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"Morire di carcere": dossier marzo 2009 Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di marzo registra 12 nuovi casi: 10 suicidi, 1 morte per malattia e 1 per cause da accertare.
Suicidio: 1 marzo 2009, Carcere di Bellizzi Irpino (AV)
Vincenzo Sepe, 54 anni, di Marzano di Nola, si uccide nel bagno della cella, impiccandosi alla grata della finestra. Detenuto dal 2004 per aver ucciso a fucilate il vicino di casa, ha utilizzato una cintura rudimentale per farla finita. Era da solo, gli altri compagni di stanza erano già usciti per l’ora d’aria. Lui è rimasto dentro, con una scusa banale. Un piano calcolato, ma che nessuno aveva messo in preventivo. "Un gesto davvero improvviso - commenta Cristina Mallardo, la direttrice del penitenziario - forse il detenuto è stato tradito dalla paura di uscire nel mondo esterno". Ma quale paura? Nessuna vendetta lo attendeva all’uscita, anche se il suo paese, Marzano, nel Vallo di Lauro, è famosa per la sanguinosa faida di camorra tra i clan rivali dei Cava e dei Graziano. Cinque anni fa aveva ucciso al termine di una lite il vicino di casa che derideva suo figlio, inchiodato su di una sedia a rotelle. "Un detenuto modello", lo ricorda così la direttrice del carcere che ha immediatamente avviato una indagine interna sul tragico episodio, avvisando anche la Procura della Repubblica di Avellino che ha disposto tutti gli accertamenti. Ma non c’è nessun giallo. Le prime indagini hanno subito escluso responsabilità di altre persone. Gli agenti di polizia penitenziaria ed il personale medico del carcere avellinese si sono subito allertati, ma i soccorsi - benché tempestivi - sono stati del tutto inutili. Nessuno, nemmeno tra i compagni che dividevano con lui la stanza, aveva intuito il malessere di Vincenzo Sepe che sarebbe tornato libero tra un anno. Fine pena: 2010, grazie alla buona condotta dimostrata in questi anni nel carcere irpino. Un’altra notizia positiva per il detenuto era arrivata solo due giorni fa, il magistrato di sorveglianza gli aveva concesso il benefico di uscire dal carcere per lavorare. Vincenzo Sepe era un abile muratore. "Aveva un mestiere, avrebbe potuto ricominciare per rifarsi una vita una volta uscito dal carcere", conferma la direttrice Cristina Mallardo, che ricorda il comportamento sempre irreprensibile del detenuto, capace di ottenere una serie di permessi premio. Alle spalle nessun disagio, una vita familiare regolare che non gli aveva mai creato disagi. Ora grazie alla semilibertà sarebbe uscito per iniziare a lavorare per conto di una ditta edile, come aveva disposto il magistrato. Si riprendeva una vita normale dopo cinque anni di reclusione dietro le sbarre del penitenziario avellinese. Forse Vincenzo Sepe ha avuto paura di non farcela. (La Repubblica, 2 marzo 2009)
Suicidio: 6 marzo 2009, Carcere di Venezia
Mohamed, 26enne marocchino, si è tolto la vita in cella impiccandosi. Il dramma interiore, che si è concluso giovedì sera con il suicidio, di un cittadino extracomunitario ha scatenato un bel po’ di confusione nella Casa Circondariale di Santa Maria Maggiore. Per tutta la giornata il pubblico ministero Stefano Michelozzi ha compiuto sopralluoghi e sentito testimoni e custodi della struttura. Se una persona decide di farla finita in casa sua, la Procura viene coinvolta solo marginalmente dal fatto, ma se una persona è sotto la custodia di una struttura statale, devono scattare accertamenti puntuali. Perché, anche se questa eventualità è in genere molto remota, potrebbero configurarsi responsabilità penali nei confronti di terze persone. È ancora troppo presto per comprendere le modalità e le motivazioni, dal momento che non si conosce quasi nulla della storia personale della vittima. Tutto ciò che si sa è che il giovane stava scontando una condanna per reati connessi allo spaccio di sostanze stupefacenti. In carcere a Venezia non era un personaggio conosciuto, anche perché risultava essere arrivato non da molto tempo perché trasferito dalla struttura di Reggio Emilia. In base a prime indiscrezioni, le persone che lo conoscevano un poco avrebbero affermato che avesse qualche problema di natura psicologica. Questo aspetto tenderebbe ad escludere a priori ogni aspetto connesso alla vivibilità delle strutture carcerarie italiane, più volte al centro di polemiche a causa di un sovraffollamento endemico. In ogni caso, la Procura ha deciso di vederci chiaro e ha disposto tutti gli accertamenti possibili. "Se una persona decide di togliersi la vita - ha commentato il Procuratore capo, Vittorio Borraccetti, è un dramma umano grandissimo ma non ha una grande rilevanza per l’amministrazione della giustizia. Diverso è il caso in cui muore suicida una persona affidata allo Stato. In questo caso è doveroso compiere ogni accertamento nel modo più rigoroso possibile. Dovremo cercare di conoscere tutto sulla sua vita per capire che cosa abbia portato quella persona a compiere quel gesto. Solo alla fine valuteremo se possono esistere eventuali profili di responsabilità". Da quanto è dato sapere, la vittima non sembra fosse in regime di isolamento e pertanto potrebbero esserci delle persone che hanno assistito al gesto. Il dottor Michelozzi ha già disposto l’autopsia per chiarire le cause di morte e se in precedenza aveva assunto medicinali o sostanze velenose o tossiche. Proprio una decina di giorni fa la Cgil aveva denunciato gravi problemi all’interno del carcere, dovuti prima di tutti al sovraffollamento da parte di detenuti appartenenti a 22 etnie differenti. Secondo i calcoli del segretario provinciale Salvatore Lihard, mancherebbero una sessantina di agenti di polizia penitenziaria nella sezione maschile e una ventina in quella femminile. (Il Gazzettino, 7 marzo 2009)
Agente indagato per il suicidio
Per la morte di Mohamed, il giovane detenuto marocchino suicidatosi il 6 marzo scorso a Santa Maria Maggiore, c’è un indagato per omicidio colposo: è un ispettore della Polizia penitenziaria. Un atto dovuto del pubblico ministero Massimo Michelozzi che sta conducendo le indagini: gli accertamenti devono stabilire se gli agenti in servizio quel giorno abbiamo messo in atto tutti i controlli necessari per evitare episodi simili. L’ispettore, il 6 marzo, comandava e coordinava gli uomini in servizio all’interno del carcere veneziano. L’autopsia ha stabilito che il decesso del detenuto è avvenuto per soffocamento, a sua volta causato dallo strangolamento provocato dal laccio che si era costruito. Nessun mistero, quindi, sulla causa della morte, ma i dubbi esisterebbero su quello che è accaduto prima, per questo il pm ha ricostruito attimo per attimo quello che è accaduto quella mattina, interrogando detenuti e agenti di custodia. Non era la prima volta che Mohamed cercava di farla finita impiccandosi, quello stesso giorno aveva tentato di suicidarsi, poco più di due ore prima. Il giovane era arrivato a Santa Maria Maggiore da pochi giorni, trasferito da Reggio Emilia dove era stato condannato per spaccio di sostanze stupefacenti. Non era stato accettato bene dai detenuti del carcere veneziano, neppure dai suoi connazionali perché soffriva di turbe psichiche e in cella si comportava in modo piuttosto strano. Nonostante questo era stato sistemato in una cella con altri detenuti e quella mattina si era chiuso in bagno. Solo per caso, aveva bisogno di lavarsi, un altro detenuto si è accorto che Mohamed si era appeso ai tubi del bagno e lo ha salvato, sollevandolo e facendo in modo che il nodo si stringesse intorno al collo. Sono immediatamente intervenuti gli agenti della Polizia penitenziaria che dopo aver controllato lo stato di salute del marocchino, lo hanno trasferito in una cella da solo, più che una cella una camera di sicurezza dove vengono trattenuti i detenuti pericolosi o in stato di agitazione. Si tratterebbe di una stanza senza tubi, maniglie, appigli, nella quale è difficile trovare un sistema per impiccarsi. Non solo: a Mohamed sono stati sottratti cinghie, lacci, lenzuola, tutto ciò che lui poteva trasformare in una corda. Gli hanno lasciato solo una coperta. Lui, con pazienza e strappando con i denti ha ridotto quella coperta in striscioline di lana, le ha intrecciate e ha costruito una corda. È riuscito ad impiccarsi agganciandola alla cerniera della finestra, che stranamente ha retto i sui settanta chili. Dopo il primo tentativo avrebbe probabilmente dovuto essere controllato a vista, ma la situazione dell’organico della Polizia penitenziaria nel carcere veneziano, come del resto in molte altre, non lo avrebbe certo permesso. Spesso, soprattutto durante il giorno quando sono decine gli agenti costretti a girare il Veneto per accompagnare i detenuti nei Tribunali per processi o interrogatori, all’interno delle 2 sezioni di Santa Maria Maggiore che ospitano anche 300 detenuti ci sono appena una mezza dozzina di agenti. (La Nuova di Venezia, 22 marzo 2009)
Suicidio in cella, 2 detenuti scrivono al pm
Dopo il suicidio del ventiseienne marocchino, nel carcere di Santa Maria Maggiore si respira un’aria molto pesante. Tra i detenuti c’è chi ha molta voglia di parlare, di sfogarsi per denunciare le condizioni a loro dire inumane che si trovano a fronteggiare a Santa Maria Maggiore. Un detenuto in particolare ha già scritto due lettere in cui manifesta la sua disponibilità a collaborare con il sostituto procuratore Stefano Michelozzi, il quale sta cercando di venire a capo della vicenda. In queste lettere, ciò che salta più all’occhio è la voglia di denunciare il modo in cui sarebbe stato trattato il suicida. "Io conoscevo quel ragazzo - racconta il detenuto nella lettera - gli mancavano da quel che so due mesi prima di uscire e non aveva problemi psicologici. Era solo una persona riservata. Mi risulta che avesse fatto molte domande per essere visitato da medici e psicologi del carcere senza aver mai avuto una risposta. Ciò è molto comune tra noi stranieri. In carcere non si vive, non si è trattati da esseri umani: è una continua tortura psicologica". Tornando alla vicenda del suicidio, avvenuto venerdì 6 marzo, il detenuto racconta in quale cella fosse stato messo dopo che aveva già tentato di togliersi la vita ed era stato salvato dai suoi stessi compagni. "Dopo quell’atto - accusa la lettera - è stato portato in una cella di punizione che puzza tanto da far vomitare e che è buia più di una grotta. Lo so perché ci sono stato. Gli hanno prima tolto i vestiti e poi sarebbe stato spinto dentro solo con una coperta senza neppure farlo visitare da un medico o da uno psichiatra. Perché - si chiede il detenuto - nessuno ha controllato cosa faceva e come stava. Non era meglio lasciarlo con i compagni, che pure avevano chiesto di lasciarlo con loro?". Anche per questo motivo ci sono due indagati: il Pm Michelozzi ipotizza il reato di omicidio colposo nei confronti del responsabile delle guardie penitenziarie, nonché dell’ispettore in servizio nel settore in cui si trovava il detenuto, in relazione a possibili carenze e omissioni nella sua sorveglianza. Per il Pm i responsabili della vigilanza non avrebbero predisposto alcun tipo di sorveglianza preventiva, in particolare nei momenti immediatamente successivi al primo tentativo di suicidio. Su queste circostanze, secondo il detenuto che ci ha inviato le due lettere, ci sarebbero stati parecchi testimoni. "Vorrei sapere - scrive - perché 20 ragazzi che erano al terzo piano e che avevano manifestato dopo quel suicidio sono stati trasferiti in massa in altri istituti. E chiedo al Pm Michelozzi che faccia luce su questa vicenda". Inoltre, secondo "radio carcere" la stanza in cui si è verificato il suicidio sarebbe stata ripulita prima dell’arrivo degli inquirenti. "Vorrei anche chiedere se è vero come tutti dicono - conclude la seconda lettera - che la cella da me chiamata di punizione, che non dovrebbe esistere in nessun luogo al mondo, è stata ripulita prima dell’arrivo del Pm. Qui ormai c’è molta paura di parlare e sarebbe bello che un giornalista potesse entrare e parlare con noi". La situazione è dunque molto tesa, anche per via del sovraffollamento che per i sindacati di polizia penitenziaria ha raggiunto il limite. Oltre 300 i detenuti, più del doppio della capienza massima di Santa Maria Maggiore. Gli uomini di guardia sono pochi e sono anche quotidianamente impegnati a trasportare e scortare i detenuti nelle varie aule di tribunale dove si tengono i processi per direttissima o di riesame. Una situazione, anche per chi deve sorvegliare, molto dura alla quale i vari Governi che si sono succeduti almeno negli ultimi 15 anni non hanno mai dato ascolto né hanno cercato di risolvere. (Il Gazzettino, 27 marzo 2009)
Suicidio: 8 marzo 2009, carcere di Foggia
Un detenuto 25enne di Bisceglie, Leonardo Di Modugno, è stato trovato impiccato ieri sera nella sua cella. Il giovane fu arrestato dai carabinieri di Bisceglie a fine marzo dello scorso anno con l’accusa di resistenza, violenza e lesioni a pubblico ufficiale. Sarà da accertare soprattutto come il detenuto sia riuscito a compiere l’insano gesto eludendo i controlli degli agenti. Secondo la polizia penitenziaria il ragazzo era seguito da uno psichiatra. (Ansa, 9 marzo 2009)
Da accertare: 7 marzo 2009, carcere di Velletri (RM)
Sembra che si sia ucciso impiccandosi all’interno di una cella del carcere di Velletri. È morto così un detenuto 24enne con disagio psichico, Giuliano Dragutinovic. L’episodio - avvenuto lo scorso 7 marzo - è stato riferito dal Garante regionale dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni. A quanto appreso dal collaboratori del Garante il giovane aveva già tentato a più riprese di togliersi la vita utilizzando lamette da barba e lacci di scarpe sequestrati dalle Autorità carcerarie. Nato a Colleferro nel 1985 Giuliano D. aveva problemi con la giustizia e viveva in un profondo stato di depressione. In carcere per furto, inizialmente era stato sottoposto ad attenta osservazione in una "cella liscia" priva di ogni oggetto che potesse ferirlo. Successivamente era stato trasferito in isolamento in una cella con un altro recluso che aveva iniziato a prendersi cura di lui. Due giorni prima del decesso Giuliano aveva avuto un colloquio con un collaboratore del Garante. L’8 marzo, si è ucciso impiccandosi nella sua cella. Per mettere in atto il suo gesto non aveva lasciato nulla di intentato, nascondendo anche alcune lamette nel sapone per aggirare i controlli giornalieri e impedendo agli altri detenuti di intervenire chiudendosi all’interno della sua cella. "Questa morte ripropone, con drammatica forza, il problema dei detenuti con problemi psichici in carcere - ha detto il Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni - Il carcere è una realtà complessa che, soprattutto per i più deboli, può rendere insormontabili i piccoli problemi di ogni giorno. In questo caso, poi, è chiaro che le patologie psichiatriche non possono essere gestite solo con il carcere e con il massiccio uso di farmaci. Non vorrei che, parlando sempre più di sovraffollamento, passasse in secondo piano che chi è in carcere è titolare di diritti, come quello alla salute, che non possono essere sospesi". (Ansa, 25 marzo 2009)
Malattia: 8 marzo 2009, Carcere di Cagliari
Giancarlo Monni, 35 anni, detenuto a Buoncammino, muore dopo il ricovero all’ospedale Brotzu per un attacco di broncopolmonite. Il sostituto procuratore Andrea Massidda ha disposto l’autopsia, che è stata eseguita in queste ore. L’esito - la relazione ufficiale sarà consegnata al magistrato tra circa un mese - confermerebbe la diagnosi indicata nella cartella clinica del centro medico di Buoncammino e quella dell’ospedale. Monni era sieropositivo e stava male da circa una settimana. Tra lunedì e giovedì scorsi i medici del carcere gli hanno proposto una terapia antibiotica, che il detenuto ha rifiutato sostenendo di essere allergico a quel tipo di farmaci. Col passare dei giorni le sue condizioni si sono aggravate, da qui la decisione di chiedere alla direzione del penitenziario il trasferimento in ospedale per un esame radiologico e altri test. Nella cartella del carcere risulta un sospetto di broncopolmonite, che al Brotzu avrebbe trovato pieno riscontro. Giancarlo Monni è poi deceduto in ospedale e avantieri i gruppi ultrà del Cagliari - cui apparteneva da lungo tempo - hanno protestato duramente davanti al carcere. Urla, insulti alla polizia, le mura di Buoncammino imbrattate con vernice spray. È intervenuta la squadra mobile, poi la Digos e sono in corso accertamenti sull’identità dei manifestanti. L’inchiesta giudiziaria sulla morte di Monni, aperta come atto dovuto, si concluderà soltanto quando gli esiti dell’autopsia confermeranno che quanto era possibile per salvare la vita al detenuto è stato fatto. (La Nuova Sardegna, 9 marzo 2009)
Suicidio: 17 marzo 2009, Carcere di Poggioreale (NA)
Nel carcere di Poggioreale ieri un detenuto italiano di 37 anni si è tolto la vita. È il terzo suicidio in Campania e il secondo in questo penitenziario dall’inizio del 2009. Lo comunica l’Associazione Antigone Campania. "Secondo i nostri dati - ha dichiarato Dario Stefano Dell’Aquila - portavoce dell’Associazione - il carcere di Poggioreale ha raggiunto quota 2.700 presenze, 1.200 in più rispetto alla capienza ufficiale. Nel 2005, prima dell’indulto, le presenze erano 2.174. Siamo arrivati ad una situazione insostenibile tanto per i detenuti quanto personale che lavora in questa struttura. Nel corso di tutto il 2008 abbiamo registrato 5 suicidi. Ora siamo a 3 in soli tre mesi". Complessivamente in Campania sono presenti, secondo i dati dell’Associazione 7.378 detenuti - 7.060 uomini e 318 donne. Ci sono, quindi oltre 2.000 detenuti rispetto alla capienza. La capienza ufficiale complessiva è di 5.328 posti, 5117 per uomini e 211 per le donne. (Associazione Antigone Napoli, 18 marzo 2009)
Suicidio: 17 marzo 2009, Carcere di Padova
Un tunisino di 30 anni, Jed Zarog, si è suicidato in cella martedì scorso. Il corpo del giovane è stato trovato nella sua cella della Casa Circondariale di via Due Palazzi ormai privo di vita da una delle guardie penitenziarie. Che ha immediatamente avvertito il magistrato. L’uomo era finito in carcere la settimana precedente per la prima volta. È possibile che lo spettro di una detenzione in carcere lo abbia convinto alla scelta drastica di togliersi la vita. (Il Mattino di Padova, 21 marzo 2009)
Cause da accertare: 19 marzo 2009, C.I.E. di Ponte Galeria (RM)
Non sono state lesioni né percosse a causare la morte dell’algerino di 42 anni deceduto nel Centro di identificazione e di espulsione di Ponte Galeria a Roma il 19 marzo scorso. È quanto emerso dall’autopsia effettuata sul corpo del 42enne. A causare la morte dell’algerino potrebbe essere stata invece un’intossicazione da farmaci. Gli inquirenti stanno infatti cercando di fare luce sulla provenienza di alcune compresse trovate tra i suoi effetti personali. Sul corpo dell’algerino sono stati già disposti gli esami tossicologici. Le compresse non dovevano trovarsi nelle tasche del 42enne e fanno pensare che l’uomo andasse in giro per le camerate a comprare le pillole che non venivano assunte dagli altri detenuti. Il 42enne usciva da una storia di tossicodipendenza da eroina e cocaina ed era in cura con antidepressivi e ansiolitici. (Adnkronos, 26 marzo 2009)
L’intervento del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio
"Sono sicuro che il personale della Croce Rossa che gestisce il C.I.E. di Ponte Galeria ha fatto il possibile, ma non dobbiamo dimenticare che stiamo parlando di una struttura che è la più grande d’Italia che si trova in permanente emergenza e, in situazioni come queste, disagi e situazioni impreviste possono sempre accadere senza possibilità di intervento immediato". È il commento del Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni alla notizia della morte per arresto cardiaco nel CIE di Ponte Galeria, di un cittadino algerino di 42 anni. A quanto risulta al Garante l’uomo, con gravi problemi di tossicodipendenza, era arrivato a Ponte Galeria 2 giorni fa proveniente da Modena, probabilmente per essere espulso dal territorio italiano. "I 360 posti del Centro - ha aggiunto Marroni - sono sempre occupati, con tutte le difficoltà che comporta far convivere ed organizzare la vita di decine di persone di lingue, culture e tradizioni diverse". Proprio nelle scorse settimane era stato firmato, con la Croce Rossa che gestisce il centro, un Protocollo d’Intesa che consente ai collaboratori del Garante dei Detenuti di accedere al C.I.E. per parlare con le persone ospitate e verificarne i bisogni e le necessità.
Suicidio: 22 marzo 2009, Carcere di Voghera (PV)
È stata eseguita ieri l’autopsia sul cadavere di Marcello Russo, che si è ucciso dieci giorni fa nel supercarcere di Voghera, dove era recluso. L’uomo era stato ritrovato nel piccolo bagno della sua cella, con un sacchetto in testa, la bombola del gas aperta e attaccata a quel sacchetto. Il medico legale si è riservato sessanta giorni prima di rendere noti i risultati dell’esame e le risposte ai quesiti che il pubblico ministero Gravina gli aveva posto, in particolare quello sulla presenza di eventuali segni di violenza sul corpo. Russo era detenuto per l’ordinanza di custodia emessa dal gip di Perugia Nicla Restivo nell’ambito dell’inchiesta sull’omicidio dell’ex pentito Salvatore Conte. L’uomo, originario di Matera, di 38 anni, era accusato dell’esecuzione materiale del delitto consumato a Castel del Piano (il cadavere di Conte, poi, era stato sotterrato nei boschi di Gubbio e rinvenuto tempo da un agricoltore). La mamma di Russo non crede all’ipotesi del suicidio: "Non si è ucciso - ha detto all’avvocato del figlio - aveva saputo che veniva trasferito a Perugia e voleva parlare con il pubblico ministero, aveva tante cose da dire". (La Nazione, 1 aprile 2009)
Suicidio: 27 marzo 2009, Carcere di Poggioreale (NA)
Depressione da carcere: si suicida in cella a Poggioreale. È il terzo caso dall’inizio dell’anno, il secondo nel giro di due settimane. A togliersi la vita Francesco Esposito, ventisettenne di Caivano, con precedenti per droga, che era stato di nuovo arrestato lo scorso 17 febbraio per rapina. In attesa di giudizio. Ma non ce l’ha fatta. Per l’ora d’aria non ha seguito i suoi compagni nei cortili, e quando è rimasto solo in cella Esposito ha legato il lenzuolo alla sbarra più alta del letto a castello e si è impiccato. Non ha lasciato biglietti in cui spiegava il suo gesto. Dopo la sua morte arriva la denuncia dell’associazione Antigone. "Siamo di fronte ad un scenario di crisi - ha dichiarato Dario Stefano Dell’Aquila, presidente dell’Associazione, - che interessa l’intero sistema penitenziario, ma in particolare il carcere di Poggioreale. È il terzo suicidio dall’inizio dell’anno in questo carcere, il secondo nel giro di soli dieci giorni.". "Le testimonianze dirette - ha proseguito Dell’Aquila - ci parlano di una struttura in forte difficoltà, con problemi di gestione, poco personale civile e con disagi nell’assistenza sanitaria. Sono del resto gli stessi dati a confermare che è una struttura oltre ogni limite di capienza Ad oggi sono presenti in questa struttura, in celle che arrivano sino a 14 persone, 2.700 detenuti. La capienza ufficiale è di 1.387 posti. Un tasso di affollamento del 200%". Secondo i dati dell’Associazione al 25 marzo 2009 risultano presenti in Campania 7.550 detenuti, rispetto ad una capienza di 5.348 posti (tasso di sovraffollamento del 41%). Complessivamente, si sono registrati, nei primi mesi del 2009, 4 suicidi. Durante tutto il 2008 ce ne sono stati 5. (Ansa, 28 marzo 2009)
L’intervento dell’Associazione "Il Carcere Possibile Onlus"
Ancora un suicidio, mentre le presenze nella casa Circondariale di Poggioreale continuano ad aumentare, con le condizioni di vivibilità sempre più ridotte ed ormai da tempo fuori legge. Poggioreale ha superato la soglia delle 2600 unità a fronte di una capienza regolamentare di 1.000 detenuti. Le stanze accolgono anche 14 detenuti, che, a volte, non riescono neanche contemporaneamente a scendere tutti insieme dai letti a castello, per mancanza materiale di spazio. Ed è proprio da uno di questi letti che, con un lenzuolo al collo, si è lanciato l’ultimo suicida. "Il Carcere Possibile Onlus", nello scorso mese di febbraio, ha inviato un esposto-diffida alle Asl competenti ed a tutte le Autorità Giudiziarie e Locali per l’accertamento delle condizioni igienico-sanitarie degli Istituti di Pena della città di Napoli. Ribadiamo il nostro impegno affinché vengano evidenziate e sanzionate eventuali responsabilità ed omissioni.
Suicidio: 28 marzo 2009, Carcere di Piazza Lanza (CT)
Un ventenne, Carmelo Castro, detenuto nella Casa Circondariale di Piazza Lanza a Catania è morto per i postumi delle ferite che si è procurato impiccandosi nella sua cella dopo il ricovero nel pronto soccorso dell’ospedale Garibaldi. Il giovane - a quanto si è appreso - era in isolamento. Durante un controllo gli agenti penitenziari si sono accorti che aveva messo in atto il suicidio impiccandosi. I soccorsi sono scattati immediatamente, il giovane era ancora vivo ed è stato subito trasferito in ospedale, in condizioni però disperate. E i medici non hanno potuto fare nulla per salvarlo. Il ventenne era in cella da una settimana, da quando era stato arrestato dai carabinieri della compagnia di Paternò perché accusato di avere assalito, assieme a due presunti complici, una rivendica di tabacchi nel catanese. A permettere la sua identificazione e degli altri due arrestati era stata la visione del filmato del sistema di sorveglianza dell’esercizio. Il giovane, in sede di interrogatorio, si era difeso sostenendo di essere innocente e di essere entrato casualmente nella rivendita di tabacchi assieme ai due rapinatori che non conosceva. (Ansa, 29 marzo 2009)
L’intervento del Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia
"Con rammarico ho appreso dell’ennesimo decesso avvenuto nelle carceri siciliane. Questa volta si tratta di un giovane di appena venti anni, che nella notte tra il 28 ed il 29 marzo u.s., si è tolto la vita. Questa ulteriore morte, ha proseguito il Sen. Fleres, mette ancora una volta in evidenza la carenza o, purtroppo, l’assenza di psicologi che possano adeguatamente seguire il percorso dei detenuti, pertanto, continuerò la mia battaglia affinché si possa dare seguito ai concorsi già espletati per questa particolare figura e per quella degli educatori, indispensabili all’interno degli istituti di pena. In ogni caso, ha concluso il Sen Fleres, al di là delle ipotesi riguardanti le motivazioni e le modalità che avrebbero determinato il fatto, su cui auspico la tempestiva apertura di un’accurata inchiesta, è necessario porre in essere i dovuti accertamenti ed il mio ufficio, in tal senso, ha già avviato le relative procedure.
L’ennesimo scandalo
Un detenuto si è ucciso nel carcere di Catania. Il carcere di Catania è uno dei più turpi istituti di pena in Italia. Non lo diciamo noi, lo dice l’ufficio del garante per i diritti dei detenuti in Sicilia. Il suo massimo dirigente, l’avvocato Lino Buscemi che condivide col garante Salvo Fleres l’onere di una battaglia difficile, ha inserito il carcere di Piazza Lanza nell’elenco delle prigioni che dovrebbero essere immediatamente chiuse. Parliamo del parere di una persona qualificatissima, nell’esercizio delle sue funzioni. A Catania non è nemmeno il primo caso. A parole siamo tutti d’accordo nella retorica contro lo scandalo delle carceri disumane. La lista è lunga: Favignana, Mistretta, Ucciardone… Nei fatti, continuiamo (noi stampa, noi politica) a trattare i detenuti come se fossero polvere sotto il tappeto. Come se le esistenze che patiscono e si sbriciolano dietro le sbarre appartenessero a un girone infernale, in virtù di una colpa non emendabile. E mentre noi parliamo, i ragazzi in cella non smettono di morire. (Live Sicilia, 30 marzo 2009)
Suicidio: 31 marzo 2009, Carcere di Marsala (TP)
Si è suicidato la notte scorsa, nel carcere di Marsala, Gianclaudio Arbola, 43 anni, uno degli arrestati in un’operazione antidroga. L’operazione, eseguita dai Carabinieri domenica, ha portato all’emissione di 13 misure cautelari per traffico di cocaina tra Milano e Pantelleria. Arbola, che era di Pantelleria, si sarebbe impiccato con la cintura dei pantaloni. L’autopsia è prevista per oggi pomeriggio. Il traffico di cocaina avveniva utilizzando pacchi spediti con corrieri espresso. (Ansa, 1 aprile 2009)
Toh, un nuovo suicidio in carcere…
Ormai è un orrore che non fa più notizia. Ormai pare che il suicidio in carcere sia un evento da accettare. A pochi giorni dal suicidio di un ventenne a Catania, si è suicidato stanotte, nel carcere di Marsala, Gianclaudio Arbola, 43 anni, uno degli arrestati nell’operazione antidroga dei carabinieri Contropacco, che domenica scorsa ha portato all’emissione di 13 misure cautelari per traffico di cocaina tra Milano e Pantelleria. Arbola, che era di Pantelleria, si sarebbe impiccato con la cintura dei pantaloni. L’autopsia è prevista per oggi pomeriggio. Il traffico di cocaina scoperto dai carabinieri avveniva utilizzando pacchi spediti con corrieri espresso da Milano a Pantelleria. Mittente e destinatario erano sempre la stessa persona. Il gip di Marsala emise quattro ordinanze di custodia cautelare in carcere, otto ai domiciliari e un obbligo di presentazione alla polizia giudiziaria. (Live Sicilia, 1 aprile 2009)
L’intervento del Garante dei diritti dei detenuti della Sicilia
"A distanza di sole 72 ore dal precedente si è verificato un ulteriore suicidio nelle carceri siciliane, questa volta si tratta del carcere di Marsala, dove in passato non si sono mai verificati fatti analoghi. Questo è quanto ha dichiarato il Sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti, apprendendo la notizia dell’ennesimo suicidio in carcere. "Il Sig. Gianclaudio Arbola, questo è il nome del suicida di 43 anni, era stato tratto in arresto ieri mattina e, ieri sera si è tolto la vita. I miei uffici hanno già avviato le procedure per acquisire elementi di valutazione utili anche per eventuali iniziative proprie del Garante ma auspico, comunque l’apertura di una accurata indagine da parte degli organi competenti. Questo fatto conferma quanto ho affermato più volte in diverse sedi, ultima delle quali l’Aula del Senato dove proprio ieri sera avevo lanciato un ulteriore allarme sulla situazioni delle carceri in generale ed in particolare sull’assenza o la scarsa presenza di psicologi.
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