Rassegna stampa 18 giugno

 

Giustizia: l’unica soluzione sta nella riforma del sistema penale

di Marco Menduni

 

Secolo XIX, 18 giugno 2009

 

Di buone intenzioni è lastricata la strada dell’inferno. Lo straordinario strabismo politico che ha accompagnato il varo dell’indulto nel luglio 2006 sta dispiegando fino a oggi, e sono passati tre anni, i suoi effetti nefasti. Spacciato come l’adesione alle richieste di carità e di perdono arrivate dalle gerarchie cattoliche (d’altronde era stato lo stesso Giovanni Paolo II a sollecitare "un gesto di clemenza per i detenuti"), quel provvedimento nascondeva in realtà una facile scappatoia per risolvere d’un botto il problema del sovraffollamento delle carceri. Nella maniera più semplice e, per quanto è accaduto poi, sconsiderata: aprendo da un giorno all’altro i catenacci delle celle e lasciando in libertà migliaia di condannati senza un’alternativa di vita, un progetto di recupero e di reinserimento, a volte senza neppure una casa e un pasto.

Perché questo passo indietro di tre anni? Perché tra i tanti effetti nefasti dell’indulto c’è stato quello di aver fatto sparire l’emergenza penitenziaria per più di un anno dall’agenda della politica. Con l’illusione che un colpo di bacchetta magica avesse risolto per chissà quanto tempo quell’allarme.

Quando i nodi sono venuti al pettine, le polemiche si sono ancora più invelenite. Hanno travolto, additandolo come unico responsabile, l’allora Guardasigilli Clemente Mastella. Fingendo di dimenticare che il via libera all’indulto era arrivato da una maggioranza variegata e trasversale, che aveva spaccato anche quella che oggi è la maggioranza di governo.

L’unico risultato concreto è stato che, dopo un parziale attimo di sollievo (per gli istituti di pena, ma non per i cittadini colpiti da un aumento assolutamente prevedibile dei reati in quel periodo) la situazione è tornata a precipitare. Ma nel frattempo si era perso altro tempo prezioso per tornare a studiare il problema con un po’ di serietà ed escogitare qualche possibile soluzione. Soluzione strutturale, s’intende, e non momentanea.

Eppure di fronte all’allarme lanciato ieri dai vertici dell’amministrazione penitenziaria e rilanciato dall’autorevole voce del presidente della Repubblica, c’è stato anche chi ha lanciato l’idea, come unica via d’uscita possibile, di un nuovo provvedimento d’indulto. Di fronte a questa proposta il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha avuto facile gioco a dire di no.

L’avvocato-ministro ha una grande ricchezza. È la consapevolezza che la maggioranza degli italiani non è più disposta a seguire nessuno sulla via del "perdonismo". Alfano sa che coloro che predicano la tolleranza, la misericordia, la clemenza, il recupero hanno molta eco mediatica (anche perché si fa sempre bella figura senza pagar dazio nell’enunciare nobilissimi ideali) ma poco seguito tra i cittadini. Alfano sa benissimo che gli italiani, per larghissima parte, chiedono alcune semplici cose. Che i delinquenti siano messi in grado di non nuocere. Che per le strade si possa girare con tranquillità senza essere aggrediti, scippati o rapinati, e che le proprie cose non siano saccheggiate dai ladri. Che la propria vita sia sorvegliata e sicura. E che per ottenere questa serenità molti sono anche disposti a venire a patti con le gradi tematiche della libertà e dei diritti.

D’altronde la domanda "a quanta parte di libertà sei disposto a rinunciare in cambio della tua sicurezza?" è uno dei quesiti tipici delle società occidentali nel terzo millennio; ma analizzare questo discorso ci porterebbe troppo fuori strada.

Resta da considerare che la "ricchezza" di Alfano sta solo in questa consapevolezza. Quella che manca al Guardasigilli è invece la "ricchezza" vera, cioè i soldi. Questo giornale ha evidenziato proprio nei giorni scorsi lo stato miserando in cui versano le casse della giustizia. Non si riesce neppure più a pagare chi ha lavorato per l’amministrazione ed è persino sfuggita la parola "pignoramento" nei confronti dello Stato da parte di chi, con tutte le sue buone ragioni, pensa che se lo Stato ti affida un lavoro poi debba anche retribuirtelo.

Se poi si considera che il complessivo sistema della giustizia non è certo nel cuore del premier e del partito di maggioranza, il ministro altro non può fare che barcamenarsi. Ascoltare, provare a promettere, ipotizzare situazioni a lungo termine. Certo non può impegnarsi a rimpinguare dall’oggi al domani gli organici asfittici della polizia penitenziaria (beccandosi così la sonora riprovazione dei sindacati) né a ipotizzare un rinforzamento delle strutture edili al di là dei progetti già stabiliti.

Sulle pene alternative e sulle modalità diverse per scontarle si discute da decenni e l’impressione è che se ne parlerà per altrettanti senza arrivare a nessuna soluzione.

Risultato: l’emergenza carceri (ma forse il sostantivo emergenza è improprio, perché dovrebbe descrivere una situazione eccezionale e non la normalità degli eventi) è figlia legittima della crisi della giustizia. Finché le riforme di quest’ultima rimarranno impantanate nella contrapposizione quotidiana della politica-politicante, nessun effetto benefico può veramente sprigionarsi anche sul pianeta degli istituti di pena. Dopo che ieri, sui penitenziari italiani, si è acceso lo spot quirinalizio, tutto tornerà esattamente come prima.

Giustizia: un carcere diverso è possibile e anche… conveniente

di Giorgio Lattanzi

 

www.radiocarcere.com, 18 giugno 2009

 

Il lungo dibattito sulla funzione della pena ha trovato un punto di arrivo nell’affermazione costituzionale che "Le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato", e il libro di Lucia Castellano e Donatella Stasio, Delitti e castighi (Ed. Il Saggiatore, € 15) parte da qui, e nel suo lungo documentato percorso mostra l’abisso che separa la realtà carceraria dall’enunciazione costituzionale.

Nel leggere il libro viene spontanea una domanda: quei principi costituzionali sulla pena in che misura vivono nella collettività? Poco, direi. I mezzi di informazione tendono a darci l’immagine di un’opinione pubblica sempre più propensa a considerare la pena detentiva, non come una misura punitiva diretta anche alla rieducazione del condannato, ma come una misura esclusivamente retributiva, proporzionata al male fatto; una misura che non deve limitarsi alla restrizione della libertà del condannato ma deve farlo soffrire, fisicamente e moralmente.

Forse è per questo che non riesce a fare scandalo quella realtà penitenziaria che emerge dalle pagine del libro e che nei suoi aspetti più evidenti, come quello del sovraffollamento carcerario, è ben nota a tutti. Eppure non è solo il rispetto di un fondamentale principio costituzionale che dovrebbe spingere alla realizzazione di un sistema penitenziario volto alla risocializzazione del condannato ma è anche e soprattutto l’esigenza di ridurre l’area della devianza, piuttosto che accrescerla, come purtroppo riesce a fare attualmente il carcere.

In proposito nel libro ci sono pagine illuminanti su come il carcere oggi sia criminogeno e su come potrebbe invece essere risocializzante un approccio diverso nell’esecuzione della pena. Le autrici hanno fatto un lavoro complesso, documentato, che attraversa la realtà penitenziaria in tutti i suoi aspetti, strutturali, personali e umani; ne indaga i protagonisti, dai detenuti, agli agenti della polizia penitenziaria, agli educatori, ai direttori del carcere; riporta e analizza casi e vicende personali; qualche volta commuove e soprattutto convince quando spiega perché a una realtà carceraria degradata, corrisponde un’obbiettiva incapacità di produrre risultati utili per la collettività.

L’attenzione è rivolta esclusivamente ai "cosiddetti "non organizzati", la quasi totalità dei reclusi che affollano le patrie galere. Sono loro - si dice - i clienti abituali delle nostre prigioni, non i Totò Riina e simili, i terroristi o i pentiti di mafia"; loro che vivono in strutture nelle quali le gravi condizioni di igiene e di vivibilità, peggiorate dal cronico sovraffollamento - ad aprile 2009 i detenuti erano più di 61 mila, quasi 20mila persone più dei posti regolamentari - hanno trasformato la pena in una tortura legalizzata, nonostante la solenne proclamazione costituzionale che "le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità".

Il discorso però nel libro non si fa mai astrattamente umanitario e alle osservazioni critiche si accompagnano indicazioni e proposte che non sono utopistiche o velleitarie, ma disegnano un diverso percorso penitenziario di controllo e di recupero sociale, convalidato da dati e da una significativa osservazione casistica.

Un carcere diverso è possibile e ne è testimonianza l’esperienza di Bollate, che viene descritta diffusamente e attraversa tutto il libro. Alle 8 le celle vengono aperte e i detenuti escono per andare al lavoro. L’ora d’aria a Bollate non c’è, semplicemente perché non serve. Alle 17 finisce la giornata di lavoro e si torna in cella.

Il resto del pomeriggio lo si passa in palestra oppure a studiare. Una vita carceraria diversa con risultati di risocializzazione diversi: il tasso di recidiva a Bollate scende al 16%, rispetto a una media del 68%. Un carcere diverso non solo è possibile ma è anche "conveniente".

Giustizia: le carceri vicine al collasso e la situazione peggiorerà

di Luca Liverani

 

Avvenire, 18 giugno 2009

 

Il sovraffollamento nelle carceri è a un soffio dal livello di guardia. L’ingresso di soli altri 218 detenuti farà superare formalmente il limite di tollerabilità. Nel giorno della Festa della polizia penitenziaria, il ministro di Grazia e giustizia Alfano conferma la diagnosi del presidente della Repubblica: Napolitano elogia il lavoro degli agenti "reso ancor più problematico dal contesto dal fenomeno del sovraffollamento".

Il Guardasigilli spiega che - dati aggiornati a due giorni fa - sono 63.350 i detenuti nelle 206 carceri italiane. A fronte di una teorica capienza regolamentare di 43.262 posti, manca pochissimo al livello di guardia di 63.568. Alfano assicura che il governo sta correndo ai ripari con un piano per realizzare 48 nuovi padiglioni e 24 penitenziari.

Il Capo del Dap Ionta parla di "massima allerta", aggiungendo che anche l’organico della polizia penitenziaria è sotto di 5 mila posti. L’allarme arriva alle celebrazioni per il 192° anniversario di fondazione del corpo. Questione di settimane, insomma, e nelle carceri scatterà il "tutto esaurito". Nel suo messaggio alla festa del ‘baschi azzurri’ il Capo dello Stato ha parole di gratitudine per il servizio prezioso e difficile degli agenti che lavorano nel sistema penitenziario.

Lavoro ancora più complesso, sottolinea Napolitano, per il numero eccessivo di detenuti. Il ministro Angelino Alfano intervenendo alla festa non può che confermare. "Siamo su livelli di allarme per i quali è prevedibile, anche per l’approssimarsi del periodo estivo, un ulteriore incremento della popolazione carceraria". Il 40% della popolazione carceraria, aggiunge Alfano, è costituito da detenuti stranieri.

Il Guardasigilli ha però pronta la soluzione: il piano per la realizzazione di nuove carceri, messo a punto dal capo del Dap, il dipartimento amministrazione penitenziaria, Franco Ionta, che è anche commissario straordinario per l’edilizia penitenziaria. Il piano "sarà sottoposto a breve all’attenzione del presidente del Consiglio e del Consiglio dei ministri".

Il progetto prevede la " realizzazione in tempi ragionevolmente brevi" di 48 nuovi padiglioni che amplieranno le carceri già esistenti. Più 24 nuove Case Circondariali "per le quali si ricorrerà anche al contributo essenziale delle imprese private". Tempi? Fine 2012, per complessivi 17.891 nuovi posti. Altre vie non ci sono, dice il ministro. Indulti, nemmeno a parlarne: "Nessuno è legittimato a illudersi - precisa Alfano - che la soluzione assomigli agli inutili perdonismi del passato che non hanno avuto effetti stabili e duraturi". Provvedimento firmato dall’allora guardasigilli Clemente Mastella, che come è noto passò anche con i voti di Forza Italia.

A proposito dell’alto numero di immigrati in carcere, Alfano dice che grazie agli accordi bilaterali con molti paesi l’Italia ha avviato una strategia per "ottenere che i detenuti stranieri condannati a pene detentive brevi" possano scontarle in Patria. Gli accordi coi paesi del Mediterraneo, come la Libia, stanno riducendo il numero degli indagati per reati connessi alla presenza clandestina. Il guardasigilli Alfano poi annuncia che chiederà all’esecutivo "un reclutamento straordinario" di agenti di polizia penitenziaria "proporzionato alle esigenze che inevitabilmente si determineranno a seguito dell’incremento delle strutture carcerarie".

Il capo del Dap Ionta conferma ogni parola. "Le difficili condizioni che il sistema penitenziario sta vivendo a causa del sovraffollamento" impongono la "massima allerta", perché verrà superata "presto la soglia massima di tollerabilità di presenze". Se i detenuti crescono, gli agenti penitenziari sono sempre gli stessi. Cioè pochi: 40.334 su un organico previsto di 45.109. Gli effetti dell’indulto, dice Ionta, "sono ormai superati dalla vertiginosa impennata degli ingressi".

In attesa di nuovi carceri Ionta sollecita un maggiore ricorso alle misure alternative al carcere: "La certezza della pena è un principio indiscutibile - dice il capo del Dap - ma una pena flessibile sostiene il cambiamento della persona condannata che, se adeguatamente accompagnata nel percorso di reinserimento sociale, abbassa il livello di recidiva".

Oltre, ovviamente, ad essere "un valido strumento deflattivo delle presenze nelle carceri, con ricadute positive sui livelli di vivibilità". Perché, conclude Ionta, "non basta ampliare i posti letto per i detenuti perché la detenzione sia ritenuta in linea con i principi costituzionali del rispetto della dignità dell’uomo ".

Giustizia: senza rieducazione non è vera "certezza della pena"

di Giuseppe Anzani

 

Avvenire, 18 giugno 2009

 

Le carceri scoppiano. Alla vigilia dell’estate, quando le prime vampate annunciano la tortura del caldo dietro le sbarre che chiudono la carne ammassata dei reclusi, torna l’allarme. Scoppiano di nuovo, 63mila detenuti stipati dentro 43mila posti, e le proteste serpeggiano (ogni giorno tre o quattro segnali di rabbia e dolore, tra scioperi collettivi della fame e inferriate percosse). Monta un’onda che scala i gradini della disperazione fino alla soglia della potenziale rivolta; gli agenti di custodia sono in agitazione, e l’annuale festa della polizia penitenziaria appena celebrata diventa il rendiconto di un’emergenza nazionale.

Le carceri scoppiano e il fatto che l’allarme si ripeta periodicamente, quasi sempre uguale nonostante le iniziative escogitate di volta in volta a rimedio (ricordate quanto discorrere polemico fu fatto per l’indulto di tre anni fa, e com’è più cocente ora il ritorno della marea a sommergere la spiaggia delle speranze di allora), vuol dire che il problema va affrontato in modo strutturale, e non congiunturale. Se il fabbisogno è stabilmente di 63mila, fra posti di pena e posti di custodia cautelare, devono essere 63mila, e quelli che mancano vanno allestiti. Ma non solo nel 2012 o più in là, come dice il ministro Alfano; il bisogno è di oggi, e il tempo che scorre in sofferenza si chiama soltanto "ritardo".

Si chiama anche sventura, e si chiama soprattutto insipienza. A quei ragionatori tutti d’un pezzo che invocano con spiccia saggezza la "certezza della pena", dico ora di leggere cos’è la pena per il diritto, e poi di essere coerenti. La Costituzione dice di trattamenti che tendono all’emenda del reo. Cioè: se una pena non produce l’emenda è una pena fallita. Se una pena produce il rinforzo di una carriera criminale appresa in carcere, è una cosa demenziale da rivedere daccapo. Se attinge l’emenda realizza la sua "certezza della pena". Basta dunque con le trappole delle alterne accuse fra Buonismo e Rigore. Realismo dice che la certezza della pena (la sua riuscita, la sua utilità) è il pronostico dell’emenda, e dopo decorso il tempo dell’espiazione è il rendiconto dei traguardi raggiunti.

Ora dunque, nell’emergenza estiva di una cayenna annunciata noi ci chiediamo: quale traguardo speriamo di raggiungere finché la situazione di disperato disagio non muta radicalmente, quando già partono da noi (vedi in Sicilia domani) gli esposti al Comitato Europeo per la prevenzione della tortura?

Io non penso che debba mutare il sistema giuridico penitenziario. Ma le strutture sì, queste devono mutare. Il sistema giuridico penitenziario, dal 1975 in poi, è stato per noi speranza e scommessa. La scommessa l’abbiamo perduta, governo dietro governo, ma la speranza no. A rinfocolare la speranza e a rinnovare qualche scommessa realistica, le strutture devono ora corrispondervi, altrimenti la speranza sarà solo memoria di un fiore appassito.

Vent’anni fa sentivo parlare di carceri prefabbricate, di una detenzione "leggera" (dedicata in specie ai tossicodipendenti) a metà fra pena e cura. Oggi, oltre che all’uso più assennato della custodia in carcere in prevenzione, io penso a programmi interattivi fra il mondo chiuso delle sbarre e la comunità esterna.

Penso alla preferenza per le pene alternative sorvegliate e monitorate, ogni volta che è possibile, e ciò non per pietismo ma per realismo, e persino per economia di soldi. Sempre che ai soldi risparmiabili provveda un governo sapiente, e al fabbisogno umano non risparmiabile si presti anche, invece che la sola sferza, la solidarietà penitente di chi ama. La vendetta, infatti, resta la scorciatoia di tutte le sconfitte. Per vincere c’è bisogno d’amore.

Giustizia: l’edilizia non basta, puntare su rieducazione e lavoro

di Giovanna Sciacchitano

 

Avvenire, 18 giugno 2009

 

È emergenza dichiarata per il pianeta carceri. E se ne esce solo con un disegno organico, in cui il nodo dell’edilizia carceraria venga affrontato nel quadro di un disegno complessivo che rilanci la funzione educativa della detenzione. Ne è convinto Nicola Boscoletto, presidente del Consorzio di Cooperative Rebus di Padova, che da vent’anni opera in questo mondo. "Il piano carceri senza altri interventi risulterebbe un rimedio inefficace. Da venticinque anni lo Stato non investe in maniera adeguata né sotto il profilo economico, né dal punto di vista del recupero della persona. L’eredità con cui dobbiamo fare i conti oggi è pesante e di questo devono risponderne tutti, senza distinzioni partitiche".

 

Quali le soluzioni?

"Si deve partire dal motto della polizia penitenziaria: "Vigilando redimere". Questo per dire che aumentare la capienza degli istituti di pena è necessario, ma occorre avere ben presente che si deve fare di tutto per reinserire nella società chi ha sbagliato. A questo si aggiunga che su 63.500 detenuti attuali, ben 31.500 risultano in attesa di giudizio. Si tratta del dato più elevato a livello europeo. È urgente una riforma della giustizia che renda rapidi i processi. Senza contare che nel 2008 sono entrate e uscite dalle carceri 93mila persone. La maggior parte vi è stata per pochi giorni. In questo caso ci troviamo di fronte a un utilizzo improprio della detenzione. Meglio sarebbe ricorrere agli arresti domiciliari o all’obbligo di firma".

 

Perché oggi il carcere fatica a svolgere la sua missione?

"Perché il personale, dagli educatori agli agenti penitenziari, è sotto organico, ma soprattutto opera in un ambito in cui non viene riconosciuto adeguatamente il suo valore e la sua funzione. In questa situazione molto spesso si finisce per incrementare i contatti a livello criminale. Ecco perché è indispensabile investire nelle risorse umane, anche con un riconoscimento economico per chi lo merita".

 

Quali gli altri interventi?

"Un’azione pensata a livello europeo per i 24mila extracomunitari detenuti, spesso perché trovati privi di permesso di soggiorno, provvedimenti mirati per le 20mila persone nelle carceri con problemi di tossicodipendenza, incremento delle misure alternative al carcere e del lavoro all’interno dei penitenziari. Solo l’uno per cento dei detenuti che in carcere ha imparato un’attività professionale torna a commettere un reato, in caso contrario la recidiva è del 90 per cento. Certo, occorre tempo".

 

Quindi cosa suggerisce?

"Un’iniziativa intelligente e mirata di clemenza, senza la quale diventa difficile affrontare l’emergenza ordinaria. Serve per ridare fiato al sistema che deve essere ripensato nel suo insieme. L’indulto dell’agosto del 2006 ha fornito una boccata d’ossigeno che è durata due anni, ma non è stato seguito dalle riforme. L’ultima amnistia, invece, risaliva al 1990. La prima è stata concessa nel ‘46. Da allora fino al ‘90 gli atti di clemenza si sono succeduti con una media di uno ogni due anni e mezzo. Poi c’è stata una lunga pausa. Credo che anche oggi la gente accetterebbe provvedimenti di questo tipo se fossero accompagnati dalle riforme necessarie".

Giustizia: Fini; nelle carceri siano "salvaguardati i diritti umani"

 

Ansa, 18 giugno 2009

 

Il presidente della Camera, assistendo a Montecitorio alla rappresentazione della compagnia teatrale di Rebibbia, chiede che dietro le sbarre "siano salvaguardati i diritti umani, sociali e di cittadinanza dei reclusi".

Il carcere "non deve essere solo un luogo di afflizione", ma deve "salvaguardare i diritti umani, sociali e di cittadinanza dei detenuti in vista del loro pieno reinserimento sociale". Lo afferma Gianfranco Fini introducendo a Montecitorio la rappresentazione teatrale Roma, la Capitale, della Compagnia Teatrale Stabile Assai della Casa Circondariale di Rebibbia.

"Ritengo - sottolinea il presidente della Camera - che il livello di civiltà di un paese si misuri non solo sulla capacità di prevenire e reprimere i reati, capacità che deve essere garantita a tutela della libertà di tutti i cittadini, ma anche dalla capacità del suo sistema penitenziario di recuperare chi ha violato le regole fondamentali della convivenza civile". Fini sottolinea che "non sempre la libertà è sufficiente a riconquistare un ruolo all’interno della società. E le istituzioni devono essere consapevoli delle difficoltà che spesso l’ex detenuto incontro sulla strada di un completo reingresso nella vita collettiva. Il dovere nei confronti dei rei inizia all’interno delle carceri e prosegue anche dopo il rilascio in un percorso che dalla detenzione, attraverso i programmi di educazione e socializzazione, conduca a superare ogni forma di marginalità ed isolamento".

"Un moderno sistema penale - auspica il presidente della Camera - deve garantire condizioni di completa umanità, terapie psicologiche idonee, formazione del detenuto e attività per il suo reinserimento. Per questo, il lavoro assume un ruolo fondamentale come momento di ritorno alla normalità: si tratta della via migliore per ridare all’uomo la piena dignità".

Fini rimarca l’importanza del "gesto di attenzione" della Camera che ha voluto ospitare la rappresentazione teatrale e ricorda l’augurio espresso dall’allora presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi, rivolto ai detenuti: "Che rinasca in voi la speranza nel futuro, la fiducia in voi stessi". Un auspicio nobile, cui tutte le istituzioni - dice Fini - devono uniformare la propria azione".

La compagnia teatrale Stabile Assai’ di Rebibbia da oltre vent’anni gira i palcoscenici italiani portando in scena le tematiche relative alla condizione carceraria. "Questo spettacolo - spiega Fini - richiama la nostra attenzione sui problemi del sistema penitenziario nazionale e sui temi della follia, dell’emarginazione e della mancata integrazione interetnica, che rappresentano vere e proprie emergenze collettive a cui le istituzioni devono rispondere con il sostegno della società civile, il cui ruolo è essenziale specialmente nella delicata fase di reinserimento del detenuto".

"Iniziative come questa - insiste Fini - rappresentano un prezioso motivo di incontro per sensibilizzare l’opinione pubblica sui drammi della vita carceraria, favorendo una piena consapevolezza della necessità di rendere sempre più effettivi i principi sanciti dall’articolo 27, primo comma, della nostra Costituzione: le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, principio che deve essere costantemente applicato nella vita concreta dalle istituzioni carcerarie. Tra i diritti garantiti dalla Costituzione vi è per il reo quello di essere sottoposto, in caso di commissione di illeciti, a pene finalizzate alla rieducazione e alla risocializzazione".

Anche la presidente della commissione Giustizia della Camera, Giulia Bongiorno, sottolinea l’importanza della funzione rieducativa della pena: il legislatore, avverte, non deve creare norme vuote, "la norma con sanzione e precetto deve essere seguita anche dopo che esce dal Parlamento, nella sua concreta attuazione. Sono contraria a dire che il carcere debba essere un circolo ricreativo ma la pena è una forma di giustizia, non di vendetta. E accanto al lavoro", per la rieducazione, "sono importanti anche la cultura, lo studio, la recitazione". Per questo Bongiorno apprezza la rappresentazione di oggi, la "prima volta che dei detenuti vengono alla Camera".

Giustizia: Ionta (Dap); nuovi istituti, ma più misure alternative

 

Agi, 18 giugno 2009

 

L’emergenza del sovraffollamento delle nostre strutture carcerarie dovrà essere affrontata con la costruzione di nuove carceri e l’ampliamento di quelli già esistenti ma anche "con la previsione di una apertura maggiore alle misure alternative alla detenzione". Questo in sintesi quanto ha detto oggi il capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Franco Ionta nel corso della festa della polizia penitenziaria, in occasione del 192esimo anniversario della fondazione, che si è svolta a Roma a Largo di Costantino alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano.

"Il piano carceri che ho predisposto - ha detto Ionta, responsabile del Dap - prevede interventi di costruzione di nuovi padiglioni all’interno degli istituti attualmente funzionamenti e al costruzione di nuovi istituti. I primi interventi saranno realizzati facendo ricorso anche ai fondi della Cassa delle Ammende. Siamo convinti che non basta ampliare i posti letto per i detenuti perché la detenzione sia ritenuta in linea con i principi costituzionali del rispetto della dignità dell’uomo. Nell’ottica di una visione laica della pena essa deve avere il suo fondamento su una pratica pedagogica basata sulle effettive possibile e opportunità lavorative e trattamentali".

Per il responsabile del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria è inoltre necessario "garantire adeguate condizioni di lavoro e di benessere organizzativo per gli operatori della polizia penitenziaria". "La certezza della pena - ha detto ancora Franco Ionta - è certamente un principio indiscutibile ma bisogna comprendere che una pena flessibile sostiene il cambiamento della persona condannata, che, se adeguatamente sostenuta e accompagnata nel percorso del reinserimento sociale abbassa il livello di recidiva ed è un valido strumento deflattivo delle presenze nelle carceri". In occasione della festa della polizia penitenziaria il capo del Dap Franco Ionta ha inoltre voluto salutare gli studenti delle scuole medie dell’Aquila e i loro familiari che hanno partecipato alla cerimonia nei pressi dell’Arco di Costantino a Roma.

"In occasione del sisma - ha ricordato Ionta - la polizia penitenziaria ha affrontato con encomiabile professionalità la situazione di emergenza mettendo in atto tutte le procedure idonee per prevenire situazioni di pericolo e danni alle persone".

Giustizia: Antigone; disumanità delle carceri e di chi le governa

 

Comunicato stampa, 18 giugno 2009

 

"Di fronte alla condizione drammatica di vita nelle carceri italiane, di fronte a ventimila persone che non hanno un letto dove dormire, alla incarcerazione di massa di persone con problemi di droga, di adattamento sociale, di integrazione, il ministro Alfano si erge a duro repressore della criminalità sostenendo che non si tornerà indietro a inutili perdonismi. In un Paese cattolico speriamo che insorgano le coscienze di fronte a queste gravi dichiarazioni.

Il Piano carceri del Ministero è una bufala visto che in tre anni e mezzo si prevede di creare 18 mila posti letto mentre ne servirebbero ben 57 mila. Infatti visto che i detenuti crescono di 1.000 unità mensili si arriverà a 100.000 detenuti entro la fine del 2012. Inoltre il Piano per quasi i due terzi è privo di copertura finanziaria. Il coinvolgimento dei privati non è dimostrato da nessuna parte.

La soluzione è un’altra. Il 38% dei detenuti è dentro per aver violato una sola norma penale: quella che vieta la detenzione e lo spaccio di droghe. Basterebbe avere il coraggio - come stanno facendo molti paesi occidentali, ultima l’Inghilterra - di avviare politiche di depenalizzazione e di decarcerizzazione dei tossicodipendenti. Basterebbe inoltre non punire con la galera quegli stranieri che non ottemperano all’obbligo di espulsione. Tutto il resto sono chiacchiere. Se non si interviene con saggezza e lungimiranza la situazione tornerà esplosiva come era negli anni settanta e inizio ottanta".

 

Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone

Giustizia: Radicali; situazione è esplosiva, necessario un indulto

 

Adnkronos, 18 giugno 2009

 

"Al Ministro Alfano dico che non si può certo aspettare il 2012 per vedere realizzato un piano carceri, non c’è più tempo di farneticare con false promesse, è necessario riflettere su un nuovo provvedimento di indulto".

Lo afferma Irene Testa, segretario dell’Associazione radicale "Il Detenuto Ignoto", secondo la quale "non è possibile, a fronte di una situazione nuovamente e ulteriormente esplosiva, a fronte delle migliaia di richieste che ogni giorno provengono dalle carceri, da parte del personale, dei direttori, delle persone detenute che hanno oramai superato la soglia di 63.350 presenze su una capienza regolamentare massima di 43 mila posti, continuare a non affrontare come vera e propria ennesima emergenza lo stato delle carceri italiane .

"La politica ha fallito nuovamente perché non è stata capace, dopo l’indulto di tre anni fa, di disporre le riforme necessarie a far sì che le carceri non si tornassero ad affollare e rientrassero nella legalità costituzionale. Ora ci si trova di fronte a una situazione di delirio istituzionale che non trova strumenti per arginare il crimine sempre più irresponsabile che si consuma da parte dello Stato nei confronti dei cittadini detenuti. Per questo -conclude Testa- è assolutamente necessario ormai ricorrere nuovamente ad un provvedimento straordinario e d’eccezione come l’indulto, assolutamente previsto dalla legge e fin troppo e a torto demonizzato, che mai come oggi sarebbe nuovamente espressione di buongoverno".

Giustizia: nuove regole in Circuiti penitenziari di alta sicurezza

di Patrizio Gonnella

 

Italia Oggi, 18 giugno 2009

 

Nelle carceri viene abolito il circuito ad elevato indice di vigilanza. Il Dap ha infatti deciso con propria Circolare di disciplinare diversamente i circuiti per i detenuti ritenuti più pericolosi. La creazione dei circuiti penitenziari differenziati ha la sua origine in un provvedimento del 20 gennaio del 1991 che portava la firma dell’allora direttore generale Niccolò Amato.

Prima dell’entrata in vigore della circolare ultima (n. 3169/6069) funzionavano i seguenti regimi: 41-bis Riservato (il più duro), 41-bis, Alta sicurezza, elevato indice di vigilanza. Nella circolare non si tocca il 41-bis. Viene abolito il circuito ad Elevato Indice di Vigilanza (cosiddetto EIV) istituto con circolare n. 3479 del 9 luglio 1998. L’assegnazione a tale circuito avveniva per coloro i quali avevano commesso delitti con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante compimento di atti di violenza, nonché per i soggetti provenienti dal circuito di cui all’art. 41-bis a seguito di revoca dello stesso purché in passato inseriti al vertice delle associazioni mafiose.

A tale circuito sono stati inoltre assegnati detenuti che, indipendentemente dal titolo detentivo, hanno avuto un comportamento definito "allarmante" durante la detenzione. Il regime penitenziario dell’EIV era simile all’Alta sicurezza, da cui si distingueva unicamente per la diversa collocazione logistica. Il Dap ha deciso di abolirlo e contestualmente riscrivere le assegnazioni all’Alta Sicurezza. Secondo quanto si legge nella circolare il nuovo circuito Alta sicurezza continuerà a svolgere il delicato compito di gestire i detenuti ed internati di spiccata pericolosità, prevedendo al proprio interno, tre differenti sottocircuiti con medesime garanzie di sicurezza e opportunità trattamentali.

A tali tre sottocircuiti saranno dedicate sezioni differenti, che prevedano impossibilità di comunicazione con gli altri reparti detentivi. Il primo circuito si chiama A.S. 1 e sarà dedicato al contenimento dei detenuti e internati appartenenti alla criminalità organizzata di tipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno il decreto di applicazione del regime di cui all’art. 41 bis.

Nel circuito A.S. 2 saranno inseriti automaticamente i soggetti imputati o condannati per delitti commessi con finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza (delitti di cui agli artt. 270, 210-bis, 270-ter, 270-quater, 270-quinquies, 280, 280-bis, 289-bis, 306 c.p.).

Per i soggetti detenuti per altri fatti, cui sia contestato a piede libero uno o più dei delitti citati, ovvero nei cui confronti sia venuta meno l’ordinanza di custodia cautelare o, infine, imputati di tali delitti ma scarcerati solo formalmente per decorrenza dei termini di custodia cautelare, l’inserimento nel circuito sarà valutato dall’ufficio detenuti del Dap.

Infine il circuito A.S. 3 sarà dedicato alla popolazione detenuta per mafia, sequestro di persona, traffico internazionale di sostanze stupefacenti. È invece prevista l’esclusione dal circuito A.S. per i detenuti e internati per i delitti di cui agli artt. 600, 601 e 602 c.p., i quali dovranno pertanto essere trasferiti nel circuito di media sicurezza.

Sarà sempre possibile essere declassificati e tornare nel circuito inferiore e meno duro della media sicurezza con decisione del direttore del carcere avallata dal Ministero. Nella circolare ultima il Dap insiste affinché vi sia il passaggio a un regime meno duro di soggetti che nelle organizzazioni criminali non hanno rivestito il ruolo di capi, promotori, dirigenti, organizzatori e finanziatori. Pertanto le Direzioni degli istituti avranno l’onere di porre all’attenzione del Dap l’elenco dei detenuti che, alla luce delle nuove disposizioni, non hanno più titolo per permanere nel circuito Alta Sicurezza. Non è facile capire se dopo questo terremoto organizzativo aumenteranno o meno i detenuti assoggettati al regime di alta sicurezza.

Giustizia: mille firme a Strasburgo per abolizione dell'ergastolo

di Nadia Bizzotto (Comunità Papa Giovanni XXIII)

 

www.linkontro.info, 18 giugno 2009

 

"C’è un giudice a Strasburgo…" è il titolo di una lettera a Jean-Paul Costa che gli ergastolani di Spoleto hanno pensato e preparato: una specie di appello che tutti possono sottoscrivere e spedire al Presidente della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo per sollecitare la discussione del Ricorso proposto nel 2008 dagli ergastolani ostativi ai benefici per il reinserimento sociale, per denunciare che in Italia esiste una pena che non finisce veramente mai (art. 4 bis o.p.). L’idea è quella di richiamare l’attenzione sul Ricorso 55926/08, affinché venga quanto prima fissato e discusso.

Durante l’incontro dello scorso 15 maggio a Spoleto con la Comunità Papa Giovanni XXIII, fondata da Don Oreste Benzi, gli ergastolani hanno chiesto al Responsabile Generale della Comunità, Giovanni Paolo Ramonda, di essere il primo firmatario di questo appello.

Paolo Ramonda ha subito accettato, dichiarando che "l’ergastolo ostativo è come una condanna a morte, non prevede alcun beneficio, sconto, né permesso, niente. Il detenuto non è la sua pena, le pene devono tendere alla rieducazione del condannato. Non si tratta di evitare le pene, né di dare facili regali e neppure di fare finta che non si abbia commesso reati pesantissimi. Ma bisogna garantire senza buonismi il recupero di chi ha sbagliato. Chi è in carcere deve pagare il proprio debito, ma deve avere il diritto di riabilitarsi, è giusto fare leggi che diano speranza e possibilità di recupero. Vi sosterremo nella richiesta dell’abolizione dell’ergastolo ostativo e porteremo le vostre istanze per un riesame della materia".

Infatti la stessa Comunità ha chiesto un incontro col Ministro Alfano e sta preparando una proposta che nasce dalla ventennale esperienza col mondo del carcere, che ha portato all’elaborazione del Progetto "Oltre le sbarre", un percorso educativo personalizzato per ogni detenuto, basato sul concetto che "nello sbaglio di uno c’è lo sbaglio di tutti" (Don Oreste Benzi) e che pertanto non si può prescindere da una responsabilità sociale.

Con queste affermazioni il successore di Don Oreste Benzi ribadisce il sostegno agli ergastolani che la Comunità Papa Giovanni sta portando avanti da alcuni anni. Fu lo stesso Don Benzi nell’ottobre del 2007, nel suo ultimo intervento pubblico, a sottolineare l’appoggio con queste parole: "Adesso inizia lo sciopero della fame a Spoleto, nel supercarcere, per l’abolizione dell’ergastolo. Hanno ragione. Che senso ha dire che le carceri sono uno spazio dove si recupera la persona se è scritta la data di entrata e la data di uscita mai? È una contraddizione in termini. Perché non devono aver il diritto di dare prova che sono cambiati? Non è giusto questo".

Nella assemblea annuale della Comunità che si è svolta a Rimini dal 5 al 7 giugno scorsi, sono state raccolte più di 1.000 firme dai membri della Comunità che hanno aderito all’appello e hanno firmato la loro lettera, spedendola tutti insieme al giudice Costa.

Chiunque volesse unirsi può scaricare e stampare "C’è un giudice a Strasburgo" dal sito www.informacarcere.it, nella sezione "Mai dire mai", dove si può trovare anche la versione integrale del Ricorso presentato nel 2008. Intanto proprio in questi giorni mille lettere stanno volando insieme verso Strasburgo, per essere "voce" di tanti "uomini ombra", che ancora aspettano una risposta guardando il cielo attraverso delle sbarre.

Giustizia: Ugl; non bastano nuove carceri, serve più personale

 

Agi, 18 giugno 2009

 

"Abbiamo deciso di sospendere la protesta prevista oggi durante la festa della Polizia penitenziaria ma anche di non essere presenti all’annuale celebrazione del Corpo per ribadire la necessità di interventi indispensabili per affrontare l’emergenza carceri e non lasciare soli i tanti agenti che quotidianamente si cimentano con grandi difficoltà nello svolgere il proprio servizio".

Lo afferma il segretario nazionale dell’Ugl Polizia penitenziaria, Giuseppe Moretti aggiungendo come "ieri abbiamo incontrato il ministro Alfano il quale pur convenendo con noi sulla drammaticità della situazione, ha indicato il piano carceri quale unica risposta possibile da parte del governo, un progetto per la costruzione di nuove carceri che si realizzerà nel giro di due anni senza prevedere nuove assunzioni.

Abbiamo rilevato, però, come il problema del sovraffollamento richieda necessariamente anche un implementazione della forte carenza di organico negli istituti penitenziari, altrimenti le nuove carceri resteranno vuote". "Come abbiamo detto al ministro - conclude - ci aspettiamo ancora concretezza e confronto tra dicastero e rappresentanti dei lavoratori, per discutere almeno di mobilità e riorganizzazione del lavoro, al fine di risolvere i tre principali nodi che stanno portando al collasso il sistema: sovraffollamento, carenza di organico e relazioni sindacali ancora inadeguate".

Giustizia: la polizia penitenziaria conferma lo stato d'agitazione

 

Adnkronos, 18 giugno 2009

 

Come annunciato, le segreterie nazionali di Sappe, Osapp, Uil Pa Penitenziari, Cisl Fns, Sinappe, Cgil FP e Ussp per l’Ugl si sono riunite per ulteriori valutazioni e approfondimenti sugli esiti dell’incontro avuto ieri sera con il ministro della Giustizia e - si legge in una nota congiunta - hanno deciso di confermare lo stato di agitazione, calendarizzando una serie di manifestazioni sul territorio che culmineranno con una grande manifestazione nazionale da tenersi a Roma il 22 settembre.

I segretari generali delle organizzazioni sindacali, che rappresentano il 95% del personale di polizia penitenziaria, hanno riaffermato, "valutazioni critiche per l’inconcludenza dell’incontro, dovute soprattutto alla volontà del ministro Alfano di chiudere a qualsiasi prospettiva di un progetto condiviso che le organizzazioni sindacali avevano pure offerto". Inoltre, aggiungono, "pur prendendo atto che il ministro nel corso della festa del Corpo celebrata oggi ha fatto cenno ad un piano di assunzioni straordinarie ci chiediamo come mai questa prospettiva, o meglio tale impegno, non ha inteso rappresentarla nel corso dell’incontro con le rappresentanze sindacali".

"Analogamente -continuano i segretari generali delle organizzazioni sindacali- non possiamo non rilevare concrete contraddizioni tra le indicazioni del ministro rispetto alla lotta agli imboscati e i provvedimenti emanati dal Dap. Solo negli ultimi giorni il Dap ha, infatti, distolto unità di polizia penitenziaria a istituti penitenziari per destinarli a uffici dipartimentali. Inoltre i Segretari generali esprimeranno la loro solidarietà al personale attraverso una serie di visite che effettueranno il 15 agosto in diversi istituti penitenziari".

Sappe, Osapp, Uil Pa Penitenziari, Cisl Fns, Sinappe, Cgil FP e Ussp per l’Ugl, per le manifestazioni programmate, hanno reso noto il seguente calendario: 30 giugno, Casa circondariale San Vittore di Milano (Lombardia, Triveneto, Piemonte, Liguria); 8 luglio, Casa circondariale Dozza di Bologna ( Toscana, Umbria, Marche ed Emilia Romagna); 21 luglio, Casa circondariale Poggioreale di Napoli (Campania, Calabria, Molise); 28 luglio, Casa circondariale di Bari (Puglia, Abruzzo, Basilicata); 7 settembre, Casa circondariale Ucciardone di Palermo (Sicilia); 16 settembre, Casa circondariale Buoncammino di Cagliari (Sardegna); 22 settembre, manifestazione nazionale a Roma.

Le visite che i segretari generali effettueranno il 15 Agosto saranno così organizzate: Donato Capece (Sappe), Casa di reclusione di Padova; Leo Beneduci (Osapp), Centro penitenziario di Napoli Secondigliano; Eugenio Sarno (Uil), Casa circondariale di Lecce; Pompeo Mannone (Cisl), Casa circondariale di Cagliari; Roberto Santini (Sinappe), Casa circondariale di Brescia; Francesco Quinti (Cgil), Casa circondariale di Roma Rebibbia; Giuseppe Moretti (Ussp per l’Ugl), Casa circondariale di Bolzano.

Lettere: i detenuti, da varie carceri, scrivono a Riccardo Arena

 

www.radiocarcere.com, 18 giugno 2009

 

La nostra detenzione a Ragusa. Caro Arena, sono a dir poco gravi le condizioni di vita a cui siamo costretti qui nel vecchio carcere di Ragusa. Dove veniamo privati di tutto anche di beni primari come l’acqua corrente, acqua che da circa un mese non esce dai rubinetti delle nostre celle. È questo un fatto grave che ci preoccupa soprattutto in vista dell’estate. Un’estate che sarà non solo calda ma anche sporca, visto che senza l’acqua non sapremo come lavarci.

Inoltre anche noi nel carcere di Ragusa soffriamo la piaga del sovraffollamenti. Pensi che in cubicoli, ovvero in celle fatte per un solo detenuto, siamo costretti a starci in tre. Tre detenuti costretti a stare per 22 ore chiusi in un cella dove il bagno è un buco maleodorante che non è neanche separato dal resto della cella. Non a caso abbiamo montato un lenzuolo per consentire un po’ di riservatezza a chi deve andare in bagno. Poi il carcere di Ragusa è anche molto vecchio e mal tenuto. Infatti spesso i calcinacci cascano dal soffitto della cella e ci piovono in testa. Grazie per averci dato voce.

 

G. dal carcere di Ragusa

 

Noi, internati in Sardegna. Cara Radiocarcere, siamo due internati nella colonia agricola di Isili, in Sardegna. Ovvero siamo due ex detenuti che dopo aver scontato la condanna si sono visti applicata la misura di sicurezza detentiva in una casa lavoro. Di persone come noi, pochi o nessuno conoscono l’esistenza, tranne chi legge Radiocarcere. Siamo gli internati, cioè, persone costrette a stare in un carcere, anche se chiamata casa lavoro, senza aver commesso un reato, ma solo perché un magistrato ha deciso che forse siamo pericolosi.

A noi sembra una cosa assurda, ma di fatto siamo questi 2.000 noi internati in Italia. Per quel che ci riguarda siamo detenuti in un posto sperduto della Sardegna, ad Isili appunto. E viviamo in uno stato di totale abbandono, anche se soffriamo di gravi patologie. Tra chi ha l’Hiv e chi è invalido permanente agli occhi. Vorremo tanto che la politica si occupasse anche di noi internati, anzi di noi dimenticati prigionieri di una legge fascista. Grazie.

 

Claudio e Salvatore, dalla colonia penale agricola di Isili

Sardegna: Antigone; denuncia di soprusi, su detenuti stranieri

di Stefano Anastasia e Fiorentina Barbieri

 

Terra, 18 giugno 2009

 

Ci sono voci, che cominciano a prendere piede, sull’aggravamento delle condizioni di vita e di detenzione nelle carceri sarde. Si dirà: perché altrove è meglio? Il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha appena dichiarato il tutto esaurito, oltre ogni soglia di tollerabilità, e come volete che si stia, in carcere, di questi tempi?

Eppure dalla Sardegna arrivano notizie un po’ più preoccupanti, che ricordano le terribili vicende di Sassari, nel 2000, quando un gruppo di detenuti in via di trasferimento fu sottoposto a gravissime violenze e maltrattamenti.

In particolare i rumors di "radio carcere" riguardano Macomer, dove ci sarebbe un trattamento persecutorio nei confronti dei detenuti islamici, che, non appena scesi dal blindato, verrebbero aggrediti con provocazioni e pugni sul collo e alla testa. Nelle perquisizioni, poi, chi ha girato molti istituti avrebbe confessato di non aver mai subito un trattamento simile. Gli interessati dicono che "non viene rispettato il Corano", ma probabilmente neanche altri libri sacri potrebbero consentire il trattamento che viene loro riservato.

I detenuti islamici sarebbero portati, dopo la perquisizione, in una sezione organizzata come quelle dei 41 bis: isolamento totale, porta blindata chiusa 24 ore su 24; non si incontra nessun altro detenuto, solo i poliziotti che portano loro il cibo. E ogni volta che si esce dalla cella sarebbero perquisiti con tatto, letteralmente "palpati" da due poliziotti!

Niente giornali in lingua araba, libri e vestiti centellinati, la posta sarebbe consegnata con una media di 25 giorni di ritardo. Al passeggio gli arabi di religione islamica resterebbero sempre divisi dagli altri: possono andare all’aria solo con quelli della propria sezione, circa 25 detenuti provenienti da diversi paesi del Nord Africa.

Tutto questo viene loro presentato come un regime prescritto dal Ministero, ma i detenuti sanno che non c’è nessun carcere in Italia in cui la porta blindata è chiusa 24 ore su 24 ore, a eccezione dei regimi speciali di massima sicurezza. A meno che non stiano sperimentando il regime post-Guantanamo che il Presidente del Consiglio intende riservare agli ex-nemici combattenti che si è impegnato a ospitare nelle carceri italiane.

Da aprile pare siano iniziate forme di protesta: battiture, uno sciopero della fame, altro. Anche perché aumenterebbero le provocazioni, le minacce, i maltrattamenti, nel caso qualcuno osasse fare denunce. Sembra un film già visto. Speriamo che non sia così. Attendiamo smentite e rassicurazioni.

 

difensorecivico@associazioneantigone.it

Bologna: alla Dozza sovraffollamento, scioperi fame e proteste

di Alessandro Mantovani

 

Corriere della Sera - Bologna, 18 giugno 2009

 

Sciopero della fame e proteste alla Dozza. "La situazione è tranquilla, sono andata ad ascoltare le doglianze dei detenuti", conferma la direttrice Ione Toccafondi. Secondo l’amministrazione allo sciopero della fame, ieri, partecipava la maggior parte dei reclusi di quattro sezioni giudiziarie su dieci, che ne ospitano una settantina ciascuna ma sono progettate per 25 o al massimo 50. Sono per lo più stranieri, vivono in tre in celle da uno. L’allarme sovraffollamento è alto: 1.156 detenuti su una capienza massima di poco più di 700.

"La situazione è insostenibile, ormai ci sono i materassi a terra per gli arrestati", dice Giovanni Battista Durante, del Sappe, sindacato autonomo della polizia penitenziaria. Nel giorno della festa del corpo c’è tensione anche in altre carceri del Paese. Flavio Menna (Ugl) è preoccupato: "Alla Dozza c’è stata maretta, urla e sbattimenti di pentole e stoviglie, ma è stata sedata dal personale. Nei prossimi giorni rischiamo aggressioni agli agenti".

Secondo Menna l’adesione alla protesta è "quasi dell’80 per cento in tutte le sezioni giudiziarie ma si sta estendendo all’intero carcere, anche al penale". Un comunicato diffuso dalle sezioni ad alta sicurezza, imputati e condannati per reati associativi anche di mafia, annunciava lo sciopero della fame come "protesta pacifica". Sovraffollamento, carenza di educatori (vacanti 8 posti su 12 ma 2 o 3 dovrebbero essere coperti a breve) e di medici, docce "sporche", difficoltà nei colloqui telefonici. Fino alle "lenzuola sostituite ogni 40 giorni, con il rischio di malattie infettive" e alla questione delle grate che la direzione monterà sulle finestre delle celle "per impedire - spiega la direttrice - che i detenuti lancino rifiuti di sotto".

Secondo i reclusi è "solo un’esigua minoranza, la maggioranza non ritiene corretto subire una restrizione così drastica" anche perché "stiamo collaborando con Hera - dicono - per la raccolta differenziata. Il montaggio delle grate riduce l’areazione e la luce, porterà ad un deterioramento della vista, a scompensi fisici, a forme depressive". Per le lenzuola la direttrice si impegna: "Abbiamo avuto la lavanderia chiusa, ora torneremo a cambiarle ogni 15 giorni". Su nuove cabine telefoniche, dice, si può discutere. Ma sulle grate no.

Rieti: a luglio dovrebbe aprire un nuovo carcere, con 250 posti

 

Il Tempo, 18 giugno 2009

 

Da luglio aprirà il nuovo carcere di Vazia. La positiva notizia l’ha annunciata direttamente il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, ieri in visita in città, proprio nel giorno della festa della Polizia penitenziaria. Il Guardasigilli è giunto a Rieti poco prima delle 17 per un breve tour nella vecchia struttura carceraria di Santa Scolastica, seguito poi da una conferenza stampa nella Sala consiliare del Comune.

"Il 22 giugno sarà consegnato all’amministrazione penitenziaria il nuovo carcere di Rieti - questo le parole del ministro - La scelta del 22 e non il 16 o il 17 giugno (prima del ballottaggio ndr) è una scelta di serietà perché non volevamo atti scenografici e strumentalizzazioni elettorali". Per l’entrata a regime della nuova struttura il ministro ha già un crono programma ben definito. "Entro luglio verranno spostate quaranta unità di polizia penitenziaria per attivare la struttura che saranno aiutate da dieci detenuti lavoratori (ad esempio per le attività di pulizia ndr).

Da luglio tutti i nuovi arrestati saranno tradotti nella nuova struttura". Alfano ha ricordato che il nuovo carcere ha una disponibilità di 258 posti ma può tollerare fino a 400 detenuti, "e questo creerà anche le condizioni per un indotto economico che sostenga il territorio". Il ministro si è poi concentrato sui grandi sforzi del governo Berlusconi nell’opera di ammodernamento della giustizia, "un’azione globale" con la riforma già in vigore del processo civile, quella del processo penale ora in Senato, il piano carceri che garantirà 17 mila nuovi posti entro il 2012 "e la grande sfida per fare in modo che accusa e difesa siano veramente pari".

Il ministro della Giustizia ha speso parole importanti anche per il candidato alla Presidenza della Provincia, Felice Costini, presente in aula insieme ai big del Pdl, tra cui il sindaco Emili, il senatore Cicolani e il consigliere regionale Cicchetti. "Mi complimento con il nostro candidato Costini per la passione che sta mettendo nel cercare di curare le ferite e le cose che non vanno in questa provincia. Il suo è il miglior programma possibile per la Provincia di Rieti - ha concluso il guardasigilli - e io sono pronto a tornare qui per inaugurare il nuovo carcere insieme al sindaco e al nuovo presidente della Provincia, che naturalmente sarà lui".

Parma: la polizia penitenziaria in protesta si rivolge al Prefetto

 

La Repubblica, 18 giugno 2009

 

Sottovalutazione della carenza di organico e ingiustificato "narcisismo" nella gestione del carcere di via Burla. Sono questi i problemi che una delegazione sindacale della polizia penitenziaria di Parma ha portato all’attenzione del Prefetto Paolo Scarpis, al termine di un volantinaggio organizzato questa mattina davanti alla prefettura.

Tra i gravi problemi segnalati all’autorità statale, c’è anche il mancato avvio dello studio sui carichi di lavoro, la crescita esponenziale della pressione sugli agenti, il ritardo nel pagamento di incentivi, turni di lavoro massacranti, la negazione sistematica dei riposi settimanali, aumento del numero dei detenuti, relazioni sindacali carenti, gestione del Nucleo Traduzioni e Piantonamenti prossima al collasso, posti di servizio insalubri e grande difficoltà di ambientamento del personale di polizia penitenziaria.

Il prefetto ha mostrato ai delegati una nota inviatagli dal direttore degli istituti penitenziari di Parma con la quale il dott. Di Gregorio, nel mese di maggio, illustrava la situazione del nostro penitenziario, chiedendo al superiore Dap una serie di interventi per risolvere le problematiche esposte.

I rappresentanti hanno rimarcato come le questioni poste siano aggravate, oltre che dalla sottovalutazione da parte dell’amministrazione centrale delle problematiche derivanti dalla carenza di organico che attanaglia tutti gli Istituti penitenziari del settentrione, dall’ingiustificato narcisismo nella gestione del carcere di Parma nonché dalla rigidità e dall’eccessivo autoritarismo nei rapporti gerarchici. Il prefetto Paolo Scarpis ha assunto quindi formalmente l’impegno a farsi portavoce, fin da subito ed a tutti i livelli, delle nostre istanze prima fra tutte quella relativa alla carenza di organico.

Siena: situazione del carcere di San Gimignano è insostenibile

 

La Nazione, 18 giugno 2009

 

"Il silenzio del governo e dell’amministrazione penitenziaria sulla situazione del carcere di Ranza, a San Gimignano, non è più sostenibile, anche alla luce dell’ultimo inquietante episodio di violenza accaduto nei giorni scorsi ai danni di un agente di Polizia penitenziaria".

Lo dice Susanna Cenni, parlamentare del Partito democratico, che a marzo scorso ha presentato al Ministro della giustizia Angelino Alfano, un’interrogazione sottoscritta anche dai parlamentari Pd Gianni Cuperlo e Franco Ceccuzzi, alla quale non è stata data ancora risposta. "Quello che fino a pochi mesi fa era ancora un allarme, oggi, come denunciano le organizzazioni sindacali, è l’amara costatazione di una reale e concreta situazione di pericolo cui sono sottoposti quotidianamente il personale carcerario e gli stessi detenuti".

"La carenza di organico e la mancanza di una dirigenza stabile - dice oggi Susanna Cenni - stanno creando dentro il carcere una tensione talmente elevata da indurci una forte preoccupazione se il governo non deciderà quanto prima di intervenire. La prima interrogazione promossa per sollecitare il Ministero della giustizia è stata presentata da Franco Ceccuzzi nel maggio 2008. Alla risposta del Guardasigilli, generica e parziale, arrivata nel mese di dicembre, non sono evidentemente seguiti interventi concreti e puntuali per risolvere i problemi cronici del carcere di Ranza".

"Come parlamentari del Pd - chiude Cenni - ormai da più di un anno stiamo denunciando la situazione di ingovernabilità del carcere, ora è arrivato il momento che il governo dia le sue risposte su come e quando verrà attuata una normalizzazione del numero dei detenuti, che oggi superano la soglia di normale convivenza, come pensa di risolvere la carenza di organico e come intende assicurare una gestione stabile e duratura di questa struttura".

Venezia: i cappellani; detenuti stipati ed in condizioni disperate

di Nadia De Lazzari

 

La Nuova di Venezia, 18 giugno 2009

 

All’indomani della morte in carcere del trentottenne Rino Gerardi, ambulante di Castello - che stava scontando una pena per traffico di sostanze stupefacenti - si rinfocola la polemica sulle condizioni del carcere, dove poche settimane fa un altro detenuto si è impiccato.

Turbati i due cappellani carcerari, don Antonio Biancotto e don Mauro Haglich, in una nota esprimono "dolore per un altro decesso", manifestano "preoccupazione per la situazione drammatica dei reclusori dove il sovraffollamento e la mancanza di prospettive di reinserimento dei detenuti rendono il clima pericoloso".

Infine invitano "gli organi competenti a non limitarsi soltanto ad assicurare la certezza della pena ma a garantirne l’umanità" e auspicano "una presa di coscienza dell’opinione pubblica affinché consideri la dignità della persona detenuta, senza cadere in una visione vendicativa della reclusione". Don Antonio denuncia: "Basta buttarli tutti dentro! È emergenza e nessuno ci ascolta. I detenuti vivono stipati nelle celle; è difficile seguire problemi, paure, progetti". E il direttore della Caritas, monsignor Dino Pistolato, sottolinea: "Per legge la pena deve essere riabilitativa. L’ammassamento di persone impedisce di dare risposte adeguate".

La direttrice del carcere, Gabriella Straffi, ieri ha commentato: "Non è un suicidio, il fatto è accidentale. Ma sovraffollamento, mancanza di fondi, carenza di polizia penitenziaria, scarse occasioni di lavoro dentro e fuori del carcere abbassano il livello di sopportazione. Il carcere ha una capienza regolamentare di 111 detenuti, oggi ne ospita 320, il 70% sono stranieri".

Per seguire le attività lavorative dei detenuti c’è chi nel carcere entra quotidianamente e segnala anche lo svilupparsi di scabbia e infezioni virali. Il presidente della cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri, Giampietro D’Errico: "In questi giorni ero con loro e mi hanno segnalato che sono stati tolti altri spazi per la ricreazione. La situazione li spaventa e non vedono altri sbocchi.

In loro non c’è rabbia, ma rassegnazione e preoccupazione". Nei giorni scorsi la direttrice Straffi, aveva lanciato un appello: "Aiutateci, mancano i kit per l’igiene personale dei reclusi". Dopo la pronta risposta di parrocchie e volontari ieri il presidente del consiglio comunale, Renato Boraso, ha convocato una conferenza stampa.

L’occasione: la consegna di 300 confezioni con prodotti per l’igiene personale. Il contributo: duemila euro. Boraso: "L’iniziativa, sostenuta dalla presidenza del consiglio comunale in collaborazione con l’associazione Il granello di senape, è simbolica. Per regolamento si possono sostenere due manifestazioni simili, di fronte a situazioni di grave intensità lo infrangerò". Poi sul decesso: "Non è solo un numero statistico. Il fatto, di assoluta drammaticità, è sintomo di una situazione insostenibile".

Varese: sul futuro della Casa Circondariale il dibattito è acceso 

 

Varese News, 18 giugno 2009

 

Fra Varese e Gazzada, nella piana fra Bizzozzero e Schianno. No, a Sant’Ambrogio o anzi, alla Bevera, in via Cà Bassa. No, meglio ancora puntare su una ristrutturazione del carcere esistente.

Un rebus, insomma. Capire che cosa abbia in mente la giunta comunale varesina a guida Lega sul futuro della casa circondariale dei Miogni è un’impresa. La prima idea, quella di un nuovo edificio supersicuro da costruire in un’area verde alla periferia sud della città, fra il rione di Bizzozzero e la frazione di Schianno del comune di Gazzada, era stata sonoramente bocciata dagli abitanti della zona. Area già troppo congestionata anche se periferica di Varese, senza tener conto che a poche centinaia di metri dal luogo che avrebbe dovuto ospitare il nuovo carcere, è in previsione la costruzione di un supermercato.

Archiviato il pratone di Bizzozzero ecco spuntare due nuove proposte: Sant’Ambrogio - periferia nord di Varese e zona ancora oggi considerata esclusiva per la città - e la Bevera, in una traversa di via Peschiera, vicinissima dunque al sistema di raccordo fra tangenziale Valganna-Valceresio-via Peschiera e la tangenziale vera e propria che conduce verso l’autostrada. Ma, anche in questo caso, i problemi non mancano. Perché alla Bevera ci sono le sorgenti che riforniscono mezza Varese di acqua potabile.

È ragionevole pensare di intaccare un’area a così alta valenza ambientale? Di fronte alla proposta Bevera sono gli ambientalisti a ribellarsi, in un’area che, va loro riconosciuto, di stravolgimenti ne ha già conosciuti non pochi, dall’ampliamento dell’Ipermercato, al nuovo sistema viario. Le castagne dal fuoco anche se siamo fuori stagione, sembra toglierle una mozione approvata l’autunno scorso (era il 28 ottobre) dal consiglio comunale varesino, con l’astensione di Forza Italia e dell’Udc.

La mozione impegnava a riqualificare l’attuale carcere dei Miogni, ripresa da una recente delibera. Fra l’approvazione della mozione e la stesura della delibera, s’inserisce un intervento del ministero di Grazia e Giustizia che sposa la tesi secondo la quale Varese ha bisogno di un nuovo carcere: Varese metta a disposizione l’area, dice in sostanza il ministero di via Arenula, al resto pensiamo noi. Una scelta forse obbligata visto che oggi ai Miogni sono reclusi 140 detenuti quando il massimo previsto è di 44 che possono essere estesi al massimo, in condizioni di necessità, a 99.

Chi non vuol sentire parlare di ristrutturazione dei Miogni è proprio il sindaco Attilio Fontana. Secondo Fontana occorre sedersi attorno ad un tavolo e valutare, con i tecnici del ministero, le diverse proposte avanzate. Bocciata anche l’idea alquanto peregrina di Alessio Nicoletti, l’ex aennino che guida il piccolo Movimento Libero e che aveva proposto di riqualificare l’attuale sede della Polizia Municipale di via Sempione, trasferendo la sede della vigilanza in un nuovo e più razionale edificio.

La strada obbligata sembra essere proprio quella del nuovo carcere. Dove? Nella lotteria delle località la più accreditata è quella di via Ca Bassa, alla Bevera, ipotesi alla quale i "Verdi" rispondono con una provocazione: barattare l’attuale palazzone del carcere con un’area industriale dismessa, come ad esempio l’ex Malerba.

Bologna: Cie; la Garante chiede accertamenti igienico-sanitari

 

Comunicato stampa, 18 giugno 2009

 

Con riferimento alle notizie apparse sui quotidiani locali (La Repubblica ed il Corriere di Bologna il 16.6.2009 e L’Informazione di Bologna il 17.6.2009), nei quali si riportano le lamentele delle persone trattenute al Centro d’Identificazione ed Espulsione (ex C.P.T.) per le cattive condizioni dei materassi in dotazione e la segnalazione di presenza di vermi nel cibo distribuito all’interno del Centro, si informa che l’Ufficio del Garante delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna ha chiesto alle Autorità competenti, in data odierna, che vengano disposti con urgenza gli opportuni accertamenti per verificare la fondatezza di quanto riportato nei suddetti articoli.

Per quanto riguarda la questione materassi e lenzuola, questo Ufficio ha sollecitato che venga incrementato il cambio delle lenzuola, in considerazione del materiale utilizzato, facilmente deteriorabile. Si informa che questo Ufficio nelle periodiche visite al C.I.E. non ha mai constatato nulla di anomalo nel cibo, che arriva peraltro già confezionato dalla Ditta Concerta S.p.A. di Casalecchio di Reno (Bo).

Si segnala che è già pervenuta all’Ufficio scrivente una lettera dalla Ditta produttrice pasti, Ufficio Assicurazione Qualità, che comunica che, da controlli eseguiti su un campione del pasto del 10.6.2009 presso un laboratorio di analisi, non è emerso alcun elemento di non conformità.

 

Avv. Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone

private della libertà personale del Comune di Bologna

Forlì: i sindacati lanciano l’allarme per la carenza di personale

 

Ansa, 18 giugno 2009

 

La Casa Circondariale di Forlì è carente di uomini e, in vista dell’estate, servono più agenti. A chiederlo sono i sindacati di polizia. Alla Rocca ci sono tra 230 e i 240 detenuti quando la capienza massima è di 135 persone, massimo 165. A fronte di circa cento carcerati in più rispetto al prevista, gli agenti effettivamente in servizio, dicono dalla Cgil, sono 87 sui 125 che servirebbero.

Cagliari: seminario presentazione risultati del Progetto Indulto

 

Ansa, 18 giugno 2009

 

Sono stati presentati questa mattina a Cagliari, nella sala consiliare di Palazzo Regio, nel corso del seminario "Percorsi di inclusione socio-lavorativa. Transizione pena-lavoro: dalla sperimentazione al modello operativo", i risultati del Progetto Indulto.

Promosso dai Dicasteri del Lavoro e della Giustizia e attuato da Italia Lavoro, il progetto ha realizzato percorsi di tirocinio formativo-professionalizzante da svolgere in azienda, destinati a detenuti nella condizione di fine pena, misura alternativa, beneficiari dell’indulto liberati, in fine pena o in misura alternativa, minori in età adulta, in una logica di supporto al reinserimento nel tessuto sociale e di prevenzione della recidiva. Le azioni svolte hanno toccato quasi tutto il territorio nazionale, sviluppandosi in 12 regioni e 46 province. In Sardegna i tirocini avviati sono stati 116, di cui 81 terminati; la gran parte (66) realizzati nella provincia di Cagliari.

Nel corso del seminario istituzioni e attori sociali si sono confrontati sulla possibilità di dare una risposta non emergenziale, ma sistematica e strutturata, al problema dell’inclusione socio-lavorativa dei detenuti e degli ex-detenuti. Presenti, tra gli altri, il presidente e l’assessore alle Politiche sociali della Provincia di Cagliari, Graziano Milia e Angela Quaquero, l’assessore alle Politiche e servizi per il lavoro della Provincia del medio Campidano, Velio Ortu, il presidente di Italia lavoro, Natale Forlani e il responsabile dell’area inclusione sociale e lavorativa di Italia Lavoro, Mario Conclave

Roma: i detenuti-attori di Rebibbia, sono di scena alla Camera

 

Ristretti Orizzonti, 18 giugno 2009

 

Oggi 18 giugno, alle 16,30, alla Camera dei Deputati, presso la prestigiosa sala della Regina nel palazzo di Montecitorio, la Compagnia Stabile Assai della Casa di Reclusione di Rebibbia, animata dall’educatore Antonio Turco, ha messo in scena la rappresentazione teatrale "Roma la Capitale", testo liberamente ispirato alla vicenda della banda della Magliana.

L’iniziativa è frutto del lavoro del gruppo Pd nella Commissione giustizia e della proposta dell’on. Guido Melis, cui ha subito aderito con entusiasmo il presidente della Camera on. Gianfranco Fini. Saranno anche presenti la presidente della Commissione Giustizia On. Giulia Bongiorno e il Direttore Generale del Dipartimento Penitenziari Pres. Franco Ionta

È questa in assoluto la prima volta che una compagnia teatrale di detenuti ed ex detenuti (più un agente di custodia e pochi attori professionisti) recita alla Camera dei Deputati. Il significato non solo simbolico dell’evento è chiaro: attraverso una attività che si segnala anche per l’alto livello tecnico-artistico raggiunto, il mondo separato del carcere si propone alla Camera e al Paese non più solo come luogo di repressione e di pena ma come sede di rieducazione e di riscatto umano.

Nuoro: ed i "canti della memoria" dei sardi entrano nel carcere

 

La Nuova Sardegna, 18 giugno 2009

 

I canti della memoria dei sardi entrano in carcere. Li portano le sette ragazze del gruppo "Actores alidos", ieri mattina nella cappella di "Badu ‘e carros", davanti a 40 detenuti della sezione ordinaria. Nei banchi anche le carcerate.

Lo spettacolo è tra le attività dell’area trattamentale, su proposta del Garante dei detenuti, Carlo Murgia. Ai loro posti il direttore, Patrizia Incollu, e il capo delle guardie, Antonio Cuccu. Il concerto vale pure una verifica delle attività di socializzazione, sempre al di sotto delle necessità per la carenza di spazi. È una parentesi felice, per chi passa le giornate a distanza dal mondo. Tutto avviene con naturalezza. La normalità è quella dei detenuti.

All’ingresso della chiesa rendono omaggio alla Madonna, e scambiano le "nuove" con don Giampaolo Muresu, oggi cappellano, nel passato missionario in Cile, altro fronte dell’umana sofferenza. A fianco, l’organigramma dei "responsabili": assorti nel ruolo di educatori, e poco di censori dei peccati terreni. "Sono "cresciuto" in carcere", racconta Antonio Cuccu, "Mio padre era custode nel penitenziario di Macomer".

Per poi spostarsi sull’attualità: "Si tratta di momenti di integrazione, che auspichiamo, per portare all’interno un pizzico di serenità. Quando è possibile, coinvolgiamo tutte le sezioni", alludendo ai detenuti del braccio speciale, degli affiliati a mafia, camorra e ‘ndrangheta. Complessivamente 190 detenuti, per la maggior parte "comuni", nel gergo penitenziario, con una dozzina di donne. Pochi extracomunitari e pochi problemi di droga.

Per il controllo, 190 agenti: "Non sono tanti, ma si riesce a lavorare", spiega Cuccu, "soprattutto ora che una parte dei carcerati è stata trasferita in altri istituti, per via dei lavori di ristrutturazione". Nuovi spazi, "consentirebbero le attività di formazione", dice e spera Patrizia Incollu, "in maniera che si esca dal penitenziario potendo contare su un pezzo di carta". L’intervento in cantiere è quello della palestra: c’è la sala e l’attrezzatura è stata richiesta a Comune e Coni. Dall’ordinario allo straordinario.

È di questo tenore lo spettacolo degli "Actores alidos". Ragazze cresciute in teatro, che - per esigenze di drammaturgia - il regista Gianfranco Angei ha spostato allo studio della tradizione musicale sarda". Richiesta presa alla lettera. In carcere le voci sono scivolate dalla "Ninna nanna", al "Trallalera", alle filastrocche, mettendoci dentro "Nanneddu meu", "Procura de moderare", la Danza di Desulo, ossia agli apici della melodia in limba.

"Canti delle donne sarde" è il manifesto: un incontro tra dolcezza materna e foga femminista, che vanno e vengono, si miscelano e si respingono, quando l’acuto vocale incalza la poesia. Trallalera e batti mani, che la platea dei detenuti replica, per farne il sentito ringraziamento.

Stati Uniti: rinchiusa per quattro ore sotto il sole detenuta muore

 

Ansa, 18 giugno 2009

 

Una donna di 48 anni è morta dopo essere stata lasciata per quattro ore in pieno sole in una cella a cielo aperto di un carcere di Phoenix, in Arizona. Marcia Powell, prostituta che stava scontando una pena di 27 mesi, doveva stare temporaneamente in quel luogo per poi essere trasferita in un’unità psichiatrica. Ma l’esposizione prolungata al sole a 42 gradi l’ha uccisa. Il fatto ha suscitato la collera di un’associazione in difesa dei carcerati.

Rinchiusa all’aperto e lasciata al sole, la detenuta prima ha perso conoscenza, poi è stata trasportata in ospedale, dove è morta qualche ora più tardi. Sull’accaduto l’amministrazione penitenziaria dello Stato ha aperto un’inchiesta e ha provveduto a chiudere le 233 celle simili sparse nelle dieci prigioni dell’Arizona.

Per far luce sulla vicenda e chiarire senza dubbi le cause del decesso, con molta probabilità verrà effettuata l’autopsia sul corpo della 48enne, ma al momento il giudice competente non ha ancora deciso il da farsi. Nel frattempo le associazioni per i diritti dei detenuti si sono fatte avanti per protestare contro le violenze subite dai carcerati e le difficili condizioni di detenzione in Arizona.

Stati Uniti: detenuti a Guantanamo, solo 60 saranno processati

 

Agi, 18 giugno 2009

 

Poco meno di 60 detenuti sui 230 ancora rimasti a Guantanamo saranno processati entro la fine l’anno. Gli altri saranno rilasciati con modalità ancora da definire anche se per circa 50 sono già stati trovati Paesi disponibili ad accoglierli. Lo ha annunciato oggi il ministro della Giustizia americano, Eric Holder, in un’audizione di fronte alla commissione Giustizia del Senato illustrando il progetto messo a punto dall’amministrazione Obama per arrivare alla chiusura del campo di prigionia nell’enclave americana sull’isola di Cuba all’inizio del 2010.

Brasile: 5 nuove carceri, saranno costruite e gestite dai privati

 

Agi, 18 giugno 2009

 

Per sopperire al sovraffollamento cronico dei penitenziari brasiliani lo stato di Minas Gerais ha deciso di privatizzare le prigioni. Cinque nuovi penitenziari saranno costruiti e gestiti da privati. Con un decreto siglato in questi giorni, il governo di Minas Gerais ha approvato il progetto dell’impresa "Gestores Prisionais Associados" che finanzierà in modo autonomo la costruzione e la gestione delle cinque carceri a Belo Horizonte. L’investimento iniziale sarà di 190 milioni di real (circa 67 milioni di euro) per una capacità totale di 3.040 detenuti. Lo Stato pagherà 74 real al giorno per detenuto (26 euro), il prezzo di un hotel di terza categoria. Sono previste multe in caso di ribellioni o evasioni.

 

 

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