"Morire di carcere": dossier aprile 2009
Suicidi, assistenza sanitaria disastrata, morti per cause non chiare, episodi di overdose
Continua il monitoraggio sulle "morti di carcere", che nel mese di aprile registra 6 nuovi casi: 5 suicidi e 1 decesso per cause da accertare.
Nome e cognome |
Età |
Data morte |
Causa morte |
Istituto |
28 anni |
13 aprile 2009 |
Suicidio |
Pisa |
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47 anni |
16 aprile 2009 |
Suicidio |
Salerno |
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57 anni |
20 aprile 2009 |
Suicidio |
Viterbo |
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37 anni |
21 aprile 2009 |
Suicidio |
Rimini |
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63 anni |
26 aprile 2009 |
Suicidio |
Alessandria |
Suicidio: 13 aprile 2009, Carcere di Pisa
Detenuto tunisino di 28 anni viene trovato impiccato nella sua cella. Un’altra morte in cella, un altro suicidio dietro le sbarre del carcere Don Bosco di Pisa, dove ieri mattina, prima di mezzogiorno, quando le guardie penitenziarie hanno fatto la macabra scoperta, un giovane detenuto straniero, di nazionalità tunisina, si è tolto la vita impiccandosi alle sbarre della finestra, trasformate in forca artigianale utilizzando una corda fatta con le lenzuola e una cintura.
Inutili i tentativi di rianimare l’uomo, il cui decesso, secondo la prima ricostruzione del medico legale, risalirebbe ad alcune ore prima. Forse addirittura dalla nottata precedente, quando gli altri detenuti erano immersi nel sonno e nessuno ha udito gli ultimi rantoli dell’impiccato. Dopo la scoperta, l’avviso alla procura e l’arrivo del magistrato di turno che ha disposto il trasferimento della salma all’obitorio di medicina legale, dove forse già stamani potrebbe essere effettuato l’esame autoptico. Non è certo la prima volta che accade, dentro le mura del carcere di Pisa.
Il direttore della Casa Circondariale, Vittorio Cerri, conferma l’accaduto, ma preferisce non rilasciare dichiarazioni, né rivelare dettagli sull’identità del detenuto suicida, sull’ala del carcere in cui si trovava recluso e sulle modalità della morte. Sul suo corpo, da un primo esame, non sarebbero stati riscontrati segni particolari, ma gli investigatori non escludono alcuna ipotesi.
Certezze si avranno solo con l’autopsia che potrebbe essere eseguita già questa mattina. Ma non è la prima volta, appunto. Solo due mesi fa, uno dei medici che prestano servizio all’interno del Don Bosco per conto dell’Asl, aveva rivelato come dall’inizio dell’anno già cinque detenuti avessero tentato di togliersi la vita. Colpa - aveva denunciato la dottoressa - del sovraffollamento delle loro celle e delle pessime condizioni di vita, soprattutto nel cosiddetto reparto "terra A", invaso dai ratti e spesso allagato per le infiltrazioni che derivavano dalle tubature dell’acqua ormai ridotte a un colabrodo. Ma l’ultimo suicidio andato a segno, dietro le sbarre del Don Bosco, risale a metà settembre 2008, quando un detenuto riuscì a trasformare la sua cella in una camera a gas, utilizzando il fornellino in dotazione per scaldare le vivande. Anche in quel caso il personale di custodia si rese conto dell’accaduto solo dopo diverse ore. Anche in quel caso la magistratura aprì un’inchiesta, per accertare l’esatta dinamica e le cause di quella morte misteriosa. E dopo sette mesi, le morti misteriose salgono a quota due. (La Nazione, 14 aprile 2009)
Suicidio: 16 aprile 2009, Carcere di Salerno
Andrei Zgonnikov, 47 anni, di origini russe, si suicida dopo "osservazione psichiatrica". L’uomo si è tolto la vita ieri sera impiccandosi alla finestra della propria cella nel carcere di Fuorni a Salerno utilizzando una coperta dopo averla tagliata a strisce. In attesa di giudizio era già stato in osservazione psichiatrica nel carcere di Secondigliano a Napoli ed era detenuto dal giugno dello scorso anno quando fu arrestato ad Amalfi per un tentativo di rapina e per resistenza a pubblico ufficiale. L’uomo era solo e nessuno veniva a trovarlo.
Non è il primo suicidio a Fuorni, a memoria ne ricordiamo un altro di una donna proprio un anno fa. Ma il suicidio in carcere è ricorrente. Gli atti di autolesionismo compiuti in carcere si prestano a interpretazioni diverse. Spesso rinviano a una certa teatralità, frutto del bisogno di catturare l’attenzione per instaurare un rapporto: un bisogno prepotente quando ci si sente abbandonati nel ventre di un’istituzione. Non così il suicidio, che non prevede nessun rapporto ulteriore ed anzi tronca definitivamente ogni relazione.
Il suicida dichiara - senza ambiguità, senza alternative - che la sofferenza è stata più forte dell’istinto di conservazione. Non sempre il suicidio in carcere è un gesto di ribellione. Ma sempre pone l’istituzione davanti alla propria impotenza. Il condannato cessa di essere un recluso per affermarsi, attraverso la radicale negatività del gesto, come essere umano. Questo gesto va visto anzitutto come una scelta simile a quella che talora compiono gli uomini liberi.
Il suicidio appartiene alla storia dell’uomo, dentro e fuori le prigioni. Se si guarda al detenuto come a un caso patologico anche quando si suicida, si insiste nell’errore di non vederlo come persona e ci si condanna a una comprensione limitata. Spesso la causa prossima del suicidio del detenuto si trova in una delusione, in un abbandono inatteso, in una solitudine irrimediabile. Per tradursi nel gesto suicida queste cause debbono trovare un terreno preparato.
Quasi tutti, uomini e donne, hanno pensato in qualche momento della loro vita al suicidio. Ma soltanto quando questo pensiero diventa una presenza stabile, come il "vizio assurdo" di cui si parlava a proposito del suicidio di Cesare Pavese, può bastare un’occasione apparentemente minima per passare dall’idea all’atto. Ma l’istituzione s’interroga. Si sente sotto accusa, registra uno scacco. Ed è giusto che sia così. Se ci fermiamo al piano numerico, i suicidi nelle carceri italiane risultano meno della metà di quelli che si verificano nelle carceri francesi, la metà di quelli delle carceri belghe, un terzo di quelli delle carceri austriache, grosso modo pari a quelli di Inghilterra e Germania, e meno della media che si registra nei sistemi penitenziari europei. Ma sono sempre troppi. (www.positanonews.it, 17 aprile 2009)
Suicidio: 20 aprile 2009, Carcere di Viterbo
Antonino Saladino, 57enne, detenuto al Mammagialla, si uccide con il gas. Ha atteso che passasse il consueto controllo e ha messo in atto quello che già da tempo maturava nella sua mente. Ha infilato la testa dentro una busta di plastica che ha poi riempito con il gas della bomboletta di un fornellino da campeggio, di quelli che i detenuti hanno per riscaldare qualcosa da mangiare.
E ha atteso, sdraiato sul suo letto, che la morte sopraggiungesse. Si è tolto la vita così Antonino Saladino, 57 anni, di Catania, detenuto nel carcere di Mammagialla per omicidio. Ad accorgersi di quanto accaduto sono stati gli agenti di polizia penitenziaria in servizio nella sezione. Erano passate le 21 quando, facendo il giro di controllo, hanno guardato dentro la cella di Antonino Saladino. Si sono subito resi conto che c’era qualcosa che non andava e allora sono entrati.
Per l’uomo, però, non c’era più niente da fare. Espletate le formalità di rito, la salma del detenuto è stata ricomposta nella camera mortuaria dell’ospedale di Viterbo a disposizione dell’autorità giudiziaria. Secondo le scarne informazioni sembrerebbe che l’uomo che si è tolto la vita nel carcere viterbese da qualche tempo fosse in chiara difficoltà psicologica e che già un’altra volta avesse tentato il suicidio. Ciò è quanto risulta al Garante regionale dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni, che ieri mattina ha compiuto una visita nel carcere viterbese.
"Un mese fa, un altro detenuto con problemi psichici si era suicidato nel carcere di Velletri - ha detto Marroni -. Non servono questi gesti cruenti per rendersi conto che i detenuti con tali problemi stanno diventando una vera e propria emergenza. Il sovraffollamento, la carenza di personale, la difficoltà a svolgere una adeguata attività trattamentale sono tutti fattori che rendono il carcere un luogo ancor più invivibile, soprattutto per i più deboli. A me pare che, a forza di spostare il dibattito sulle nuove carceri e sulle nuove pene, si sta finendo con il far passare nel dimenticatoio che anche i detenuti sono titolari di tutti i diritti, compresi quelli alla salute e alla vita, e che una malattia tanto delicata come quella psichiatrica non può essere curata solo con i farmaci". (di Massimo Luziatelli, Il Messaggero, 22 aprile 2009)
Suicidio: 21 aprile 2009, Carcere di Rimini
Daniele Topi, 37enne in carcere da pochi giorni, si è impiccato in cella. Era finito in carcere per detenzione di materiale pedo-pornografico su ordine della Procura di Trento nell’ambito di una complessa indagine dalla Polizia delle Comunicazione di Bolzano. L’uomo, Daniele Topi, 37 anni, residente nella provincia di Rimini e detenuto al "Casetti" dal 16 aprile scorso, si è impiccato all’interno della propria cella. Immediato l’intervento degli agenti della Polizia Penitenziaria, ma non c’è stato nulla da fare. La magistratura ha disposto l’autopsia. Secondo quanto ricostruito dalle
forze dell’ordine, il 37enne aveva adescato su una chat un quattordicenne di Bolzano.
Quindi gli avrebbe chiesto sue immagini a luci rosse. L’inchiesta ha anche consentito di individuare anche un 35enne di Potenza e un 53enne di Pescara che scambiavano con il 37enne materiale pedo-pornografico. I due sono stati denunciati per detenzione e cessione di materiale pedo-pornografico tramite programmi di condivisione file. Nel corso delle indagini gli agenti hanno provveduto anche al sequestro di un’ingente quantità di fotografie e filmati pedo-pornografici, salvati in diversi supporti hardware. (Apcom, 22 aprile 2009)
Rimini: detenuto suicida; l’avvocato contesta sistema controllo
La vicenda del trentasettenne riminese che si è impiccato ieri in cella per la vergogna conseguente al suo arresto perché accusato di detenzione di materiale pedo-pornografico, finirà all’esame del Tribunale della Libertà di Bologna, in una prossima udienza che era stata già richiesta. A richiederla era stato il legale del suicida, avvocato Andrea Cappelli, per chiarire gli aspetti ancora oscuri della vicenda e chiedere un eventuale risarcimento danni per ingiusta detenzione, a favore degli eredi. Secondo il difensore dell’uomo che si è tolto la vita, un operaio di una ditta di Cattolica, bisognerà comunque attendere prima i risultati dell’autopsia disposta dalla magistratura.
"Ma certo - afferma Cappelli - è assurdo che il mio cliente, recluso in isolamento, sia riuscito a togliersi la vita nel carcere dei Casetti alle 17.30 quindi non di notte, impiccandosi con un lenzuolo, senza che nessuno se ne accorgesse. Inoltre lui era sconvolto per la carcerazione: era incensurato e soffriva molto la situazione. La legge del resto non prevede obbligatoriamente la carcerazione per il suo reato: bisogna ricordare che era accusato di detenzione di materiale pedopornografico, foto e filmati che lui aveva scaricato sul suo computer, ma nella realizzazione dei quali non aveva avuto nessuna parte". Cappelli sottolinea anche un altro aspetto: "L’inchiesta che lo riguardava era nata a Trento, quindi quella Procura detiene le indagini. Invece il suo arresto è stato richiesto da quella di Rimini e questo potrebbe anche determinare un caso di incompetenza". (Ansa, 23 aprile 2009)
Suicidio: 26 aprile 2009, Carcere di Alessandria
Franco Fuschi, 63 anni, ex agente segreto, detenuto nel carcere San Michele di Alessandria, è ritrovato morto in cella. La Procura di Alessandria ha aperto un fascicolo: si parla di suicidio, ma per ora nulla trapela sulla modalità della sua morte.
Fuschi era un personaggio molto misterioso e la sua morte sembra ricalcare la modalità della sua intera vita. Era nato a Mattie, sulle basse montagne della Val di Susa ed era entrato in contatto, negli anni, con i servizi segreti e con diverse aziende di armi, autoaccusandosi, tra l’altro, di aver ceduto veri e propri arsenali all’estrema destra. Con le armi aveva un rapporto fisico, le amava e se ne circondava: un giorno uccise un giovane per vedere come funzionava una pistola con il silenziatore. Nelle prossime ore verrà eseguita l’autopsia sul suo corpo e gli inquirenti stanno già sentendo in carcere alcuni suoi compagni e amici, oltre agli agenti che lo avevano in custodia. Aveva sicuramente ancora molti nemici. Negli anni confessò di tutto, anche molti reati non commessi, disse anche di aver partecipato all’assassinio di Roberto Calvi e alla strage di piazza Fontana. (Ansa, 27 aprile 2009)
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