporaneamente si deve puntare all’integrazione".

Giustizia: Sap; istituzione di un Corpo unico nazionale di polizia

 

Asca, 27 giugno 2009

 

"Condividiamo le dichiarazioni del ministro Maroni. Occorre una riforma della 121/1981 in linea con lo spirito originario della legge ed una razionalizzazione delle forze dell’ordine che punti all’istituzione di un unico corpo di Polizia nazionale ad ordinamento civile".

È quanto afferma Nicola Tanzi, segretario generale del Sap, il sindacato autonomo di polizia, commentando quanto dichiarato dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni. "A nostro parere - sostiene il segretario generale del Sap - non è più rispondente ai tempi di oggi una suddivisione delle forze di polizia in cinque corpi, come previsto dalla legge 121: Polizia di stato (108 mila unità), Arma dei carabinieri (110 mila unità), corpo della Guardia di finanza (60 mila unità), Polizia penitenziaria (39 mila) e polizia Forestale (8 mila unità). Occorre avviare, assieme ad un riordino del ruoli e delle funzioni più volte promesso dal governo, un progetto di unificazione dei corpi, ovviamente coi necessari e dovuti accorgimenti che rispettino la storia e la struttura di ciascuno di essi, istituendo un’unica polizia nazionale che ponga fine alle duplicazioni di competenze tra carabinieri e polizia, potendo contare invece sulla specificità delle competenze di finanza, penitenziaria e forestale".

Lazio: Uil; nelle carceri è emergenza, sicurezza non garantita

 

Il Velino, 27 giugno 2009

 

La Uil Pa Penitenziari del Lazio denuncia la grave situazione in cui versano i 14 penitenziari della Regione. Gli istituti gravemente sovraffollati, con la relativa mancanza di spazi e la cronica carenza degli organici della polizia penitenziaria, sono senz’altro le criticità più evidenti e avvertite. "Questa situazione - afferma Daniele Nicastrini, segretario regionale della Uil Pa Penitenziari del Lazio - costringe il personale a turni gravosi ed è foriera di tensioni interne che potrebbero a breve sfociare in vere rivolte. Credo di poter dire che lo stesso mandato costituzionale affidato al Corpo di polizia penitenziaria sia a rischio.

Come si fa, in queste condizioni, ad assicurare sicurezza? Non parliamo di reinserimento e rieducazione che ormai appartengono all’utopia e alla letteratura" Proprio questa mattina i sindacati della penitenziaria hanno manifestato a Viterbo, in contemporanea con la celebrazione della Festa del corpo. "È sempre doloroso manifestare in occasioni di celebrazioni. Ma è necessario - sottolinea Nicastrini -. Sul dramma che investe i nostri penitenziari è stata stesa una incomprensibile cortina di silenzio. Per questo siamo grati al presidente Marrazzo per le parole che ha detto e le sollecitazioni che ha fornito rispetto alla situazione delle carceri laziali. Resta, però, un sostanziale immobilismo che alimenta la rabbia, la sfiducia, la demotivazione del personale costretto a subire ogni giorno la contrizione dei diritti soggettivi"

Anche gli ultimi provvedimenti adottati dal Dap sembrano aver contribuito ad alimentare polemiche e tensioni "A distanza di un mese dalla visita del presidente Ionta al Provveditorato di Roma nulla è mutato. Paradossalmente la situazione è peggiorata. Il Dap ha emesso recentemente alcuni provvedimenti che sottraggono unità dal Femminile di Rebibbia per destinarle alle comode poltrone di Centri Amministrativi - denuncia la Uil Penitenziari del Lazio - ampliando le difficoltà.

Al Dap è ben noto che le persone sono molte di più delle sedie disponibili, ma nulla si fa per riparare a questo spreco che è un’offesa alle difficoltà operative della periferia. Per far fronte all’emergenza occorrono almeno 200 unità , che si possono reperire proprio al Dap. D’altro canto l’amministrazione pretende che si ricorra allo straordinario ma non provvede al pagamento. Sono a rischio le ferie. Saltano i riposi settimanali. In questa situazione non possiamo non ribadire lo stato di agitazione e la sospensione di ogni confronto sindacale . Non posso escludere il ricorso a proteste eclatanti se permane l’indifferenza ai nostri problemi".

Lazio: Garante; pochi agenti, a Rieti il nuovo carcere non apre

 

Ristretti Orizzonti, 27 giugno 2009

 

Tagli di fondi e carenze d’organico: protestano gli agenti di Polizia Penitenziaria. Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: "Gli agenti sono costretti a svolgere un lavoro massacrante. Questa situazione rende ancor più difficile la vita all’interno delle carceri".

"Tagli di fondi e carenze di organico della Polizia Penitenziaria, in concomitanza con l’aumento dei detenuti ai livelli pre-indulto, e l’arrivo delle ferie estive stanno rendendo ancor più difficile la situazione nelle carceri del Lazio e di tutta Italia". È questo il commento del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni alle agitazioni degli agenti di polizia penitenziaria e dei loro sindacati in tutta Italia per sollecitare il Governo a porre rimedio ad una situazione di progressivo degrado delle condizioni di vita e di lavoro in carcere.

L’ormai cronica carenza di personale (secondo i sindacati sono oltre 5.000 gli agenti in meno rispetto alla pianta organica) e i disagi che d’estate caratterizzano le strutture penitenziarie (come il calo delle attività tratta mentali) si ripercuotono negativamente sulla vita di tutti i giorni in carcere. Gli operatori del Garante che quotidianamente monitorano la situazione nel Lazio, segnalano diversi casi specchio di una situazione che tende sempre più ad acuirsi e che colpisce indistintamente tutta la popolazione che ruota intorno al carcere.

Capita, ad esempio, che un solo agente debba occuparsi della vigilanza di un reparto con più di 200 detenuti, che, per carenze di organico, vengano serviti i pasti una sola volta al giorno e che i familiari che devono incontrare i parenti reclusi sono costretti ad aspettare ore prima di sostenere il colloquio. Sono calati drasticamente i tempi di socializzazione dei reclusi, ci sono difficoltà concrete di intervento in caso di tensioni o di gesti di autolesionismo. E a Rieti un nuovo carcere all’avanguardia pronto ad ospitare oltre 250 detenuti, e ad alleviare i problemi del sovraffollamento nel Lazio, è chiuso per mancanza di personale. Ieri i detenuti del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso hanno, con la "battitura", manifestato contro i disagi provocati da questa situazione.

"Le carenze di organico della polizia penitenziaria - ha detto il Garante Angiolo Marroni - provocano lesioni ai diritti sia dei detenuti che di chi abitualmente lavora in carcere. Tante volte ci è stato detto che non si possono organizzare attività culturali e ricreative in carcere per mancanza di agenti, ma spesso ci sono difficoltà anche per far fare una telefonata a un detenuto o per consentirgli un colloquio. Agli agenti, costretti a turni di lavoro pesanti affrontati però con esemplare professionalità, va la mia solidarietà e l’augurio che si possa fare, presto e bene, qualcosa per migliorare le loro condizioni di vita e di lavoro e, di riflesso, quelle dei detenuti".

 

Ufficio del Garante dei detenuti del Lazio

Piemonte: i traduttori non pagati scioperano, processi a rischio

 

www.cronacaqui.it, 27 giugno 2009

 

Hanno deciso di dire basta. A partire dal 1° luglio incroceranno le braccia e non risponderanno più alle chiamate delle cancellerie, non garantiranno la loro presenza in aula durante le udienze già fissate. La protesta dei traduttori e degli interpreti giuridici di Torino e del Piemonte diventa una questione maledettamente seria e la già precaria macchina della giustizia italiana rischia così di andare incontro a una paralisi totale. Ma cosa si nasconde dietro questa preoccupante minaccia di sciopero?

L’Amtig, vale a dire l’Associazione multietnica dei traduttori e degli interpreti giuridici in Piemonte, fa sapere che è un problema di denaro, di spettanze mai corrisposte. "Considerata la situazione inerente la liquidazione delle proprie spettanze - si legge in un comunicato ufficiale diffuso dall’associazione -, che ormai ha raggiunto tempi di attesa insostenibili (in molti casi fino a 1 anno) che hanno messo in ginocchio chi vive onestamente grazie al proprio lavoro, i traduttori e gli interpreti in servizio presso questa struttura non risponderanno più alle chiamate delle cancellerie e non garantiranno la loro presenza durante le udienze già fissate.

Lo faranno a partire dal 1° luglio 2009 e fino a quando non saranno presi seri provvedimenti per risolvere la drammatica situazione in essere, a causa della quale diventa impossibile affrontare persino le normali spese quotidiane". Insomma, a partire dal 1° luglio rischieranno di saltare tutti quei processi con imputati di nazionalità straniera che avranno bisogno di un interprete. "Garantiremo il nostro intervento soltanto in quei procedimenti che prevedono la presenza in aula di imputati detenuti - fa sapere l’Amtig -, ma in tutte le altre udienze non ci saremo.

La situazione è diventata insostenibile, è dal mese di febbraio che attendiamo il pagamento del lavoro fin qui svolto. I soldi arrivano con il contagocce, il pagamento precedente a quello del febbraio 2009 era avvenuto nel mese di settembre del 2008. E il prossimo pagamento, se tutto va bene, arriverà soltanto a settembre. Insomma, dovremo aspettare ancora mesi e nel frattempo non sappiamo più come far fronte anche alle più banali spese quotidiane".

Come se non bastasse, alla lentezza e alla complessità dell’iter burocratico si aggiunge anche il fatto che l’unica impiegata torinese addetta alla liquidazione delle spettanze è malata da tempo. "Da mesi non è in ufficio e noi non sappiamo a chi rivolgerci. Ci dicono che dobbiamo aspettare che rientri in servizio, che l’attuale carenza di personale non consente soluzioni alternative. Insomma, è un autentico incubo".

Ma a quanto ammonta il compenso per la presenza in udienza? "Ci spettano 14, 15, al massimo 20 euro, non di più. È una miseria". Sono 20 gli interpreti e i traduttori giuridici che frequentano ogni giorno le aule di tribunale nel Palagiustizia di Torino, 120 quelli impegnati in tutti gli uffici giudiziari del Piemonte. "L’arabo, il nigeriano, il senegalese e il romeno sono ormai le lingue più diffuse nelle aule di tribunale - spiegano dall’Associazione multietnica -, gli interpreti e i traduttori che parlano queste quattro lingue sono i più richiesti".

Puglia: legge sullo "sport per tutti", anche nelle carceri minorili

 

www.regione.puglia.it, 27 giugno 2009

 

Con la "Legge sullo sport per tutti" la Puglia ha portato la pratica sportiva anche nel perimetro delle carceri minorili e il lavoro svolto dal 2007 ha meritato un importante riconoscimento anche dalla Direzione Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento per la Giustizia Minorile del Ministero della Giustizia di Roma.

In una lettera inviata all’Assessore allo sport Guglielmo Minervini la direttrice della direzione ministeriale, dott.ssa Serenella Pesarin, ha scritto: "Esprimo vivo compiacimento per il finanziamento assicurato dalla Regione Puglia e la soddisfazione e l’apprezzamento per il concreto apporto garantito dall’Assessorato per la realizzazione di attività motorie e ricreativo sportive a favore dei detenuti e dei minori sottoposti a provvedimenti giudiziari penali. L’iniziativa testimonia la continuità dell’impegno dell’ente territoriale nel sostenere attività in favore dei minori entrati nel circuito penale".

L’idea di promuovere la pratica sportiva in questi ambiti è nata proprio nel percorso di redazione partecipata della legge sullo sport n. 33/2006. "Osare con coraggio - commenta l’assessore Minervini - Con la legge sullo sport per tutti abbiamo osato portare lo sport oltre molti steccati invalicabili. Lo sport è entrato nel perimetro delle carceri minorili per dimostrare la sua potente efficacia educativa. Siamo soddisfatti che la nostra legge stia concretamente promuovendo una cultura dell’integrazione sociale".

Attraverso un Protocollo d’intesa con il Centro giustizia minorile per la Puglia per il 2008 sono stati stanziati 94.000 euro per la realizzazione di tre progetti annuali: uno nell’Istituto penale per minorenni "Fornelli" di Bari; uno presso la Comunità ministeriale di Lecce e l’ultimo in favore dei soggetti tra i 14 e 21 anni appartenenti all’area penale esterna, che prevede le misure alternative al carcere, in carico presso gli uffici di servizio sociale per minorenni di Bari, Lecce e Taranto. Quest’anno l’impegno di spesa è passato a 100.000 euro.

Oltre i tre rifinanziati dell’anno precedente è stato introdotto un nuovo progetto sperimentale per l’inserimento di piccoli gruppi di minori finiti nel circuito penale nei corsi di nuoto del Coni. In totale in due anni i ragazzi coinvolti sono stati quasi duecento. Le attività proposte attraverso l’Uspi (Unione sport per tutti) quale ente gestore, riguardano la pratica dei più diffusi sport effettuata, nel caso del "Fornelli", anche ogni giorno, attività ludico-ricreative, ma anche corsi di arbitri di calcio, pallavolo e basket, atletica a livello dilettantistico, palestra e escursioni di trekking in gruppi misti. La scelta è stata mirata perché spiega Minervini: "Con lo sport si possono liberare sogni di vita imprigionati dai nostri rigidi schemi sociali, che discriminano prima ancora che accogliere e comprendere. Nello sport i ragazzi si realizzano come persone, sono stimolati a lottare con i propri limiti, anche quando questi prendono la forma di destino".

Trapani: Fleres (Pdl); su isola di Favignana un carcere inumano

 

www.altratrapani.it, 27 giugno 2009

 

"Le condizioni di vita dei detenuti all’interno delle carceri di Favignana e Marsala sono da considerare contrarie ai diritti sanciti dall’art. 3 della Convezione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali".

A sostenerlo, in un esposto presentato il 18 maggio 2009 al Comitato Europeo per la Prevenzione della tortura con sede a Strasburgo è il sen. Salvo Fleres, garante per i diritti dei detenuti della Sicilia. Nell’esposto "a norma della Convenzione Europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti" si chiede l’urgente intervento del Comitato Europeo.

Il sen. Fleres. Dopo averlo "constatato personalmente, attraverso visite periodiche, nell’ultimo triennio", rileva, in particolare, che nel carcere di Favignana ("un’antica fortezza edificata in gran parte sotto il livello del mare, forse anche dieci metri") "ovunque si possono osservare muffa, umidità, intonaci scrostati, e sentire cattivo odore di salmastro e di stantio, imbattersi in topi ed insetti di ogni genere". Per quanto riguarda le celle, invece, alcune sono "piccole e buie e si affacciano su un corridoio stretto e chiuso in alto da una copertura in plexiglass semitrasparente. L’aria non circola ed il caldo e l’umidità tolgono il respiro".

Le altre celle, ancora peggio, sono "tutte seminterrate e senza finestre, la poca aria e la scarsa luce entrano soltanto dalla stretta porta e da un’apertura tra la porta stessa e il tetto; alcune addirittura non hanno neanche quelle feritoie e si trovano ubicate all’interno di strutture chiuse, anche in pieno giorno bisogna ricorrere alla luce artificiale".

Prosegue il sen. Flores nella propria disamina delle condizioni del carcere di Favignana: "il locale docce è posto in un angolo del corridoio-passeggio, quindi all’esterno, ciò significa che per accedervi, in inverno, bisogna percorrere il corridoio sotto la pioggia, al freddo, affondando i piedi nelle pozzanghere di acqua gelata. Ciò comporta altresì che quando piove, durante la distribuzione del vitto, l’acqua piovana finisce dentro i piatti, unitamente a polvere e detriti, quando spira il forte vento isolano".

"Le attività lavorative cui sono adibiti internati e detenuti consistono per lo più in mansioni di pulizia e servizi interni all’Istituto, con una paga media mensile tra i 100 e i 200 euro, peraltro mai corrisposta puntualmente: passano anche tre mesi prima che l’internato percepisca quanto dovuto per il lavoro effettuato".

"Tantissimi versano nell’indigenza più assoluta e pur avendo lavorato rimangono senza i fondi per poter acquistare una bottiglia d’acqua o effettuare una telefonata alla famiglia. Essendo queste le condizioni, non si può certo dire che esista un programma di rieducazione al lavoro".

Nel carcere di Favignana, precisa ancora Fleres, "la popolazione carceraria che, da una rilevazione recente risulta così distribuita: n. 40 internati + n. 94 detenuti, per un totale di 134 presenze, rispetto ad una capienza massima tollerabile di 100".

Un ultimo aspetto negativo è segnalato dal denunciate: "Nel carcere di Favignana internati e detenuti, passeggiano, lavorano, condividono gli spazi comuni con condannati alla pena dell’ergastolo e per distinguere chi tra loro sia l’internato e l’ergastolano c’è un solo modo: chiederglielo".

"La differenza che continua a non vedersi, invece, - conclude Fleres nell’esposto - è che l’ergastolano è in carcere perché è ritenuto colpevole di un reato e quindi condannato e in espiazione di una pena, l’internato è in carcere, ma non ha nessuna pena da scontare e in carcere non dovrebbe proprio esserci".

Modena: le promesse sfumate e i problemi del carcere irrisolti

 

www.modena2000.it, 27 giugno 2009

 

Le promesse del Pdl sono sfumate al termine della campagna elettorale. Ricordiamo tutti Isabella Bertolini e Enrico Aimi davanti alla Casa Circondariale di Sant’Anna, impegnati ad assicurare il trasferimento di 150 detenuti e l’arrivo di almeno 40 unità per l’organico di polizia.

Abbiamo ben presente anche le altre promesse dei rappresentanti del centrodestra modenese e ricordiamo che, naturalmente, tutto questo avveniva in campagna elettorale. Il Partito democratico ha dubitato sin da subito dei proclami e, puntualmente, molte rappresentanze sindacali della polizia penitenziaria hanno denunciato che, stando ai pronunciamenti delle strutture ministeriali, per la situazione modenese non si prevedono interventi in grado di ripristinare una situazione di umana decenza sia per i detenuti sia per i lavoratori, al Sant’Anna e nelle strutture di Castelfranco e Saliceta San Giuliano. Le cifre e le riflessioni fornite oggi dal responsabile Dott. Madonna e dal Comandante dei corpi di polizia penitenziaria rafforzano le ragioni della denuncia: non c’è davvero niente da festeggiare. Come rappresentanti del territorio, insieme alla istituzioni e realtà modenese, non ci sottraiamo ad un impegno di azioni coordinate per attenuare i disagi, e migliorare la situazione: proprio in questi giorni ho segnalato al direttore del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria la necessità di interventi per ovviare la difficilissima situazione di sovraffollamento determinatesi alla Casa di lavoro di Saliceta San Giuliano.

Vorrei ricordare all’onorevole Bertolini che servono interventi di civiltà, come è stata la realizzazione del punto di incontro in carcere per i genitori detenuti e i loro figli minori. Davanti alle proteste dei sindacati di polizia il centrodestra tenga almeno un atteggiamento meno arrogante: bisogna lavorare con urgenza a soluzioni che impegnino in primo luogo le competenze e i doveri dello Stato.

Ravenna: affollamento è del 300%; il sindaco interpella Alfano

 

Il Resto del Carlino, 27 giugno 2009

 

La situazione del carcere di Ravenna "sta diventando di giorno in giorno sempre più insostenibile. Per questo chiederò un incontro con il ministro Angelino Alfano".

La promessa del sindaco Fabrizio Matteucci di intervenire col titolare della Giustizia per i problemi della Polizia penitenziaria e dei detenuti, è giunta ieri mattina, alla festa del Corpo. I detenuti nella casa circondariale di Ravenna "sono di tre volte superiori rispetto la capienza regolamentare di 59 posti", ha ricordato Matteucci. E il personale della Polizia penitenziaria "è di dodici unità inferiore rispetto a una pianta organica già insufficiente per il sovraffollamento". Un problema che peraltro Matteucci ha già fatto presente al ministro Alfano con una lettera inviata un mese fa.

Il Comune non può ovviamente incidere direttamente sul tema del sovraffollamento della struttura, ma interviene "con l’unico mezzo a disposizione: l’ordinanza con la quale - ha sottolineato il sindaco - ho chiesto quasi un anno fa alcuni lavori, su servizi igienici e docce. Lavori indispensabili per rendere l’ambiente più vivibile". Resta il fatto, afferma Matteucci, che gli interventi sono stati attuati solo in parte, mentre anche il provveditore regionale, Nello Cesari ha ammesso "l’impossibilità di assicurare le condizioni di vivibilità ai detenuti dell’istituto locale al pari degli altri istituti regionali". Un’altra lettera del sindaco di Ravenna, vergata dodici mesi fa, informava il guardasigilli della volontà del Comune "di costruire un nuovo carcere più idoneo in un’altra parte della città", intenzione confermata nel Piano strutturale comunale. A nessuna delle due lettere, però, è mai giunta risposta.

Milano: nell’Ipm "Beccaria"; sono in aumento i detenuti italiani

 

Il Velino, 27 giugno 2009

 

Si è svolta ieri, all’interno dell’Istituto "Cesare Beccaria" di Milano, unica struttura di detenzione penale per minorenni presente in Lombardia, la festa del Corpo di Polizia penitenziaria. "In questo contesto - si legge in una nota - si richiede non solo l’attenzione al rispetto e alla disciplina, ma soprattutto umanità nei confronti dei giovani che hanno commesso reati, accompagnandoli in un percorso di rieducazione umana e civile".

Questo lo spirito emerso dalle parole delle personalità presenti all’evento, tra i quali Sandro Marilotti, direttore dell’Istituto Beccaria, il direttore generale, Serenella Pesarin, Flavia Croce, dirigente del Centro giustizia minorile per la Lombardia, e l’ispettore capo del Corpo di polizia penitenziaria del Beccaria, Nico Costa. Nel corso della giornata, Marilotti ha presentato i dati relativi al transito di minori presso la struttura di detenzione. Attualmente nella struttura si riscontrano 66 presenze totali, di cui 57 maschi e 9 femmine.

136 gli ingressi totali (114 maschi e 22 femmine) nei primi mesi del 2009, mentre nel 2008 erano stati 342 (276 maschi e 66 femmine) e 280 (220 maschi e 60 femmine) nel 2007. Per quanto concerne la nazionalità dei giovani attualmente detenuti al Beccaria, il 48,5 per cento è italiano, in netto aumento rispetto alle statistiche degli anni precedenti (27,2 per cento per il 2008, 16,8 per cento per il 2007).

I restanti minori provengono dall’Est Europa, in particolare rumeni e moldavi (15,1 per cento contro il 22,2 per cento del 2008 e il 28,9 per cento del 2007); dal Maghreb, in particolare Marocco, Egitto, Tunisia (10,6 per cento contro il 22,8% del 2008, e il 23,2 per cento del 2007); nomadi e sinti (12,1 per cento, mentre erano 20,8 per cento nel 2008 e 20,7 per cento nel 2007); dal Centro e Sud America (7,6 per cento, ma erano il 2,9 per cento nel 2008, il 3,6 per cento nel 2007). "Fanalini di coda" gli albanesi (tre per cento attualmente, 2,3 per cento nel 2008, 1,8 per cento nel 2007) e le altre nazionalità (3,1 per cento, 1,8 per cento nel 2008, cinque per cento nel 2007).

 

Agenti sotto organico di almeno il 20 per cento

 

Sotto organico di almeno il 20 per cento. Gli agenti di polizia penitenziaria del carcere minorile Beccaria fanno la conta e scoprono di essere in pochi. Troppo pochi, rispetto alle esigenze dell’istituto. "Siamo in 90, ma non ho difficoltà a dire che dovremmo essere almeno una quindicina in più", ammette l’ispettore capo Nico Costa durante la tradizionale festa annuale della polizia penitenziaria.

Un’affermazione condivisa anche dal direttore del Beccaria, Sandro Mariotti. "La carenza del personale di polizia rende complicate le cose. È un impedimento ulteriore per i ragazzi detenuti, che a volte devono così rinunciare ad attività utili per il loro recupero".

"I ragazzi non rispettano la legge per mancanza di figure adulte di riferimento", incalza Mariotti. Lui ne ha visti passare di piccoli delinquenti dai cancelli del Beccaria. Dentro e fuori. Però non si è mai perso d’animo. "Negli anni ‘90 tenevamo in custodia anche più di 100 "ospiti", mentre negli ultimi anni difficilmente superiamo le 70 unità. La reciditività riguarda circa il 20 per cento dei soggetti". Il recupero perciò funziona con la maggior parte dei ragazzi. E ad assaggiare i manicaretti preparati dai detenuti apposta per la festa degli agenti, c’è da credere che non avranno difficoltà a riciclarsi come cuochi o pasticcieri una volta usciti. Altro che crimini.

Chi invece difficilmente fa visita alle celle dell’istituto per minori sono i cosiddetti "bulli". Così il fenomeno delle baby gang, che riempie le pagine dei giornali, non tocca però le carceri. "Tra perdono giudiziario e altre forme di punizione alternativa, posso dire che nessun "bulletto" italiano viene poi rinchiuso qui". Altra cosa sono invece le bande di minorenni sudamericani. I membri di Latin Kings e affini si contraddistinguono infatti per la violenza usata nei crimini. "Le baby gang italiane, in generale, non commettono reati contro la persona, a differenza di quelle formate da latinos", chiosa Mariotti.

Viterbo: contro il sovraffollamento, il sit-in Polizia penitenziaria

 

www.tusciaweb.it, 27 giugno 2009

 

Protesta mista a festa ieri al carcere Mammagialla. Una quarantina di agenti della polizia penitenziaria si sono dati appuntamento davanti al carcere per dire a tutti che così non si può più andare avanti. I motivi della protesta, promossa da Cgil, Cisl, Uil, Osapp, Sinappe, Sappe, Ugl, Uspp, sono tutti legati alla sicurezza. Si va dal sovraffollamento dei detenuti presenti nella casa circondariale, alla mancanza di personale tra gli agenti della polizia penitenziaria. "Non possiamo dimenticarci - dicono i sindacati - che la sicurezza del carcere è legata a quella della città di Viterbo".

I manifestanti, che hanno fatto "festa" dalle 9 alle 12, hanno ricevuto la visita del direttore del carcere, Pierpaolo D’Andria e del comandante, Daniele Bologna, che sono usciti dall’istituto per parlare con loro. Manifestazioni di questo tipo ieri si sono svolte anche nel carcere di San Gimigliano. Le proteste continueranno il 30 giugno a Milano, il 21 luglio a Napoli e si concluderanno il 22 settembre a Roma.

Padova: condannato a 23 anni per omicidio, ma era innocente

 

Il Gazzettino, 27 giugno 2009

 

Alì Samir, tunisino ventisettenne, clandestino, ha precedenti per droga. Lo straniero è detenuto nel carcere di via Due Palazzi. Il 22 ottobre scorso i giudici della Corte d’Assise lo hanno condannato a ventitré anni di reclusione per omicidio volontario. È stato riconosciuto responsabile dell’assassinio di Francesco Sarno, quarantacinquenne cameriere stagionale di Lignano Sabbiadoro, pestato a morte la sera del 24 ottobre 2006 sul Fistomba.

Era venuto a Padova con un amico ad acquistare eroina. Ma non è Ali Samir l’assassino: lo spacciatore tunisino è innocente. Il vero omicida è un altro magrebino, scoperto adesso dagli investigatori della Squadra mobile. I poliziotti e il pubblico ministero Paola De Franceschi non si erano fermati dopo la condanna dello straniero. Adesso il vero omicida è stato bloccato, ed è già in cella, anche se sul fatto viene mantenuto il riserbo: le indagini sono ancora in corso.

Napoli: ex detenuto in sciopero della fame per avere assistenza

 

www.insomma.it, 27 giugno 2009

 

Che la vita in carcere fosse difficile lo sapeva bene ma mai avrebbe immaginato che quella fuori invece sarebbe stata ancora peggio. È questa la storia di Angelo Rainone, classe 1961, un uomo che nella sua vita ha cercato sempre e comunque di condurre una vita normale, peccato che quella stessa vita un giorno gli ha aperto strade diverse, di intrighi, di ombre ma soprattutto di tranelli, dove ha prevalso l’istinto e non la ragione.

Laureatosi in Psicologia ha iniziato a lavorare presso l’università di Napoli come assistente universitario, da li poi la scelta di cambiare lavoro e cosi dalla cattedra universitaria ha dovuto trovare un lavoro che lo ricompensasse economicamente di più e nel 1990 viene assunto dalla Sip. Gli anni passano, Angelo padre di due figli di 8 e 14 anni, sacrifica la sua passione di insegnate per portare avanti una famiglia. Ma dopo 4 anni senza motivo e senza preavviso viene licenziato. Sicuro dei suoi diritti e deluso per l’ingiustizia subita impugna il licenziamento e inizia un iter di ricorsi e cause, ma il tutto naturalmente senza nessun risultato.

Le porte chiuse, i suoi appelli vani e cosi Angelo nel giro di un anno si trova a dover cambiare completamente il suo stile di vita come lui stesso ci racconta "nessuno mi ascoltava, chiedevo solo di far valere i miei diritti, ma qui nessuno ti ascolta ed è cosi che senza lavoro, sfiduciato nelle istituzioni e nella giustizia mi sono ritrovato a seguire la strada sbagliata". La sua vita così cambia radicalmente e la svolta è una di quelle delle peggiori. Angelo trova conforto nelle sostanze stupefacenti e ne incomincia a fare un uso smoderato "tutto mi sembrava migliorare, ma ero consapevole che non sarebbe durato tanto, vengo accusato di ricettazione e cosi dopo poco finisco in quello che prima guardavo da lontano: nel carcere".

E proprio dietro quelle sbarre che la vita cambia, ti rendi conto degli errori e cerca subito un riscatto "dopo aver scontato la mia pena decido di ritornare tra i banchi e cosi mi trasferisco a Reggio Emilia - continua Angelo - per un anno lavoro in una scuola come collaboratore scolastico e l’anno seguente riesco ad ottenere l’assunzione in una scuola elementare, tutto sembrava andare per il meglio anche se mi mancava la mia terra, ma poi di nuovo tutto contro di me". Ad Angelo viene notificata un ordinanza di sorveglianza speciale ed è cosi costretto a lasciare li il lavoro e tornare a Palma Campania.

Da quel momento ritorna l’incubo e senza lavoro, con una famiglia da portare avanti ma sopratutto senza capire il perché di tale sorveglianza decide di scendere in campo e farsi sentire protestando con lo sciopero della fame ma soprattutto scrivendo agli organi istituzionali ed in primis al Presidente della Repubblica "mia moglie è una bracciante agricola con un reddito di circa 3.000,00 annui, io sono un invalido civile al 100% e non posso vivere con appena 254,00 euro al mese - scrive nella lettera - sono stato sottoposto alla misura di sicurezza della libertà vigilata con ordinanza emessa dall’Ufficio di Sorveglianza di Napoli il tutto senza capire il motivo di simile provvedimento, e così ho deciso di iniziare lo sciopero della fame contro il parere del mio medico di fiducia date le mie condizioni di salute" una protesta che Angelo è deciso a portare avanti perché gli vengono violati e negati i diritti di aiuto previsti dalla legge.

L’Ufficio di esecuzione penale esterna ha il compito di aiutare il soggetto in libertà vigilata ai fini del suo reinserimento e proprio per questo dovrebbe svolgere interventi di sostegno e di assistenza oltre a riferire al Magistrato di Sorveglianza sui risultati degli interventi effettuati, ma nessuno si è mai recato a casa di Angelo. "Senza l’intervento dell’ufficio vivo una condizione di abbandono delle Istituzioni ai fini del mio reinserimento " Previsto dalla Costituzione ", con conseguenze disastrose nel percepire il presente e il futuro - continua Angelo - Questo non favorisce i rapporti interpersonali e sul piano familiare, sociali e economici.

La difficoltà a trovare un lavoro sono dovute principalmente ai pregiudizi riguardo agli ex detenuti presenti nella cultura del mio comune, al mio essere diversamente abile, che in teoria dovrebbe essere una corsia preferenziale all’occupazione viste tutte le agevolazioni che offre lo Stato e invece diventa un vero handicap perché per mancanza di cultura non vengono utilizzate o se succede è solo per fini clientelari. Questa è purtroppo la realtà con la quale devo confrontarmi, ma come devo fare?".

Un appello di un uomo disperato che cerca di trovare forza nella sua famiglia e in qualcuno che possa aiutarlo davvero "Questa mia azione è dettata da una impossibilità a procurarmi in modo legale lo strettamente necessario a soddisfare i bisogni primari miei e della mia famiglia - conclude Angelo - questo determinerà il mio decesso e quindi prima che ciò avvenga voglio riservarmi almeno la decisione di morire di mia volontà".

Arezzo: "Anima buona del Sezuan"; progetto di teatro-carcere

 

www.arezzoweb.it, 27 giugno 2009

 

"Anime buone e anime dannate" è stato il titolo del laboratorio di formazione e produzione teatrale che ha coinvolto la Compagnia Il Gabbiano, composta dai detenuti della Casa Circondariale di Arezzo, una attività che la compagnia di Gianfranco Pedullà, Teatro Popolare d’Arte, da sedici anni porta avanti con un metodo e un processo di lavoro articolato in vari momenti di incontro: formazione del gruppo, apprendimento degli elementi primari della comunicazione teatrale, gestione consapevole dell’incontro con il pubblico. Il risultato del laboratorio di quest’anno sarà presentato lunedì 29 giugno alle ore 16.00 presso la Casa Circondariale, in via Garibaldi ad Arezzo.

È Bertolt Brecht l’autore scelto per questa particolare produzione teatrale. Si tratta dell’opera "Anima buona del Sezuan", una parabola scenica in prosa e in versi scritta fra il 1930 e il 1942 nel pieno della violenza delle dittature nazi-fasciste degli anni Trenta del secolo passato. L’opera teatrale narra della discesa degli dèi in una provincia povera del Sezuan (regione di un’antica e immaginaria Cina) colpita dalla carestia, per verificare la bontà dell’anima umana.

Nella loro visita, incontrano vari personaggi fra cui l’acquaiolo Wang e la prostituta Shen te, che - dopo molti rifiuti - li ospita nella sua misera abitazione ricevendo dagli dèi un premio in denaro. Parte da qui una vicenda, trattata liberamente dalla compagnia Teatro Popolare d’Arte, sia dal punto di vista drammaturgico, che di ricerca dei margini di residua "bontà" nel nostro mondo e di "felicità" ancora possibile.

Rovereto (Tn): il laboratorio teatrale si conclude con spettacolo

 

Sesto Potere, 27 giugno 2009

 

I detenuti del Carcere di Rovereto sono divenuti per un giorno dj, giornalisti, pubblicitari recitando in una radio immaginaria di fronte ai compagni, al personale della Casa Circondariale e di Con.Solida. Sono stati loro stessi, nel corso del laboratorio, a scrivere il copione guidati dalla regista Maura Pettoruso: "pensando a dei personaggi i detenuti sono riusciti a parlare di sé, diventando straordinariamente veri e questo ha reso possibile un confronto su temi delicati come quelli della legalità e delle regole di convivenza".

"Si tratta, ha affermato l’educatore Giuseppe Stoppa, di una delle iniziative che servono a ripristinare e valorizzare nei detenuti le capacità e le risorse relazionali e culturali da impiegare nella vita detentiva e poi, una volta scontata la pena, in quella di cittadini liberi". "In questo modo, ha sottolineato la direttrice Antonella Forgione, stiamo provando - anche grazie alla pluriennale collaborazione con Con.Solida. - ad aprirci al territorio per creare percorsi di inclusione".

"Il laboratorio teatrale, ha commentato Corrado Dalla Bernardina responsabile formazione del consorzio della cooperazione sociale, è soltanto l’ultimo degli interventi frutto della collaborazione con il carcere: da anni, infatti, realizziamo percorsi formativi e lavorativi finalizzati a rafforzare le abilità lavorative e migliorare le condizioni di vita abbassando i rischi di cadute determinate da ozio e inattività".

Quella in carcere, con il laboratorio teatrale, è una delle iniziative di "Sicuri Insieme", un ampio progetto sulla legalità e la cittadinanza attiva finanziato dalla Provincia che si è svolto in varie zone del Trentino coinvolgendo in particolare i giovani.

Immigrazione: Vaticano; non "respingere" chi fugge la guerra

 

Adnkronos, 27 giugno 2009

 

Il presidente del Pontificio Consiglio per i Migranti, mons. Vegliò: "Per chi sta in mezzo alla tempesta, questo mondo ricco appare indifferente, assorbito dalle proprie cose e dimentico di chi sta soffrendo".

Arriva nella serata di oggi una nuova netta presa di posizione del Vaticano che critica le politiche dei respingimenti messa in atto contro profughi e immigrati dai Paesi ricchi fra cui l’Italia. A parlare è stato il presidente del Pontificio consiglio per i migranti e gli itineranti, mons. Antonio Maria Vegliò, che ha presieduto la messa celebrata a Roma questa sera nella chiesa di Santa Maria in Trastevere in occasione della veglia di preghiera per la Giornata mondiale del rifugiato. L’iniziativa è stata organizzata fra gli altri dalla comunità di Sant’Egidio.

"Distribuiremo alla fine di questa veglia - ha detto mons. Vegliò nel corso dell’omelia - una immaginetta dell’arca di Noè. Come l’arca salvò la vita di Noè e dei suoi durante la grande tempesta del diluvio, così noi pregheremo che i numerosi uomini e donne che ora stanno viaggiando per terra e per mare per fuggire dalla tempesta in cui si sono trovati, possano essere accolti e non respinti". "Perché - ha aggiunto - siano accolti con amore e comprensione nei paesi in cui regna la pace, vige la libertà, esistono le cure per la malattie, abbonda il pane per tutti e dove, lavorando, si può costruire una vita sicura e felice per i propri cari".

Più della metà dei profughi che giungono in Italia, ammonisce mons. Vegliò, arrivano da Paesi sconvolti da conflitti violenti: l’Afghanistan, lo Sri Lanka, la Somalia, l’Eritrea o il Congo. "Quante speranze, quante vite di giovani uomini e donne dell’Africa, dell’Asia, dell’America - ha detto nel corso dell’omelia - finiscono sulle le vie tortuose e insidiose dei viaggi della speranza o nelle onde del Mediterraneo. Quante ansie, quanti drammi dolorosi! Nel nostro mondo se ne parla poco, non se ne vedono le immagini. Sembra che tanti non vogliano vedere per compatire, per sostenere con la preghiera, per accogliere chi ha tanto rischiato e sofferto per approdare a questa sponda".

"Nel nostro mondo - ha aggiunto mons. Vegliò - tanta gente rischia che la barca della sua vita affondi in mezzo alla tempesta, come quella della guerra che da decenni devastano l’Afghanistan, lo Sri Lanka, la Somalia, l’Eritrea o il Congo, cinque paesi da cui viene più della metà dei profughi che arrivano in Italia; o la tempesta delle malattie che divora ogni anno la vita di milioni di essere umani, bambini e adulti, in gran parte dell’Africa; o la tempesta della fame o della mancanza di lavoro come nella Costa d’Avorio o nella Nigeria, che toglie ogni speranza di una vita dignitoso".

"Il mondo ricco a cui apparteniamo - ha affermato ancora - spesso non se ne accorge tanto. Per chi sta in mezzo alla tempesta, questo mondo ricco - conclude - appare indifferente, assorbito dalle proprie cose e dimentico di chi sta soffrendo".

Droghe: l’alcol uccide un europeo su dieci e, nel mondo, 1 su 25

 

Adnkronos, 27 giugno 2009

 

Nel mondo i bicchieri di troppo causano una morte su 25. L’allarme arriva dai ricercatori dell’università di Toronto secondo cui il consumo medio dei drink nel Vecchio Continente si aggira a 21,5 unità a settimana commenta.

Che si tratti di birra, vodka o tequila assunte in quantità eccessiva, una morte su 25 in tutto il mondo è causata dall’alcol. E in Europa il dato sale a un decesso su 10. Lo evidenziano ricercatori dell’università di Toronto (Canada) sulla rivista The Lancet, lanciando l’ennesimo allarme sui rischi legati alla dipendenza dai drink, che oggi uccide quanto il tabacco 10 anni fa.

Le malattie che l’alcolismo può provocare vanno dalla cirrosi epatica ai disturbi cardiovascolari, fino a una serie di tumori: alla bocca e alla gola, al colon-retto e al seno. Il consumo medio di alcol nel mondo si aggira attorno alle 12 unità a settimana, ma in Europa la stima sale a 21,5. In America si bevono in media 17 drink a settimana, mentre nel Medio Oriente, viste le regole religiose che impediscono il consumo di bevande alcoliche, si scende a 1,3.

Lo studio canadese ha preso in considerazione il 2004, l’ultimo anno per il quale sono disponibili dati che consentano una comparazione a livello globale, rilevando che il 3,8% dei decessi (appunto uno su 25) è riconducibile all’alcol. Ma nel Vecchio Continente la proporzione sale a ben una morte su 10, con la Russia che detiene il record del 15% dei decessi direttamente attribuibili ai bicchieri di troppo. A livello mondiale, gli uomini corrono un rischio 5 volte superiore rispetto alle donne di morire a causa dell’alcol, specialmente se si tratta di giovani. Per questo motivo Ian Gilmore, presidente del Royal College of Physicians e della Alcohol Health Alliance britannica commenta la ricerca sottolineando la necessità di "campagne di sensibilizzazione come quelle sul fumo e regole per limitare la vendita di alcolici ai giovani".

Israele: una Ong denuncia maltrattamenti sui detenuti palestinesi

 

Ansa, 27 giugno 2009

 

Una Ong israeliana ha accusato l’esercito e il Servizio di Sicurezza Interna, lo Shin Bet, di ammanettare crudelmente i detenuti palestinesi. La denuncia appare in un rapporto pubblicato mercoledì 24, in Israele.

Nel suo rapporto annuale, il "Comitato pubblico contro la tortura in Israele" afferma che i detenuti palestinesi sono sistematicamente "ammanettati per molte ore in modo da causare loro dolore ed umiliazione al momento degli arresti o degli interrogatori". Questi maltrattamenti "possono essere assimilati alla tortura e sono contrari alla legge israeliana e a quella internazionale, oltre che alle decisioni della Corte Suprema che proibisce l’uso della tortura", scrive la Ong, producendo 547 testimonianze di detenuti, raccolte negli ultimi dodici mesi.

Il rapporto si poggia anche sulla testimonianza di un soldato che ha operato nella Cisgiordania occupata, raccolta da un’altra Ong "Rompere il silenzio". Egli afferma che nei centri in cui si svolgono gli interrogatori, "i detenuti sono ammanettati per molte ore e talvolta per giorni interi anche quando non esiste il minimo rischio di evasione" ed ha citato anche dei casi di detenuti ammanettati ai gomiti e trascinati doloranti nei locali dei centri. L’esercito ha risposto smentendo, con un comunicato, d’infliggere sevizie ai palestinesi arrestati ed affermando di "rispettare la legge israeliana e internazionale, riguardo al trattamento dei sospettati di terrorismo che minacciano la sicurezza d’Israele".

 

 

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