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Giustizia: la "finzione democratica", smarrite regole e garanzie di Gustavo Zagrebelsky
La Repubblica, 19 giugno 2009
Due libri, or ora pubblicati, ci mettono di fronte alle profonde contraddizioni politiche del nostro tempo, che si esprimono con due ossimori, cioè con un aggettivo che smentisce il sostantivo cui si accompagna (fuoco amico, bomba intelligente). Giovanni Sartori (in Il sultanato) parla di "costituzione incostituzionale" (i costituzionalisti dicono: costituzione senza costituzionalismo). Massimo Salvadori, già nel titolo del suo libro (dedicato allo stesso Sartori), parla di Democrazie senza democrazia (entrambi i libri sono usciti per gli Editori Laterza). Forse davvero questo è il tempo degli ossimori, cioè della realtà, espressa dagli aggettivi, distinta dal sogno, espresso dal sostantivo. È il tempo dell’ambiguità, dell’oscillazione, della paralisi, che impedisce di prendere posizione. Se diciamo incostituzionale, subito, come nelle commedie di Aristofane dove i buoni concetti si affacciano nelle forme di belle fanciulle, si fa avanti La Costituzione; se diciamo a- o anti-democratico, subito entra in scena la Democrazia a smentirci e a tenerci su di morale. E lo stesso al contrario: se diciamo costituzione, subito pensiamo all’incostituzionale; se diciamo democrazia, subito pensiamo all’antidemocrazia per deprimerci nel morale. È la condizione del nostro tempo, alla quale siamo inchiodati. Non osiamo dire apertamente: la costituzione, la democrazia non ci sono più, perché abbiamo paura che cada la maschera, una maschera che conta poco, ma pur sempre qualcosa, quantomeno per la nostra rassicurazione e per la nostra speranza che non tutto ciò che di buono contengono quelle parole è andato perduto e che domani, forse, potrà essere diverso. Sartori introduce il suo discorso con una cautela: non parlare di dittatura a vanvera. "Proprio e anche perché le vere dittature sono, quando davvero ci sono, regimi orrendi, il termine va usato con cognizione di causa". Benissimo. Poi, però, si parla della strategia odierna di conquista delle democrazie, una strategia che produce "costituzioni incostituzionali" attraverso l’eliminazione, dall’interno e senza dare nell’occhio, delle strutture di garanzia: la separazione dei poteri, i controlli giuridici e politici. "Nessuno si dichiara dittatore. Tutti fanno finta di essere democratici. Ma non lo sono", perché l’erosione della costituzione come garanzia ne consente un esercizio concentrato e illimitato. La legge non serve contro le prepotenze, ma diventa essa stessa prepotenza. Rex facit legem, secondo il motto del despota; non (più) lex facit regem, secondo il motto del costituzionalismo. Noi comprendiamo facilmente la specifica direzione polemica di queste proposizioni astratte, resa palese già nel titolo del libro, Il sultanato. Tuttavia, in un luogo, il discorso si allarga a un certo modo di concepire la democrazia in Italia, nei tempi recenti, là dove si parla di un "berlusco-prodismo" - forse, nell’omologazione, facendo qualche torto all’archetipo secondo - come di un regime che vuolsi ridurre a competizione a due, dove la politica si personalizza e si de-istituzionalizza, riducendo i cittadini a massa mossa demagogicamente. Le considerazioni di Sartori sono univoche nel condurci a pensare che la contesa, sul terreno della demagogia, non può avere storia. Non solo Berlusconi non ha rivali nel sapersi indirizzare al (suo) popolo e a interpretare le pulsioni elementari con argomenti e atteggiamenti esemplari, idonei a metterlo in movimento al suo seguito, ma dispone anche di strumenti persuasivi che nessuno può neanche lontanamente sognarsi. Non solo non ci sarebbe storia ed è dunque stolto accettare una competizione su questo terreno. Sarebbe anche una politica solo apparentemente democratica, se per democrazia s’intende, senza tante complicazioni, il sistema di governo, fondato sul libero consenso, in cui il potere "viene dal basso" e in qualche modo condiziona attivamente coloro che temporaneamente lo detengono. Sono finte democrazie i "governi a legittimazione popolare passiva" (definizione di Salvadori), i regimi dove il potere procede dall’alto e condiziona coloro che sono chiamati, dal basso, ad acconsentire. Una formula politica del fascismo suonava così: il potere scende dall’alto, dove più ampia è la visione delle cose, ed è acconsentito dal basso, dove è più gretta e ristretta. Questo rovesciamento, pur nel rispetto formale della costituzione - la "costituzione incostituzionale" - deriva da una ragione profonda, anzi profondissima, quella che riduttivamente si denomina conflitto d’interessi, cui è dedicato il saggio che chiude il volume. Qualunque grande concentrazione di potere economico, che necessariamente travalica nella cultura e nella comunicazione, quando si trasferisce nella politica, inevitabilmente altera le condizioni della libera competizione in questa sfera. E la politica, a sua volta, altererà la competizione economica e attenterà alla libertà della cultura. La critica sferzante ai flebili tentativi di correggere quest’aberrante commistione - la "legge Frattini" o l’idea di un blind trust che, nelle condizioni italiane non sarebbe affatto blind - conduce per mano entro la causa prima delle difficoltà della nostra democrazia, una difficoltà che si potrà pensare di affrontare efficacemente solo incidendo sulla radice, la pervasiva presenza di un potere assorbente che non sapremmo dire se politico, economico o culturale o, forse, tutte e tre queste cose insieme. La riflessione di Salvadori si allarga alla crisi mondiale delle democrazie, di cui la crisi italiana è solo un modesto esempio, alquanto grottesco. A fronte del trionfalismo democratico (la democrazia come "concetto idolatrico", nel cui nome si fanno guerre imperialistiche) sta la realtà del suo svuotamento a opera di oligarchie che operano senza limiti e controlli su scala mondiale. Ciò cui assistiamo è una nuova forma della "ferrea legge delle oligarchie": le organizzazioni dei grandi numeri, come sono le democrazie, producono piccoli numeri di persone organizzate. Oligarchia democratica: un altro ossimoro non è un ossimoro. Se, nella preistoria della democrazia, si trattava di funzionari di partito, di boss politici, di società più o meno segrete, nazionali e sovranazionali, oggi si tratta di oligarchie economiche senza confini, che si aggregano, disgregano, combattono fuori delle forme che la democrazia si è date nei confini degli stati nazionali. Per questi potentati, gli stati e il potere che essi possono esercitare sulle loro popolazioni, diventano pedine della loro lotta per la supremazia, da acquisire o acquistare alla propria parte, cui si consente, al massimo di essere "amministratori locali" di poteri che li sovrastano. Un concetto importante nell’analisi di Salvadori è quello di "post-democrazia" (Colin Crouch), un regime (la democrazia) che "non ha tenuto il passo con la corsa del capitalismo alla globalizzazione". Eccone i segni: le competizioni elettorali controllate da professionisti esperti nelle tecniche di persuasione, i cittadini ridotti all’acquiescenza, la politica decisa tra governi eletti ed élite economiche, strapotere delle lobby, disuguaglianze sociali crescenti e riduzione delle politiche sociali a misure di ordine pubblico. La post-democrazia è questo regime delle oligarchie del denaro, che possono comprare il consenso o, in mancanza, possono reprimere il dissenso, anche con l’uso della forza e perfino della guerra. Un quadro apocalittico? L’ultimo capitolo è uno sguardo sul futuro che sembra potersi aprire alla speranza. Si tratta dell’elezione di Barack Obama alla guida della più grande e potente democrazia del pianeta, spiegata come rigetto della politica senza freni delle oligarchie economiche, di cui la crisi finanziaria che quell’elezione ha accompagnato sarebbe stata un fattore decisivo. Si tratta di vedere, dice Salvadori, se ne verrà un risanamento anche democratico, inteso come tentativo efficace d’inversione del rapporto di potere tra gli interessi delle oligarchie economiche, predominanti durante l’amministrazione precedente, e le forze legittimate da un voto popolare, emancipate politicamente. Mettiamo insieme le riflessioni di Sartori e Salvadori sull’involuzione oligarchica della democrazia. Ne viene l’indicazione per una definizione realistica: non il regime utopistico dove governa il popolo ma, almeno, dove i cittadini dispongono di strumenti e li usano per combattere i suoi parassiti che, dall’interno, ne svuotano le forme dal contenuto. Giustizia: il processo penale; un "mistero" difficile da spiegare di Fulvio Conti
www.radiocarcere.com, 19 giugno 2009
Difficile capire la giustizia italiana, ancora più difficile spiegarla a chi l’Italia l’osserva dall’estero. Salvatore Satta, parecchi anni or sono, scriveva un interessante libro dal titolo "Il mistero del processo". Un mistero che non riesce a comprendere Timothy Egan editorialista New York Times, che il 10 giugno 2009 firma un pezzo dal titolo "Un innocente all’estero". Il giornalista statunitense nell’articolo mostra di non comprendere il processo perugino ad Amanda Knox e Raffaele Sollecito ed esprime più perplessità. Mostra stupore per il fatto che una giovane sconvolta possa essere interrogata tutta la notte da polizia giudiziaria e pubblico ministero. Si sorprende che l’esito dell’interrogatorio composto da un verbale di poche righe possa giustificare la custodia in carcere. Senza considerare il fatto che le affermazioni della studentessa americana risulteranno in parte del tutto false. Si chiede del perché il processo si celebri solo due volte a settimana. Non comprende che l’eccessivo numero dei processi non permette ritmi più serrati. Non sa che nel nostro paese si preferisce iniziare più processi e non terminarne nessuno, piuttosto che cominciarne uno e portarlo a compimento. Si domanda del perché il processo venga sospeso dal 15 luglio al 15 settembre. Domanda dovuta forse al fatto che ignora che in Italia i mesi di luglio e agosto sono estivi e che le ferie non si possono negare a nessuno. Per fortuna non si domanda perché Amanda e Raffaele siano stati rinchiusi in un carcere prima di essere condannati, perché questo è veramente un mistero. Giustizia: Alfano; intercettazioni, tempi stretti ddl non cambia di Liana Milella
La Repubblica, 19 giugno 2009
La voglia di cambiarlo è tanta, quella di approvarlo il più in fretta possibile è del pari. E il secondo desiderata è destinato a prevalere sul primo perché la legge sulle intercettazioni, anche se è scritto che "non si applica ai procedimenti in corso", comunque complica assai la vita di magistrati e giornalisti. E poi c’è sempre tempo per fare un decreto che regoli i conti con i pm e blocchi le inchieste. A Berlusconi non è mai piaciuto e adesso che si sente addosso il fiato del Barigate il ddl sugli ascolti gli piace sempre di meno. Da 48 ore non fa che ripeterlo ai suoi luogotenenti per la giustizia, Alfano e Ghedini: "Avete visto? Una legge del tutto inutile. Non servirà nemmeno per frenare queste ennesime manciate di fango che mi stanno tirando addosso". Il ministro Guardasigilli e il responsabile per la giustizia del Pdl, tutti e due a cena l’altra sera con il premier, hanno cercato di rabbonirlo, gli hanno spiegato che non è così, e hanno ragionato sul da farsi: un colpo di mano, cambiare la clausola transitoria, rendere il ddl immediatamente e interamente utilizzabile. Con un risultato: obiettive difficoltà operative per l’inchiesta sulle ragazze a pagamento per palazzo Grazioli e villa Certosa che muove i primi passi e si vedrebbe cadere addosso la mannaia degli "evidenti indizi" per nuove intercettazioni e proroghe. Non solo: chiesti per un altro reato (corruzione) gli ascolti maturati nel frattempo non sarebbero utilizzabili. Infine il black out sulla pubblicazione: telefonate segrete fino al processo. La tentazione è forte, al Cavaliere l’idea piace, Alfano e Ghedini riservatamente provano a verificare cosa succederebbe se la norma transitoria (la penultima dei 35 articoli del maxi emendamento approvato alla Camera) venisse modificata. Ma ci sono i pro e i contro. Telefonate frenetiche, riscontri tecnici. Un rischio, su tutti, tiene a freno i due: un altolà di Napolitano perché nuove regole sulle intercettazioni che stravolgono le attuali, applicate ai processi in corso, produrrebbero lo stesso effetto della famosa blocca-processi, l’articolo infilato un anno fa nel primo decreto sicurezza che, per congelare il caso Mills, voleva fermare ad horas per un anno tutti i processi con reati punibili fino a dieci anni. L’Anm dimostrò che la giustizia si sarebbe paralizzata. Ora accadrebbe lo stesso. L’ipotesi viene accantonata. Meglio lasciare il testo com’è, ché comunque metterà zeppe serie al lavoro di toghe e giornalisti. Lo sanno bene Alfano e Ghedini. Nella legge ci sono norme sostanziali, che riguardano le intercettazioni, e processuali. Nuovi reati, contro pm, giornali, editori: rivelazione illecita di segreti di un procedimento penale, accesso agli atti, omesso controllo, pubblicazione arbitraria, non potranno che entrare in vigore subito. E dunque la mannaia si abbatterà non solo sul pm che dovesse parlare del suo processo, ma anche sul giornalista che pubblica testi. Le intercettazioni di Bari finiscono in cassaforte, non sono più pubblicabili. E scattano difficoltà e contraddizioni per chi deve applicare la legge su un procedimento aperto nel quale, ad esempio, si iscrive un nuovo indagato o si chiede un’altra intercettazione. Cosa applicare, vecchia o nuova legge? Potrebbero scattare ricorsi alla Consulta perché, a parità di posizioni, due imputati vengono trattati diversamente. Meglio allora che il nuovo testo, anche se non è proprio quello che vuole Berlusconi, venga approvato. Prevale l’accelerazione. Alfano e Ghedini lo dichiarano, "al testo non si fanno modifiche, l’impianto resta inalterato, visto che alla Camera ha ottenuto più voti della nostra coalizione". Che marci il più in fretta possibile al Senato, dove i primi tentativi per accelerare sono già cominciati bloccati dall’ex pm Felice Casson. Un ritorno alla Camera, ragionano Alfano e Ghedini, sarebbe catastrofico, "perché l’asse Fini-Bongiorno farebbe perdere un altro anno". Sì dunque alla legge, poi si pensi al decreto. Giustizia: Corte dei conti; polizia quartiere, servono più fondi di Antonio G. Paladino
Italia Oggi, 19 giugno 2009
L’iniziativa del poliziotto di quartiere, pur con alcuni limiti, funziona. Infatti, nonostante la polizia di prossimità oggi copra il territorio in misura inferiore di un terzo rispetto a quella che, in sede di avvio, si era prefigurata, ha mostrato che nelle aree ove sono stati attivati i quartieri inizia a manifestarsi una moderata inversione di tendenza della quantità dei reati (furti, rapine ed estorsioni), rilevata anche dal numero degli arresti effettuati e delle denunce presentate. A questo si aggiunga che l’iniziativa riceve ogni giorno larghi consensi da parte della popolazione interessata. Queste sono le considerazioni che è possibile ricavare dalla lettura della relazione della sezione centrale di controllo sulle amministrazioni dello stato della Corte dei conti in merito all’attuazione del progetto "polizia di prossimità" (deliberazione n. 10/2009). Il progetto (nato dalla direttiva 2002 del Viminale) ha incluso l’iniziativa "poliziotto e carabiniere di quartiere", innovando i rapporti fra la collettività e il sistema di tutela dell’ordine pubblico attraverso l’instaurazione di contatti di natura prevalentemente fiduciaria fra il cittadino e le Forze di polizia, mirati a realizzare un’efficace "strategia di controllo nei confronti della criminalità". Ma il progetto, da subito, ha dovuto fare i conti con la consistenza numerica del personale. La Finanziaria 2005, nel prendere atto "dell’inadeguata consistenza del personale disponibile", a tal fine ha stanziato 262 milioni per incrementare, fra il 2005 e il 2008, le dotazioni organiche delle Forze di polizia, nella misura adeguata a finanziare poco più di 2.700 arruolamenti, "pari a meno della metà del fabbisogno stimato". Questa insufficienza numerica del personale ha rappresentato nel tempo "un problema di difficile soluzione". Nel 2003, più di 1.000 unità, tra carabinieri e poliziotti, è stata dislocata a tale servizio. Le presenze sono raddoppiate nel 2004 (+1.124 unità), ma la crescita è rallentata nel biennio 2005-2006, quando la dotazione complessiva aggregata è aumentata di sole 1.252 unità. Il rallentamento degli incrementi risulta sensibilmente accentuato nel 2007 (+229 operatori) e nell’anno successivo (+257 addetti). È pur vero, si legge nella relazione della magistratura contabile, che l’analisi dei risultati conseguiti appare complessa, in quanto gli effetti delle attività di prevenzione appaiono misurabili nel medio/lungo periodo, quantomeno nel profilo del contributo che il rapporto di fiducia tra il cittadino e le forze di polizia ha potuto dare al contenimento della criminalità, nonché al miglioramento della percezione di sicurezza. Ne è prova che l’Arma dei carabinieri raccoglie, sin dal 2002, il grado di soddisfazione dell’utenza, ponendo a disposizione sul sito istituzionale un questionario che può essere compilato dai singoli cittadini. Tali rilevazioni, scrive la Corte, appaiono confermare la crescente disponibilità al dialogo, che rappresenta "uno dei principali obiettivi dell’attività". Anche i dati statistici dell’Arma documentano che, per il periodo 1.1.2006-31.12.2008, nelle aree ove sono stati attivati i quartieri, inizia a manifestarsi una moderata inversione di tendenza della quantità dei reati, rilevata anche dal numero degli arresti effettuati e delle denunce presentate. Partendo da questi risultati conseguiti, la Corte sottolinea che "non appare rinviabile l’integrazione delle dotazioni del personale nella misura adeguata ad allargare la fruizione del servizio alle fasce di popolazione finora escluse". Giustizia: la Polizia Penitenziaria, ad una Festa "sovraffollata" di Dina Galano
Terra, 19 giugno 2009
La festa della Polizia Penitenziaria, celebrata l’altro ieri all’Arco di Costantino a Roma, riapre il dibattito su carcere e giustizia. Di fronte alle croniche deficienze di organico e allo stato degli istituiti di pena, al limite del collasso, appare difficile ritrovare motivi di festeggiamento. Peraltro, nell’occasione, ha manifestato preoccupazione anche il presidente Giorgio Napolitano che, in un messaggio rivolto al Capo dell’amministrazione penitenziaria Franco Ionta, ha lodato l’impegno del Corpo costretto a operare "in un contesto particolarmente complesso, reso ancor più problematico dal fenomeno del sovraffollamento". Sono 63.350 i detenuti in Italia, con un tasso di presenze vicinissimo (per soli 218 posti) alla soglia prevista per garantire minime condizioni di tollerabilità. Osservando i rilevamenti operati dal Dap negli ultimi mesi, emerge che la popolazione detenuta aumenta di oltre 130 unità a settimana, con punte anche di 200. La promessa del ministro Alfano di altri 18mila posti letto entro il 2012 non può di certo reggere il confronto con l’intensificazione dell’emergenza. Di questo avviso anche Sandro Margara, figura storica della magistratura di sorveglianza e Presidente della fondazione Michelucci, che ribadisce come "il problema del sovraffollamento non può essere ridotto a una mera questione di progettualità edilizia". Il piano carceri presentato da Ionta, nominato di recente Commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria, prevede interventi di allargamento degli istituti penitenziari già esistenti e la costruzione di nuovi. "La densificazione - riferisce Margara - della popolazione carceraria e la riduzione delle aree verdi o destinate alle attività di recupero interne, operata per far posto ai nuovi padiglioni, sono la traduzione in fatti di una strategia coercitiva che vanifica qualsiasi prospettiva trattamentale e di reinserimento sociale dei condannati". Gli fa eco Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione Antigone: "Il 38% dei detenuti è dentro per aver violato una sola norma penale: quella che vieta la detenzione e lo spaccio di droghe. Basterebbe avere il coraggio, come stanno facendo molti Paesi occidentali di avviare politiche di depenalizzazione e di decarcerizzazione dei tossicodipendenti. Basterebbe inoltre non punire con la galera quegli stranieri che non ottemperano all’obbligo di espulsione. Se non si interviene con lungimiranza la situazione tornerà esplosiva come era negli anni 70 e inizio 80". La cronica mancanza di personale per la polizia penitenziaria ha spinto recentemente i sindacati del Corpo a indire uno sciopero. Una festa, ieri, davvero amara. Giustizia: 325 detenuti assunti, risultato del "Progetto Indulto"
Ansa, 19 giugno 2009
La pena vista come rieducazione del cittadino alla cultura sociale, ma anche opportunità di riqualificazione nel mercato del lavoro. È quanto ha previsto la sperimentazione del modello di transizione pena-lavoro che ha coinvolto nei percorsi di inclusione socio-lavorativa ex detenuti beneficiari del provvedimento di indulto (legge approvata dal Parlamento nel luglio 2006). I risultati del programma sono stati presentati a Cagliari in un seminario dai responsabili di Italia Lavoro, tra cui la coordinatrice nazionale Giovanna Gorini, e dalla provincia di Cagliari, con l’assessore delle Politiche sociali, Angela Quaquero. Complessivamente in Italia i tirocini formativi sono stati 2.258, di cui 1.528 sono stati portati a termine (71%) e 325 detenuti sono stati assunti dalle aziende formatrici (21%). In Sardegna quest’ultimo dato sale al 22% (18 assunzioni) su 81 tirocini terminati rispetto ai 116 iniziali. In massima parte nell’Isola si tratta di assunzioni a tempo determinato: 27,8% rispetto al 22,2% a tempo indeterminato mentre in Italia si assiste all’esatto contrario (37,2% a tempo indeterminato e 27,4% a tempo determinato). "Una delle criticità maggiori del progetto - ha spiegato Gorini - è che queste persone (in genere maschi) hanno poca esperienza con il mondo del lavoro e lo si vede anche dal tipo di occupazione che poi è stata offerta loro dalle aziende". La maggior parte dei tirocinanti, infatti, ha una qualifica da giardiniere (punte del 38% in Sardegna rispetto al 15% in Italia) o da addetto ai servizi di pulizia (33,1% in Italia e 7% in Sardegna). Secondo l’assessore Quaquero si tratta di una "buona prassi, che non deve essere lasciate cadere a fine progetto, ma deve proseguire, al di là dell’indulto". Lettere: dobbiamo scontare la nostra pena in questo degrado?
www.radiocarcere.com, 19 giugno 2009
Cara Radiocarcere, Ti scrivo dal piccolo e vecchio carcere di Arezzo. Un carcere dove viviamo come animali. Le nostre celle sono tutte buie e rovinate. I muri sono scrostati oppure neri dalla sporcizia. Una sporcizia antica quella del carcere di Arezzo, datata 1929. Il carcere di Arezzo potrebbe contenere 65 detenuti. Oggi siamo in 150. Questo vuol dire che nelle celle piccole siamo in 4 detenuti e in quelle più grandi stiamo in 10. Pensa che la scorsa settimana abbiamo addirittura trovato una zecca nel bagno della cella, e poi altre nei materassi. Ma non solo, nel carcere di Arezzo si iniziano a vedere i topi. Topi che sono sempre più numerosi. I bagni delle nostre celle sono distrutti e fanno veramente schifo, così l’altra settimana abbiamo chiesto la possibilità di riparali e di poterli riverniciare, ma la risposta è stata negativa… non possiamo farlo. Ma davvero noi dobbiamo scontare la nostra pena in questo degrado?
Gianluca, dal carcere di Arezzo Lettere: Bologna; sciopero fame, per una detenzione dignitosa
www.cnrmedia.com, 19 giugno 2009
Sciopero della fame e proteste nel carcere bolognese della Dozza. L’allarme sovraffollamento è alto: i bracci della prigione sono progettati per ospitare al massimo 50 persone, ce ne sono settanta. Vivono in tre in celle pensate per un detenuto. Capienza massima prevista, 700 persone. Ce ne sono 1.156. Per i nuovi arrivati, materassi per terra e turni per dormire. Niente lenzuola, non bastano, si lavano ogni 40 giorni. Ecco la loro testimonianza. "I detenuti dei reparti giudiziari hanno deciso di attuare una protesta pacifica, lo sciopero della fame, a partire dal giorno 17 giugno c.a. e della durata di giorni 7, con lo scopo di sensibilizzare le autorità e l’opinione pubblica delle condizioni in cui si è costretti a vivere in codesto istituto: 1. Sovraffollamento celle: costruite per ospitare un detenuto, ce ne vivono 3; 2. Educatori: ci sono detenuti, con posizione giuridica definitiva da diversi anni e non hanno mai interloquito con il proprio educatore; 3. Sanità: mancanza di specialisti, pazienti con patologie gravi, sono costretti a comprarsi i farmaci, mentre chi si trova in precarie condizioni economiche non può acquistare i medicinali, con il conseguente aggravio delle proprie patologie; 4. Locale docce: sporche e costretti a lavarci spesso con acqua fredda anche durante il periodo invernale; 5. Telefono: l’apparato telefonico è ubicato al centro del corridoio, e si è continuamente disturbati, durante il colloquio con i familiari, dal rumore; 6. Montaggio di grate alle finestre: premesso che avevamo richiesto di renderci partecipi affinché fosse fatto un ultimo tentativo nel sensibilizzare, attraverso una commissione composta anche da detenuti, una minima percentuale di detenuti che ancora non riesce a comprendere il danno, gettando i rifiuti dalla finestra, che provocherà il montaggio definitivo delle grate alle stesse. Infatti,la maggioranza dei detenuti non ritiene corretto subire una restrizione così drastica a causa di una esigua minoranza; soprattutto in questo periodo in cui stiamo collaborando con i tecnici dell’Hera per potere contribuire ad effettuare la raccolta differenziata dei rifiuti. Il montaggio delle grate riduce notevolmente l’areazione e l’ingresso della luce che porterà sicuramente ad un deterioramento della vista, a scompensi fisici, a forme depressive e tutto ciò porterà ad un aggravio dell’Amministrazione Sanitaria, e quindi del contribuente, che sarà costretta a prescrivere psicofarmaci; 7. Cambio Lenzuola: fornite dall’Amministrazione, vengono sostituite in media ogni 40 giorni, aumentando in tal modo il rischio di malattie infettive. Si auspica un doveroso intervento delle persone e autorità sensibilizzate attraverso questo documento.
I detenuti della Dozza Sicilia: il Garante denuncia; le carceri siciliane sono un orrore di Roberto Puglisi
www.livesicilia.it, 19 giugno 2009
Le carceri siciliane sono un orrore che travalica ogni limite umano e costituzionale possibile. Non è una sensazione, non è un’affermazione nata sulla scorta dell’emotività. È la verità. È quanto scrive il garante siciliano per la tutela dei diritti dei detenuti. Si chiama Salvo Fleres e sta conducendo una battaglia coraggiosa, con l’altra anima dell’ufficio: Lino Buscemi e uno staff di primo livello. L’ufficio del garante oggi presenta un dossier posto all’attenzione del Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti. Ecco l’orribile sostanza che emerge, da alcune pagine del rapporto.
Carcere di Favignana, l’acqua salata dai rubinetti
"Il carcere di Favignana è una struttura che si erge in pieno centro isolano. Si tratta di un’antica fortezza edificata in gran parte sotto il livello del mare. L’aria non circola, il caldo e l’umidità tolgono il respiro. Ovunque si possono osservare muffa, umidità, imbattersi in topi e insetti di ogni genere. I bagni, ricavati all’interno delle celle con un semplice muretto, hanno copertura in eternit, materiale notoriamente cancerogeno. Il sovraffollamento costringe alla convivenza nella medesima cella di soggetti fumatori e non fumatori, vi è concreto rischio di trasmissione di malattie infettive quali l’Aids o l’epatite C, riscontrandosi altissima percentuale di tossicodipendenti. L’acqua viene razionata e scorre per non più di tre ore totali al giorno, ma non si può bere perché salata. Il locale docce è posto in un angolo del corridoio-passeggio, quindi all’esterno, ciò significa che per accedervi, in inverno, bisogna percorrere il corridoio sotto la pioggia al freddo, affondando i piedi nelle pozzanghere d’acqua gelata. Ciò comporta altresì che, quando piove, durante la distribuzione del vitto, l’acqua piovana finisca dentro i piatti, unitamente a polvere e detriti".
Carcere di Marsala, lo squallore del castello
"La casa circondariale di Marsala nasce come un castello medievale ed è stato adattato ad istituto penitenziario circa 40 anni fa. La struttura si presenta esternamente in buono stato, ma internamente squallida e fatiscente e inadeguata per la destinazione d’uso. I servizi igienici all’interno delle celle consistono in una tazza con muretto separatorio, le docce, alle quali è concesso accesso giornaliero, sono esterne. In questo carcere si è verificato un caso di suicidio di un detenuto trentatreenne al secondo giorno di detenzione".
Carcere di Modica, niente sport
"L’istituto è allocato in un ex convento e presenta notevoli problemi legati alla vetustà della struttura, che appare fatiscente e priva di adeguati spazi comuni. Dentro la struttura ci sono 58 detenuti presenti (capienza regolare 31, capienza tollerabile 48). Non sono presenti impianti sportivi e palestre".
Carcere di Mistretta, condizioni subumane
"L’edificio, di piccole dimensioni, versa in condizioni di estremo degrado. Le condizioni di vita dei detenuti risultano fortemente lesive della dignità della persona. Le otto celle disponibili, per una comunità carceraria di 42 elementi, hanno come unica esposizione quella del chiostro del convento che ospita la struttura. Le celle sono buie ed umide, calde d’estate e gelide di inverno (sul carcere c’è un’indagine in corso, ndr). Il soffitto è basso e i letti a castello di tre piani vi entrano a stento. Come scrive il procuratore generale presso la corte d’appello di Messina, Antonio Franco Cassata, scrive: "Un’umanità avvinghiata alla grate dei cancelli in condizione di desolante abbrutimento e di sostanziale sub-umanità".
Carcere "Piazza Lanza" di Catania, in cella con Kunta Kinte
"Anche in questa struttura le condizioni di vita sono proibitive sia per la popolazione carceraria sia per il personale amministrativo, costretto a sopportare, alla stregua dei detenuti, la presenza di topi, scarafaggi e pidocchi. Le celle risultano sovraffollate. In alcuni casi vi sono letti a castello di quattro piani sprovvisti di scaletta e con uno spazio libero tra l’ultimo materasso e il tetto di 50 centimetri. Alcuni detenuti sono costretti a dormire per terra. I carcerati sono quasi del tutto privi di assistenza sanitaria, anche se urgente. I bagni sono alla turca e spesso senza porte. L’acqua per lavarsi è sempre gelida e non viene fornito nemmeno il sapone per l’igiene personale. La popolazione carceraria si attesta intono alle 490 unità (capienza regolamentare 245, capienza tollerabile 324 posti). Molte denunce dei reclusi parlano di una cella lasciata vuota, la n. 20 della Sezione Protetti, all’interno della quale è presente solo un letto di ferro privo di materasso e nella quale sembra vengano rinchiusi i detenuti puniti, nudi, a volte insieme a un detenuto di colore detto Kunta Kinte, a causa della sua mole fisica, che li sevizierebbe. A quanto viene riferito questa sarebbe la stanza delle torture" (è un particolare agghiacciante in una relazione ufficiale. Live Sicilia sta cercando di contattare il direttore del carcere per una replica sulla questione. Dalle notizie in possesso del cronista, pare che il "problema" sia stato rimosso, ndr).
Carcere "Ucciardone" di Palermo, uomini e topi
"Presenta, sotto alcuni punti di vista, le condizioni di vita più drammatiche per i detenuti che, nonostante gli sforzi della direzione e degli agenti di custodia, sono costretti a vivere in spazi ristretti a volte in condizioni igieniche precarie, anche a causa della presenza dei ratti. La popolazione carceraria è di circa 700 unità. La capienza massima si attesta a 520. Le condizioni di vita possono, a ragione, definirsi disumane. Anche il carcere Ucciardone è passato agli onori della cronaca per i suicidi degli ultimi anni".
Carcere di Messina "Gazzi"
"L’esasperazione dei detenuti sta superando ogni limite tollerabile e già, nei primi quattro mesi di quest’anno, si sono verificate almeno due azioni di protesta, mediante il rifiuto del cibo e dell’ora d’aria, la battitura delle inferriate e il rifiuto di terapie ed atti di autolesionismo. Il carcere ospita attualmente 470 detenuti a fronte di una capienza regolamentare di 233 detenuti". Lombardia: 37 corsi di formazione, per 350 detenuti ad Opera
Apcom, 19 giugno 2009
Trecentocinquanta detenuti saranno reinseriti nel mondo del lavoro in un anno grazie ai 37 corsi organizzati in collaborazione con Regione Lombardia: è il risultato delle attività formative e imprenditoriali per il reinserimento dei detenuti del carcere di Opera (Milano), presentato oggi a Corsico dal sottosegretario alla Presidenza della Regione Lombardia, Antonella Maiolo, dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, Luigi Pagano e dal direttore del carcere, Giacinto Siciliano, nel corso di una manifestazione denominata "Opera un anno dopo". Il carcere di Opera, tra i più grandi d’Europa, ospita 1.200 detenuti, la maggior parte di quali condannati per reati gravi. Complessivamente i 17 istituti penitenziari lombardi (3 a Milano, 3 a Pavia e uno in ognuno degli altri capoluoghi di Provincia) ospitano quasi 9.000 detenuti. I 37 corsi avviati a Opera sono suddivisi in cinque settori: informatica, lingue, cucina, manutenzione e settori vari. I 350 detenuti hanno avuto la possibilità di scegliere, all’interno dei vari settori, le materie nelle quali specializzarsi. Per quanto riguarda l’informatica, ad esempio, le lezioni spaziavano dai corsi base o avanzati a quelli per la creazione di siti web o di manutenzione e assemblaggio dei pc, mentre quelle di cucina andavano dalla biologica alle tecniche di pasticceria. Non sono mancati neppure corsi per diventare muratori, elettricisti, saldatori, carpentieri, imbianchini, falegnami, liutai o rilegatori. Dei 350 detenuti coinvolti, 73 hanno già concluso i corsi finanziati anche da Regione Lombardia, e sono ora impiegati in aziende esterne. "Regione Lombardia - ha detto il sottosegretario Antonella Maiolo - è stata la prima a dotarsi, fin dal 2005, di una legge per la tutela delle persone che vivono negli istituti penitenziari lombardi. Grazie a questa legge, nella nostra regione si contano numerose esperienze di successo sia per numero di imprese e di cooperative che hanno aderito, sia per numero di detenuti reinseriti nel mondo del lavoro". Il percorso avviato dalla Regione dal 2005 coinvolge, oltre ai settori della formazione e del lavoro, anche altri ambiti della vita come la sanità e lo sport. "Un fattore fondamentale per incrementare l’inserimento delle persone sottoposte a provvedimenti dell’autorità giudiziaria nel lavoro - ha aggiunto Antonella Maiolo - è proprio la capacità di fare rete, dialogare, far incontrare la domanda e l’offerta anche in questo specifico settore dove le problematiche tecniche e legislative, ma anche logistiche, sono molteplici e impegnative". Lo scorso mese di maggio la Giunta regionale, proprio per la promozione e lo sviluppo di questa rete ha stanziato 4.700.000 euro. "L’obiettivo - ha concluso il sottosegretario Maiolo - è quello di sviluppare un partenariato rappresentativo dei sistemi sociali, di istruzione, della formazione, dell’aggregazione e del lavoro" Brindisi: arrestato per furto di 1 bicicletta, suicida in Caserma
Ansa, 19 giugno 2009
Ieri sera nella caserma dei Carabinieri di San Michele Salentino (Brindisi) un extracomunitario si è tolto la vita utilizzando un lungo lembo della fodera del materasso per impiccarsi. La tragedia è avvenuta intorno alle ore 20. L’uomo, un marocchino sprovvisto di documenti e presunto clandestino, era stato condotto all’interno della caserma e richiuso nella stanza di sicurezza della stessa, perché accusato del furto di una bicicletta, e di aver interrotto una funzione funebre, importunando una suora. L’uomo, giudicato dai carabinieri "psicolabile", è stato tratto in arresto dagli stessi militari dopo la chiamata al 112 effettuata da alcuni partecipanti al funerale che si stava tenendo ieri pomeriggio in città. Individuato all’uomo, oltre alla denuncia per "interruzione di funzione religiosa" è stata contestata anche la violazione di domicilio e il furto di una bicicletta. Reati questi ultimi che gli sono costati l’arresto. Terminate le prime procedure e gli accertamenti, l’uomo è stato rinchiuso dai militari all’interno della camera di sicurezza presente nella caserma e dotata di un lettino. Lasciato da solo tra i pochi metri quadri della cella, stando alla ricostruzione realizzata dai carabinieri, l’uomo è riuscito a togliersi la vita, utilizzando i pochi materiali a sua disposizione. Strappa un lunga striscia di stoffa dalla fodera del materasso di un lettino presente all’interno della stanza, l’arrestato ha legato un’estremità del lembo al collo e l’altra a una conduttura dell’impianto di areazione. Tesa così la corda, si è lasciato andare al proprio peso, cadendo con le ginocchia a pochi centimetri dal suolo. In quella posizione, vi è rimasto per diversi minuti: difficile quantificare esattamente quanti, fino a che non è sopraggiunta la morte per soffocamento. Pisa: Garante; sovraffollamento creato dal sistema giudiziario di Giovanni Parlato
Il Tirreno, 19 giugno 2009
Il carcere Don Bosco sta scoppiando. È stata superata quota 400 detenuti quando dovrebbe ospitarne 226. Un sovraffollamento che mette in crisi la struttura stessa e può essere causa di liti e aggressioni. Come di propagazione di malattie. E che mette a dura prova anche il sistema di sorveglianza dove il numero degli agenti di polizia penitenziaria è sottostimato. Una situazione che ha superato anche quella, già critica, che precedeva l’indulto. "Il nostro sistema giudiziario, sia il codice penale che la struttura del processo stesso, non fa altro che creare sovraffollamento. E pensare di aumentare i posti nelle carceri non è la strada giusta", sostiene l’avvocato Andrea Callaioli, Garante per i diritti delle persone private della libertà personale, il quale aggiunge: "Dopo l’indulto non è seguita un’amnistia. Ciò ha comportato la continuazione dei processi rallentando il lavoro del tribunale. Di fatto, non c’è stato alcun intervento sui reati che provocavano l’ingolfamento della macchina giudiziaria". Per capire il fenomeno del sovraffollamento del Don Bosco, basta guardare una serie fondamentale di percentuali. "Oltre il 50% dei detenuti - afferma Callaioli - è in attesa di giudizio. Inoltre, sono quasi tutti stranieri. E il 30% dei detenuti è stato condannato a causa della legge sull’immigrazione". Callaioli spiega come si arriva al sovraffollamento. Una delle principali cause è la legge sull’immigrazione Bossi-Fini in base a cui un clandestino ha cinque giorni di tempo per lasciare il territorio nazionale. Ma quasi nessuno rispetta l’ordine d’espulsione e quando viene nuovamente trovato dalle forze dell’ordine scatta l’arresto e il processo. Poi ci sono i piccoli reati dei tossicodipendenti come furti o altro. "Dalla legge Bossi-Fini e dalla piccola delinquenza legata alla droga - è la riflessione dell’avvocato Andrea Callaioli - arrivano le spinte al sovraffollamento delle carceri". Il garante per i diritti delle persone private della libertà personale critica il ministro della Giustizia: "La proposta di Alfano di portare a 100mila posti la ricettività del sistema penitenziario non credo che sia la via giusta. Perché, con questo sistema, si arriverà alla soglia dei 100mila detenuti per poi essere superata. Bisogna cambiare le regole. Inoltre, su 10 detenuti che escono dal carcere, i 5 che hanno usufruito delle misure alternative non tornano più in carcere, mentre gli altri 5 che non hanno usufruito di queste misure hanno un’alta possibilità di recidiva, cioè di tornare ancora una volta in carcere. Il governo, pertanto, deve lavorare sulle misure alternative al carcere". Venezia: detenuto trovato morto; ritorna l’ipotesi del suicidio di Giorgio Cecchetti
La Nuova di Venezia, 19 giugno 2009
In attesa del risultati, soprattutto quelli tossicologici che dovrebbero dare la conferma che Rino Gerardi è morto in carcere a causa del gas che ha inalato dalla bomboletta, si riaffaccia l’ipotesi del suicidio a causa di una grave delusione che il detenuto avrebbe provato. Il veneziano - era in carcere per scontare una condanna per traffico di droga - era una persona tranquilla, sia la direzione e gli agenti di custodia di Santa Maria Maggiore sia gli altri detenuti lo apprezzavano anche per questo. Ma, come in altre carceri, anche in quello lagunare la situazione sta diventando esplosiva: gli "ospiti" sono ormai diventati 325, ben 145 in più della capienza che potrebbe sopportare, quindi nelle celle c’è il sovraffollamento, a questo inoltre si aggiunge la carenza del personale della Polizia penitenziaria e così anche alcun i diritti acquisiti da anni vengono messi in discussione, come quello delle ore d’aria, che la direzione avrebbe dovuto limitare. In questa situazione di grave disagio generale, la speranza delusa di poter ottenere un beneficio dal Tribunale di Sorveglianza di Venezia può averlo depresso talmente da fargli ritenere l’unica via quella del suicidio. Gerardi era in cura al Sert in qualità di tossicodipendente e avendo già espiato una parte della pena, aveva avanzato la richiesta di uscire da Santa Maria Maggiore chiedendo l’affidamento ad una struttura o comunità terapeutica per proseguire in modo più agevole la disintossicazione. Resta, comunque, più accreditata, almeno per quanto riguarda gli inquirenti, l’ipotesi che non si sia trattato di un gesto volontario, ma di un incidente. Sono molti, infatti, i detenuti che utilizzano il gas delle bombolette, solitamente usate per prepararsi caffè e pastasciutta in cella, per stordirsi, per trovare euforia. Lo avrebbero riferito i due detenuti che erano in cella con lui e che il pm Stefano Buccini ha sentito lo stesso giorno del decesso. Nessuna indicazione ancora, intanto, dall’autopsia. Venezia: rapporto dell’Asl; la medicina penitenziaria in affanno di Massimo Scattolin
La Nuova di Venezia, 19 giugno 2009
Al carcere femminile della Giudecca sparisce il dermatologo ed entra, per due ore ogni 14 giorni, il pediatra, finora assente. Un accesso al mese, inoltre, per il ginecologo. È quanto si legge nella proposta elaborata dal responsabile del servizio di Medicina penitenziaria dell’Asl 12. Una relazione in cui si denuncia che nelle carceri veneziane per il personale sanitario "i carichi di lavoro sono decisamente elevati". Nella relazione dell’Asl - il servizio dall’ottobre scorso è di competenza del distretto sanitario di Cà Giustinian e non più del Ministero di Giustizia - si fa anche un bilancio dell’attività sanitaria prestata a Santa Maria Maggiore e alla Giudecca dal novembre 2008 al 31 marzo scorso. Nel carcere maschile i medici incaricati (quelli presenti tre ore al giorno sei giorni la settimana) hanno effettuato 847 prestazioni, contro le 1.899 dei medici di guardia. 326 le prestazioni del Sert, 55 le visite dermatologiche, 52 infettive, 73 odontoiatriche e 75 psichiatriche. Ben 580 le medicazioni effettuate dagli infermieri, oltre a 248 prelievi. Più contenuto (anche per il numero significativamente minore di detenute) l’attività alla Giudecca. 667 prestazioni del medico incaricato, 314 del medico di guardia e 10 urgenze. Le visite dermatologiche sono state 54, quelle infettive 31 e 40 ginecologiche. Notevole boom delle prestazioni odontoiatriche (119) e di visite psichiatriche (113). L’emergenza sanità in carcere era stata segnalata giorni fa da La Nuova attraverso un intervento molto preoccupato della Cgil. I detenuti, a Santa Maria Maggiore, sono il triplo rispetto alla capienza del carcere. Vasto (Ch): la pulizia della spiaggia, verrà affidata ai detenuti
www.primadanoi.it, 19 giugno 2009
La pulizia del tratto di costa vastese da località Punta Aderci alla foce del Sinello verrà affidata ai detenuti della casa circondariale e di reclusione di Torre Sinello. Per il secondo anno di fila viene confermato il progetto "Marina Mia", presentato ieri mattina in conferenza stampa dal sindaco di Vasto Luciano Lapenna e dal Procuratore della Repubblica Francesco Prete. Presente anche Mariarosaria Parrutti, Magistrato di sorveglianza e Carlo Brunetti, direttore della Casa Circondariale di Vasto. Il progetto, finanziato con la concessione di un buon numero di borse di studio, è stato fortemente voluto dall’amministrazione comunale. I detenuti saranno impegnati nella pulizia delle spiagge la mattina dal lunedì al sabato sotto la visione tecnica dei referenti della Cogecstre, la cooperativa che possiede la gestione della riserva naturale di Punta Aderci. L’opera di "manutenzione" della costa vastese, oltre la semplice pulizia, prevede anche la cura della vegetazione dell’area delle dune. Il progetto, nelle intenzioni dell’amministrazione comunale e degli organizzatori, è finalizzato all’opera di salvaguardia dell’ambiente. "In un luogo paesaggisticamente notevole che si trova nelle immediate vicinanze dell’istituto di pena" - commenta Carlo Brunetti, direttore del carcere - "è giusto che vengano fatte opere anche a titolo di riparazione indiretta del danno arrecato con il reato commesso". Soddisfatto dell’iniziativa ovviamente il sindaco Luciano Lapenna: "bisogna lavorare affinché si crei intorno alla riserva un cordone di maggiore sicurezza. C’è bisogno che cresca una cultura della riserva, come risorsa per la nostra città e non obbligatoriamente come un vincolo". Terni: Vivicittà; una giornata particolare, tra lo sport e il sociale
Corriere dell’Umbria, 19 giugno 2009
Una giornata particolare quella vissuta domenica 14 giugno all’interno della Casa Circondariale di Vocabolo Sabbione a Terni. Con lo spirito amichevole, allegro e festoso, reclusi e alcune persone esterne hanno dato vita ad una corsa podistica denominata "Vivicittà" organizzata da Uisp e podistica Interamna con la collaborazione dell’istituto penitenziario. Tale manifestazione che è a carattere nazionale e internazionale, si corre nelle varie città italiane con lo scopo di rendere più vivibili le grandi concentrazioni abitative, a sostegno di progetti che mettono al primo posto il rispetto dell’ambiente. Inoltre è stata pensata per altre finalità che danno ad essa un significativo valore aggiunto. Si pensi alla solidarietà in favore dei terremotati dell’Abruzzo o la corsa in alcune città in guerra e laddove i diritti umani non vengono rispettati. E poi gli aspetti sociali che coinvolgono una parte di cittadini. In una società civile non vanno mai dimenticati. In alcune città italiane si è corso negli istituti penitenziari minorili. A Terni si è corso nell’unica struttura esistente portando un messaggio forte che viene da chi è sensibile alle difficoltà di coloro che hanno perso la libertà momentanea o definitiva. Con questa iniziativa si è cercato di alleviare per un giorno una situazione di difficoltà estrema. Non sappiamo se siamo riusciti nell’intento preposto. Tuttavia l’organizzazione e la gestione della manifestazione è stata perfetta. Grazie al direttore Francesco dell’Aira, che ha rappresentato tutta la struttura del carcere ed ha premiato i partecipanti con una medaglia. Al presidente del Coni provinciale Massimo Carignani, che ha dato il via ai concorrenti. All’Uisp che ha consegnato una t-shirt di Vivicittà e il trofeo al vincitore. Roma: lunedì a Rebibbia "Magnificat", con il coro dei detenuti
Asca, 19 giugno 2009
Il Magnificat di Antonio Vivaldi interpretato un coro di detenuti, personale penitenziario e pazienti psichiatrici. È "Magnificart", l’evento organizzato dalle associazioni Panharmonikon, Linux Club e Free Hardware Foundation e che si avvale del contributo della Provincia di Roma. Lo spettacolo avrà luogo lunedì prossimo alle 17 presso il Teatro del Carcere di Rebibbia ed è il risultato del progetto d’insegnamento e diffusione della cultura musicale ideato dal maestro Giuseppe Puopolo, che coinvolge detenuti di Rebibbia e pazienti psichiatrici del Centro Diurno di Villa Lais dell’Asl di Roma C. Per la prima volta, inoltre, una Casa Circondariale sarà a sede di una delle prime registrazioni pensate e realizzate secondo gli schemi di licenza libera Creative Commons. L’evento verrà presentato oggi alle 17 a Palazzo Valentini in una conferenza stampa che vedrà la presenza, tra gli altri, dell’assessore provinciale alle Politiche Culturali Cecilia D’Elia, del presidente della Commissione Cultura Pino Battaglia, del presidente di Panharmonikon Giuseppe Puopolo e di Majid Abder-Rahman di Wikimedia. Reggio Calabria: nel carcere di Locri il concerto "Karakolo-fool"
www.telereggiocalabria.it, 19 giugno 2009
Su iniziativa dell’Assessorato Formazione Professionale, Sport e Politiche Sociali della Provincia di Reggio Calabria, si svolgerà oggi presso la Casa Circondariale di Locri un concerto dal titolo "Karakolo-fool" a cui parteciperanno musicisti della Provincia di Reggio Calabria. L’evento è prodotto dal Teatro Proskenion con la Regia di Claudio La Camera, Direttore Artistico dell’intera iniziativa. Le musiche, per la maggior parte della tradizione popolare calabrese, rappresentano un viaggio nei molteplici aspetti della cultura e della storia del sud. Il concerto porta il titolo del lungo progetto di scambio internazionale che, nato in Calabria grazie alla sinergia di forze artistiche che si muovono sul territorio da molti anni, ha poi viaggiato per l’Europa e il Sud America. Il Progetto "Karakolo-fool" è la sintesi con cui si è coniugato teatro e musica che, dialogando tra loro si aprono all’esterno. Si tratta di una ventata di cultura che entrerà tra le mura di questo penitenziario portando alle persone detenute momenti di svago ma anche spunti di riflessione . Lo scopo dell’iniziativa è quello di evidenziare come la cultura possa essere strumento eccezionale per stimolare riflessioni, soprattutto quando il tempo della riflessione è più ampio, come nel caso dell’uomo detenuto. Una piccola ma nello stesso tempo grande offerta di trattamento rieducativo, un’apertura del tutto nuova del penitenziario che dialoga con la società esterna, cerca di richiamare l’attenzione sulla necessità dell’impegno responsabile della società civile nei confronti del carcere e dà inizio ad un programma di iniziative culturali dal titolo "Un’estate senza barriere" che si svolgeranno presso le case circondariali, questa la volontà della Amministrazione Provinciale di Reggio Calabria che di concerto e in costante collegamento con l’Amministrazione Penitenziaria intende muoversi in questa nuova ottica di rinnovato impegno sociale, per meglio intervenire sui bisogni dello spirito, senza per questo rinunciare al dovere istituzionale di garantire la sicurezza dei cittadini ed il rispetto dello Stato e delle sue Leggi. Vigevano (Pv): i comici in carcere; Klobaz in scena coi detenuti
La Provincia Pavese, 19 giugno 2009
I comici entrano in carcere per portare in scena uno spettacolo per i detenuti. Nel pomeriggio di sabato 20 giugno all’auditorium della Casa Circondariale di Vigevano andrà in scena una rappresentazione teatrale dal titolo "La comicità entra in carcere". A organizzarlo è l’istituto tecnico Casale in collaborazione con i comici di Zelig Stefano Chiodaroli, Claudio Batta e Gian Luca Clobas, in arte Luca Klobaz, che si esibiranno di fronte ai detenuti e alle detenute della sezione "Comuni". Lo spettacolo in scena sabato offrirà una carrellata di un paio d’ore di scene, situazioni e personaggi divertenti, che i tre attori impegnati hanno creato in tanti anni di brillante carriera e che hanno lo scopo di intrattenere i detenuti in modo diverso, per regalare loro un pomeriggio di divertimento e svago. La rappresentazione sarà replicata per i detenuti e le detenute della sezione "Alta Sicurezza" e per gli esterni e i collaboratori che desidereranno assistervi. Dato l’ampio spazio offerto dall’auditorium, Stefano Chiodaroli che, come gli altri attori in scena, ha già esperienza di spettacoli in carcere, si dichiara disponibile ad ampliare la proposta. Immigrazione: in Italia, i rifugiati sono abbandonati a se stessi
Redattore Sociale - Dire, 19 giugno 2009
Giornata mondiale del rifugiato. Cavagna, referente di Amnesty International per il Piemonte e la Valle d’Aosta: "Alcuni dormono in giro, vagano, sono assistiti da una rete di volontari, ma senza nessuna garanzia". Una serata dedicata ai rifugiati in Piemonte e Valle d’Aosta alle porte della città, organizzata dal gruppo 280 di Amnesty International di Nichelino. Aperitivo e musica per celebrare la giornata Mondiale del Rifugiato che si celebra domani, ma anche un intervento sulla delicata situazione di chi sbarca a Lampedusa e arriva al nord, sul nostro territorio. "Sono 40 milioni i rifugiati in tutto il mondo, di cui 16 milioni hanno varcato i confini del loro paese, mentre i restanti sono sfollati, cioè sono ancora nei loro confini - ha spiegato Cristiana Cavagna, referente per i rifugiati Amnesty International per Piemonte e Valle d’Aosta - . In Italia i richiedenti asilo sono 31 mila (dati Unhcr del 2008), e di tutti coloro che sono sbarcati in Italia, il 75% ha chiesto asilo (di questi, il 50% ha ottenuto o lo status di rifugiato o la protezione umanitaria)". La provenienza: Iraq, Afghanistan, Somalia, Colombia. L’Italia è il quarto paese al mondo come "approdo", dopo Stati Uniti, Canada e Francia. La maggior parte migrano in paesi limitrofi, del cosiddetto terzo mondo, paesi non in grado di sostenerli, solo il 10, 15% arriva nei paesi più ricchi. "L’Italia è salito molto in graduatoria, perché il numero sta crescendo, non è solo più un’emergenza". Ma il diritto d’asilo esiste davvero? "Spesso è un diritto negato, non applicato". "Il diritto d’asilo - continua Cavagna - è anche diritto di ricominciare. A volte arrivano persone con alte professionalità, dei cervelli che vengono umiliati, e hanno bisogno di dignità, non solo di una casa e di un lavoro. Non solo l’Italia è l’unico paese dell’Unione Europea a non avere una legge organica sui rifugiati (esiste solo l’articolo 10 della Costituzione che invita all’accoglienza), ma spesso chi arriva da noi e ottiene lo status di rifugiato, ha di fatto i diritti di ogni altro cittadino, ma spesso invece viene abbandonato a se stesso". "Qualcuno dice stavo meglio quando ero richiedente asilo, perché gli veniva data qualche forma di assistenza, dopo la riposta, in teoria ha tutti i diritti riconosciuti, in pratica viene abbandonato a se stesso". Alcuni dormono in giro, vagano, sono assistiti da una rete di volontari, ma senza nessuna garanzia ufficiale, da parte delle istituzioni". Immigrazione: Napolitano; tutelare i diritti di chi richiede l'asilo
Asca, 19 giugno 2009
È necessaria una "migliore definizione della politica di asilo" che "coniughi pacifica convivenza fra i popoli e tutela dei diritti dei singoli". Lo ha affermato il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, nel messaggio inviato agli organizzatori della Giornata Mondiale del Rifugiato. "Le emergenze politiche e umanitarie dei nostri giorni e il severo impatto della crisi economica mondiale non possono lasciarci indifferenti - ha sostenuto Napolitano - e ci richiamano ad un impegno collettivo per l’attuazione delle intese raggiunte al livello delle Nazioni Unite e dell’Unione Europea a tutela dei richiedenti asilo e dei rifugiati". Il Presidente della Repubblica ha ricordato "il patto sull’immigrazione e l’asilo approvato dal Consiglio europeo nel dicembre 2008, che esorta ad adottare le iniziative appropriate per costruire un’Europa dell’asilo, mantenendo un intenso dialogo con l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati, per assicurare alle persone che vi hanno diritto un adeguato livello di protezione". "Abbiamo il dovere - ha detto ancora Napolitano - di puntare alla costruzione di un ordine internazionale improntato a giustizia e solidarietà, che coniughi pacifica convivenza fra i popoli e tutela dei diritti dei singoli. Sono certo che dall’odierna conferenza emergeranno utili indicazioni per favorire una migliore definizione delle politiche di asilo". Droghe: su "dipendenze e privacy", molte riserve del Garante di Franco Marcomini
Il Manifesto, 19 giugno 2009
Il Garante per la protezione dei dati personali, su specifica richiesta del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali, ha espresso parere sul decreto che definisce le procedure di raccolta dati per il Sistema Informativo Nazionale Dipendenze, (Sind), manifestando non poche riserve in merito. La prima riguarda la poca chiarezza circa le finalità del sistema stesso. Il Sind infatti dovrebbe rappresentare uno strumento di analisi delle attività svolte dal Servizio sanitario nazionale nell’ambito delle dipendenze ai fini di valutazione e programmazione dei servizi, non invece un dispositivo di monitoraggio delle persone che sono in trattamento presso i servizi tossicodipendenze. Il Garante richiama dunque ad una precisa definizione degli scopi istitutivi del Sind osservando che "allo stato, indicazioni circa le possibili finalità cui è preordinato il sistema sono contenute solo nel preambolo e nel disciplinare tecnico allegato allo schema e in maniera, peraltro, non esaustiva". Definire con chiarezza gli obiettivi che il sistema informativo vuole perseguire è il primo criterio per distinguere le informazioni utili e necessarie da quelle che eccedono i compiti prefissati. Ciò permette di restringere il campo dei dati da raccogliere a tutela della riservatezza: la quale non sembra neppure garantita per altri aspetti, come la non identificabilità delle persone. Su questo punto cruciale il Garante si esprime, ritenendo necessario sostituire la dizione contenuta nel decreto ("informazioni individuali, ma non nominative") con quella, più corretta, di "dati personali non identificativi". Non si tratta di una sottigliezza formale, ma di un fatto sostanziale che minaccia il diritto alla privacy delle persone colpite da infezione Hiv. Poiché le modalità di trattamento dei dati previste dal decreto non forniscono garanzie adeguate ad assicurare pienamente il rispetto dell’anonimato - sentenzia il Garante - non può ritenersi, allo stato, consentita la raccolta nell’ambito del Sind di informazioni personali attinenti a tale infezione". Insieme ai dati riguardanti questa patologia, per analoga cautela sono esclusi quelli riguardanti i provvedimenti giudiziari. Infine, sempre allo scopo di delimitare il campo, è richiesto di attingere informazioni solo sulle patologie concomitanti allo stato di dipendenza e "di espungere dallo schema la rilevazione di comportamenti quali il gioco d’azzardo patologico e l’uso di tecnologie digitali (la cosiddetta "dipendenza da computer") che appaiono, con evidenza, eccedenti rispetto alle finalità del decreto il cui ambito di applicazione è la sola dipendenza da sostanze stupefacenti o da alcool anche in conformità a quanto previsto dalla normativa di settore". Anche dai rilievi del Garante circa un dispositivo particolare come il sistema informativo, traspare la debolezza del sistema dipendenze italiano caratterizzato da finalità poco chiare e mal definite, se non per alcuni aspetti ideologici, quali il ripetuto richiamo al "non diritto all’uso di droghe" (oscura espressione di nessuna rilevanza giuridica e culturale); o la pretesa di identificare la "guarigione assoluta" (leggi l’astinenza totale) dagli stati di dipendenza come obiettivo fondativo delle pratiche di trattamento. Siamo nell’ambito della propaganda e tuttavia mancano prese di posizione chiare in ambito tecnico scientifico che denuncino l’attuale scempio. Per concludere, rivolgo ai tecnici che dovranno attuare il sistema informativo dipendenze alcune domande: se il Sind deve occuparsi solo di dipendenze, quando si dichiarerà che anche i Sert (servizi tossicodipendenze) devono occuparsi di persone dipendenti, per l’appunto, senza confusione coi consumatori? È accettabile il protocollo di certificazione dello stato di tossicodipendenza quando prescrive che le relative procedure "non possono fare distinzione tra uso occasionale, uso regolare o presenza di dipendenza al fine di attivare la sospensione cautelativa del lavoratore"? Vogliamo che i servizi siano valutati sull’adesione alla propaganda oppure al rigore scientifico e alla serietà professionale? (Vedi il parere del Garante - in pdf) Stati Uniti: presto nuovo rapporto su torture a detenuti da Cia
Associated Press, 19 giugno 2009
Il governo americano presenterà a breve un rapporto interno sul programma di detenzioni segrete e interrogatori della Cia. Ancora non si sa quanto di queste informazioni riservate saranno declassificate, cioè rese pubbliche. Il rapporto di 150 pagine dovrebbe essere presentato oggi ma ieri un portavoce dei servizi segreti Usa aveva detto che i funzionari del governo stavano ancora esaminando i documenti. George Little, il portavoce, ha detto che "la Cia sta rivedendo il rapporto per stabilire quanto potrà essere declassificato in accordo con il Freedom of Information Act (la legge che regola l’accesso ai documenti pubblici)". Pochi giorni fa The Washington Post aveva scritto che la Cia sta cercando di evitare che i documenti sugli interrogatori vengano resi pubblici e sempre tre giorni fa i legali dell’American Civil Liberties Union (Aclu) avevano presentano dei documenti che provavano come un presunto dirigente di Al Qaida e molti altri detenuti sospettati di terrorismo sarebbero stati "brutalmente torturati" dagli agenti della Cia nel carcere di Guantanamo Bay. In aprile erano stati resi pubblici quattro memorandum dell’amministrazione Bush sui metodi di interrogatorio assai duri utilizzati dall’intelligence americana. Il presidente Barack Obama, pur difendendo la pubblicazione dei documenti, aveva deciso di non rivelare l’identità segreta degli agenti coinvolti e di non perseguirli penalmente ma aveva anche detto basta a torture e tecniche illegali come il water-boarding, l’annegamento simulato. La pubblicazione dei memorandum e la posizione di Obama avevano scatenato accese polemiche. Iraq: Commissione Speciale, indagherà sugli abusi nelle carceri
Osservatorio Iraq, 19 giugno 2009
Il governo di Baghdad avrebbe deciso di indagare sugli abusi nelle carceri, nel tentativo di parare le accuse che, sempre più numerose, continuano ad arrivare, e che parlano di violazioni dei diritti umani nelle strutture di detenzione sotto il suo controllo. Di questo si occuperà una commissione speciale, creata dal Primo Ministro Nuri al Maliki, che ha iniziato a lavorare oggi. È il passo successivo a una indagine di natura più limitata condotta dal ministero degli Interni, le cui conclusioni sono appena state rese pubbliche. La commissione è composta da otto membri - in rappresentanza dei ministeri che hanno responsabilità in materia di sicurezza (Interni e Difesa), e di organismi che si occupano di giustizia e diritti umani, secondo quanto reso noto da un portavoce governativo, che ha specificato che la decisione di Maliki è stata presa ieri. I tempi sono stretti: il nuovo organismo dovrà presentare le conclusioni del suo lavoro entro due settimane, dice il generale Qassim al-Mussawi, un portavoce militare iracheno. Due giorni fa il ministro degli Interni Jawad al Bulani aveva riferito le conclusioni di una inchiesta condotta dal suo ministero, secondo la quale 43 ufficiali di polizia saranno chiamati a rispondere del loro operato, dopo che una apposita commissione, che ha indagato su 112 denunce specifiche, ha scoperto 23 casi di abusi dei diritti umani e 20 casi relativi a persone incarcerate arbitrariamente. Il mandato della nuova commissione istituita dal premier Maliki dovrebbe essere assai più ampio - e riguardare l’intero sistema carcerario sotto responsabilità irachena. Pressioni sul governo perché si indaghi seriamente sulle condizioni dei detenuti vengono dai sunniti (gruppo al quale appartiene gran parte di coloro che si trovano in carcere) e dagli sciiti del movimento di Muqtada al Sadr - dato che molti dei loro sostenitori sono stati arrestati nel corso di retate e cosiddette "operazioni di sicurezza" nel corso dell’ultimo anno. Si parla comunemente dell’utilizzo di torture e maltrattamenti di vario tipo sui detenuti, mentre le condizioni di vita nelle carceri, sovraffollate, lasciano notoriamente a desiderare, e non sono conformi agli standard internazionali. A denunciare il sovraffollamento e il verificarsi di "gravi violazioni dei diritti umani" dei detenuti in custodia degli iracheni sono state fra gli altri le Nazioni Unite, che hanno chiesto ripetutamente che si indaghi a riguardo - una questione che ha assunto una nuova urgenza, dopo l’entrata in vigore del cosiddetto "accordo di sicurezza" fra Stati Uniti e Iraq, che prevede fra l’altro che i detenuti in custodia delle forze Usa vengano trasferiti progressivamente al sistema giudiziario iracheno. Camp Bucca - la maggiore struttura di detenzione sotto controllo Usa, situata in pieno deserto nel sud, nei pressi della città di Umm Qasr - dovrebbe chiudere a metà settembre, mentre un’altra che si trova nella base Usa di Taji verrà consegnata agli iracheni agli inizi dell’anno prossimo. L’ultima a passare sotto il controllo delle autorità di Baghdad, nell’agosto 2010, sarà Camp Cropper, situata alla periferia di Baghdad.
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