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Giustizia: registro "materassi a terra", ammissione di sconfitta di Marco Imarisio
Corriere della Sera, 20 giugno 2009
"L’ubicazione del quinto detenuto deve essere adottata a rotazione, in via provvisoria e con materasso a terra". L’ordine di servizio che istituisce il registro è categorico. I "nuovi giunti" dormono a turno sul pavimento, "in stanze da 4, ma per necessità utilizzate a 5 e più". Alla fine di maggio è arrivato il caldo, anche a Trieste. Con la temperatura salgono anche gli odori, lo stress. Soprattutto tra persone che vivono rinchiuse in spazi sempre più angusti. Una lite è avvenuta a causa di scarpe da tennis considerate troppo puzzolenti, un’altra perché a notte fonda, nello scendere dalla branda per andare in bagno, un detenuto ha poggiato il piede sul giaciglio di un compagno di detenzione. E poi c’erano i pakistani che si sentivano discriminati, sostenevano che troppe volte toccava a loro ospitare gli ultimi arrivati, in celle a due posti già stipate da sei persone, come mimmo. Il registro dei materassi a terra, la cui esistenza è stata segnalata da Radio Carcere, è nato per questo. Garantire almeno equità nella spartizione dei disagi, allontanare l’accusa di favorire qualche gruppo etnico, dettaglio importante in un carcere che conta detenuti di sessanta diverse nazionalità. La notte al livello del suolo tocca sempre agli ultimi arrivati, i "nuovi giunti". Il numero delle notti passate per terra viene annotato insieme alla celle dove vengono disposti i materassi. Il tentativo di garantire un decente turnover dipende dalle uscite dal carcere. Solo quando si libera una brandina è possibile procedere all’indennizzo, chiamiamolo così. "Capisco che possa sembrare una idea folle, ma funziona. Le liti e le proteste si sono ridotte. Trovo ragionevole che lo Stato si preoccupi almeno di gestire la mancanza assoluta di spazio fisico". Enrico Sbriglia sa bene che la sua trovata rappresenta l’ammissione di una sconfitta. E non solo per il Coroneo, il carcere che dirige da 17 anni. A Trieste lo chiamano tutti così, con il nome della via che lo ospita nel pieno centro della città, a ridosso del Tribunale. Molto spesso i turisti ci si fermano davanti, incuriositi dal dialogo fatto di gesti tra i parenti e i detenuti affacciati alle finestre. La struttura è vecchia ma ancora dignitosa, come sottolineato dagli ultimi parlamentari che lo hanno visitato. Solo che dentro ci dovrebbero stare al massimo 158 persone, mentre alla conta di ieri i detenuti che hanno risposto presente erano 261. Non c’è spazio per tutti, neppure per impilare altre reti metalliche. La capienza di ogni stanza viene moltiplicata per tre, ma ancora non basta. Quindi, si dorme per terra. Potrebbe essere un buon titolo per un racconto surreale, il registro dei materassi a terra. Invece è la presa d’atto di una realtà quotidiana sempre più deteriorata. Le carceri italiane scoppiano. La notizia non è certamente nuova, ma il livello di guardia sta per essere raggiunto. Appena due giorni fa, l’associazione Ristretti Orizzonti stimava che il totale dei detenuti avesse raggiunto quota 63.460, quando la capienza "tollerabile" dei nostri istituti di pena, oltre la quale non c’è più spazio nemmeno per uno spillo, è di 63.623 persone. "C’è da vergognarsi. A queste persone noi prendiamo la libertà senza dare indietro nulla. Siamo stanchi di essere i custodi dell’illegalità, di lavorare fuorilegge senza poter garantire un contesto di vita dignitoso a chi deve scontare la pena". Il Coroneo non è certo una eccezione. Dati alla mano, rappresenta il carcere italiano medio. Sovraffollato, multietnico. E ovviamente in attesa di giudizio, condizione che riguarda il 60% dei suoi detenuti. Sbriglia prende in mano una Circolare emanata dalla Direzione dell’amministrazione penitenziaria nel 2007 e legge le regole per la prima accoglienza dei detenuti appena giunti in carcere. Oltre alle visite specialistiche, per evitare traumi si raccomanda l’assegnazione "a stanza diversa, più confortevole rispetto all’ordinario". Terminata la lettura, ecco il commento. "Tutte balle. La verità è che non c’è niente. Chi ci governa deve capire che questa situazione non è una pseudo emergenza, ma un fatto vero". Alla fine si capisce che dietro il registro dei materassi a terra non c’è solo la necessità di mettere ordine al caos. C’è anche una richiesta d’aiuto, fatta da uno dei pochi appartenenti a questo microcosmo insalubre autorizzato a comunicare con l’esterno, in quanto segretario del Sindacato che riunisce Direttori e Funzionari degli istituti di pena. "Non voglio fare il profeta di sventura, ma la situazione è tremenda. Abbiamo accumulato anni di ritardo e parole vuote, adesso siamo al punto di non ritorno". Sbriglia non è un novello Brubaker, il direttore di penitenziario interpretato da Robert Redford che voleva cambiare il mondo. È piuttosto un moderato, ex assessore al Bilancio del Comune di Trieste, iscritto ad Alleanza Nazionale. Prima del Coroneo era a Pordenone. "Lo chiamano il Castello. Un carcere che ti fa pensare a Silvio Pellico. Trent’anni fa ne era stato promesso uno nuovo, più grande e moderno. Stiamo ancora aspettando la posa della prima pietra. Poi uno si stupisce dei nostri materassi a terra". Giustizia: se i detenuti, per avere ascolto, devono salire sui tetti
Ristretti Orizzonti, 20 giugno 2009
Noi tutti pensavamo che il Nuovo Ordinamento Penitenziario ed il suo Regolamento di Esecuzione, avessero da soli risolti i problemi dei detenuti. Così purtroppo non è se oggi scopriamo che un detenuto della Casa Circondariale di Firenze-Sollicciano per poter parlare con qualcuno (che non sia un agente di polizia penitenziaria), deve salire sui tetti. Sembrerebbe quasi una cronaca di 30 anni fa ma invece è realmente accaduto proprio il giorno dei festeggiamenti della festa del Corpo di polizia penitenziaria della Toscana in Livorno. Quasi a voler preludere il discorso di rito del Provveditore Regionale fatto, un’ora prima, agli invitati alla manifestazione, sulle statistiche dei casi critici della regione e il correlativo impegno profuso dall’Amministrazione Regionale stessa per la loro prevenzione. Discorso correlato - per quanto ci è possibile sapere - agli impegni profusi per il benessere del personale e all’auspicio di un maggior coinvolgimento delle figure apicali del Dap per il raggiungimento degli obiettivi. Paradossalmente, quindi, mentre si rendevano pubblici i risultati e i progetti, a Sollicciano si vedeva un detenuto salire sui tetti per protestare contro chi da più giorni non lo aveva voluto nemmeno ascoltare. Appare decisamente anacronistico l’episodio ma per la sua drammaticità ci deve fare riflettere tutti, soprattutto a chi oggi è venuto da Roma per festeggiare (cosa?) il Corpo di polizia penitenziaria. Il benessere del personale non passa per progetti intangibili e proclami di intenti. Viaggia di pari passo con il lavoro quotidiano del personale del Corpo. Ad esso vanno affiancate le figure professionali previste dal nostro O.P. e le Dirigenze debbono svolgere il proprio lavoro con maggior determinazione e senso di responsabilità, evitando di nascondersi dietro la Circolare o il Provveditore di turno. Certo se a mancare sono proprio i Direttori le conseguenze di tali assenze sono a discapito del benessere della polizia penitenziaria e della popolazione detenuta. Ma se già oggi i detenuti vanno sui tetti per parlare coi Direttori, quando il Commissario Straordinario per l’edilizia penitenziaria avrà dato il via alle betoniere di cemento armato per l’ampliamento e la costruzione di nuovi posti letto, chi sarà a sostegno e al trattamento dei detenuti?
Segreteria Sappe Toscana Giustizia: Sbriglia (Sidipe); rischiamo la "sicurezza da straccioni"
Ansa, 20 giugno 2009
"Se le carceri dovessero tracollare, proprio quella sicurezza così spesso invocata dimostrerebbe di essere una sicurezza da straccioni": è l’appello al Governo di Enrico Sbriglia, Segretario Nazionale del Sindacato dei direttori e dirigenti penitenziari (Sidipe). Alla Festa della Polizia penitenziaria nel carcere di Trieste, di cui è direttore, Sbriglia ha ricordato le condizioni di estrema difficoltà del carcere di Trieste dove, per far fronte al sovraffollamento e per garantire criteri di equità nel trattamento dei detenuti, nelle scorso mese di maggio è stato istituito un registro con i turni che i detenuti devono rispettare per dormire sui materassi appoggiati direttamente a terra. Giustizia: morte Aldrovandi; Pm chiede condanna di 4 poliziotti
La Repubblica, 20 giugno 2009
Tre anni e otto mesi di galera: è la richiesta del pubblico ministero. "Anche se come padre darei l’ergastolo ai quattro poliziotti che hanno picchiato a morte mio figlio mentre chiedeva aiuto, sono fiero che in Italia ancora esistano magistrati così". Lino Aldrovandi mastica lacrime e parole. Sua moglie Patrizia prova a darsi forza: "Qualunque pena sarebbe troppo poco rispetto a quello che è successo a Federico, 18 anni, incensurato e ammazzato di botte. Tuttavia, oggi ho capito che avremo giustizia". I quattro sono seduti a tre metri e non sanno dove mettere le mani e gli occhi. Enzo Pontani è quello biondo, sembra il più sicuro di sé ma forse è una finta. Paolo Forlani prova a sorridere. Luca Pollastri, il piccoletto, ha occhiaie lunghe. Lei, Monica Segatto, è uno spettro. Tutori della legge alla sbarra. Per quattro ore e mezza hanno ascoltato il pm Nicola Proto, toga a sghimbescio su jeans e giacca blu, ricostruire l’alba terribile del 25 settembre 2005, quando Federico Aldrovandi venne fermato, manganellato, ammanettato per mezz’ora perché aveva dato in escandescenze, urlava e aveva preso sostanze (eroina, ketamina e alcol) dopo essere tornato da una discoteca a Bologna. Nell’aula, la voce del magistrato è una lama di ghiaccio. "Federico aveva solo diciotto anni, e se non avesse incontrato i quattro imputati oggi ne avrebbe ventidue. C’era proprio bisogno di picchiarlo in quattro con i manganelli, mentre diceva "basta" e "aiutatemi"? Era necessario colpirlo anche quando si trovava a terra, e poi prenderlo a calci, e immobilizzarlo in posizione prona mentre non riusciva a respirare?". La madre guarda gli imputati, che guardano nel vuoto. Pena e orrore scivolano lungo le pareti foderate in legno dell’aula B, un luogo piccolo dove manca l’aria, però è per altri motivi che manca. Per l’angoscia di sentire le testimonianze che parlano dei quattro poliziotti "scattati come formiche addosso al ragazzo, li ho visti tutti sopra di lui, senza fermarsi, lo tempestavano con i piedi, lo bastonavano in testa finché lui non si muoveva più". Manca l’aria quando si scopre che due manganelli su quattro si spezzarono, addirittura, e poi si cercò di farli sparire per mezza giornata, non l’unico tentativo di insabbiamento: questo ricostruisce il pubblico ministero. Manca l’aria quando si parla dell’ematoma dentro il cuore di Federico e della sua probabile asfissia, e della voce che si spegneva mentre implorata aiuto, e degli infermieri della Croce Rossa che quando arrivano - chiamati in ritardo dai poliziotti - lo trovano già morto, e soprattutto a pancia in giù: chi viene ammanettato così, può soffocare. Manca l’aria quando viene citata la testimonianza di uno degli imputati, Enzo Pontani, che disse: "Abbiamo preso gli sfollagente e abbiamo dovuto bastonare di brutto per mezz’ora". O quando si ricorda come la poliziotta Segatto si accorse delle luci nelle case vicine, e lo fece notare ai colleghi: "Moderate, che ci sono le luci accese". Il pubblico ministero incalza, soppesa le molte e contrastanti perizie, riannoda i fili: "Abbiamo motivo di ritenere che Federico morì per una serie di concause: per asfissia posturale in un fisico debilitato da droga e agitazione, anche se lui non era un tossico, e per asfissia meccanica dovuta a compressione del torace. Chiedeva aiuto, diceva basta, rantolava, e i quattro imputati non potevano non accorgersi che stava morendo, eppure non lo aiutarono ma lo picchiarono. Una reazione totalmente sproporzionata alla situazione". Questo ha portato all’accusa di eccesso colposo che provocò l’omicidio colposo. "Nell’impianto accusatorio non mancano le contraddizioni" sostiene Giovanni Trombini, uno degli avvocati della difesa. "Nelle nostre repliche avremo molto da dire". Il 6 luglio la sentenza. Anche un solo giorno di condanna significherebbe che in una maledetta mattina d’autunno, quattro "servitori dello Stato" hanno ucciso o contribuito a uccidere un ragazzino. Sicilia: l’Osapp contesta duramente Dossier di Garante Fleres di Accursio Sabella
www.livesicilia.it, 20 giugno 2009
"Tutte favole". Il rapporto ufficiale sulle carceri siciliane non è piaciuto alla polizia penitenziaria. Le parole del Garante Salvo Fleres, messe nero su bianco sul dossier raccolto e descritto oggi in un articolo di Live Sicilia ha suggerito l’intervento di Domenico Nicotra, vicesegretario generale dell’Osapp (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), che ha telefonato in redazione per esprimere la posizione della categoria. "Il garante Salvo Fleres - dice Nicotra - forse legge molti libri di fantasia. Raccontare, nel 2009, la storia di Kunta Kinte fa davvero accapponare la pelle. La Polizia penitenziaria della Sicilia e di tutta Italia, ha dei livelli di sicurezza e garanzia tali che lo Stato può stare tranquillo. Noi non consentiremmo mai questo tipo di torture". Nicotra, poi, prosegue con l’attacco a Fleres: "Un Garante dei detenuti - afferma - non può permettersi di pubblicare dichiarazioni dei carcerati non verificate. Che a Piazza Lanza esista un uomo di colore messo lì apposta per le sevizie è una cosa alla quale non crederebbe nemmeno una ragazzina di dodici anni. Non mi spiego come abbia fatto a crederci lui". Altro tema, le condizioni igieniche delle carceri: "Anche noi - aggiunge Nicotra - denunciamo da tanto tempo la presenza di topi e scarafaggi. Ma questo è un problema derivante dalla carenza di fondi. Ed è dovuto all’azione di un governo che lui stesso rappresenta. Un governo che soldi non ne manda. E senza soldi non possiamo fare la derattizzazione o comprare le saponette. Non basta andare in piazza a dire che le carceri fanno schifo, tanto per fare notizia. Bisognerebbe muoversi affinché possano arrivare un po’ di fondi". Nicotra poi aggiunge un retroscena: "L’altro giorno - racconta - sono tornato da Roma con alcune novità. E credo siano state queste a scatenare la reazione di Fleres. Perché sono notizie che a lui, evidentemente non sono piaciute. Mi riferisco al fatto che il carcere di Piazza Lanza non solo non chiuderà, ma sono stati stanziati anche i fondi per ristrutturare l’ultima parte che manca. Mentre il nuovo carcere previsto dal cosiddetto Piano Ionta si aggiungerà a quello di Piazza Lanza, non lo sostituirà. Con grande dispiacere per il Garante, che probabilmente preferirebbe che quel carcere venisse chiuso". Viterbo: Ausl contro Simspe; sanità in carcere, è tutto in regola
www.tusciaweb.it, 20 giugno 2009
La direzione strategica della Ausl di Viterbo è stupita e indignata per le notizie, del tutto prive di fondamento ma cariche di un forte contenuto allarmistico, che la Società italiana di medicina e sanità penitenziaria ha diffuso nei giorni scorsi. Ci meraviglia che una società che si fregia del titolo di scientifica non citi le fonti delle notizie che diffonde, né verifichi i dati di cui è venuta a conoscenza. Entrando nello specifico, l’affermazione che "all’interno del carcere di Mammagialla operano medici e infermieri senza contratto" è completamente falsa. Infatti, degli undici medici ivi operanti, otto sono dipendenti della Ausl di Viterbo e, quindi, non necessitanti di contratto separato. Due, liberi professionisti il cui contratto scade il 30 di giugno, hanno già avuto il rinnovo. Uno è dipendente della Ausl di Perugia alla quale è già stata chiesta l’autorizzazione per il rinnovo contrattuale. Prima del passaggio dell’assistenza sanitaria alla Ausl di Viterbo, la casa circondariale aveva 8mila ore annue di assistenza infermieristica, attualmente le ore erogate sono 17.520, quindi più del doppio della precedente gestione e circa il doppio di quanto viene erogato nel penitenziario di Rebibbia a Roma. Dei 18 infermieri in servizio, solo tre non sono dipendenti della Ausl e, per questi, è stato da tempo stipulato un contratto con le strutture sanitarie dalle quali dipendono. Ci meraviglia, altresì, il fatto che il coordinatore sanitario del carcere lamenti di non essere ascoltato da questa direzione generale quando il nostro servizio personale ha posto la scelta allo stesso tra diversi schemi di assistenza infermieristica. Pertanto, la strutturazione dei turni e la composizione del team infermieristico per ogni turno è quella di gradimento del coordinatore, avendole lui stesso definite. Naturalmente, con il passaggio alla Ausl di Viterbo, è stato applicato al penitenziario Mammagialla l’orologio marcatempo e la direzione strategica si chiede se, per caso, questo possa aver disturbato qualche operatore. Per quanto riguarda, invece, l’assistenza specialistica, dalle 28 ore della precedente gestione, siamo passati a 35 ore settimanali, raddoppiando alcune specialità (ad esempio, odontoiatria). A questa attività, vanno aggiunte 36 ore settimanali di assistenza specialistica psichiatrica e infettivologica. Si precisa, infine, che la retribuzione del personale avviene nel rispetto delle norme contrattuali (medici di guardia - 23 euro l’ora, come da contratto della medicina di continuità assistenziale; specialisti ambulatoriali - 35 euro l’ora, come da contratto nazionale Sumai; infermieri - 17 euro l’ora, come da contratto prestazioni aggiuntive). È di estrema gravità l’affermazione che Il Messaggero, in data odierna, attribuisce al dottor Franco Lepri, secondo il quale la Ausl farebbe lavorare medici collusi con la malavita. Il dottor Lepri ignora che i nominativi di tutti coloro operano presso le strutture sanitarie del penitenziario viterbese vengono preventivamente sottoposti all’approvazione della direzione della casa circondariale stessa che si avvale della collaborazione della Digos. In conclusione, la macroscopica infondatezza delle notizie e delle insinuazioni diffuse via stampa avvalora il sospetto che, quanto dichiarato, costituisca l’ennesimo attacco a questa direzione strategica nel tentativo di screditare, sempre e comunque, la medicina pubblica, rendendo servigi a chi persegue interessi privati e non trasparenti.
Giuseppe Aloisio, Direttore generale Ausl Alessandro Compagnoni, Direttore sanitario Ausl Roma: il sacerdote ortodosso; a Rebibbia 130 i detenuti romeni
Redattore Sociale - Dire, 20 giugno 2009
A colloquio con padre Petre Bogdan, assistente spirituale ortodosso nel carcere della capitale: il numero in forte calo rispetto al passato: per lo più sono accusati di reati minori. Le richieste, i pochi aiuti. Dietro le porte di Rebibbia sono in 130, ma in passato sono stati anche più del doppio, quasi trecento: da quando la Romania è entrata a far parte dell’Unione Europea (gennaio 2007) il numero dei detenuti romeni reclusi è in costante calo. E la gran parte di loro sono "ladruncoli", persone che hanno compito reati minori contro il patrimonio. A raccontare la realtà del carcere romano è padre Bogdan Petre, parroco ortodosso a Fonte Nuova (località alla porte di Roma) e assistente spirituale della comunità romena all’interno dell’Istituto penitenziario: presente nel carcere come "ministro di culto", un giorno alla settimana ascolta le storie dei detenuti insieme ad un altro sacerdote ortodosso e tre volontari. "La gran parte dei romeni di Rebibbia - spiega padre Bodgan - sono persone condannate o in attesa di giudizio per reati minori contro il patrimonio: molti sono abbandonati completamente a loro stessi, con gli stessi avvocati che li visitano molto raramente. Fra tutti, la condizione più difficile, una vera e propria guerra dei nervi e contro il tempo, è quella di quanti sono in attesa del processo". Una fragilità sociale che il pope sperimenta nei colloqui individuali nei quali i carcerati si raccontano ed esprimono piccole richieste: "Chiedono di informare telefonicamente i loro parenti della loro presenza in carcere, domandano giornali romeni per poter continuare ad informarsi, e chiedono piccole somme di denaro, anche solo 5 euro da versare sul conto". "La condizione economica di queste persone - continua - è molto difficile: spesso non hanno soldi per le cose essenziali di igiene intima". Nella sua parrocchia padre Bogdan raccoglie denaro proprio per loro: "Per noi cinque euro sono niente, per loro rappresentano un aiuto prezioso: sono molto contenti anche se portiamo loro un piccolo crocifisso o un francobollo". "Ricevere visite è un bene per loro - racconta ancora il sacerdote - perché è un’opportunità che permette loro di uscire dalla cella"; l’alternativa, in carcere, è soprattutto la lettura. Padre Bogdan ha portato alla biblioteca centrale del carcere libri in lingua romena, insieme a migliaia di giornali e libri di preghiera: "I carcerati sollecitano copie della Bibbia perché probabilmente è l’unico arco di tempo in cui possono dedicarsi alla lettura e quello che interessa loro è la parola di Dio: ma purtroppo invece di fondi, finora abbiamo avuto solo promesse". Il sacerdote ortodosso racconta delle numerose occasioni in cui le promesse di aiuto non sono state mantenute e ragionando sul futuro auspica una maggiore consapevolezza della stessa comunità romena nella necessità di una necessaria e autorevole rappresentanza. "Il nostro - racconta - è un lavoro di volontariato: pur avendo chiesto ripetutamente di essere appoggiati dal punto di vista giuridico ed economico, nessuna istituzione, né romena, né italiana, ci ha mai dato una mano. Facciamo tutto con poche forze e risorse: abbiamo sollecitato il consolato romeno ad assicurare una loro presenza ogni due o tre mesi, ma non abbiamo ottenuto risultati. Dicono che manca il personale". La missione di padre Bogdan inizia nel 2004. Il suo superiore di allora, il vescovo ortodosso Iosif con sede a Parigi, lo incarica di occuparsi dei romeni emarginati di Roma, in particolare dei carcerati. All’epoca avrebbe dovuto occuparsi anche dei rom con passaporto romeno, ma solo nel 2005 - dopo varie richieste al carcere - riesce ad incontrare Carmelo Cantone, il direttore del penitenziario, e a ricevere dal ministero dell’Interno e dal dicastero della Giustizia il nulla osta per entrare a Rebibbia come "ministro di culto". Da allora un giorno intero alla settimana è dedicato a loro, con momento di preghiera, di catechesi e di ascolto sia nell’ala del carcere maschile sia nel settore femminile dell’istituto penitenziario. Per padre Bogdan il punto da sottolineare è la mancanza di politiche di prevenzione e di reinserimento dei carcerati nella società una volta esaurito il periodo detentivo: secondo la sua esperienza cioè il problema carcere si intreccia con la vita quotidiana della comunità romena in Italia. Molte persone arrivano a delinquere, "a vivere come dei Robin Hood facendosi giustizia con le proprie forze" perché non sono tutelati nei loro diritti, come avviene ad esempio per coloro che "arrivati in Italia in cerca di un lavoro, vengono derubati dai loro datori di lavoro che non li pagano". Per questa gente "il confine verso la delinquenza è sottile e spesso ci cascano". Ma soprattutto è necessaria una vera rappresentanza politica che tuteli le comunità romene e una maggiore partecipazione delle stesse associazioni di romeni ai progetti di partecipazione sociale. Forlì: Polizia Penitenziaria chiede rinforzi; il Dap non risponde
Il Resto del Carlino, 20 giugno 2009
I sindacati hanno scritto una lettera aperta al Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, chiedendo di aumentare l’organico della casa circondariale di Forlì: "Ma la richiesta è stata ignorata". Carcere sovraffollato e personale insufficiente: si rischiano ripercussioni sull’ordine pubblico. Ancora un allarme dei sindacati riporta l’attenzione sulla casa circondariale di Forlì, che soffre di problemi ormai storici: i detenuti oscillano fra i 230 e 240, mentre la capienza è di 135, estesa fino a 165 "in virtù di un criterio non precisato", scrivono le segreterie della Cgil funzione pubblica e dell’Fsa-Cnpp. L’organico previsto è di 125 agenti di polizia penitenziaria, mentre in servizio ne risultano 87, di cui 11 godono delle limitazioni della legge 104 e 8 delle esenzioni ai turni serali (il personale con più di 50 anni). È di una manciata di giorni fa la lettera dei sindacati, indirizzata al capo del dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria, e per conoscenza al prefetto, al presidente della Provincia e al sindaco, oltre che ai vertici dell’Ausl. La richiesta era esplicita: aumentare il personale di custodia. Questo in vista del periodo estivo, particolarmente critico, per l’afflusso di nuovi detenuti provenienti dalla riviera; il carcere della Rocca, tra l’altro, è l’unica struttura in Romagna ad avere la sezione femminile e quindi a dover gestire e vigilare sulle ristrette provenienti dalle altre province romagnole. Ma la richiesta sembra essere ignorata: nell’elenco dei reparti di Polizia penitenziaria che verranno potenziati durante il periodo estivo con l’utilizzo del personale proveniente dal reparto dell’Aquila, infatti, non è presente quello di Forlì e i sindacati non ci stanno. "Quali sono le vere motivazioni per cui le richieste presentate dalla casa circondariale di Forlì non vengono mai prese in debita considerazione?", scrivono in una nota le segreterie della Cgil funzione pubblica e dell’Fsa-Cnpp, "Perché non vengono neppure mai fornite doverose risposte in merito ai numerosi appelli?". La proposta avanzata dai sindacati è quella di "un invio meno corposo di agenti nelle altre strutture, e il loro dirottamento a Forlì" in modo da poter "finalmente dare un po’ di margine ad una struttura carceraria al tracollo". Gorizia: direttrice carcere trasferita a Venezia S.M. Maggiore di Roberto Covaz
Il Piccolo, 20 giugno 2009
Mentre a Gorizia le istituzioni si interrogano sulla soluzione più razionale per il nuovo carcere, proprio il direttore del carcere saluta la compagnia e si prepara al nuovo incarico di responsabile di quello di Venezia. La dottoressa Irene Iannucci lascia le Case Circondariali di via Barzellini e di Udine per assumere la direzione di quella del carcere maschile di Santa Maria Maggiore a Venezia. Istituto che ospita 320 detenuti anziché i 111 previsti dai regolamenti; dei 320 il 70% è rappresentato da cittadini stranieri. Al Santa Maria Maggiore, che si trova a due passi da piazzale Roma, si sono verificati negli ultimi giorni due decessi. Prima un suicidio, successivamente una morte la cui causa non è stata chiarita: pare che la vittima avesse inalato gas tossici sprigionati da un fornelletto da campeggio. Iannucci lascia dunque Gorizia proprio nel bel mezzo del ragionamento su quale possa essere la soluzione migliore per il nuovo "carzaro" - per dirla alla Camilleri - provinciale. "Mi auguro che si tratti di un normale trasferimento e che tale evento non incida sulla funzionalità del nostro carcere. Mi auguro inoltre che la dottoressa Iannucci sia al più presto rimpiazzata. Certo, l’altro giorno che l’ho vista per il sopralluogo di certe caserme, nulla è trapelato sulla sua imminente destinazione", ha detto un sorpreso Romoli. Iannucci assumerà il nuovo incarico domani nel corso della festa della Polizia penitenziaria che si terrà nella città lagunare. Il carcere di Gorizia ospita attualmente 32 detenuti, quasi tutti in attesa di giudizio. È agibile una sola ala dell’edificio, la cui ristrutturazione resta probabilmente la via più praticabile e meno costosa tra quelle ipotizzate, a cominciare dalla riconversione di caserme abbandonate. Magari se in via Barzellini fanno un bel lavoro ci arriva pure un tunisino da Guantanamo. Pavia: corsi formazione e laboratori di sartoria e falegnameria
La Provincia Pavese, 20 giugno 2009
Stare seduti, sdraiati, aspettare l’ora d’aria e ricominciare ad aspettare. Pensare ai motivi che hanno portato dietro le sbarre, ripercorrere la svolta che dalla libertà li ha condotti in carcere. Pentirsi o essere convinti di non aver fatto nulla di male, ma comunque avere davanti a sé un tempo infinito e scarse possibilità di impiegarlo. Perché la pena non sia solo tempo sprecato, il centro di Formazione Professionale da quindici anni organizza in collaborazione con le associazioni Oikos e Domdoca, il provveditorato regionale di amministrazione penitenziaria e la direzione della casa circondariale di Pavia corsi e laboratori tra le mura invalicabili. Fare impresa sociale in carcere permette ai detenuti di lungo corso di lavorare dall’interno della prigione. Chi invece uscirà nel giro di poco tempo avrà un’opportunità per abbandonare la delinquenza grazie ad una esperienza lavorativa spendibile immediatamente. Ad organizzare i corsi del Cfp in carcere sono Maria Pia Giacobone e Elisabetta De Biaggi, che si occupano dell’offerta formativa anche a Vigevano e Voghera. "Grazie alla legge regionale 8 del 2005 che ci ha fornito un finanziamento da 69mila euro per questo biennio stiamo creando due imprese intra murarie: una sartoria a Vigevano nella sezione femminile e una falegnameria a Pavia nella sezione dei detenuti comuni" racconta Giacobone. I due progetti, partiti ad aprile, si chiamano rispettivamente Penelope e Giuseppe e hanno coinvolto 14 detenuti e detenute. "Nelle 300 ore finanziate dalla regione oltre alla formazione strettamente professionale ci sono ore di formazione alla sicurezza sul lavoro e delle cosiddette life skill, abilità di vita" spiega De Biaggi. Si va dall’imparare il lavoro di gruppo, perché i compagni di sventura imparino a lavorare come colleghi, allo scoprire come si fa un curriculum. La parte più difficile dell’impresa in carcere, dopo i continui trasferimenti dei detenuti che iniziano il percorso, è trovare le commesse. La direttrice del Cfp Maria Assunta Cescon spiega: "Ci sono ancora pregiudizi e reticenze nell’affidare del lavoro a detenuti o ex detenuti anche se ci sono molti sgravi fiscali per il committente. È difficile rompere questa diffidenza ma stiamo lavorando con diocesi, scuole e università in questa direzione". Verona: concluso corso per operatori addetti alla ristorazione
Redattore Sociale - Dire, 20 giugno 2009
Si è appena concluso all’interno del carcere veronese di Montorio il corso "Operatore addetto alla ristorazione" organizzato dal Centro polifunzionale don Calabria e finanziato dalla regione. Al laboratorio di 150 ore hanno partecipato dieci detenuti della Casa Circondariale che, a conclusione delle attività, hanno preparato come cuochi e camerieri un pranzo completo dal primo piatto al dolce per il direttore Salvatore Erminio, la responsabile dell’area trattamentale-educativa Enrichetta Ribezzi, gli agenti del carcere e i responsabili del Centro. "È il secondo corso sulla ristorazione in due anni che frequento in carcere - ricorda Karim, di origine algerina - e so per certo che una volta uscito da qui tra qualche mese lavorerò in un ristorante in Italia o nel mio paese". La maggior parte dei partecipanti preferisce cucinare dolci, dal tiramisù alla torta di carote o alla crostata, ma c’è chi ama preparare il pane o la pasta all’uovo, come Yusef, marocchino da due anni a Montorio, che una volta uscito raggiungerà i propri familiari a Ventimiglia perché "la maggior parte di loro lavorano in bar e ristoranti". Ma c’è chi come Adil, anche lui marocchino, sostiene di avere altri progetti perché quando tornerà in libertà vuole continuare negli studi, poiché ha già conseguito un diploma in meccanica. Padova: polizia penitenziaria protesta manifestando in piazza
Il Mattino di Padova, 20 giugno 2009
Si intensifica la protesta della polizia penitenziaria. Ieri mattina una rappresentanza degli agenti che lavorano al Due Palazzi ha manifestato in piazza Garibaldi denunciando l’enorme carenza di personale che unita al sovraffollamento delle carceri crea una situazione potenzialmente esplosiva, lesiva dei diritti dei detenuti e dei poliziotti. Una delegazione di dimostranti e delle sigle sindacali che li sostengono (Sinappe, Osapp e le categorie della pubblica amministrazione di Cgil, Cisl e Uil) è stata quindi ricevuta in Prefettura da un vicario del prefetto di Padova, ottenendo rassicurazioni su alcune misure che saranno studiate per alleviare il carico lavorativo dei poliziotti. Ad esempio impiegando agenti di altri corpi per le direttissime o per le convalide degli arresti. Misure che saranno discusse in un tavolo che dovrà convocare il prefetto. La polizia penitenziaria denuncia aggressioni da parte dei detenuti esasperati, l’impossibilità di usufruire dei riposi settimanali e l’assenza di protezione contro malattie contagiose. "Non c’è paragone tra l’aumento dei detenuti e il numero degli agenti nelle carceri", sottolinea Antonio Guadalupi, segretario nazionale del Sinappe. Cagliari: polizia penitenziaria scenderà in piazza il 16 settembre
La Nuova Sardegna, 20 giugno 2009
È sempre emergenza carceri: sono sovraffollate. La situazione è critica, oltre il limite di guardia, dappertutto, a Buoncammino in particolare. I sindacati della polizia penitenziaria lo denunciano da tempo e il 16 settembre protesteranno in città, qualche giorno prima della grande manifestazione organizzata a Roma, il 22. I segretari di Sappe, Osapp, Uil Pa Penitenziari, Cisl Fns, Sinappe, Cgil Fp e Ussp - che rappresentano il 95 per cento degli agenti penitenziari - nei giorni scorsi si sono incontrati col ministro della Giustizia, Angelino Alfano e il loro giudizio è stato negativo. "È stato un incontro inconcludente dovuto soprattutto dalla volontà del governo di chiudere a qualsiasi prospettiva a un progetto condiviso che le organizzazioni sindacali avevano pure offerto". Il documento delle segreterie è molto duro col Guardasigilli: "Riaffermare che l’unica opzione per ridurre le criticità del sistema penitenziario sia quello di affidarsi al piano carceri - continua la nota - non può trovarci d’accordo nel merito e nel metodo". I sindacati prendono atto che "durante la festa nazionale del Corpo, il governo ha annunciato un piano di assunzioni straordinarie", ma si chiedono "come mai questa ipotesi, o meglio questo impegno, non sia stata presentata il giorno dell’incontro con le rappresentanze sindacali". Rilevano poi "contraddizioni significative fra le indicazioni del ministro e i provvedimenti presi dal Dipartimento amministrazione penitenziaria". Il 15 agosto i segretari generali dei sindacati faranno visita ad alcune carceri della penisola. La protesta coinvolgerà tutte le principali carcere italiane, da Milano a Palermo. Firenze: il 25 e il 26 giugno, uno spettacolo con i detenuti-attori
www.teatro.org, 20 giugno 2009
Il 25 e il 26 giugno, all’interno del Giardino degli Incontri nel Nuovo Complesso Penitenziario di Sollicciano, sarà presentato lo spettacolo Freaks, della Compagnia Teatrale Sollicciano, composta attualmente da 25 attori-detenuti, nata nel 2004 dalla collaborazione tra la Direzione di Sollicciano, la Regione Toscana, la Fondazione Carlo Marchi e l’Istituto Sassetti-Peruzzi. La compagnia teatrale, diretta dalla regista Elisa Taddei, è al suo quinto anno di lavoro. Orario dello spettacolo: ore 20.45. Ingresso 5 euro. Chi è interessato ad assistere allo spettacolo si dovrà prenotare entro il 22 Giugno inviando la fotocopia di un documento di identità al fax: 055.7372363; specificando a quale delle due date vorrà venire e un recapito telefonico per eventuali comunicazioni. Immigrazione: Fini; dobbiamo coniugare accoglienza e sicurezza
Redattore Sociale - Dire, 20 giugno 2009
Messaggio del Presidente della Camera al rappresentante dell’Alto commissariato Onu per i rifugiati: "Accoglienza e solidarietà di pari passo con pacifica convivenza e sicurezza". Auspicata promozione di una "cultura dell’integrazione". "Di fronte ai milioni di persone costrette alla fuga dal loro paese di origine a causa di guerre e persecuzioni, si rende urgente l’adozione di politiche che sappiano coniugare i valori dell’accoglienza e della solidarietà con i principi della pacifica convivenza e della sicurezza". Lo scrive il presidente della Camera dei deputati Gianfranco Fini nel messaggio inviato alla conferenza organizzata dell’Unhcr per la celebrazione della Giornata mondiale del rifugiato. "È al contempo necessario - aggiunge Fini - superare diffidenze e pregiudizi che si diffondono nella società, spesso alimentati dall’ignoranza, per promuovere una cultura dell’integrazione attraverso la pratica del dialogo e della conoscenza reciproca". Nel messaggio inviato al rappresentante regionale dell’Unhcr in Italia Laurens Jolles, il presidente della Camera sottolinea di ritenere "di grande utilità il vostro impegno per la promozione della cultura dei diritti umani contro ogni forma di xenofobia e di intolleranza e nel richiamare l’attenzione delle Istituzioni e della società civile sulla drammatica situazione dei rifugiati nel mondo". Fini esprime anche il suo "vivo apprezzamento per l’importante ruolo svolto dal Vostro organismo nella tutela dei richiedenti asilo e dei rifugiati". Immigrazione: in Consiglio d’Europa problemi del Mediterraneo
Adnkronos, 20 giugno 2009
"Oggi il Consiglio europeo ha preso una decisione storica perché per la prima volta ha parlato di un problema immigrazione nel Mediterraneo". Lo ha detto il ministro dell’Interno Roberto Maroni intervenendo al convegno sui risultati del Pon Sicurezza per lo sviluppo del Mezzogiorno d’Italia 2000-2006, che si è svolto a Napoli. Il ministro ha precisato che si tratta di "un’azione non ancora completa come noi avevamo chiesto", ma che rappresenta "un risultato importane dell’azione diplomatica italiana. Un’azione che avevo iniziato come ministro dell’Interno un mese fa chiedendo il supporto, che c’è stato, del ministero degli Esteri e della presidenza del Consiglio - ha proseguito Maroni - un’azione che ho svolto con i colleghi di Cipro, Malta e Grecia attraverso un documento condiviso. Da lì è partita un’offensiva diplomatica nei confronti della Commissione europea". Un’azione, ha concluso Maroni, che "vedrà l’Italia protagonista nel futuro per tutte le politiche di contrasto e di integrazione. Se lavoreremo bene l’Italia potrà diventare leader in questo campo insieme agli altri Paesi del Mediterraneo per sviluppare le politiche migliori di controllo in collaborazione soprattutto con i Paesi del Magreb". Droghe: incontro per il "Piano Nazionale di Azione Antidroga"
Notiziario Aduc, 20 giugno 2009
Si è svolto ieri, a Roma, presso la Presidenza del Consiglio, il primo degli incontri per iniziare l’analisi e la stesura del nuovo Piano di Azione Nazionale Antidroga, organizzato dal Capo del Dipartimento delle Politiche Antidroga, Giovanni Serpelloni, a cui sono intervenuti molti dei rappresentanti delle amministrazioni centrali dello Stato, delle Regioni e delle organizzazioni del privato sociale. Cinque le aree d’interesse: la prevenzione, la cura, il reinserimento, il monitoraggio, la repressione. L’originalità del Piano italiano sta nella previsione di azioni trasversali per coordinare i diversi interventi e di prevedere due livelli di programmazione ed articolazione: quello centrale e quello regionale. Le Regioni infatti potranno successivamente articolare dei programmi regionali territorializzati in base ai loro specifici bisogni, creando così una reale azione concertata contro la diffusione della tossicodipendenza. In questo modo - ha spiegato Serpelloni - ci proponiamo anche di riuscire a valutare gli esiti delle iniziative per monitorarne costi e benefici e modernizzare la raccolta dei dati, soprattutto per quanto riguarda la cura ed il recupero di queste persone. Fondamentale sarà il coinvolgimento di tutti nelle varie azioni previste, ed è per questo che abbiamo invitato gli attori coinvolti a partecipare a questa complessa programmazione. Il Dipartimento - prosegue Serpelloni - ha attivato un percorso condiviso fra le varie istituzioni, superando inutili burocratismi e dannosi ideologismi per mettere nero su bianco i problemi reali legati al mondo della tossicodipendenza e per focalizzare una strategia coordinata che usi lo stesso linguaggio e consenta più velocemente di raggiungere con efficacia gli obiettivi prefissati. Per questo il Dipartimento ha messo a punto una road-map che vedrà il prossimo incontro fissato per l’8 luglio.
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