|
Giustizia: progetto per "faccia a faccia" tra vittime e criminali di Ranieri Salvadorini
La Repubblica, 1 aprile 2009
"Aprire le prigioni della mente": progetto di incontro tra chi ha subito un reato e detenuti. La consapevolezza accelera il reinserimento, riduce la recidiva e "lenisce" le ferite. Che succede quando vittime e carnefici si incontrano? Abbiamo seguito l’attività della redazione carceraria di Ristretti Orizzonti - un gruppo di detenuti capitanato da una volontaria, Ornella Favero - che ha incontrato vittime di reati gravi come Olga D’Antona, Silvia Giralucci o Benedetta Tobagi. Ma anche vittime di reati minori. A queste iniziative se ne aggiungerà, in maggio, una con Paola Reggiani, la sorella di Giovanna Reggiani , la donna brutalmente uccisa a Roma nel 2008. "Se non gli aprono mi spara". Quando Elena Baccarin ha presentato i detenuti ai suoi allievi - all’interno del progetto "Il carcere entra a scuola. Le scuole entrano in carcere" - ha ascoltato poi quasi distratta. Ma appena ha realizzato che uno di loro è un rapinatore si è sentita venir meno. Lei, infatti, è stata usata come ostaggio durante una rapina in banca. "Mi mancava il respiro e volevo scappare - scriverà in una lettera ai detenuti - Non ci vedevo quasi, mi tornavano alla mente le imprecazioni del rapinatore, gli strattoni, il gelo della pistola. E non riuscivo a vedere quell’uomo così mite che parlava ai ragazzi nelle stesse vesti". Vittime e carnefice uno di fronte all’altra. "Un misto di rabbia repressa ed emozione - scrive Baccarin - e a un certo punto gli dissi che io ero stata ostaggio durante una rapina. Rimase spiazzato. A darmi sollievo fu l’abbraccio con cui ci salutammo, quasi che lui si scusasse a nome di un altro". "Dall’altra parte della pistola". Anche Maurizio Bertani e Sandro Calderoni sono dentro per rapina. "Quando ho letto la lettera dell’insegnante sequestrata durante una rapina in banca sono stato davvero male - dice Bertani - prima non sapevo che volesse dire stare dall’altra parte dell’arma, credevo che tutto si risolvesse in 5 minuti di paura per tutti quanti". Infatti, "proprio la lettera della professoressa è stato uno degli snodi per cominciare a riflettere in modo più serio sul peso di reati ‘minori’", spiega Calderoni. Olga D’Antona mi ha "scarcerato". "Quando lei ha detto che non era capace di provare odio mi ha sconvolto la vita - dice Adnen in redazione - io ho ucciso e in lei ho rivisto tutto quello che ho fatto". Olga D’Antona, la donna a cui le cosiddette "nuove Br" hanno ucciso il marito (il giuslavorista Massimo D’Antona, nel 1999), ha incontrato i detenuti di Ristretti nel 2007. "Il dolore era sul volto - prosegue il detenuto - nella voce, nei movimenti, potevi toccarlo e nella mia mente c’era una specie di nastro che ha cominciato a girare: da allora ho cominciato ad affrontare la pena in modo diverso". Un incontro che, assieme a quello con Benedetta Tobagi e Silvia Giralucci, due giovani donne a cui le Br negli anni Settanta ammazzarono i padri, ha dato un impulso determinante per l’organizzazione del Seminario del 2008: "Sto imparando a non odiare, quando autori e vittime di reato provano a dialogare". Ma non riflettevate sulle conseguenze dei reati? In un liceo vicino Padova la domanda è secca, è rivolta a Daniele, arrestato per traffico di cocaina. "Fino a 3 anni fa, prima di entrare in una scuola, me ne fregavo degli altri, perché l’unica cosa a cui pensi quando sei dentro è a sopravvivere, anche per questo non è facile ragionare sui propri reati e sul male fatto - ha risposto Daniele - io di riflessioni, prima di entrare in contatto con l’esterno, non ne avevo mai fatte". E infatti è solo il contatto con l’esterno a mantenere il contatto con la realtà, e rendere possibile un rientro. "Sono dati nazionali, il 70% dei casi di recidiva è dove il carcere si chiude allo scambio. Dove c’è possibilità di scambio la recidiva crolla al 19%", spiega Ornella Favero, la coordinatrice dei detenuti della redazione padovana. Silvia Giralucci non si stanca di ripetere i due motivi per cui è diventata parte integrante dell’esperienza di Ristretti Orizzonti: "Il "ritorno", il reinserimento nella società, è un dono. La pena si estingue, ma la responsabilità morale no". In redazione però "non ci sono le Suore Orsoline", come dice scherzando Elton, un detenuto albanese, ma persone che hanno commesso reati gravi. "Certo non è semplice", chiude Giralucci, "ma venire qui per me è un sollievo e se il mio dolore aiuta qualcuno a cambiare in meglio, ecco, allora questa è l’unica cosa che gli dia un minimo di senso". "I terroristi? Si credono diversi". "Sono stato a Novara in un carcere di massima sicurezza, dove ho conosciuto terroristi di destra e di sinistra: hanno pregiudizi verso i detenuti comuni" - spiega un altro detenuto, Milan, anche lui in galera per omicidio - "Si sentono degli eroi, dei giustizieri e non li capisco, perché per me omicidio è liquidare qualcuno e non posso accettare che un altro assassino faccia distinzioni". "Il punto - chiude Favero - è che non c’è nulla di decente nell’ammazzare qualcuno". Giustizia: 10 suicidi in un mese; il nuovo "record" per le carceri
Ristretti Orizzonti, 1 aprile 2009
Il mese di marzo appena concluso ha segnato un drammatico "record" nella storia delle carceri italiane: 10 detenuti si sono uccisi (5 di loro erano ventenni o poco più), quindi si è verificato in media un suicidio ogni 3 giorni. Da quando abbiamo iniziato a raccogliere i dati del Dossier (nel 2002) non si era mai registrato un numero così elevato di suicidi in carcere, ed anche nel primo trimestre dell’anno (con 19 casi) è stato superato il precedente "picco", che risaliva al 2005 (18 casi). Si comprende perfettamente come esista una stretta relazione tra il grado di affollamento delle carceri e il numero dei suicidi: nel primo trimestre del 2007 - a pochi mesi dal provvedimento di indulto che sfollò momentaneamente le carceri - ci furono soltanto 2 suicidi! Va pure sottolineato che l’ormai cronica insufficienza numerica del personale deputato al "trattamento" (psicologi, educatori) e alla sorveglianza (agenti di polizia penitenziaria) determina di fatto un "abbandono" dei detenuti nelle celle. La prospettiva di una detenzione in condizioni "inumane" (come denunciato dallo stesso Ministro della Giustizia) e priva di stimoli positivi fa perdere ogni speranza ai detenuti, soprattutto ai giovani che entrano in carcere per la prima volta. Ragazzi di vent’anni, arrestati anche per reati di poco conto, che non riescono a trovare un appiglio, ad avere fiducia in un possibile recupero, in una vita migliore senza reati e senza carcere. Il dramma non riguarda soltanto i detenuti, ma tutta la nostra società, che sembra aver dimenticato i principi di una pena "civile": dura sì, ma volta al recupero delle persone condannate, non al loro annientamento. (Vedi il Dossier Morire di carcere del marzo 2009)
Francesco Morelli, curatore del Dossier Giustizia: Ionta; ridisegnare una "mappa" degli istituti di pena
Ansa, 1 aprile 2009
Il sistema penitenziario italiano si connota "in forma generalista, dove negli istituti sono presenti tutte le tipologie di detenuti con evidenti impatti negativi". La strategia del dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap) consiste "nell’edificazione di nuove carceri e di ristrutturazione delle vecchie, ma soprattutto nel ridisegnare la mappa delle tipologie degli istituti in due ambiti: uno dedicato ai detenuto particolarmente pericolosi, uno per coloro che sono considerati a basso indice di pericolosità". Lo ha detto il capo del Dap, Franco Ionta, durante l’inaugurazione a Roma dell’anno accademico dell’istituto superiore di studi penitenziari. Secondo Ionta, in questa ristrutturazione, "la dirigenza è chiamata a svolgere un ruolo attivo. Si impone, quindi, anche l’adeguamento dei programmi formativi, passando da un approccio generalista con i detenuti ad uno più mirato". Il capo del Dap ha aggiunto che in un periodo di crisi economica come questo "non si può mortificare la ricchezza dell’amministrazione penitenziaria, ovvero il patrimonio umano". Il sottosegretario alla Giustizia, Giacomo Caliendo, parlando del rapporto tra agenti e detenuti ha affermato che "l’uomo detenuto deve essere trattato da uomo e quindi portato ad una educazione: la migliore soluzione sarebbe la realizzazione di condizioni di lavoro serie. In questo modo si adempie agli obblighi previsti dalla Costituzione". Giustizia: Osapp; di carcere si muore, avanti così non si può
Apcom, 1 aprile 2009
"Plaudiamo ai nostri colleghi che ancora una volta hanno impedito l’ennesima tragedia". Così Leo Beneduci, segretario generale dell’Organizzazione Sindacale Autonoma della Polizia Penitenziaria (Osapp) in merito al suicidio sventato dagli agenti che ha visto protagonista, l’altra sera, un recluso di Rebibbia. "A Regina Coeli - riferisce Beneduci - altri nostri colleghi, sempre ieri, sono stati vittime di un’aggressione da parte di un condannato sottoposto a regime del 41 bis: episodi che ripropongono la questione della carenza del personale. E che, come ha dichiarato il garante del Lazio oggi, spesso trovano come causa scatenante, in quel carcere come in tutte le altre parti d’Italia, la difficoltà di organizzare il servizio per i pochi uomini a disposizione". "Un situazione rispetto la quale l’amministrazione risponde con soluzioni retoriche, o rinviando i problemi, non ultime le dichiarazioni di oggi di Franco Ionta a proposito della necessità di circuiti distinti e rieducativi". "Di carcere si muore e questa non è soltanto una questione che attiene espressamente e soltanto il recluso. Sta di fatto - conclude l’Osapp - che del fenomeno dei suicidi, per esempio, ancora adesso si registrano vittime tra i detenuti e tra esponenti della Polizia Penitenziaria". Giustizia: le carceri malate; tanti i detenuti con Aids ed epatite
Ansa, 1 aprile 2009
Dati allarmanti dalla Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria. Li segnalano 6 deputati del Pd, con in testa Maria Antonietta Farina Coscioni, in un’interrogazione presentata martedì 31 marzo alla Camera. Nell’atto, rivolto in particolare al ministro della Giustizia, Angelino Alfano, e al ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, è in evidenza il dato dei circa tremila detenuti affetti da Hiv e ben il 15% in fase di Aids conclamata. Il 38% dell’intera popolazione detenuta sarebbe inoltre colpita da epatite virale da Hcv e il 25% positivo al test per l’infezione da tubercolosi. I parlamentari chiedono quindi una verifica su queste informazioni e sulla situazione denunciata dalla Società italiana di medicina e sanità penitenziaria e sollecitano iniziative per contrastare una così allarmante situazione. Giustizia: in arrivo prime 20 assunzioni di educatori penitenziari
Apcom, 1 aprile 2009
L’esito di un incontro al Ministero della Giustizia è stato positivo: da maggio saranno assunti i primi 20 educatori penitenziari ed entro la fine di questo anno è prevista l’assunzione di almeno la metà dei 397 vincitori del concorso 2003. "Dopo l’incontro di oggi al ministero della Giustizia, possiamo anticipare con soddisfazione che, a decorrere da maggio 2009, saranno assunti i primi 20 dei 397 educatori penitenziari vincitori del concorso 2003". L’annuncio è di Roberto Greco, segretario nazionale del Col.edu.pen, Collettivo educatori penitenziari, che rappresenta oltre 300 iscritti in tutta Italia. "Oggi - spiega Greco - siamo stati ricevuti a via Arenula, a conferma di un clima finalmente nuovo, e ci sono state mostrate le lettere che sono sul punto di partire". E "se non sorgeranno intoppi dell’ultima ora, a maggio nelle carceri italiane ci saranno 20 educatori penitenziari in più ed entro la fine del 2009 si procederà all’assunzione di almeno la metà dei 397 vincitori di concorso". "Di questo - conclude Greco - tutti noi vogliamo ringraziare il ministro Alfano e i sottosegretari Caliendo e Casellati, che si sono fatti parte attiva delle nostre legittime istanze". Giustizia: parlamento affronti "l'emergenza" aggressioni agenti
Adnkronos, 1 aprile 2009
Ieri pomeriggio nel carcere di Busto Arsizio, nel varesotto, un detenuto ha aggredito e ferito tre secondini. L’ennesimo episodio denunciato dalla Uil-Pa Penitenziari, secondo cui le violenze subite dagli agenti nelle case circondariali hanno ormai assunto i caratteri di una vera emergenza, di cui il Parlamento dovrebbe occuparsi. "Da tempo abbiamo posto la questione - sottolinea Eugenio Sarno, segretario generale di Uil-Pa Penitenziari - ma mentre continua il silenzio delle istituzioni il numero dei feriti aumenta quotidianamente". La Uil-Pa ricorda che due giorni prima dell’incidente nel carcere di Busto Arsizio, costato a due agenti una prognosi superiore ai 7 giorni, a Rebibbia un secondino è stato malmenato da un detenuto sottoposto al 41-bis. Negli ultimi tempi, rileva la Uil-Pa, sono stati almeno 650 gli agenti penitenziari feriti dai carcerati. "Lanciamo un appello a tutte le forze politiche e ai presidenti delle due Camere - conclude Sarno - a voler calendarizzare una sessione parlamentare sull’emergenza penitenziaria. Non è più ora di volgere lo sguardo altrove, è l’ora di mettere il naso in quelle discariche umane e contenitori del disagio che sono le nostre prigioni". Giustizia: dal Csm la "bocciatura" del decreto sulla sicurezza
L’Unità, 1 aprile 2009
No alle ronde introdotte dal decreto sicurezza, sì invece a diverse delle orme contenute nello stesso provvedimento che riguardano il contrasto alla violenza sessuale e allo stalking. È articolato il giudizio del Csm sul decreto legge del governo ed è contenuto in un parere messo a punto dalla Sesta Commissione di Palazzo dei marescialli e che oggi pomeriggio sarà all’esame del plenum. Sulle ronde i consiglieri esprimono più di una "perplessità " a cominciare dalla scelta di "derogare al principio che assegna all’autorità pubblica l’esercizio delle competenze in materia di tutela della sicurezza". Ma soprattutto segnalano un pericolo: "la genericità delle previsioni contenute nel decreto legge può determinare il rischio del determinarsi di incidenti, e nei casi più gravi della commissione di reati"; con il risultato di portare a "un aggravio sia per le forze dell’ordine" (che sarebbero distolte "dal perseguimento del fine di garantire un efficace controllo del territorio") "sia per l’esercizio delle funzione giurisdizionale da parte della magistratura". Nel testo del governo sulle ronde ci sono troppe "discrezionalità " e "lacune", lamenta la Commissione. Come la "mancata previsione" che le associazioni di volontari "non debbano avere né natura né finalità di ordine politico"; o "l’assenza di ogni requisito negativo , preclusivo della partecipazione alle associazioni, come quelli di essere stati condannati per reati di violenza o per il compimento di atti di discriminazione". E non basta: "La doverosa precisazione che i cittadini debbano essere non armati" non fuga "ogni dubbio sull’utilizzazione di strumenti, non definibili armi in senso proprio,ma comunque atti a compiere atti di coercizione fisica";e non c’è "un effettivo controllo sull’attività realmente svolta dalle associazioni". Diverso è il giudizio sulla parte del decreto che "mira positivamente a rafforzare gli strumenti per contrastare tutte le forme di aggressione sessuale". Il Consiglio "condivide" in particolare la scelta di ammettere l’incidente probatorio, "in assenza dei requisiti ordinariamente previsti", nei casi di violenza sessuale e maltrattamenti in famiglia, come pure il gratuito patrocinio per tutte le vittime , e l’introduzione del reato di stalking, che "colma una profonda lacuna normativa". Ma esprime "perplessità" sul carcere obbligatorio per i responsabili di violenza sessuale. Non mancano riserve sulla norma che estende a 6 mesi il termine massimo per trattenere gli stranieri irregolari nei Centri di identificazioni e di espulsione. "La privazione della libertà personale, che è bene di primaria rilevanza costituzionale - scrivono i consiglieri - impone che si attui un procedimento di controllo del titolo che legittima la detenzione amministrativa assolutamente rigoroso". E trattandosi di una materia così delicata "meglio sarebbe investire il tribunale ordinario" piuttosto che i giudici di pace. Nel decreto del governo che disciplina le ronde e introduce misure più severe contro la violenza sessuale spuntano ora delle norme che riguardano i magistrati e che rimettono in discussione la vecchia riforma che aveva stabilito la distinzione delle funzioni tra giudici e Pm. Si tratta di due emendamenti appena presentati al decreto dal governo che cambiano un altro decreto ancora: quello sulle sedi giudiziarie disagiate. In pratica si intende dare la possibilità di trasferire d’ufficio i magistrati nelle sedi disagiate nel caso in cui in queste sedi ci siano dei posti vacanti, non richiesti nonostante siano stati assicurati degli incentivi. E questo trasferimento, si legge negli emendamenti del governo, potrà essere fatto anche in deroga al "divieto di passaggio da funzioni giudicanti e requirenti e viceversa all’interno di altri distretti della stessa regione" previsto dal decreto legislativo del 2006. Giustizia: Strasburgo; legge Pinto, sei mesi per il risarcimento di Marina Castellaneta
Il Sole 24 Ore, 1 aprile 2009
Gli indennizzi concessi alle vittime di processi troppo lunghi in base ala legge Pinto devono essere liquidati entro 6 mesi e devono essere quantificati secondo i parametri fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo. Non si può chiedere, poi, ha stabilito la Corte Ue nella sentenza di condanna all’Italia depositata ieri (ricorso n. 22644/03) a un individuo, che ha già fatto ricorso alla legge Pinto di ottenere un indennizzo per la durata eccessiva del procedimento, di presentare nuovo ricorso sulla base della stessa legge se la sentenza che concede l’indennizzo non viene eseguita in tempi rapidi. Per Strasburgo l’importo va liquidato entro 6 mesi dal momento in cui la decisione sull’indennizzo diviene esecutiva, ossia dal deposito della sentenza, se non oggetto di ricorso in Cassazione. Respinta, quindi, la tesi del Governo secondo il quale il termine di sei mesi decorre dal omento in cui la decisione della Corte d’appello è comunicata all’amministrazione o notificata. Giustizia: per il Dipartimento Minorile in arrivo dei nuovi fondi
Comunicato stampa, 1 aprile 2009
Oggi 1° aprile, nel corso della presentazione del libro dell’Associazione V.I.P. che racconta l’esperienza di tre anni di attività di "Circo sociale nel carcere minorile Ferrante Aporti" (esperienza che sarà esportata in altre carceri minorili), il dirigente del Centro Giustizia Minorile di Torino, Antonio Pappalardo, ha annunciato di aver avuto, giorni fa, precise rassicurazioni, da parte del Capo del Dipartimento Giustizia Minorile Pres. Bruno Brattoli, circa l’ottenimento di risorse finanziarie aggiuntive rispetto a quelle,largamente insufficienti, assegnate a inizio d’anno. Al Pres. Brattoli, pertanto, che, pur essendosi insediato al Ministero solo a dicembre 2008, è riuscito ad ottenere dal Ministro Alfano (che ha grande sensibilità alle questioni minorili) tali stanziamenti aggiuntivi, va il più sentito ringraziamento. Ma i ringraziamenti vanno estesi anche a tutti coloro che, dagli organi di stampa alla Magistratura minorile, dagli Assessori ai soggetti del Terzo settore, si sono incessantemente adoperati, in questo primo trimestre dell’anno, perché la Giustizia Minorile uscisse dalla drammatica situazione finanziaria che avrebbe permesso il funzionamento dei Servizi minorili solo fino ad aprile.
Antonio Pappalardo Dirigente del Centro per la Giustizia Minorile del Piemonte, Valle d’Aosta e Liguria Trapani: detenuto di 43 anni si suicida nel carcere di Marsala
Ansa, 1 aprile 2009
Si è suicidato la notte scorsa, nel carcere di Marsala, Gianclaudio Arbola, 43 anni, uno degli arrestati in un’operazione antidroga. L’operazione, eseguita dai Carabinieri domenica, ha portato all’emissione di 13 misure cautelari per traffico di cocaina tra Milano e Pantelleria. Arbola, che era di Pantelleria, si sarebbe impiccato con la cintura dei pantaloni. L’autopsia è prevista per oggi pomeriggio. Il traffico di cocaina avveniva utilizzando pacchi spediti con corrieri espresso.
Toh, un nuovo suicidio in carcere… (Live Sicilia, 1 aprile 2009)
Ormai è un orrore che non fa più notizia. Ormai pare che il suicidio in carcere sia un evento da accettare. A pochi giorni dal suicidio di un ventenne a Catania, si è suicidato stanotte, nel carcere di Marsala, Gianclaudio Arbola, 43 anni, uno degli arrestati nell’operazione antidroga dei carabinieri Contropacco, che domenica scorsa ha portato all’emissione di 13 misure cautelari per traffico di cocaina tra Milano e Pantelleria. Arbola, che era di Pantelleria, si sarebbe impiccato con la cintura dei pantaloni. L’autopsia è prevista per oggi pomeriggio. Il traffico di cocaina scoperto dai carabinieri avveniva utilizzando pacchi spediti con corrieri espresso da Milano a Pantelleria. Mittente e destinatario erano sempre la stessa persona. Il gip di Marsala emise quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere, otto ai domiciliari e un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria.
L’intervento del Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia
"A distanza di sole 72 ore dal precedente si è verificato un ulteriore suicidio nelle carceri siciliane, questa volta si tratta del carcere di Marsala, dove in passato non si sono mai verificati fatti analoghi. Questo è quanto ha dichiarato il Sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, apprendendo la notizia dell’ennesimo suicidio in carcere. "Il Sig. Gianclaudio Arbola, questo è il nome del suicida di 43 anni, era stato tratto in arresto ieri mattina e, ieri sera si è tolto la vita. I miei uffici hanno già avviato le procedure per acquisire elementi di valutazione utili anche per eventuali iniziative proprie del Garante ma auspico, comunque l’apertura di una accurata indagine da parte degli organi competenti. Questo fatto conferma quanto ho affermato più volte in diverse sedi, ultima delle quali l’Aula del Senato dove proprio ieri sera avevo lanciato un ulteriore allarme sulla situazioni delle carceri in generale ed in particolare sull’assenza o la scarsa presenza di psicologi. Roma: gli agenti sventano il suicidio di un detenuto di Rebibbia
Il Velino, 1 aprile 2009
"Sono stati gli agenti di Polizia Penitenziaria a sventare un tentativo di suicidio all’interno della sezione G 9 del carcere di Rebibbia nuovo complesso". L’episodio, reso noto dal Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni, è avvenuto nella tarda serata di ieri. "Protagonista del gesto, un italiano di 32 anni, C.C., in carcere per diversi reati, per alcuni dei quali è in attesa di giudizio, che ha cercato di impiccarsi con i lacci delle scarpe. Secondo quanto hanno ricostruito i collaboratori del Garante, l’uomo - che ha problemi di tossicodipendenza e disagio psichico - è anoressico e negli ultimi tre mesi in carcere ha perso circa 20 chilogrammi arrivando a pesare, oggi, 56. Da circa tre mesi l’uomo, per affrontare i suoi problemi aveva chiesto l’aiuto degli psicologi che tuttavia, in questo lasso di tempo, lo hanno potuto incontrare una volta sola visto l’elevato carico di lavoro. Per questi motivi l’unica sua fonte di sollievo era la terapia farmacologica che stava seguendo". "Ieri sera, intorno alle 20, il tentativo di impiccarsi utilizzando i lacci delle scarpe. L’intervento tempestivo degli agenti di polizia penitenziaria, subito allertati dagli altri detenuti presenti, ha salvato la vita dell’uomo, ora ricoverato nel centro clinico del carcere. ‘Solo grazie all’intervento degli agenti, di cui mi preme sottolineare la grande professionalità, ha impedito che un altro detenuto, dopo quello dello scorso marzo a Velletri, si togliesse la vita in carcere - ha commentato il garante Angiolo Marroni -. Purtroppo questo avvio di 2009 sembra ricalcare quanto accaduto lo scorso anno, quando i morti dietro le sbarre furono 18. Il sovraffollamento, la mancanza di strutture e soprattutto di uomini denunciato da più parti anche ad altissimi livelli istituzionali, non fanno che ingigantire le problematiche del carcere. Ieri sera, per esempio, erano in servizio cinque agenti a controllare oltre 400 detenuto. Tutto ciò non fa che mettere con le spalle al muro chi tali problemi è costretto a subirli: detenuti, operatori e agenti di polizia penitenziaria". Roma: Osapp; la politica cancerizza, per paura di perdere voti
Roma One, 1 aprile 2009
Gli agenti di polizia penitenziaria del carcere di Rebibbia hanno sventato il tentativo di suicidio di un detenuto nella sezione G9 del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. L’episodio è avvenuto lunedì sera. Il detenuto di 32 anni, ha tentato di impiccarsi con i lacci delle scarpe. L’uomo, che ha problemi di tossicodipendenza e disagio psichico, è anoressico e negli ultimi tre mesi in carcere ha perso circa 20 chili.
Segretario Beneduci, due agenti aggrediti. Cosa accade a Rebibbia? Niente di nuovo rispetto agli ultimi tempi. Le aggressioni agli agenti purtroppo a Rebibbia, e non solo, sono all’ordine del giorno. Il fatto che l’aggressione sia venuta da un detenuto in regime di carcere duro è un’assoluta novità ed è indice, secondo noi, di una tensione in crescita e è destinata purtroppo a crescere.
Troppi detenuti? Sì. Siamo tornati ad una situazione pre-indulto, con un numero di agenti inadeguato a gestire la situazione. Va detto che, considerando che molte carceri in Italia vengono rette anche da un punto di vista amministrativo dagli agenti penitenziari, i 41.600 agenti in organico, non sono effettivamente sempre impiegati per badare ai detenuti. Diciamo che quelli impegnati in quell’attività sono meno di 20.000 a fronte di oltre 63.000 detenuti.
I numeri di Rebibbia e Regina Coeli quali sono? Diciamo che in molte celle si è arrivati al terzo letto a Castello. Attualmente ci sono poco più di 1.400 detenuti (prima dell’indulto erano 1.600 ndr) a fronte di una capienza di 1.080. A Regina Coeli va anche peggio, anche se non ho dati precisi da fornirle. Rispetto alla capienza di poco meno di 900 posti però siamo già abbondantemente oltre. Qui c’è anche la beffa di un’ala ristrutturata da 200 posti che è pronta, già costruita, ma non ancora consegnata anche per mancanza di personale. Stesso discorso per il carcere di Rieti: attualmente lì ci sono 42 agenti per una cinquantina di detenuti. In progetto c’è di farcene andare 450, ma non sappiamo ancora con quale personale.
Servono quindi nuove carceri? Sì, ma non solo. Secondo noi bisogna avviare un discorso sulla differenziazione della pena, anche se dalla parte pubblica non abbiamo incontrato molta disponibilità al dialogo da questo punto di vista.
Dice quindi che c’è una tendenza alla carcerarizzazione facile? Noi scontiamo un sistema giudiziario che ricorre alle pene detentive in modo esclusivo. Secondo noi invece il carcere deve rappresentare l’estrema ratio, invece sembra che si debba mandare in carcere anche per reati di poco conto.
Come si spiega però all’opinione pubblica, che chiede certezza della pena, che per certi reati non bisogna mandare in carcere? Beh secondo me bisogna scindere la questione sicurezza. C’è da valutare che con il sistema detentivo attuale per il detenuto non c’è nessuna possibilità di riscatto e di reinserimento. Secondo me bisognerebbe cercare di lavorare in questo senso. Per fare un esempio semplicistico: se abbiamo il 35% di detenuti tossicodipendenti, non è con il carcere che li si aiuta.
La politica che ruolo ha in questo eccesso di carcerizzazione? Attualmente la politica ha troppa paura di perdere voti e non adempie il compito di cercare di formare un’opinione pubblica consapevole. Riempiendo le carceri non si fa altro che far tornare per strada più delinquenti di prima.
Che situazione vede nei prossimi mesi? Purtroppo la situazione non può che peggiorare. Le carceri ormai stanno scoppiando ed anche se si decide di costruirne di nuovi non sarà di certo a breve. Ci troveremo in situazioni dove i delinquenti saremo costretti a tenerli nelle caserme. Nuoro: sovraffollamento e degrado, agenti in sit-in a Mamone
La Nuova Sardegna, 1 aprile 2009
Ieri mattina, alle 10, i sindacati si sono ritrovati davanti ai cancelli della Casa di Reclusione di Mamone per protestare contro al situazione in cui da tempo versa la struttura penitenziaria, alle prese con carenze di organico, infermieri compresi, sovraffollamento e difficili condizioni di lavoro. Lo scorso 20 marzo, per discutere di questi temi, si era svolto un incontro ad hoc. Da un lato, una delegazione sindacale, dall’altro lato, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria. Ma da quest’incontro, i sindacati sono usciti decisamente insoddisfatti. "Non è stata fornita alcuna certezza circa una possibile integrazione della dotazione organica - scrivono in una nota stampa le organizzazioni sindacali - mentre d’altro canto è stato dato per certo che le prestazioni straordinarie che si renderanno necessarie per coprire i servizi non verranno pagate se non in minima parte per l’assenza di copertura finanziaria. E vista l’esiguità del personale, che già da tempo non consente di fruire pienamente di ferie e permessi, rende facile prevedere che anche l’opzione di riposo compensativo sia da considerarsi impraticabile facendo in tal modo pagare gli oneri del servizio e le carenze dell’amministrazione interamente ai lavoratori". Ma le lamentele non finiscono qua. I sindacati scrivono infatti, che "non è stata fornita alcuna certezza in relazione ai possibili tempi per il sovraffollamento determinatosi per effetto dei trasferimenti dei detenuti da altri istituti di pena interessati a interventi di manutenzione straordinaria lasciando così la certezza della permanenza di una situazione insostenibile". "Nessuna indicazione - aggiungono - è stata fornita in relazione al rilancio della struttura e a possibili interventi di tipo conservativo e di adeguamento tecnologico-sanitario". Di qui, il rilancio, da parte dei sindacati, della mobilitazione. "Non escludiamo - scrivono - sin dalle prossime giornate un possibile inasprimento del conflitto". Pordenone: una struttura non idonea per ospitare un carcere
Messaggero Veneto, 1 aprile 2009
"La strada imboccata per arrivare al nuovo carcere sembra quella giusta. I tempi? Sicuramente ragioniamo in termini di anni perché, anche se si decidesse di sistemare una struttura esistente, gli interventi da fare sarebbero massicci". Attende fiducioso la nuova Casa Circondariale, il direttore del Castello, nella consapevolezza che "questa resta una struttura non idonea ad ospitare un carcere", ma "la bravura di chi la gestisce - ha sottolineato Emanuela Zamparo dell’Asl 6 - permette di andare avanti senza che vi sia un’emergenza sanitaria". Il problema sovraffollamento nell’ultimo anno si è ridimensionato "perché, al di là del nucleo dei detenuti protetti che è stabile, il turnover delle persone che arrivano per reati comuni - ha spiegato il direttore - è alto. La capienza di posti è 53 con una tolleranza che può arrivare fino a 68. Possiamo dire che nell’ultimo anno questa soglia non è mai stata superata". Il fatto che il Castello non sia nato come carcere limita l’utilizzo degli spazi. Ma i limiti arrivano anche dai regolamenti. "Non è possibile impiegare i detenuti per svolgere lavori" ha ricordato il consigliere Baiutti, un limite che a Pordenone è rafforzato dalla tipologia dei detenuti accolti. "La riabilitazione con persone che si trovano in carcere per pedofilia non è tanto legata al lavoro quanto a percorsi psicologici - ha evidenziato il direttore -. Questa struttura può contare su personale molto preparato ed equilibrato che ha dimostrato di saper trattare anche con questo tipo di detenuti. Non è affatto semplice trovarsi di fronte a certe sentenze, a persone condannate per certi crimini, serve sangue freddo e la capacità di mantenere un certo distacco". Il problema del lavoro nelle carceri è più generale: "Da quando sono stati equiparati gli stipendi dei detenuti a quelli dei lavoratori normali - ha analizzato Quagliotto - le aziende non hanno più interesse ad appaltare lavori alle carceri".
Cucina nelle celle coi fornelli da campeggio
La si tutela con piatti dai giusti apporti calorici e con speciali corsi di formazione L’integrazione - anche in regime di detenzione - passa attraverso la conoscenza reciproca. Conoscenza che nella casa circondariale di Pordenone, dove il 65 per cento dei detenuti è straniero, avviene attraverso il cibo. Perché la cucina è gestita direttamente da ospiti del carcere e perché i detenuti hanno la possibilità di cucinare in cella con dei fornelletti da campeggio. Questo scambio ora arriverà anche fuori dalle mura del castello grazie a una pubblicazione che raccoglie le ricette dei carcerati. I cuochi. La cucina del carcere di Pordenone è gestita direttamente dai detenuti. "Sono tre le persone che si occupano di cucinare - ha spiegato il direttore Alberto Quagliotto - e in più, come pochi forse sanno, chi vuole ha la possibilità di cucinare direttamente in cella con dei fornelletti da campeggio. Viene fatta la spesa attraverso una cooperativa". Le condizioni per cucinare non sono delle migliori, "ma il regolamento lo consente ed è un modo creativo di impegnare il tempo" conferma il direttore. Il menù. Chi vive in carcere non può mangiare ciò che vuole, ma il menù arriva direttamente dal Ministero, sulla base di piani alimentari equilibrati che devono tener conto "del giusto apporto calorico - evidenzia la referente del dipartimento prevenzione dell’Asl 6, Emanuela Zamparo - e della poca attività fisica che viene fatta all’interno". Le differenze. La popolazione del carcere è fatta di uomini che arrivano sempre più da culture diverse: su un numero di ospiti che varia dai 60 ai 68, il "65 per cento - ha analizzato il direttore - è rappresentato da immigrati, soprattutto dell’est Europa e del Nord Africa, ma abbiamo avuto anche qualche sudamericano". Paesi diversi e religioni diverse, così il menù inizia a tenere conto anche di questioni "di fede". Il Ramadan. Un esempio è quello del Ramadan. Nel periodo più importante per i musulmani, i detenuti che professano questa fede - oltre a non avere, se lo desiderano, carne di maiale nel menù - possono richiedere la somministrazione dei pasti in orari diversi da quelli abituali, proprio perché la religione impone il digiuno durante le ore del giorno. "Non tutti aderiscono, ma qualcuno lo richiede" conferma il direttore. La salute. Cibo e salute vanno di pari passo ed è per questo che l’azienda sanitaria da tempo svolge dei corsi, all’interno della casa circondariale, sui diversi aspetti che interessano l’igiene e la salute. "I percorsi erano nati per il personale che si occupa della cucina, ma poi sono stati estesi visto l’interesse diffuso dei detenuti - ha spiegato la dottoressa Zamparo -. Quest’anno abbiamo somministrato un questionario per raccogliere indicazioni sui temi che maggiormente interessavano e tra questi, oltre all’alimentazione, sono stati segnalati la conoscenza delle malattie infettive e l’igiene personale". Le ricette. In quest’ambito è nata l’idea di realizzare un libretto di ricette - 30 quelle raccolte - in cui i detenuti hanno raccolto i piatti tipici della loro terra. "Siamo sempre più di fronte a una società multietnica per cui bisogna iniziare a ragionare in modo diverso" ha detto Zamparo. La cucina, intesa come quotidianità, ma anche creatività, diventa strumento "di educazione - ha evidenziato Quagliotto -. L’obiettivo di questa attività, così come di altre che vengono fatte all’interno del carcere, era quella di valorizzare al massimo l’aspetto sociale". Stampato con il sostegno economico della Regione, ora il manualetto verrà distribuito. "Stiamo vedendo come fare - ha detto il consigliere regionale Giorgio Baiutti che ha seguito personalmente l’iniziativa -. L’idea è di distribuirlo nelle scuole, nei comuni nelle cooperative perché abbia la maggior diffusione".
Cura e assistenza dei reclusi presto in capo alla Regione
La cura dei detenuti passerà in capo alla Regione. Oggi la cura e l’assistenza delle persone che si trovano in carcere viene gestita dal Ministero della Giustizia, attraverso convenzioni con i medici. "Abbiamo una copertura nella fascia mattutina e pomeridiana fino alle prime ore della sera, non 24 ore su 24" ha spiegato Quagliotto. Questo significa che, in caso di emergenza notturna, deve comunque intervenire il 118, ovvero il servizio regionale. Come già avvenuto nelle Regioni a statuto ordinario, anche in quelle speciali l’assistenza penitenziaria sarà presto trasferita all’ente locale. "Si tratterà di capire - ha analizzato Giorgio Baiutti - se sarà istituito un dipartimento di medicina penitenziaria o se la gestione del servizio farà capo alle aziende sanitarie. Oltre a trasferire la competenza lo Stato dovrà trasferire risorse". Sassari: detenuto belga; sto per morire, fatemi tornare a casa!
La Nuova Sardegna, 1 aprile 2009
"Se devo morire, voglio farlo accanto ai miei due bambini e a mia moglie, in Belgio". È il drammatico appello di un cittadino belga di 62 anni, malato di tumore al pancreas, condannato a sette anni e 4 mesi per traffico di droga e sotto processo per un altro reato. Il tribunale di sorveglianza di Sassari ha sospeso la pena per consentirgli di tornare nel suo paese, per farsi curare. Mentre per il tribunale penale le sue condizioni di salute non sono incompatibili con il regime carcerario. La settimana scorsa, Jacques de Decker ha inviato una lettera dal carcere di San Sebastiano, in cui è detenuto, alla redazione della Nuova. Nelle due pagine scritte a mano, racconta la sua vicenda personale, spiegando la gravità del suo caso. "La condanna a sette anni e quattro mesi è stata sospesa dal tribunale di sorveglianza per motivi di salute - spiega De Decker -: ho un tumore al pancreas e devo farmi operare al più presto possibile. Inoltre, sono cardiopatico è ho avuto un ictus. Però, non posso andare a curarmi nel mio paese, dove vivono mia moglie e i miei due bambini, perché il tribunale ordinario ha disposto la custodia cautelare in carcere per un altro processo in cui sono imputato e non intende revocarla". In effetti, il 24 febbraio scorso, il magistrato di sorveglianza aveva firmato il differimento della pena per Jacques de Decker e aveva disposto la scarcerazione, inviando gli atti al tribunale di sorveglianza. Due giorni dopo, il presidente del collegio Gaetano Cau aveva confermato il differimento della pena, ma non aveva potuto disporre la scarcerazione proprio perché è in corso un altro procedimento penale. In pratica, la pena è stata sospesa per consentire al paziente di curarsi, ma lui comunque non può uscire dal carcere. Il magistrato di sorveglianza il 3 febbraio scorso aveva affidato al dottor Antonio Pazzola, del reparto di Oncologia medica del Santissima Annunziata, una perizia per accertare da quali patologie fosse affetto il detenuto, se le sue condizioni di salute fossero di particolare gravità e se fossero o meno compatibili con il regime di detenzione in carcere. Il medico incaricato, dopo avere consultato anche il primario di Chirurgia, Nicola d’Ovidio, e il radiologo, dottor Lampus, era arrivato a queste conclusioni: "Il detenuto De Decker è affetto da neoplasia pancreatica complicata da pancreatite e da epatite colostatica. Trattandosi di un tumore localmente avanzato, ma senza metastasi a distanza, necessita di un intervento chirurgico che, per la sua prevedibile complessità, dovrà essere preceduto da una consulenza specialistica". Per questi motivi, secondo il perito, "le condizioni cliniche del detenuto non sono più compatibili con il regime di detenzione carceraria". Il differimento della pena mira a evitare che l’esecuzione della pena avvenga "in spregio del diritto di salute e del senso d’umanità". Il collegio del tribunale di sorveglianza, tenuto conto del risultato della perizia, rilevato che le patologie di De Decker vanno inquadrate come "infermità fisica molto grave" aveva così disposto soltanto il differimento, senza porre alcuna scadenza. Il 9 marzo scorso, il tribunale ordinario ha respinto l’istanza di revoca della misura cautelare in carcere, presentata dal legale di De Decker, Giuseppe Onorato. "Come riferito dal medico legale, il quadro clinico di De Decker non risulta mutato in modo apprezzabile - si legge nelle motivazioni firmate dal presidente Marina Capitta -, rispetto a quello rilevato in occasione del precedente giudizio di compatibilità. Inoltre, non è possibile formulare una diagnosi certa di neoplasia pancreatica a causa del rifiuto dell’interessato di sottoporsi ad approfondimento diagnostico. Infine, neppure le condizioni generali del paziente, nel frattempo aumentato di peso, danno conferma della sospetta patologia, la quale - di norma - avrebbe provocato un rapido decadimento organico, tenuto conto del lungo tempo trascorso dalla diagnosi". Libro: la pena e la cultura; con "Attimi che cambiano la vita" di Giancarlo De Cataldo
L’Unità, 1 aprile 2009
Fra i princìpi costituzionali dei quali si parla sempre meno c’è anche quello prescritto dall’art. 27, secondo il quale la pena, oltre che a reprimere, serve a riscattare. Si tratta, in linea generale, di offrire ai condannati, a tutti i condannati, opportunità di reinserimento, attraverso offerte di istruzione, lavoro, interventi rieducativi individuali e mirati. A tutto questo si affiancano le misure alternative alla detenzione, pensate, da un lato, per non lasciare al carcere il monopolio nel controllo della devianza; dall’altro, per facilitare l’ineludibile ritorno alla libertà di chi espia una pena. Il disegno costituzionale è articolato e complesso, e lontano dalla propaganda corrente sulla cosiddetta "certezza della pena". Di questo rischiamo di dover parlare al passato, travolti dall’accelerazione che recenti provvedimenti, dettati dalla pervasiva ossessione per la sicurezza, hanno imposto al sistema. Fra quanti resistono alla marea, vanno annoverati quegli enti, associazioni (come "A Roma Insieme"), rappresentanti delle istituzioni e volontari che, fra l’ottobre 2007 e il luglio 2008, hanno organizzato e gestito nel carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso un laboratorio di lettura e scrittura i cui risultati sono ora raccolti nel volume "Attimi che cambiano la vita", a cura di Luciana Scarcia (Sinnos Editore). Una lettura istruttiva (oltre il valore intrinseco di qualche racconto particolarmente riuscito) perché dimostra, una volta di più, quali esiti positivi possano scaturire dal binomio cultura/devianza. Un’iniziativa certamente, e nobilmente, minoritaria: ma non per ciò stesso perdente. E uno stimolo a battersi per un’inversione di tendenza che non riposa solo nei sogni di "anime belle" da liquidare con compassionevoli sorrisetti, ma che potrebbe giovare alla collettività nel suo insieme. E, last but not least, alla spesa pubblica. Rovigo: incontro sulla sicurezza; le paure, non sono realistiche
Il Gazzettino, 1 aprile 2009
La sala consigliare del municipio ha ospitato un’assemblea pubblica serale, organizzata dall’Amministrazione comunale sul tema della sicurezza. Dato che anche nel non vasto comune di Bagnolo si sono verificati furti, truffe ed atti vandalici, l’obiettivo del sindaco Pietro Caberletti è "adottare misure ed interventi per dare maggiore tranquillità ai cittadini. Dopo l’approvazione di nuove leggi in materia di sicurezza da parte del Parlamento, è necessario capire come agire a livello comunale. - spiegano sindaco e amministrazione -. A questo fine sono da valorizzare i confronti con esperti nel settore". Sono intervenuti Giovanni Maria Pavarin, magistrato delle carceri del Veneto, e l’avvocato Francesco Ennio. Pavarin ha spiegato come esista un forte divario tra il tasso di insicurezza reale e il tasso percepito dalla gente, anche per effetto dei mass media. Mentre in generale il numero dei reati denunciati risulta in calo, in forte aumento sono invece i furti nei supermercati, a causa del numero delle persone che si sono impoverite: chiaramente, il problema dell’insicurezza è strettamente legato a quello della crisi economica. Per riguarda la questione immigrazione, Pavarin ha afferma che il problema della sicurezza non si risolve soltanto con la repressione penale, ma soprattutto con l’integrazione. Il tasso di criminalità aumenta per gli immigrati non in regola, ma il tasso di criminalità degli immigrati regolari è uguale a quello degli italiani. Secondo l’avvocato Ennio a prevalere nella società odierna è ormai l’individualismo: la dimensione di comunità andrebbe recuperata a livello locale, con iniziative delle amministrazioni che hanno una responsabilità educativa nei confronti dei giovani e devono creare strutture a loro dedicate. La soluzione non sembra, continua Ennio, risiedere nelle delega ai privati della sicurezza, che è invece compito dello Stato: bisogna piuttosto razionalizzare le forze di sicurezza, rendendole in grado di essere operative. L’attenzione collettiva finisce così per essere spostata su certi tipi di reati, dimenticandosi di altri fatti criminosi che rappresentano un danno per la società, per esempio i reati finanziari. Cesena: un convegno sul reinserimento sociale degli ex detenuti
www.romagnaoggi.it, 1 aprile 2009
È dedicato ad approfondire il tema del reinserimento sociale degli ex detenuti il convegno "La crisalide e la farfalla" che si svolgerà nella mattinata di venerdì 3 aprile, a partire dalle ore 9, nella sede del Centro di Documentazione Educativa, in via Anna Frank, 185, per iniziativa dell’assessorato ai Servizi Sociali del Comune di Cesena e del Dipartimento di Salute Mentale dell’Ausl di Cesena. L’iniziativa è stata promossa con l’obiettivo di sensibilizzare gli operatori e la cittadinanza e di focalizzare l’attenzione dei servizi, in modo da mettere in atto adeguate strategie che favoriscano il reinserimento di chi proviene dal carcere. Nell’affrontare questo delicato aspetto, il Comune di Cesena ha ritenuto di non istituire servizi specifici rivolti agli ex detenuti, proprio per rimarcare che anche loro, una volta concluso il periodo detentivo, hanno a disposizione gli percorsi egli stessi servizi organizzati per tutti i cittadini. Questo non per disinteresse al problema, ma come segno di attenzione, per non far sentire le persone - che hanno avuto esperienze carcerarie e che cercano di reinserirsi nel tessuto sociale e lavorativo - come una categoria a parte. Il convegno si aprirà con il saluto del Sindaco di Cesena Giordano Conti. I lavori, coordinati dal dirigente dei Servizi Sociali del Comune Matteo Gaggi, saranno aperti da Rosa Alba Casella, direttrice della casa Circondariale di Forlì (titolo del suo intervento: "I detenuti e il ritorno sul territorio") e da Michele Sanza, direttore Dipartimento Salute Mentale Azienda Usl Cesena (che parlerà di "Dopo la detenzione percorsi di reinserimento sociale di tossicodipendenti trattati dal Ser.T."). Seguiranno gli interventi di Giancarlo Dall’Ara, sociologo, (che affronterà il tema Carcere e Recidiva) e di Luigi Dall’Ara, presidente diocesano associazione San Vincenzo dè Paoli (il suo contributo sarà imperniato sul tema "Volontariato in carcere e sul territorio. L’esperienza della San Vincenzo di Cesena". Al termine, intorno alle ore 12.00 ci sarà spazio anche per gli interventi del pubblico. A tirare le conclusioni dell’incontro sarà l’Assessore ai Servizi Sociali del Comune di Cesena Fausto Aguzzoni. Per informazioni ci si può rivolgere alla :Segreteria Servizi Sociali Comune di Cesena tel. 0547.356380. Siena: San Gimignano; gli attori-detenuti in "Alta Sorveglianza"
Asca, 1 aprile 2009
Realtà e finzione si mescolano e si confondono sul palco per offrire spunti di riflessione su una tematica di grande attualità. Giovedì 2 aprile l’associazione culturale Sobborghi porta in scena sul palco del Teatro dei Leggieri di San Gimignano "Alta sorveglianza" (ore 21,15 - ingresso gratuito) tratto dall’omonima pièce teatrale di Jean Genet, drammaturgo francese. Lo spettacolo è interpretato da tre detenuti del carcere di Ranza nel ruolo di loro stessi all’interno di una cella. Tema conduttore la pena di morte analizzata e commentata da chi sta per subirla, un argomento forte ma al tempo stesso istruttivo. A dirigere i tre detenuti Altero Borghi che interpreterà anche il ruolo del sorvegliante. Lo spettacolo nasce nell’ambito del progetto "Detenuto Attore", finanziato dalla Fondazione Monte dei Paschi di Siena in collaborazione con il Comune di San Gimignano ed è realizzato dall’associazione Sobborghi che da anni opera nel carcere di Ranza di San Gimignano con l’obiettivo di far apprendere ai detenuti le tecniche teatrali e offrire loro un’opportunità di riscatto sociale. Padova: torna la mostra sul carcere che ha commosso il Meeting
www.padovanews.it, 1 aprile 2009
È appena stata esposta a Palazzo di Giustizia di Milano con un riscontro inaspettato di pubblico e ampia eco sui media. Al Meeting di Rimini 2008 è stata un vero e proprio evento, sorprendendo tutti al di là di ogni aspettativa, e non solo per i numeri straordinari anche per la kermesse estiva - sessantamila visitatori - ma anche per la forza delle testimonianze, degli incontri che hanno segnato la settimana riminese. È la mostra "Libertà va cercando ch’è sì cara - Vigilando redimere", dedicata ad esperienze di "libertà in carcere" di tutto il mondo. Da qualche mese una versione trasportabile della mostra ha iniziato un tour in luoghi significativi come tribunali e municipi, continuando a suscitare interesse e coinvolgimento non solo sul territorio nazionale, dalla Sicilia a Milano, ma anche oltre confine. E in questi giorni nel contesto del Festival della cittadinanza la mostra sarà a Padova, una delle città che insieme ad altre l’ha ispirata e sostenuta con il suo carcere e i suoi detenuti. Essa rimarrà aperta dal 2 al 5 aprile 2009 con orario 9.30 - 19.00 presso le ex Scuderie di Palazzo Moroni. Si segnala che è possibile prenotare le visite guidate mediante mail all’indirizzo L’incontro di presentazione si terrà giovedì 2 aprile 2009 alle ore 11.00 nella Sala del consiglio comunale a Palazzo Moroni - Padova. Il programma prevede il saluto delle autorità, la proiezione di un breve video con esperienze dalle carceri di tutto il mondo e il breve intervento di presentazione di un detenuto. Parleranno poi: Giovanni Tamburino presidente del Tribunale di sorveglianza di Venezia. Stefano Valdegamberi assessore alle Politiche sociali Regione Veneto. Coordina Nicola Boscoletto presidente del Consorzio Rebus. L’iniziativa è in collaborazione con l’Assessorato alle Politiche sociali della Regione Veneto La mostra interviene sul tema attuale e scottante della certezza della pena, documentando come sia possibile scontare la pena senza sconti ma allo stesso tempo essere rieducati e recuperati per un’efficace reintegrazione nella società, secondo lo spirito dell’articolo 27 della Costituzione. Il principale intento della mostra è documentare che, paradossalmente, in un luogo dove tutto sembra finalizzato alla privazione della libertà, può nascere una domanda di verità di sé, inizio di un percorso di riconquista dell’umano. La mostra mette a tema il ruolo della detenzione nel nostro paese, a partire dalla Costituzione, che concepisce la detenzione come un "percorso di redenzione" e il carcere come un luogo in cui "vigilando redimere". Oggi questa funzione rieducativa prevista dalla costituzione è spesso disattesa. Così nella maggior parte dei casi non è vero che le carceri siano luoghi di recupero e di redenzione dei detenuti. Viviamo in una società dove chi sbaglia è dannato: dentro o fuori le sbarre rimarrà sempre prigioniero dei suoi errori, un malvagio da emarginare. Ben diversa l’esperienza cristiana. In essa un uomo, qualunque delitto abbia commesso, ha sempre una possibilità di cambiare e di redimersi. In un luogo dove tutto sembra finalizzato alla privazione della libertà, può nascere una domanda di verità di sé, inizio di un percorso di riconquista dell’umano. Proprio il riconoscimento dell’errore e la richiesta di perdono agli uomini e a Dio è il principio di un cammino di redenzione. Si scopre così che in tutto il mondo chi sta espiando una pena può dare testimonianza di libertà, umana e di fede, monito per tutti a scoprire che "omnia gloria filiae regis ab intus", "tutta la gloria della figlia del re viene dal di dentro", cioè dalla coscienza del rapporto col Mistero. Persone colpevoli dei peggiori crimini vivono la reclusione come possibilità di ripresa della dignità umana, imparano che la libertà non dipende dalle circostanze, sperimentano la cella come una "clausura", cioè il modo con cui vivere il rapporto con Cristo. Immigrazione: da domani parte Campagna contro il razzismo
Adnkronos, 1 aprile 2009
Da domani a domenica prossima, le 27 organizzazioni promotrici della campagna nazionale "Non aver paura, apriti agli altri, apri ai diritti" si sono date appuntamento in diverse città italiane per promuovere i contenuti della campagna e chiedere ai cittadini di sottoscriverne il manifesto, impegnandosi in prima persona a contrastare il razzismo, l’indifferenza e la paura dell’altro. Ai politici e a chi ricopre incarichi pubblici verrà invece sottoposta la Dichiarazione di intenti: un impegno esplicito ad adoperarsi, nella loro attività, per "spezzare il corto circuito creato da paura, razzismo e xenofobia, evitando di creare allarmi ingiustificati e di far ricorso a pericolose generalizzazioni". Agli operatori della comunicazione verrà ricordato di attenersi alla Carta di Roma, codice deontologico che concerne richiedenti asilo, rifugiati, vittime della tratta e migranti, redatto dall’Ordine dei giornalisti e dalla Fnsi, la Federazione nazionale della stampa. A Roma verranno allestiti banchetti a largo Argentina, in piazza della Marranella, alla fermata della metropolitana e dentro il carcere di Rebibbia, coinvolgendo detenuti ed operatori, nonché nei gazebo dell’Arci a piazza della Repubblica e al Circo Massimo. Iniziative sono previste non solo a Roma ma in molte altre città: da Milano a Lecce, da Firenze a Livorno, da Nuoro a Reggio Emilia. Cominciano intanto ad arrivare, insieme alle firme di migliaia di cittadini, adesioni di artisti come Moni Ovadia, Valerio Mastandrea, Francesca Reggiani, Lello Arena, Salvatore Marino, Cumbo Sall, Mimmo Calopresti, che ha diretto lo spot della campagna; e di operatori dell’informazione, fra cui Roberto Natale e Franco Siddi, presidente e segretario generale Fnsi. Le firme raccolte verranno consegnate al Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano alla fine di giugno, in occasione della "Giornata Mondiale del rifugiato" dell’Onu. Droghe: gli psicofarmaci e gli effetti perversi della linea "dura" di Giorgio Bignami
Il Manifesto, 1 aprile 2009
Con rare eccezioni i nostri media hanno passato in cavalleria il documentato dossier dell’Economist (7 marzo) sugli effetti perversi della guerra alle droghe. Il dossier non disconosce il successo apparente di alcune escalation repressive: ma per esempio, nel caso di quella messicana, ne snocciola la tragica serie di conseguenze negative: i 10.000 ammazzati in breve tempo; la proliferazione di significativi "avvertimenti", come le teste mozzate disseminate ovunque e le centinaia di corpi squagliati nell’acido; il preoccupante aumento e diversificazione di varie attività criminali (taglieggiamenti, rapimenti, etc.), a "compenso" degli spazi parzialmente perduti nel narcotraffico; le vistose spaccature tra forze dell’ordine corrotte e non; quindi lo sconvolgimento della vita di intere nazioni, sino alla fuga dei benestanti che si accodano agli emigranti miserabili, sino al blitz verso la frontiera messicana delle milizie di Obama. E infine crescono i passaggi di molti consumatori di coca a psicostimolanti più pericolosi, come le varie amfetamine, mentre velocemente aumenta la tossicità della coca stessa. Ma il dossier non poteva sviscerare tutte le ricadute negative delle politiche proibizioniste. Per esempio, non parla della frequenza crescente di esecuzioni capitali in diversi paesi, spesso mirate a eliminare soggetti scomodi che con il narcotraffico non hanno a che fare; né delle condizioni disumane di galere come le nostre ("celle piene, turni per stare in piedi", titola vistosamente il Corriere della Sera dell’8 marzo); né di altri fattacci assai meno noti, ma non meno preoccupanti, come il passaggio di molti ragazzi e giovani adulti, per timore di sanzioni penali, da consumi per lo più a basso rischio - come l’uso moderato di cannabis - a consumi di farmaci di uso medico assai più pesanti, lecitamente o illecitamente procurati. Quest’ultimo fenomeno è il pendant di un vecchio problema troppo spesso trascurato: cioè la radicata abitudine di correre all’armadietto dei farmaci - psico e non-psico - a ogni stormir di fronde nella famiglia, nella scuola, sul lavoro e altrove; un’abitudine suscettibile di accrescere la vulnerabilità di ragazzini e adolescenti alla onnipresente offerta di droga. Ma molti dati oramai da tempo dimostrano che questo percorso non è più un viaggio di sola andata, bensì di andata e ritorno. Infatti già sin dagli anni ‘60 si era constatato negli Usa un uso crescente, da parte degli studenti di college, di farmaci notevolmente pericolosi come la fenciclidina, il metaqualone e l’amfetamina, in aggiunta o in sostituzione delle droghe illecite "classiche" come l’eroina, la cocaina e la cannabis. Da allora il fenomeno si è notevolmente esteso e diversificato: oggi il gran bazar dei farmaci di uso medico abusati come droghe, da parte di un numero sempre crescente di soggetti sempre più giovani, comprende molti oppiacei, sedativi, ansiolitici, sonniferi e psicostimolanti per lo più amfetaminici. Tre anni fa tale andamento aveva indotto una rivista medica di grande autorevolezza e diffusione, il New England Journal of Medicine, a lanciare un grido di allarme, a firma del noto psichiatra e psicofarmacologo newyorchese Richard A. Friedman, con ampi riferimenti a documenti ufficiali delle autorità sanitarie statunitensi. Friedman insisteva sul fatto che il timore di sanzioni penali era una delle principali cause del passaggio da consumi meno rischiosi - come l’uso moderato di cannabis da parte della stragrande maggioranza dei consumatori di droghe illecite - a consumi a rischio assai più elevato. Tali avvertimenti sono stati a lungo volutamente ignorati in Italia: un’ignoranza che si è tradotta in uno spreco di una parte consistente dei fondi per la lotta alla droga in pseudo ricerche e in campagne "educative" di dubbio valore e di nessuna utilità. Solo di recente il Cnr ha condotto un ampio studio sul ricorso a farmaci di uso medico da parte di 10.000 studenti di 15-16 anni (Unità, 27 marzo). Purtroppo non sorprende che gli usi e gli abusi di cocktail spesso strampalati e assai rischiosi di farmaci e di droghe lecite e illecite siano a prima vista addirittura più allarmanti di quelli già da tempo noti negli Stati Uniti. Droghe: Sicilia; le Comunità attendono rimborsi-spese da 3 anni
Redattore Sociale - Dire, 1 aprile 2009
Il Cears, Coordinamento enti ausiliari della regione, attende da 3 anni il rimborso di circa 1,2 milioni. Il presidente Di Malta: "Da oggi non potremo più aiutare chi nelle carceri non dispone di un’adeguata assistenza medica". I tossicodipendenti delle comunità di accoglienza rimangono senza terapia. Il ministero della giustizia non rimborsa da tre anni gli istituti di accoglienza del Coordinamento enti ausiliari della regione Sicilia (Cears) e questi sono costretti, a causa di un forte indebitamento, a non potere più dare l’assistenza medica né in comunità né in carcere. La notizia è stata resa nota nel corso di un incontro, organizzato dal presidente del Cears Gianni Di Malta, svoltosi nel centro di prima accoglienza "Casa dei giovani" di Bagheria, in provincia di Palermo. Il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria deve dare ai 12 enti che gestiscono le 30 strutture comunitarie della Sicilia circa un milione e duecentomila euro. Solo nella sola provincia di Palermo le persone che non potranno usufruire dei servizi di terapia offerti dalle comunità sono 650. "Da oggi i dodici centri regionali raggruppati nel Cears - ha spiegato Di Malta - non potranno più aiutare i tossicodipendenti che nelle carceri non dispongono di un’adeguata assistenza medica. Negli anni passati abbiamo ospitato numerosi drogati agli arresti domiciliari. Nonostante lavoriamo per conto della regione ancora aspettiamo i rimborsi del 2006. Ci sono comunità come quella di Marsala che sono al collasso. Solo con la smobilitazione di una parte dei fondi della Cassa delle Ammende del Dap, pari a 80 milioni di euro, il ministro della Giustizia Alfano potrebbe garantire la continuità del nostro lavoro. Se non otterremo risposte entro pochi giorni saremo costretti a non accogliere nelle comunità nuove persone provenienti dal carcere". "È dal 2000 che si attende l’utilizzo degli 80 milioni raccolti tramite il deposito di multe, oggetto di sentenze penali di condanna - ha detto padre Salvatore Lo Bue, da anni impegnato nella comunità Casa dei giovani - ma i soldi non vengono adoperati per motivi inspiegabili". Secondo i calcoli del Cears emerge che il mantenimento di un tossicodipendente all’interno del carcere costa allo Stato 280 euro al giorno, rispetto ai 34,07 euro della retta giornaliera della comunità. "Se le oltre 2.300 persone con dipendenza di droga e alcol presenti nelle carceri siciliane venissero trasferite nelle nostre strutture - spiega Di Malta - ci sarebbe un risparmio annuale per lo stato di oltre 200 milioni di euro". Cina: inchiesta sui detenuti torturati per estorcere confessioni
Asia News, 1 aprile 2009
Alti funzionari riconoscono l’uso della tortura per estorcere confessioni. Ora una speciale commissione visiterà le carceri e si insegnerà alla polizia a rispettare i diritti umani. Si vuole placare l’opinione pubblica, infuriata per la morte di detenuti. Indagini a tappeto e a sorpresa in prigioni e centri di detenzione cinesi nei prossimi tre mesi, per scoprire e punire casi di maltrattamenti e torture. Il ministero della Pubblica sicurezza ha dato ieri la notizia, anche quale risposta alla morte di Li Qiaoming, ucciso il 24 febbraio in una prigione dello Yunnan da altri carcerati. Li, detenuto in attesa di giudizio per taglio abusivo e furto di tronchi d’albero, è morto dopo due settimane di detenzione. All’inizio si è parlato di un incidente durante una partita di "rimpiattino" con altri detenuti nella quale era stato bendato e aveva battuto il capo. Ma le indagini hanno rivelato che è stato pestato a sangue da un altro carcerato, con probabilità per ordine di un boss locale. La vicenda è stata ripresa dai media statali e ha molto preoccupato l’opinione pubblica. Nelle settimane successive sono emerse almeno altre tre morti sospette di carcerati per percosse o per maltrattamenti in Hunan, Hainan e Shaanxi dove è morto Xu Gengrong, studente di 19 anni dopo una settimana in carcere. Il pubblico ministero ha poi detto che Xu è morto sotto tortura e ha arrestato 6 funzionari di sicurezza. Ora tutti accusano la polizia di quanto già era noto: di maltrattare e torturare i detenuti, o anche di "tollerare" talvolta che gruppi di detenuti controllino le carceri. Jiang Jianchu, viceprocuratore generale, ha ammesso che la tortura è spesso utilizzata durante le indagini e sui detenuti e che è talmente abituale tra la polizia che sarà difficile sradicarla. I media commentano che la polizia fa un lavoro duro e mal pagato e spesso subisce immense pressioni per risolvere un caso, per cui usa la tortura per estorcere confessioni. La cronaca giudiziaria ha mostrato poi assoluzioni clamorose di imputati costretti a confessare sotto tortura: come l’uomo condannato a morte che sotto tortura aveva confessato l’omicidio della moglie scomparsa, che invece era fuggita di casa ed è riapparsa dopo anni. Il ministro della Pubblica sicurezza parla di "rieducare la polizia" al rispetto della legge e dei diritti umani. Il parlamentare Zhou Guangquan suggerisce di togliere il controllo delle carceri alla polizia ordinaria e di affidarlo a un corpo sotto il controllo diretto del ministro della Giustizia. Appena lo scorso novembre il Comitato Onu contro la tortura ha accusato la Cina di praticarla nelle carceri negli interrogatori dei dissidenti e per estorcere confessioni nei processi penali. Allora Pechino rifiutò con sdegno simili accuse.
|