Rassegna stampa 7 agosto

 

Giustizia: carcere illegale, il ministro si assuma responsabilità

di Donatella Poretti (Senatrice Radicali - Pd)

 

Agenzia Radicale, 7 agosto 2009

 

Un detenuto costretto ad un trattamento non umano e degradante nelle carceri italiane si vede riconoscere l’ingiustizia subita dopo sette anni dalla Corte europea per i diritti umani.

E la giustizia italiana? Possibile che per ammettere l’illegalità e l’incostituzionalità del nostro sistema penale occorra uscire dalle aule e dal confine italiano? Esempio opposto arriva da oltreoceano dove è la stessa giustizia californiana a chiedere allo Stato di porre un tetto ai detenuti e quelli in più devono uscire!

E la politica italiana? Dopo l’indulto non aver fatto l’amnistia è la colpa grave del Parlamento. Il ministro della Giustizia evoca l’illegalità del sistema penitenziario da mesi mentre non si assume la responsabilità di governare il disastro; il capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria fa di peggio, nega l’evidente e sostiene che il problema non esiste e che con qualche posto in più tutto andrà meglio. Sono entrambi la manifestazione dello sfascio del sistema carcere e giustizia più in generale.

La soluzione unica del sistema penale e della criminalizzazione e carcerizzazione dei fenomeni sociali - tossicodipendenza, immigrazione, emarginazione sociale, prostituzione - li incancrenisce e non li risolve.

Confidiamo che queste notizie servano perché parlamentari e consiglieri regionali utilizzino l’iniziativa dei Radicali per ferragosto per entrare negli istituti penitenziari per poi uscirne rafforzati dalla necessità e urgenza di un intervento concreto, ciascuno per proprio conto per porre fine allo sfascio e all’illegalità.

Giustizia: emergenza carceri; verso "ricambio" dei vertici Dap

 

Il Velino, 7 agosto 2009

 

Entro fine anno nelle carceri italiane saranno ospitate 70.000 persone, superando di qualche migliaio il limite massimo per le quali sono state autorizzate. Un record, mai tanti detenuti prima d’ora, che il Dipartimento per l’amministrazione penitenziaria non sa ancora come affrontare, aggravato dalla mancanza di personale.

Per vigilare gli istituti penitenziari ci sono quasi 43 mila poliziotti, un numero altissimo se confrontato con altri paesi europei, ma al di sotto del necessario, ribadiscono anche i sindacati di categoria, se si pensa che le strutture sono obsolete, irrazionali e a volte non in grado di assicurare non soltanto spazi adeguati ma neppure servizi igienici e infermieristici. Il ministro della Giustizia Angelino Alfano ha promesso 5000 posti in due anni, ma rimangono chiuse strutture che potrebbero ospitare lo stesso numero di detenuti soltanto per problemi burocratici e conflitti fra gli enti locali e l’amministrazione della giustizia.

La situazione nelle ultime settimane, e dopo la condanna della corte di giustizia europea dell’Italia condannata per non aver assicurato ad un detenuto uno spazio minimo vitale all’interno dei carcere, si è fatta molto tesa e i sindacati ritengono che anche dal punto di vista della sicurezza ormai si corrono grossi rischi.

Le critiche al capo del Dipartimento (Dap) l’ex pm romano Franco Ionta, ed al suo piano per affrontare l’emergenza, sono ormai quotidiane, aggravate dal rapporto molto conflittuale con i sindacati della polizia penitenziaria, Sappe in testa, e si sono fatte sempre più insistenti le voci di un suo possibile avvicendamento e di un turn-over che potrebbe investire anche altri settori dell’amministrazione.

Giustizia: Radicali; molte adesioni per "Ferragosto in carcere"

 

Il Velino, 7 agosto 2009

 

"Apprendiamo con piacere e soddisfazione che sono circa 80 i parlamentari che hanno aderito all’iniziativa promossa dall’onorevole Rita Bernardini e dal Partito Radicale "Ferragosto in carcere". Cinque gli europarlamentari, circa trenta i consiglieri regionali e 4 garanti per i diritti delle persona detenute completano il quadro delle visite che saranno effettuate a cavalo delle giornate del 14-15-16 agosto.

Ma riteniamo che altre adesioni possano aggiungersi". Eugenio Sarno, Segretario Generale della Uil Pa Penitenziari, non fa mistero dell’apprezzamento e della condivisione dell’iniziativa. "Abbiamo sempre sostenuto che occorresse favorire una coscienza politica e dei politici sulla questione penitenziaria che rappresenta un dramma umanitario e un problema di ordine pubblico. Per questo è utile che i nostri parlamentari possano verificare de visu le nostre denunce. Una iniziativa - sottolinea Sarno - che la Uil ha da sempre auspicato, sostenuto e sollecitata. Non a caso qualche giorno fa a Palazzo Chigi ebbi modo di sostenere che di fronte al dramma che si consuma quotidianamente nelle nostre prigioni occorreva parlare non solo alla testa ma anche alla coscienza dei politici". La Uil Pa Penitenziari comunica che ha pubblicato sul proprio sito www.polpenuil.it l’elenco delle personalità che hanno aderito all’iniziativa che avrà un sostanziale contributo anche da parte della stessa organizzazione sindacale.

"Noi della Uil ci siamo resi disponibili con entusiasmo. In molte realtà i visitatori troveranno nostri quadri dirigenti ad accompagnarli nelle visite, in modo da aver contezza anche delle tante, enormi, difficoltà in cui sono costretti a lavorare gli operatori penitenziari. Il 14 agosto accompagnerò Rita Bernardini nella sua visita a Regina Coeli, il 15 agosto sarò a Lecce. Nella stessa giornata il nostro segretario nazionale Urso visiterà Milano Opera. Siamo, insomma, pienamente impegnati. Il momento ci pare delicato e non possiamo sottrarci ai nostri doveri anche di rappresentanza fisica. Riteniamo questa iniziativa una irripetibile opportunità per squarciare il velo di silenzio e indifferenza verso l’universo penitenziario. Auspichiamo che dopo possa aprirsi un sereno, proficuo, dibattito parlamentare che possa individuare, favorire e sollecitare quelle soluzioni che appaiono urgenti per evitare l’implosione definitiva del sistema".

 

Ieri la Uil ha incontrato il capo del Dap, Franco Ionta

 

"Nel corso dell’incontro di ieri abbiamo consegnato al capo del Dap l’auspicio che l’amministrazione penitenziaria colga la valenza di questa iniziativa e si predisponga di conseguenza. Abbiamo ribadito le nostre preoccupazioni e avvalorato la necessità di lavorare per una implementazione degli organici della polizia penitenziaria cui mancano in organico ben 5mila unità. Il presidente Ionta - conclude il segretario della Uil Pa penitenziari - nel rimarcare che unitamente al ministro Alfano sta lavorando per aumentare gli organici, ha anche reso noto che il Dap ha predisposto un elenco (ancora riservato) di venti istituti penitenziari presso cui è ipotizzabile l’impiego di militari da impiegare in compiti di sorveglianza e sentinella in modo da favorire un recupero di forza lavoro della polizia penitenziaria. Un po’ poco rispetto alle necessità, ma siamo nelle condizioni di benedire ogni goccia d’acqua che arriva nel deserto delle difficoltà, degli abusi e dei soprusi qual è oggi la condizione di lavoro dei poliziotti penitenziari".

Giustizia: per le carceri si preannuncia un insolito Ferragosto

di Dina Galano

 

Terra, 7 agosto 2009

 

Quest’estate i Radicali Italiani non saranno soli nel monitorare lo stato degli istituti di pena. Con le adesioni di oltre cento rappresentanti di diverse aree politiche, parte la ricognizione dei malesseri della comunità penitenziaria.

Ferragosto, caldo e insolito. Alcuni parlamentari entreranno nelle carceri italiane mentre alcuni detenuti lasceranno la cella. L’esigenza di verificare lo stato di emergenza ormai cronica delle case circondariali ha spinto 104 esponenti politici nazionali ed europei ad aderire all’iniziativa dei Radicali italiani e a visitare gli istituti di pena. Negli stessi giorni, però, alcuni condannati godranno di ore di libertà per svolgere azioni d’utilità sociale.

A Roma, grazie a un accordo tra il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria e l’Ama, l’agenzia municipale ambiente, le strade cittadine saranno ripulite da operatori ecologici "speciali". Una convergenza di iniziative che vuole lanciare un messaggio chiaro: il fine della pena è quello della rieducazione del condannato, così come vuole la Costituzione.

È tempo di una riforma dell’intero sistema carcerario che, a detta dello stesso ministro della Giustizia, "è ormai fuori dalla legalità". Sovraffollamento, carcerazioni brevi, aumento delle detenzioni cautelari e insufficienza del personale penitenziario sono soltanto alcune delle criticità che affliggono l’intero settore. La visita estiva che i parlamentari effettueranno, fanno sapere i Radicali, si presenta come "una ricognizione approfondita della difficilissima situazione delle carceri italiane, per conoscere come vivono la realtà quotidiana direttori, agenti, medici, psicologi, educatori e detenuti, per interpretare bisogni e proporre soluzioni legislative e organizzative adeguate".

Le condizioni di detenzione hanno ormai superato qualsiasi soglia di tollerabilità, come dimostra l’aumento sensibile dei suicidi: 38 nei primi sette mesi del 2009, contro i 42 dell’anno precedente. Sono undici le regioni italiane fuori legge per il sovraffollamento. I dati ufficiali, aggiornati al 4 agosto, conteggiano 63.567 presenze, a fronte di una capienza regolamentare fissata in 43.327 unità. Sarebbe poi un bel problema per lo Stato italiano se altri detenuti volessero seguire l’esempio di Izet Sulejmanovic, il ragazzo bosniaco che ha presentato ricorso alla Corte europea dei diritti dell’uomo.

Il suo caso di detenzione in condizioni "inumane e degradanti", accertato da Strasburgo, merita per ora un risarcimento di mille euro. Se avesse un seguito, potrebbe costringere l’erario a un indennizzo complessivo di quasi 64 milioni. All’aumento costante del numero dei detenuti, tuttavia, non è corrisposto un pari rafforzamento degli agenti penitenziari.

L’Osapp, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria, ieri è nuovamente insorto contro il governo, in particolare contro il Guardasigilli, criticato perché "completamente assente". "Mancano i fondi per il personale come per i servizi", dice il sindacalista Leo Beneduci, "e i nostri organici sono fermi al 1992".

Una carenza di personale che farà ancor più sentire i suoi effetti con l’attuazione del piano carceri predisposto dal commissario straordinario all’edilizia penitenziaria: "Quella di Ionta non è una risposta al problema", commenta la deputata radicale eletta nel Pd, Rita Bernardini. "I nuovi posti verranno ottenuti ottimisticamente soltanto nel 2012 e non ci saranno agenti sufficienti per gestire i nuovi padiglioni. Occorre, invece, procedere con alternative alla carcerizzazione, con interventi che dimostrino come non a tutti i reati sia utile rispondere con la reclusione".

Quando nel fine settimana di metà agosto i rappresentanti politici varcheranno i cancelli, saranno anche accertati tutti gli aspetti del degrado. "Aumenterà la consapevolezza delle condizioni reali", continua Rita Bernardini, "e con essa la possibilità che si faccia pressione sul ministro Alfano per l’apertura di un serio dibattito in aula". E l’attenzione questa volta sarà dovuta all’intera comunità penitenziaria: al carcerato e alla sua guardia.

Giustizia: Casellati (Pdl); lavorare pensando oltre l'emergenza

 

La Discussione, 7 agosto 2009

 

Il vero problema "non sono i condannati in via definitiva". Serve "un piano strutturale". Allo studio "circuiti differenziati negli istituti".

Il vero problema nelle carceri italiane "non sono i detenuti condannati in via definitiva, ma i soggetti in detenzione preventiva che provocano il vero ingorgo negli istituti penitenziari, creando un effetto porte girevoli". Elisabetta Alberti Casellari, sottosegretario alla Giustizia, numeri alla mano, parla di "un turnover che nel 2007 ha coinvolto ben 94mila persone, di cui 24mila scarcerati in tre giorni".

 

Sottosegretario, quindi, oltre ad investire nell’edilizia per creare nuovi posti, bisogna ripensare in generale l’universo carceri?

Il Piano straordinario delle carceri dovrà portare ad un aumento di 18mila posti. Il problema degli istituti penitenziari non è di semplice soluzione. Occorre guardare all’emergenza, ma anche ad interventi più strutturali. In questa direzione è importante seguire la strada degli accordi bilaterali con altri Stati per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei loro paesi d’origine. Una strada che questo governo ha già intrapreso.

 

Cioè? Alla fine del 2008 i ministri Alfano e Maroni hanno avviato una serie d’incontri con la Romania proprio per raggiungere un accordo sulla detenzione dei cittadini romeni.

In base alla popolazione carceraria italiana, con quali altri Paesi, a suo avviso, sarebbe necessario stipulare degli accordi bilaterali? Con l’Albania, ad esempio. Così come con Marocco e Algeria che sono, appunto, i Paesi che fanno registrare il numero più alto di detenuti nei nostri istituti.

 

Alla fine della legislatura si riuscirà a raggiungere l’obiettivo dei 18mila posti in più negli istituti di pena?

Il nostro obiettivo è di riuscirci nei 5 anni di governo. Di recente abbiamo reso disponibili 546 posti, 46 a Cassino, 180 a Noto, 200 a Perugia e altri 120 a Regina Coeli. Nel giro di due anni, inoltre, avremo circa 5mila posti in più grazie alla costruzione di 46 nuovi padiglioni e 9 carceri che sono già in costruzione, oltre alla realizzazione di 18 nuovi penitenziari.

 

Come replica a chi dall’opposizione teme che l’introduzione di nuovi reati come quello di immigrazione clandestina, possano finire col peggiorare la situazione delle carceri?

È un approccio diverso dal nostro. La linea dura sul versante della criminalità organizzata e della clandestinità perseguita da questo governo non può, di certo, essere attenuata solo perché manca qualche posto. Vorrà dire che provvederemo a trovarne di nuovi.

 

Prima sottolineava l’esigenza di puntare ad un piano strutturale per le carceri. In che direzione si sta muovendo il governo?

È chiaro che l’emergenza va fronteggiata. Noi abbiamo ereditato una situazione davvero drammatica su questo fronte e ci siamo da subito messi al lavoro. Non di certo pensando a soluzioni come l’indulto che si è rivelato solo un palliativo e che noi consideriamo un errore. Ci stiamo muovendo in più direzioni, pensando a nuove soluzioni con un approccio multi direzionale

 

Ad esempio?

Studiando circuiti differenziati all’interno degli istituti e pensando a detenzioni ragionate in base al grado di pericolosità.

Giustizia: Alfano e Ionta? si facciano un viaggio, in California

di Paolo Persichetti

 

Liberazione, 7 agosto 2009

 

La corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato nelle scorse settimane l’Italia a risarcire la cifra simbolica di mille euro per "danni morali" a un ex detenuto, Izet Sulejmanovic, perché vivere in 2,7 metri quadrati di spazio, cifra inferiore al limite di vivibilità di 7 metri quadri a persona stabilito dal comitato europeo per la prevenzione della tortura, è "inumano e degradante".

Il trentaseienne bosniaco, condannato nel 2002 a due anni di reclusione per furto aggravato, era finito nel carcere romano di Rebibbia dove era rimasto rinchiuso per alcuni mesi in una cella che ospitava altre 5 persone. 16 metri e 20 centimetri da dividere in sei. Più o meno la realtà quotidiana di tutte le carceri italiane, anzi nemmeno la peggiore.

Basti ricordare che tempo fa, nella casa circondariale di Trieste, si era sperimentata la turnazione, regolata con un registro, dei materassi sul pavimento. La cosiddetta "quinta branda", cioè il posto in più ricavato con mezzi di fortuna nelle celle collettive, in genere da quattro, è stata sorpassata da tempo. Ormai si ricorre ai letti a castello. Le sezioni monocellulari ospitano due, se non tre detenuti per "cubicolo", mentre nei "cameroncini" si può arrivare a sette-otto ospiti.

Poi ci sono i "transiti", le sezioni di prima accoglienza dove non esistono limiti. Pollai umani. Calca di corpi. La sanzione stabilita dai giudici europei è dunque importante perché riconosce l’illegalità permanente della condizione carceraria.

Probabilmente questa è solo la prima di una lunga serie di condanne che investiranno il sistema carcerario italiano, e non si capisce bene con quale faccia i dirigenti del Dap e del ministero della Giustizia potranno affacciarsi in Europa. Il problema tuttavia non è solo italiano, anzi più esattamente l’Italia l’ha importato dagli Stati uniti, soggiogata dalle politiche sicuritarie della tolleranza zero. Ora però arriva il conto e sarà salato in termini economici e sociali. Il livello di tensione e conflitto sta salendo, l’ingestibilità dell’universo carcere diventa ogni giorno di più difficile. L’ossessione della sicurezza "ha generato solo insicurezza", come ricordava tempo fa Michele Ainis su La Stampa. Basta ascoltare gli allarmi lanciati dai sindacati penitenziari.

Un coro unanime denuncia l’invivibilità e la pericolosità raggiunta dal sistema. Negli Stati uniti, ha raccontato l’altro ieri il New York Times, un comitato di giudici federali della California ha ordinato al governatore Arnold Schwarzenegger di ridurre il numero dei reclusi di almeno 40 mila unità entro i prossimi due anni, cioè circa il 27% della popolazione totale. Il giudizio emesso dalla corte è molto netto, definisce senza mezzi termini il circuito penitenziario, così come oggi è concepito, un sistema "criminogeno".

Dopo aver indagato per alcuni anni il trattamento riservato ai reclusi, a seguito di una class action promossa da un’associazione di carcerati, e dopo lo stato di emergenza proclamato dallo stesso governatore nel 2006, i tre giudici federali hanno stilato un rapporto di 184 pagine nel quale concedono 45 giorni di tempo ai membri dell’assemblea statale e al governatore per presentare un piano che riduca la popolazione dalle attuali 150 mila unità a 110 mila. Nel rapporto i giudici denunciano violazioni patenti dei diritti individuali sanciti dalla costituzione.

"La salute fisica e mentale degli istituti californiani è umanamente e costituzionalmente inadeguata da oltre 10 anni". Per lungo tempo sono state negate, in situazioni dove l’affollamento può raggiungere livelli spettrali anche del 300%, "le cure fisiche e mentali essenziali con conseguenze talvolta fatali". Il rapporto descrive un flusso d’ingresso negli istituti che stravolge tutte le misure di verifica e gestione, con l’effetto di rendere poco accurate le fasi d’identificazione e di certificazione dello stato di salute degli incarcerati, suscitando situazioni di pericolo per la custodia e i reclusi stessi.

Emerge un sistema caotico con tripli letti a castello, brande accatastate in palestre e corridoi. In sostanza l’inchiesta delinea lucidamente il tracollo della politica della tolleranza zero risoltasi nel suo esatto contrario, ovvero una industria dell’insicurezza. Schwarzenegger aveva già proposto una riduzione di 27 mila unità, m a i giudici ora portano la barra a 43 mila. Nessuno pensa alla costruzione di nuove carceri come in Italia. Una vacanza in California potrebbe suggerire qualche buona idea al ministro Alfano e al capo del Dap, Ionta. Buon viaggio.

Giustizia: sindacati; a rischio sicurezza operatori penitenziari

 

www.lungoparma.com, 7 agosto 2009

 

E siamo a tre… solo oggi - si legge in una nota delle segreterie regionali di Sinappe e Fin Cisl, sindacati degli agenti di Polizia penitenziaria - è trapelata la notizia dell’ennesima aggressione da parte di detenuti subita dal personale di Polizia penitenziaria in servizio presso gli II.PP. di Parma (nell’ultimo caso ad essere aggredito sarebbe stato un assistente capo del Corpo). Come avviene in tutta la Regione e nel resto d’Italia, anche Parma, fiore all’occhiello dell’Amministrazione Penitenziaria e simbolo di sicurezza ed austerità, non è da meno rispetto agli altri Istituti: anche qui la sicurezza degli operatori penitenziari tutti e della polizia penitenziaria in particolare, è a rischio.

Il modello degli II.PP. di Parma segna il contrappasso: come è avvenuto a Forlì, a Modena, a Reggio Emilia e negli altri Istituti Emiliano Romagnoli, si vuole primeggiare anche per quello che riguarda le aggressioni e, conseguentemente "l’insicurezza".

Il tentativo di non far trapelare la notizia, di celare l’accaduto, non ha raggiunto il suo scopo; questi fatti gravissimi devono essere denunciati, devono essere evidenziati, devono essere divulgati, in modo che l’opinione pubblica si renda conto delle condizioni in cui si opera nelle "patrie galere".

E dire che le OO.SS. del territorio da tempo stanno denunciando il pericolo che omissioni ed inadempienze da parte della Direzione degli II.PP. di Parma, unitamente al superamento della massima tollerabilità ricettiva del Carcere (sovraffollamento) ed alla gravissima carenza di personale di Polizia penitenziaria oltre ad accrescere il senso di precarietà e di insicurezza nel personale tutto, non avrebbero potuto che portare all’assoluta ingovernabilità.

Tali denunce, inascoltate, sono culminate il 23/06/2009 nella rottura delle trattative col Direttore Di Gregorio e con la dichiarazione dello stato di agitazione che ha portato all’organizzazione di diverse iniziative di protesta e sensibilizzazione sul territorio parmense rivolte a istituzioni, stampa e cittadinanza.

Difatti, se da un lato va, obiettivamente, evidenziata la problematica gestione delle molteplici etnie razziali e sociali nonché delle svariate tipologie detentive (da sempre chiediamo invano, oltre all’invio del Gom per la gestione dei 41 bis, semplificazione ed omogeneizzazione dei detenuti così da rendere meno gravosi i carichi di lavoro), dall’altro non possiamo non evidenziare il totale immobilismo dell’Amministrazione Penitenziaria (l’invio di qualche unità in missione per il solo periodo estivo non rappresenta altro che una goccia d’acqua nel deserto) con in testa la Direzione degli II.PP. di Parma assolutamente incapace di riportare la vita interna al carcere in condizioni quanto meno accettabili.

Perché non tutto può dipendere da sovraffollamento (problema riguardante l’intero sistema carcerario italiano) e carenza d’organico (non maggiore rispetto ad altre realtà meno "esplosive" di quella di Parma). Vanno, perciò, affrontate con immediatezza tutta una serie di questioni che quotidianamente contribuiscono a minare la serenità del personale nell’ambito lavorativo quali:

l’eccessiva militarizzazione dei processi lavorativi (continuiamo a chiederci, ad esempio, fino a quando gli strumenti del giudizio di fine anno e del rapporto disciplinare continueranno ad essere utilizzati come spade di Damocle a pendere continuamente sulla testa dei lavoratori affinché gli stessi eseguano pedissequamente anche disposizioni di servizio non più attuabili); l’insalubrità dei posti di servizio, in alcuni casi, ai limiti della decenza (si registrano infiltrazioni d’acqua, inesistenza di dispositivi per la lotta al fumo passivo, mancanza di una capillare climatizzazione di tutti i luoghi di lavoro, ecc.); l’organizzazione di traduzioni e piantonamenti costantemente sottoscorta anche nel trasporto di detenuti 41 bis; le relazioni sindacali carenti considerata la negazione di diritti contrattualmente garantiti (emblematico è il mancato rispetto di un principio quale quello della tassatività della programmazione a 6 ore dei piantonamenti ospedalieri mai garantito ma anche il mancato rispetto dei principi che dovrebbero regolare la mobilità interna, la negazione sistematica dei riposi settimanali ed il continuo ricorso a prestazioni di lavoro straordinario retribuito, tra l’altro, con modalità inadeguate rispetto alla normativa vigente [abbiamo già presentato ricorso al Tar per la corretta applicazione] ed ultimamente neppure con regolarità); la mancata liquidazione di parti rilevanti dello stipendio (aspettiamo ancora il pagamento di straordinari, incentivi, servizio passivo, anticipo missioni).

Tali problematiche sono state, dalla Direzione degli II.PP. di Parma, sempre e sistematicamente nascoste al fine di mostrare insistentemente di sapersi porre come modello da emulare, ma ora che è il personale in prima persona a subirne le conseguenze, crediamo non possano essere più occultate. Per tali ragioni queste OO.SS. nel ribadire il perdurare dello stato di agitazione preannunciano la volontà di intraprendere tutta una serie di iniziative e proteste ancora più incisive, anche a livello regionale, tese ad abbattere l’ostilità e l’indifferenza mostrata finora dall’Amministrazione Penitenziaria verso le nostre rivendicazioni.

Giustizia: 9mila i volontari al "lavoro", nelle carceri strapiene

di Ilaria Sesana

 

L’Avvenire, 7 agosto 2009

 

Il primo approccio può passare attraverso la richiesta di una maglietta nuova o un flacone di shampoo. Oggetti di banale uso quotidiano, preziosissimi invece per chi, spesso, è privo di tutto. "Da questo scambio nasce la prima occasione per entrare in contatto con il detenuto - spiega Paola Cigarini, volontaria da circa 20 anni, nel carcere di Modena -. Serve per rompere le barriere, per entrare in relazione con la persona". È un’attività paziente quella di Paola e delle altre migliaia di persone che, in tutta Italia, si impegnano per stare accanto a chi si trova in carcere. Un’attività fatta di piccoli passi, di piccole conquiste e tanto ascolto.

Un vero e proprio esercito, quello dei volontari e degli "operatori non istituzionali" che spendono il loro impegno nei penitenziari italiani: nel 2008 è stata toccata quota 9.286 unità. Cui vanno aggiunti 137 volontari che collaborano con gli Uepe (Uffici per l’esecuzione penale esterna). Numeri in costante crescita: nel 2001 infatti erano poco più di 6.500 e solo quattro anni dopo, nel 2005, si superava di poco la soglia di 8.300 unità.

La loro presenza, sul territorio nazionale, però è disomogenea: a soffrire sono soprattutto le regioni del Sud dove si trova il 45,2% degli istituti e il 20,6% degli operatori non istituzionali. Al Nord invece gli operatori della società civile incrementano ancora la loro presenza: quasi un operatore su due (49,1%) è attivo nelle regioni settentrionali.

Una situazione a macchia di leopardo, legata anche alle diverse sensibilità dei direttori delle singole carceri. L’attività dei volontari in carcere è regolamentata da due articoli dell’Ordinamento penitenziario: l’articolo 17 (che prevede la "partecipazione della comunità esterna" al trattamento rieducativo. Ad esempio chi organizza attività formative o ricreative) e l’articolo 78 (persone che partecipano "all’opera di sostegno morale dei detenuti e al futuro reinserimento nella vita sociale").

Un impegno non facile, stare accanto a chi è ristretto in una cella di tre metri per tre. "Non sempre le necessità espresse a parole sono quelle vere, bisogna saper leggere tra le righe. Una capacità che si conquista negli anni", commenta Guido Chiaretti, presidente della Sesta Opera San Fedele di Milano: la più antica associazione di volontariato carcerario della Lombardia (venne fondata nel 1923 e fu grazie al suo impegno che, nel 1975, vennero introdotti gli articoli relativi al volontariato in carcere, ndr) che organizza anche corsi per aspiranti volontari penitenziari.

"Quello che cerchiamo di fare - spiega ancora Chiaretti - è far capire al potenziale volontario in che contesto si deve muovere e quali sono i suoi limiti: il carcere è un mondo con tantissime facce diverse". Ma deve anche sapere che cosa si aspettano gli altri da lui. Saper ascoltare e instaurare un rapporto di fiducia con una persona in difficoltà, certo, ma l’attività del volontario può giocare un ruolo determinante (e molto concreto) sul futuro della persona cui tiene la mano durante un colloquio.

"Pochi sanno - aggiunge Chiaretti - che la magistratura di sorveglianza ha un grande bisogno di avere informazioni sulle persone che deve giudicare. A Milano i magistrati sono pochi rispetto alla popolazione carceraria da seguire, hanno un gran bisogno di conoscere la storia delle persone che devono giudicare. E per questo chiedono che i volontari siano antenne capaci di segnalare le situazioni, le storie dei detenuti".

Senza dimenticare che ci sono tante altre sfaccettature, decine di altre piccole, ma fondamentali attività: dalla distribuzione di vestiti e generi di prima necessità all’assistenza legale, dal supporto alle famiglie al disbrigo di mille pratiche burocratiche. "Il volontario fa molto per contribuire a dare un senso alla pena - commenta Ornella Favero, coordinatrice del giornale "Ristretti Orizzonti" realizzato dai detenuti del "Due Palazzi" di Padova -. Purtroppo però non riesce a raggiungere un sacco di persone. Il rischio è che il volontariato sia considerato un "tappabuchi" delle carenze delle amministrazioni penitenziarie".

Modena, la sfida: "Ascoltare senza giudicare". Tiene un piede dentro al carcere (quello di Modena, per la precisione) "per ascoltare, senza giudicare" e l’altro fuori "per fare casino, per far capire che problemi come la tossicodipendenza non si risolvono con la galera". Entrare in carcere "vuol dire entrare nel mondo: lì dentro c’è un concentrato di tutti i problemi che il nostro mondo vive oggi, dalla tossicodipendenza all’immigrazione, dalla malattia mentale alla mancanza di lavoro", spiega Paola Cigarini, volontaria da vent’anni e, sino a un anno fa, referente del coordinamento Volontariato in carcere dell’Emilia Romagna. Ed entrare in relazione con questo concentrato di problemi e di sfide spesso, può essere frustrante: "C’è un carico di impotenza fortissimo, che ti può anche avvilire - racconta -.

Le carceri sono così affollate che le richieste di aiuto sono tantissime e banali, come una maglietta o i soldi per telefonare a casa". E così va a finire che tu, volontario, non ricordi più a chi hai regalato una maglietta e un sorriso, preludio a un possibile rapporto costruttivo basato sulla fiducia. In queste condizioni si lavora in modo quasi automatico, per dare una risposta alle semplici richieste di ogni giorno.

Spesso emerge un senso di impotenza: "Noi parliamo a ragazzi di 23, di 25 anni e non sappiamo cosa dire loro. Come fai a infondere speranza a un giovane che, fra tre anni, uscirà di qui e non avrà nulla perché è straniero e irregolare?", si chiede Paola. La risposta, sta fuori dal carcere: "Occorre sensibilizzare le persone, far capire che la prigione non è una risposta a problemi complessi come la tossicodipendenza o l’immigrazione", conclude.

Verona, fra Beppe Prioli: "Sogno una prigione diversa". Tutto ha avuto inizio nel 1963, con un articolo di giornale. "Avevo 20 anni e mi trovavo a Gemona del Friuli per un momento di verifica e orientamento vocazionale - ricorda fra Giuseppe (Beppe) Prioli, 66enne frate minore della Provincia veneta -. Sono rimasto molto colpito da quella notizia: io e quel ragazzo avevamo la stessa età. Ho messo a confronto la sua vita con la mia. Io avevo la possibilità di scegliere, mentre per lui tutto era finito".

Fra Beppe scrive al giovane detenuto e gli promette che andrà a trovarlo nel carcere di Porto Azzurro, sull’Isola d’Elba, dove sta scontando la sua pena. Riesce a mantenere la promessa solo due anni dopo. E da quell’incontro è nata, nel 1968, l’associazione "La Fraternità" (presso il convento di San Bernardino), formata da laici e religiosi, che aiutano i detenuti del carcere di Montorio (Verona), stanno accanto alle loro famiglie e, ogni anno, rispondono a circa un migliaio di lettere provenienti dalle carceri di tutta Italia. In questi quarant’anni "tra i lupi", fra Beppe ha visto tanti cambiamenti: "Gli istituti di pena rappresentano la società in cui viviamo. Tossicodipendenti e stranieri, prima non c’erano - ricorda -.

Oggi vedo sguarnito il territorio: mancano le persone e le strutture che possono accompagnare gli ex detenuti nella delicata fase del reinserimento". Sogna un carcere diverso, fra Beppe perché il sistema penitenziario che ha sotto gli occhi "è un male: ci sono parecchi detenuti che fanno esperienza della detenzione senza mai incontrare un volontario o un cappellano. Bisogna far capire che il carcere non è una risposta a tutti i reati". Altri sogni nel cassetto, dopo quarant’anni di attività? "Che noi adulti, educatori, parroci e genitori, ci svegliassimo e riuscissimo a mettere fuori la testa, per conoscere meglio nostri giovani. Ed evitare che si perdano "nella notte" - conclude -. E vorrei che anche la Chiesa avesse uno sguardo un po’ più attento sul tema della giustizia e sulla pena".

Giustizia: all’Opg ucciso internato, il Dap "disperde" l’inchiesta

di Stefano Anastasia e Fiorentina Barbieri (Difensore civico Associazione Antigone)

 

Terra, 7 agosto 2009

 

Un anno fa si era concluso il processo penale nei confronti dell’internato che nel maggio 2007 aveva ucciso Maurizio Sinatti nell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Montelupo Fiorentino, dove erano entrambi rinchiusi: l’imputato aveva avuto dieci anni ed era stato trasferito ad un altro Opg. Ma per la compagna di Maurizio l’esito processuale lasciava troppe risposte inevase.

Lei aveva continuato a considerare incomprensibile, "ingiusta" quella morte: Roberta non poteva credere che un uomo di 43 anni, in condizioni di estrema vulnerabilità, fosse stato lasciato così esposto in una situazione tanto a rischio e che tutto fosse precipitato senza che nessuno fosse riuscito a proteggerlo.

Aveva saputo che era stata avviata un’inchiesta amministrativa interna, ordinata dal Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, e aveva sperato che non si trattasse di routine, che ci fosse la reale intenzione di andare più a fondo e spiegare realmente come potesse essere successo quel che era successo. Si era rivolta a noi, chiedendoci di aiutarla a capire che fine avesse fatto quell’inchiesta, prima sospesa - come si usa - durante il procedimento penale, e poi ripresa, chissà quando e con quali esiti. E anche Cecilia, la moglie di Maurizio, si era poi messa in contatto con noi.

Va detto che a tutt’oggi non è emerso nulla di più, ma quello che appare assurdo, in una situazione così delicata e tragica, è che nessuno riesca a darne conto: l’itinerario dell’inchiesta interna, che Antigone ha cercato di ricostruire passo dopo passo, rimane oscuro e tuttora ignoti ne restano gli esiti: dapprima ci siamo rivolti, secondo logica e competenza formale, all’Ufficio ispettivo, ma dopo un mese ci hanno risposto che la pratica giaceva alla Direzione generale del Personale; ma anche lì, dopo qualche tempo, ci hanno comunicato che era approdata a quella dei Detenuti. Poi, più nulla. Siamo a questo punto: a due anni dalla morte di un uomo non si sa se vi siano state responsabilità amministrative per quello che è accaduto.

Il mondo chiuso del carcere (chiuso per definizione, prima ancora che per vocazione dei suoi amministratori) genera frequentemente sospetti e illazioni in coloro che vi entrano in contatto. A volte, a pensar male si coglie il vero, in altre occasioni ne nascono leggende metropolitane infamanti dell’istituzione e del suo personale.

E se invece si provasse con un po’ di trasparenza? Ripetiamo allora la domanda: a che punto è l’inchiesta amministrativa interna sulle circostanze in cui Fabrizio Sinatti è stato ucciso due anni fa nell’Ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino?

Giustizia: morire di carcere a Palermo, sia omicidio o suicidio

di Roberto Puglisi

 

www.livesicilia.it, 7 agosto 2009

 

Un uomo che rantola in carcere. Morirà dopo una tremenda agonia di venti minuti. La richiesta di archiviazione del pm che ha derubricato l’accaduto alla voce "suicidio". E un avvocato che la pensa diversamente, che ha impugnato la richiesta del pubblico ministero. Per lui, al carcere Ucciardone di Palermo, quella notte, andò in scena un omicidio.

Ecco i protagonisti della storia. Francesco Lo Bianco, il morto. Shera Petrit, detenuto albanese secondo il legale, l’assassino presunto. E poi il già citato avvocato Giacomo Sparacino - che rappresenta la compagna di Lo Bianco - che ha presentato una sostanziosa memoria al gip. "Il pm ha fatto un lavoro ottimo e coscienzioso - dice l’avvocato -. Noi, però, siamo di un parere diverso". Un punto di vista sciorinato nelle pagine del "memoriale" che raccoglie alcune testimonianze. Si legge: "Le dichiarazioni univoche rese dai compagni di cella del defunto Lo Bianco Francesco ricostruivano il fatto occorso la notte del 27/01/2009 non manifestando sospetti sul suicidio, come ritenuto dal pm, ma attribuendo allo Shera Petrit la condotta ipotizzata nel capo di imputazione". Dunque, omicidio. Ecco alcune di quelle dichiarazioni a verbale che gettano una luce inquietante su una storia che è stata frettolosamente dimenticata e sepolta dai giornali, perché i giornali non amano indagare troppo dietro le sbarre, dove ci sono ombre semi-invisibili. Francesco Lo Bianco, in prigione per presunta violenza sessuale ai danni di minori, era un signor nessuno, come i suoi compagni di detenzione.

 

"Rapporti tesi tra quei due"

 

Scrive l’avvocato: "In particolare, Pangaro Daniele, sentito dal pm in data 29/01/2009, riferiva: " i rapporti tra i due (con Petrit, ndr) erano comunque tesi perché si pizzicavano sempre ed anche quando il Lo Bianco tornò dall’ultimo colloquio con la moglie, i due litigarono probabilmente perché anche in quel caso non aveva potuto

ottenere i fili d’angelo (fili d’acciaio utili per l’evasione) pur avendogli dato la somma di cinquecento euro. Durante il litigio addirittura lo Shera lo minacciò con un bastone con chiodi che era stato staccato da sotto un tavolo. Il Lo Bianco in quella occasione gli sferrò alcuni schiaffi. Poi ci fu un’apparente riappacificazione, nel senso che lo Shera gli diede un bacio sulla guancia, tipo bacio di giuda, dicendogli che nessuno si era mai permesso di schiaffeggiarlo. Il giorno successivo Scaduto Paolo mi ha riferito che il Lo Bianco era stato ucciso dallo Shera, perché così confessatogli dallo stesso".

 

"Denaro per evadere, poi l’omicidio"

 

"Analogamente, Scaduto Paolo, sentito dal pm in data 29.01.2009, riferiva: lo Shera ha avuto con me sin da subito un rapporto di fiducia. Mi aveva offerto del denaro perché gli facessi entrare in cella dei fili d’angelo, cioè dei fili d’acciaio che gli sarebbero serviti per evadere. Non avevo accettato la sua proposta e lui aveva cominciato a minacciarmi indirettamente. Aveva anche tentato di convincere un altro detenuto, cioè Malla Mario. Quando è arrivato il Lo Bianco i rapporti tra i due erano tesi e so per certo che lo Shera gli ha dato alcuni schiaffi. Poi sono riuscito a convincere i compagni di cella ad accettare il Lo Bianco. Lo Shera ha poi tentato di convincere anche il Lo Bianco a fornirgli i capelli d’angelo e gli ha consegnato cinquecento euro che il Lo Bianco ha poi consegnato alla moglie. Dall’ultimo colloquio con la moglie il Lo Bianco tornò dicendo che non era riuscito né a far entrare i capelli d’angelo, né a recuperare la somma che gli era stata data dallo Shera. Per tali ragioni i due vennero alle mani ed il lo Bianco diede uno schiaffo allo Shera. Questa mattina ho detto allo Shera che avevo paura e lui mi ha raccontato il modo in cui aveva ucciso il Lo Bianco. Mi ha detto che lo aveva convinto a simulare un suicidio per ottenere la scarcerazione, poi, dopo averlo convinto a legarsi il cappio al collo, lo aveva altresì convinto che avrebbe dato l’allarme appena si fosse accorto che il Lo Bianco diventava paonazzo. In realtà, dopo averlo visto in difficoltà, per come lo Shera mi ha riferito, ha allontanato lo sgabello e ha girato il Lo Bianco tre volte su se stesso per stringere ulteriormente il cappio. Il Lo Bianco si è dimenato scalciando e ha avuto un’agonia di circa 20 minuti. Lo Shera mi ha confidato di averlo ucciso perché gli aveva dato uno schiaffo e per lui questa era un’offesa inaccettabile".

 

Le condizioni del carcere

 

Sono parole forti quelle raccolte dall’avvocato Sparacino. Shera Petrit è innocente fino a prova contraria. E la sua innocenza risulterà indubitabile in caso di archiviazione. Nell’attesa fiduciosa che la giustizia faccia - come si dice - il suo corso, abbiamo scelto di raccontare questa storia, solo per illuminare la vita e la morte di Francesco Lo Bianco. Questa vicenda è egualmente importantissima. Rappresenta un’ulteriore testimonianza degli orrori sepolti dietro le mura delle carceri siciliane, più volte visitate dal garante Salvo Fleres che ha auspicato la chiusura delle peggiori. Omicidio o suicidio, Francesco Lo Bianco è una vittima, è un morto di carcere.

Lettere: il Tribunale di Sorveglianza si fa beffe di noi detenuti

 

Il Resto del Carlino, 7 agosto 2009

 

Una lettera aperta firmata da 206 detenuti che si dichiarano "danneggiati e beffati" dal Tribunale di Sorveglianza. È l’iniziativa delle "persone detenute" alla Dozza, come si definiscono loro stessi, che hanno scritto a Francesco Maisto, presidente del Tribunale di sorveglianza, alla Procura generale, all’avvocato Desi Bruno, Garante di detenuti, e al Carlino. A margine della lettera, ci sono appunto le firme. Che sarebbero molte di più, "se non fossimo stati impossibilitati - scrivono - a raccogliere e allegare quelle dei tanti detenuti ubicati in reparti separati".

Ma cosa lamentano? Il problema è che il Tribunale, da quando l’anno scorso è arrivato Maisto, avrebbe attuato una stretta nella concessione dei benefici, a partire dai permessi premio fino ad arrivare alla semilibertà, all’affidamento in prova e alla liberazione anticipata. Una situazione già denunciata dagli avvocati della Camera penale. I detenuti sostengono che alcuni permessi premio sono stati negati anche quando gli interessati (di cui citano tre nomi) ne avevano diritto per legge. Poi attaccano Maisto per un’intervista rilasciata dal magistrato su Avvenire il 22 giugno, in cui diceva che i detenuti "sono prima di tutto persone" e si definiva "fra i più convinti sostenitori del loro reinserimento sociale". "Noi chiediamo che venga applicato l’articolo 27 della Costituzione - concludono -, che prevede la rieducazione del reo. E dunque che siano concessi i benefici previsti dalla legge Gozzini".

Toscana: l’isola-carcere di Gorgona è un modello da esportare

 

www.regione.toscana.it, 7 agosto 2009

 

L’isola-carcere è una grande fattoria dove i detenuti-lavoratori hanno piantato olivi e viti. Poi allevano mucche, pecore, capre e orate. In questo momento a Gorgona ci sono 70 reclusi: qui non c’è il sovraffollamento che assedia l’intero sistema penitenziario italiano. In Toscana, in cella, ci sono 4.243 detenuti, 1.200 in più della capienza.

Sollicciano scoppia, cosa che accade anche alle Sughere di Livorno e al Don Bosco di Pisa. "Si sta portando avanti un piano in economia, per aggiungere 140 posti recuperando celle abbandonate nelle strutture disseminate in Toscana. Un lavoro che viene fatto dagli stessi detenuti, che vengono retribuiti": la notizia arriva dal provveditore Maria Pia Giuffrida, ai vertici dell’amministrazione penitenziaria regionale. "È la prima risposta che possiamo dare con i pochi soldi a disposizione".

La situazione di sovraffollamento degli istituti si può affrontare - ha detto - "con una dose di quotidiano equilibrio da parte degli operatori", perché l’affollamento crea un clima di "compressione" con i detenuti che possono assumere atteggiamenti aggressivi e violenti. "Credo comunque che sia utile non creare allarmismo - ha aggiunto Giuffrida -. Davanti a un suicidio c’è il dolore che deriva dal fatto che una persona abbia deciso di mettere fine alla sua vita. Sono i casi più clamorosi, ma ci sono tante altre situazioni che non arrivano all’esterno e che vengono risolte grazie all’intervento degli operatori. In un anno si è riusciti a sventare 52 tentativi di suicidio e 275 tentativi di autolesionismo". Cercare quindi di allentare la tensione può essere un primo, piccolo passo.

Proprio ieri a Gorgona è sbarcata una delegazione della Regione con il presidente Claudio Martini e la dottoressa Maria Grazia Mammuccini, direttore dell’Arsia: ad accoglierla il provveditore Giuffrida e il dottor Carlo Mazzerbo, direttore di Porto Azzurro e "reggente" a Gorgona, un progetto che parte da lontano, dai primi anni Novanta. La colonia agricola e il lavoro quale percorso per il reinserimento sociale del detenuto.

E ieri a Gorgona si è ribadita, annunciando un accordo ad hoc, la necessità di esportare il "modello". "Il sistema penitenziario delle isole, come l’esperienza di Gorgona insegna - ha detto Martini - è un contributo utile e positivo, perché consente di tenere l’isola abitata e curata e serve a prevenire il degrado".

Un "modello" da estendere alle altre realtà toscane, come Prato, dove le vigne girano all’interno dei muri della casa circondariale intramezzate agli orti; a Sollicciano, a San Gimignano, a Volterra dove già l’Arsia, agenzia regionale per lo sviluppo agricolo, organizza da un paio d’anni con Slow Food le cene galeotte. Formare al lavoro, professionalizzare, insegnare ad autogestire e responsabilizzare i detenuti sono i punti della mission, e dove non ci sono terreni disponibili, si pensa alla trasformazione dei prodotti e al confezionamento.

Giuffrida ha detto che l’amministrazione penitenziaria sarebbe in difficoltà se non avesse al suo fianco la Regione, Mazzerbo ha sottolineato la grande motivazione degli agenti della penitenziaria (dovrebbero essere ottanta, ma sono appena la metà, una carenza di organico cronica in tutta Italia, che in Toscana sfiora le 5-600 unità) che hanno creduto nella scommessa vincente di Gorgona "un carcere rinato dopo il pozzo profondo in cui era caduto (due omicidi a distanza di pochi mesi, ndr)", ha aggiunto il dottor Dessì del Provveditorato toscano.

Lombardia: la Regione; critiche ingiuste, sosteniamo i detenuti

 

Adnkronos, 7 agosto 2009

 

"Gli esponenti lombardi del Pd hanno perso l’occasione per documentarsi prima di dichiarare. Gratuite, non vere e prive di qualsiasi consistenza le critiche al presidente Formigoni. Il quale, contrariamente a quanto sostenuto da Porcari, è infatti più volte, nel corso degli anni, andato a visitare le carceri". È la replica della Regione Lombardia alle affermazioni rilasciate oggi sul tema delle carceri dal consigliere regionale Carlo Porcari e da altri esponenti del Pd.

"Ricordiamo alla smemorata opposizione - si legge nella nota - che Regione Lombardia non lascia nessuno da solo: da oltre un decennio ha avviato nel settore precisi interventi volti a sostenere il detenuto, durante e dopo il termine del periodo di detenzione, per quanto riguarda l’assistenza sanitaria, la formazione, l’affiancamento nel processo di reinserimento sociale e lavorativo". La nota della Regione ricorda "gli specifici accordi con Asl e Aziende ospedaliere per la sanità, le decine e centinaia di corsi che ogni anno Regione Lombardia ha sostenuto (nel 2009 37 corsi hanno già portato al reinserimento professionale di 250 detenuti)".

"Né è mai mancata - prosegue la nota della Regione - l’attenzione ai tossicodipendenti con considerevoli stanziamenti ogni anno. A partire dal 2008, poi, il budget per l’inclusione sociale ha permesso a tossicodipendenti gravi di ricevere 400 euro al mese per partecipare a percorsi socio-terapeutici specifici e di avviamento al lavoro. Stanziamenti sono stati effettuati in questi anni anche per favorire la pratica di attività sportive all’interno delle carceri, come ballo, ginnastica, tennis e calcio. Inoltre, da anni è stato varato il regolamento per normare l’intervento del garante dei detenuti; si è provveduto alla consegna di migliaia di kit di primo sostegno ai detenuti che, scontata la pena, si trovano sulla strada senza beni di prima necessità. È stato stanziato complessivamente un milione di euro per realizzare interventi inerenti alla loro salute e formazione. È solo un sommario degli interventi, ma dovrebbe bastare a rinfrescare la memoria di Porcari e soci".

Lombardia: a San Vittore, anche 6 detenuti in 9 metri quadri

di Paola D’Amico

 

Il Corriere della Sera, 7 agosto 2009

 

Una stanza di tre metri per tre. Nove metri quadrati dove convivono sei detenuti. È l’inferno del sesto raggio, al terzo piano del carcere San Vittore dove d’estate anche l’acqua sembra razionata: ruoti la manopola del vecchio rubinetto e scendono quattro gocce, a stento.

Così nelle quattro docce a disposizione dei centotrentadue detenuti del piano, una parte minima dei 630 che oggi a piazza Filangieri sono in transito, in attesa di giudizio. Troppi gli uomini complessivamente reclusi a San Vittore, 1.400, il doppio della capienza regolamentare. Troppo pochi gli uomini incaricati della loro custodia. Uno per piano di giorno, uno ogni due piani, di notte. Settecento guardie (quando non è periodo di ferie) su 1.200 assegnate sulla carta. Talmente abituate a lavorare nell’emergenza che per qualcuno diventa quasi normale, a fine turno, dormire nelle celle del carcere minorile Beccaria, trasformate in foresteria.

Perché non basta uno stipendio da 1.300 euro, neppure se gonfiato dagli straordinari, a pagarsi gli affitti d’oro della metropoli. È la prima tappa del viaggio nelle carceri lombarde e italiane di consiglieri regionali e parlamentari del Pd. Alessia Mosca, neodeputata, è provata quando lascia il carcere: "Impatto forte, condizioni non accettabili, al di sotto degli standard", commenta. E poi aggiunge: "Servono soluzioni per uscire da questa emergenza. Nuova edilizia? Non credo, perché non ci sono i fondi". Le fa eco Carlo Porcari, capogruppo Pd in Consiglio regionale: "Vogliamo misurare concretamente l’emergenza delle carceri lombarde, verificare le condizioni di vita dei detenuti e le condizioni di lavoro delle guardie. Prossima tappa, Vigevano".

Il numero dei detenuti appare ancora più smisurato se rapportato a quello degli psicologi, tre, e degli educatori, sei. Conferma tutto il provveditore delle carceri della Lombardia. Luigi Pagano. Ma ricorda che negli anni di Mani Pulite "San Vittore arrivò ad ospitare 2.400 detenuti e fui costretto a chiudere il carcere". Quanto ai numeri esigui degli operatori di supporto? "Fanno miracoli", spiega. "Tre psicologi sembrano pochi, ma qui c’è una tradizione all’accoglienza che ha poche rivali in Italia". La prova del nove sono anche gli "zero suicidi e tentati suicidi" degli ultimi anni.

Tanti ingressi, poche uscite: è l’origine del sovraffollamento. A giorni, anticipa il provveditore, sarà attuato un maxi-sfollamento: 250 detenuti saranno trasferiti dalle carceri lombarde in altre regioni e altrettanti ospiti di San Vittore andranno ad occupare quei posti lasciati liberi. Ma la bilancia tra uscite e nuovi ingressi continua a pesare pericolosamente da una sola parte: erano 9 mila i detenuti in Lombardia prima dell’indulto del 2006. Oggi sono già 8.400.

Il sovraffollamento di San Vittore contribuisce anche la popolazione dei tossicodipendenti in preoccupante crescita, più o meno 400 solo nel carcere milanese. L’affidamento ai servizi? Le comunità (1.607 posti) sono sature. La Regione dovrebbe fare la sua parte per favorire percorsi di riabilitazione alternativi al carcere", dice Porcari. E da via Filzi pronta la replica: "Dal 2008 il budget per l’inclusione sociale ha permesso a tossicodipendenti gravi di ricevere 400 euro al mese per partecipare a percorsi socio-terapeutici - spiega il presidente della giunta lombarda, Roberto Formigoni - e un milione di euro è stato stanziato per realizzare interventi inerenti alla loro formazione e salute".

Trentino: carceri regionali al collasso, è autentica emergenza

 

Alto Adige, 7 agosto 2009

 

Il carcere di Trento potrebbe ospitare 101 detenuti: ce ne sono 151. La capienza massima di quello di Rovereto è di 53 persone, ma ne accoglie 93. A Bolzano 127 detenuti a fronte di una capienza di 108. In tutti i casi una bella percentuale è costituita da extracomunitari. Un sovraffollamento denunciato ancora una volta dal Sappe, il sindacato autonomo di polizia penitenziaria che ha fornito i dati di tutte le carceri italiane.

E se in Lombardia e Basilicata il limite massimo sta per essere superato, in altre regioni - e tra queste anche il Trentino Alto Adige - quel limite è stato superato da parecchio tempo. Tutto ciò a fronte di un organico di polizia penitenziaria che non raggiunge il 72 per cento di quello previsto. Situazioni che ieri Bruno Dorigatti e Matta Civico, consiglieri provinciali del Pd, hanno toccato con mano, recandosi prima nel carcere di Trento e poi in quello di Rovereto.

Lo scopo era verificare le condizioni di vita della popolazione carceraria e in particolare dei tanti stranieri arrestati per non aver rispettato il decreto d’espulsione. Il giudizio di Dorigatti e Civico non lascia spazio alle interpretazioni. "La struttura di Trento - sbotta Dorigatti - ti prende davvero allo stomaco: la struttura è vecchia, fatiscente, desolante". Lunghi corridoi, muri scrostati, pavimenti dissestati, grate arrugginite. E nelle celle è dramma.

"Stipate all’interno - continua - ci sono dieci persone. Un sovraffollamento intollerabile che rende la vita impossibile ai detenuti e impedisce al personale in servizio di intervenire in caso di necessità". Tutto da buttare? "No, a fare da contraltare c’è l’entusiasmo e la volontà propositiva degli agenti e di tutto il personale. Tanti i corsi di recupero e le iniziative organizzate per consentire un reinserimento dei detenuti nella società civile una volta scontata la pena". E se Trento piange, Rovereto non ride. "Anche lì la struttura è vecchia e sovraffollata".

Pisa: sovraffollamento e tensioni il Don Bosco non ce la fa più

 

Il Tirreno, 7 agosto 2009

 

"Una situazione di estrema tensione, con sovraffollamento in tutti i settori e il centro clinico è letteralmente pieno". È questa la fotografia del carcere Don Bosco, scattata dall’avvocato Andrea Callaioli, garante dei diritti dei detenuti, che ha visitato la struttura insieme all’onorevole Paolo Fontanelli. "Una situazione - spiega Callaioli - aggravata nel reparto femminile per la carenza di acqua. E un lento disgregarsi di una struttura che non ce la fa più a reggersi".

La visita di Fontanelli ieri è durata tre ore, con l’obiettivo di valorizzare l’iniziativa "Ferragosto 2009 in carcere". Insieme a Fontanelli e Callaioli erano presenti i vicedirettori del Don Bosco. Fontanelli ha manifestato "una grande preoccupazione per una situazione di sovraffollamento che è già assai superiore ai limiti accettabili". I detenuti sono più di 400 su 226 posti regolamentari. Nel femminile ci sono 40 detenute a fronte dei 25 posti previsti. "Eppure Pisa, - ha aggiunto, - a detta di tanti e del Ministero di Giustizia, non è tra i casi più gravi nel panorama carcerario italiano. Ma se è vero allora, va detto che il sistema carcerario del nostro Paese è non solo "al di fuori della Costituzione" come ha ammesso anche il Ministro Alfano, ma è fuori da ogni minima condizione di diritto umanitario". Fontanelli ha manifestato alla Direzione del Carcere la propria disponibilità per un incontro con le rappresentanze sindacali degli agenti di polizia penitenziaria che oggi non è stato possibile per motivi di servizio.

Forlì: prosegue il progetto "Raee in carcere", con gruppo Hera

 

www.romagnaoggi.it, 7 agosto 2009

 

È diventata una struttura permanente presso l’istituto penitenziario di Forlì il laboratorio di smontaggio dei Rifiuti da Apparecchiature Elettriche ed Elettroniche. La sperimentazione dell’iniziativa "Raee in carcere", effettuata nelle carceri di Bologna, Ferrara e Forlì, ha dato risultati giudicati positivi e quindi tutti i soggetti coinvolti si sono impegnati a proseguire con questa attività professionale rivolta ai detenuti.

Il progetto, che è nato circa due anni fa per il forte impegno della Regione Emilia-Romagna, dell’Amministrazione Penitenziaria Regionale, del Gruppo Hera e dei Consorzi Ecodom ed Ecolight, ai quali vanno riconosciuti oltre all’ideazione anche il contributo economico alla realizzazione, consiste nell’impiego di detenuti all’interno di laboratori gestiti da cooperative sociali e attrezzati con le migliori tecnologie, per lo smontaggio dei Raee provenienti dagli impianti di stoccaggio, che vengono poi inviati agli impianti di trattamento rifiuti del Gruppo Hera per essere recuperati e/o smaltiti.

Ogni anno il Gruppo Hera raccoglie 10.000 tonnellate di Raee; il 10% (quindi 1.000 tonnellate) viene destinato a questa attività, che impegna i detenuti coinvolti per 30-36 ore settimanali ed è retribuita in modo da poter contribuire anche al mantenimento delle famiglie.

L’obiettivo dell’iniziativa è quindi la creazione di una solida opportunità di lavoro per i detenuti, in modo da favorirne il successivo reinserimento nella vita sociale, una volta scontata la pena. Un aspetto importante, che rappresenta un’assoluta innovazione nei progetti rivolti alla popolazione carceraria, consiste nel fatto che non si tratta di una operazione di semplice sostegno: l’attività produttiva dei carcerati è infatti inserita in un processo a carattere industriale, nell’ottica di una collaborazione attiva tra sistema penitenziario e sistema economico produttivo, così da motivare i detenuti come in una normale attività imprenditoriale.

I vantaggi del progetto "Raee in carcere" non sono solamente sociali ma anche ambientali: i raee sono infatti un tipo di rifiuto sempre più comune e altamente inquinante se non smaltito correttamente; se opportunamente conferito, è invece possibile recuperare l’85% dei materiali. Secondo le stime, nei 3 istituti penitenziari coinvolti il progetto contribuirà al risparmio di due milioni di Kwh di energia elettrica e a riciclare più di 660.000 kg di ferro, 10.000 kg di rame, 5.000 kg di alluminio e 25.000 kg di plastica.

Verbania: visite ai detenuti non pagate e i medici fanno causa

 

Ansa, 7 agosto 2009

 

Fanno causa all’amministrazione carceraria di Verbania, per il mancato pagamento dei servizi sanitari prestati alla casa circondariale, cinque medici del Verbano Cusio Ossola. I medici sono ricorsi all’avvocato per chiedere i pagamenti che lo Stato deve loro per l’attività svolta. Le visite sono quelle effettuate nel periodo compreso tra agosto e settembre 2008.

Il credito maturato va dai due ai quattromila euro. "Un inconveniente in via di risoluzione" ha affermato Elena Lombardi Vallauri, direttrice del carcere verbanese. La donna parla di un passaggio di competenze, dal ministero di Giustizia al servizio sanitario nazionale, che si è trovato a corto di fondi; questi sono stati finalmente stanziati e il pagamento dei servizi avverrà regolarmente. Sembra che il problema dei mancati pagamenti riguardi molte Case Circondariali italiane.

Roma: è polemica sui detenuti-spazzini, "scortati" dagli agenti

 

Il Velino, 7 agosto 2009

 

Il giorno di Ferragosto, venti detenuti del carcere di Rebibbia saranno impiegati, in via sperimentale, come operatori ecologici nelle strade di Roma accompagnati da agenti della polizia penitenziaria. Divisi in due gruppi, i carcerati, saranno impegnati dalle 8 alle 11, nella polizia dei giardini di via val padana, in IV municipio, e nell’area di fronte alla stazione Metro B di Santa Maria del soccorso, in v municipio.

L’intesa che ha permesso la sperimentazione è stata firmata dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, dal capo del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Franco Ionta, dall’amministratore delegato dell’Ama Franco Panzironi, dal presidente dell’Ama Marco Daniele Clark e dal responsabile della direzione generale dei detenuti e del trattamento Sebastiano Ardita. Angiolo Marroni, garante dei diritti dei detenuti del Lazio, spiega: "Qualunque iniziativa che porti i detenuti fuori dal carcere e che avvii un percorso di reinserimento sociale e lavorativo non può che essere bene accetta, tuttavia la presenza della polizia penitenziaria accanto ai detenuti lavoratori rischia di essere controproducente".

"La presenza degli agenti e dei Gom in particolare - ha aggiunto Marroni - non mi sembra giusta perché questi detenuti sono stati ammessi al lavoro esterno con il parere favorevole della direzione del carcere o della magistratura di sorveglianza che hanno vagliato attentamente ogni singolo caso. Possiamo stare certi che, alla fine del lavoro, questi detenuti torneranno nelle loro celle. Bisogna decidere se si ha fiducia o no nel loro percorso di recupero sociale.

Inoltre, la presenza degli agenti in divisa rischia di creare allarme nei cittadini e non quel senso di fiducia e di solidarietà che dovrebbe, invece, permeare iniziative di questo genere".

 

Il distinguo del Garante

 

Il protocollo siglato ieri dal sindaco di Roma Gianni Alemanno insieme all’Ama e al Dipartimento di amministrazione penitenziaria (Dap) che prevede l’utilizzo di 20 detenuti del carcere di Rebibbia come spazzini il giorno di Ferragosto non è piaciuto del tutto al Garante dei diritti dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni.

"Qualunque iniziativa che porti i detenuti fuori dal carcere e che avvii un percorso di reinserimento sociale e lavorativo non può che essere bene accetta - spiega Marroni -, tuttavia la presenza della Polizia penitenziaria accanto ai detenuti lavoratori rischia di essere controproducente". Secondo il Garante dei detenuti la presenza degli agenti e quelli del Gruppo operativo mobile (Gom) in particolare non è gusta, "perché questi detenuti sono stati ammessi al lavoro esterno con il parere favorevole della direzione del carcere o della magistratura di sorveglianza che hanno vagliato attentamente ogni singolo caso.

Possiamo stare certi che, alla fine del lavoro, questi detenuti torneranno nelle loro celle. Bisogna decidere se si ha fiducia o no nel loro percorso di recupero sociale. Inoltre, la presenza degli agenti in divisa rischia di creare allarme nei cittadini e non quel senso di fiducia e di solidarietà che dovrebbe- conclude Angiolo Marroni -, invece, permeare iniziative di questo genere".

L’accordo vedrà una prima fase di formazione dei detenuti, della durata di quattro ore, svolta da personale Ama nello stesso carcere romano. Il 15 agosto, invece, i 20 volontari, divisi in due turni, dalle 8 alle 11 saranno impegnati nel IV Municipio nella pulizia dei giardini di via Val Padana, mentre nel V Municipio, ripuliranno l’are di fronte alla stazione della metropolitana di Santa Maria del Soccorso.

Insieme ai detenuti ci saranno anche operatori del Comune di Roma e tecnici Ama che forniranno supporto organizzativo e anche attrezzature e i mezzi per la raccolta e la rimozione del materiale. I detenuti-volontari, oltre a percepire un rimborso pari a 7,5 euro l’ora mentre l’Ama provvederà alla copertura assicurativa e previdenziale dei detenuti. Il progetto è piaciuto molto al sindaco Alemanno: "Nel momento di massima pausa dal lavoro - ha detto il primo cittadino - scendono in campo i detenuti: è un’immagine bella e simbolica di quello che accadrà grazie a questo protocollo.

Ci auguriamo si possa arrivare a un uso sistematico dei detenuti per la pulizia della città e la lotta al degrado, che ci consentirebbe di abbattere i costi e aprire un canale di avviamento al lavoro e al reinserimento nella società. Speriamo di essere la prima città in Italia a passare dalla sperimentazione a un loro impiego stabile".

Francia: in carcere un suicidio ogni tre giorni è tragico "record"

 

Asca, 7 agosto 2009

 

Nelle carceri francesi, criticate sia in patria che all’estero per le celle sovraffollate e le condizioni precarie sofferte dai detenuti, avviene un suicidio ogni tre giorni. A denunciarlo il gruppo umanitario International Prison Observatory. Nonostante le autorità non abbiano fornito dati ufficiali a riguardo, l’Osservatorio ha rivelato che solo quest’anno 88 detenuti si sono tolti la vita.

"Dal 1 agosto abbiamo raggiunto un livello che non avevamo mai visto dal 1997", ha detto all’Afp Francois Bes, membro dell’organizzazione. "Siamo davvero di fronte ad una situazione preoccupante", ha affermato. Secondo i dati ufficiali, nel 2008 hanno commesso suicidio 115 detenuti, 96 nel 2007. Il Consiglio d’Europa ha più volte accusato le prigioni francesi perché troppo affollate e fatiscenti.

Iran: la denuncia dei giornalisti; 42 di noi detenuti in carcere

 

Asca, 7 agosto 2009

 

Le autorità iraniane pongano fine all’intimidazione dei giornalisti nella Repubblica islamica. È l’appello lanciato dalla Federazione internazionale dei giornalisti (Ifj), dopo la chiusura, la scorsa notte, dell’Associazione dei giornalisti iraniani di Teheran, i cui uffici, lamenta un comunicato di Ifj, "sono stati perquisiti e sigillati da uomini armati", su ordine del procuratore generale del governo, Saeid Mortazavi.

Secondo la Federazione internazionale, alcuni dei leader dell’Associazione, che stava preparando l’assemblea generale, devono adesso restare nascosti per salvaguardare la propria sicurezza. Questa mattina il segretario generale della Federazione, Aidan White, ha incontrato l’ambasciatore iraniano presso l’Ue e il Belgio. Nell’incontro, riferisce la nota, White "ha affermato che i giornalisti arrestati, almeno 42, devono essere liberati e che deve esser consentito di funzionare all’Associazione dei giornalisti iraniani, affiliata all’Ifj".

"Dev’esserci una fine - ha affermato White - all’intimidazione di giornalisti se si vuole che vi sia dialogo". Secondo il segretario generale, "la chiusura dell’Associazione dei giornalisti, a pochi ore dal giuramento del presidente Mahmoud Ahmadinejad per un secondo mandato, dopo settimane di disordini post-elettorali, manda un messaggio inquietante sull’atteggiamento del paese verso la libertà di stampa".

Iran: lotta al narcotraffico, 24 detenuti impiccati in un giorno

 

La Repubblica, 7 agosto 2009

 

Con l’accusa di essere trafficanti di droga, 24 detenuti sono stati impiccati nei giorni scorsi nella prigione iraniana Rajai-Shahr di Karaj, 50 chilometri a ovest di Teheran. A rendere note le nuove esecuzioni, che secondo fonti giornalistiche occidentali portano a 219 il numero di persone messe a morte nel paese dall’ inizio dell’anno, è stato il quotidiano Etemad, citando il vice-procuratore di Teheran, Mahmud Salarkia.

"La nuova presidenza iraniana inizia in piena continuità con la precedente: con grappoli di esecuzioni - denuncia in un comunicato Amnesty International Ormai è evidente che il drammatico record dello scorso anno, con una media di un’esecuzione al giorno, sarà superato". Secondo Amnesty, l’applicazione della pena di morte è così frequente e sommaria in Iran da porre a rischio anche gli oltre 100 imputati nel processo attualmente in corso per i disordini seguiti alle elezioni presidenziali e alla contestata vittoria di Ahmadinejad.

Sati Uniti: riforma per i 400mila immigrati clandestini in carcere

di Federico Rampini

 

La Repubblica, 7 agosto 2009

 

Non è ancora la nuova politica sull’immigrazione promessa da Obama, ma intanto è già una svolta radicale nel trattamento dei clandestini. Per rispondere alle accuse di violazioni dei diritti umani, l’America vara una riforma dei centri di detenzione. Con l’obiettivo di costruire un nuovo sistema "civile, aperto, trasparente, verificabile". La nuova tutela dei diritti dei clandestini ha l’impronta di Janet Napolitano, l’italo-americana che dirige la Homeland Security (superministero degli Interni) nell’Amministrazione Obama. Una donna che ha vissuto i problemi dell’immigrazione illegale molto da vicino quando era governatore dell’Arizona, uno degli Stati Usa confinanti con il Messico.

La riforma investirà tutti i 350 centri dove sono attualmente detenuti a rotazione 400.000 stranieri all’anno, accusati di avere violato le leggi sulla residenza negli Stati Uniti. Un sistema balcanizzato, che si appoggia a volte su carceri locali, altre volte su penitenziari di Stato, o anche su strutture gestite da società private. Questi centri hanno visto la propria popolazione triplicare sotto l’Amministrazione Bush, per effetto di un giro di vite contro i clandestini: in parte motivato con la lotta al terrorismo dopo l’11 settembre 2001, in parte per rispondere alle pressioni xenofobe in alcuni settori della destra repubblicana. Le organizzazioni per la difesa dei diritti umani hanno più volte denunciato gli abusi commessi in quei centri. L’American Civil Liberties Union ha trascinato in tribunale l’Amministrazione di Washington, accusandola di violazione delle stesse leggi federali. Diverse ispezioni ordinate dal governo le hanno dato ragione, riconoscendo una miriade di abusi gravi e ricorrenti.

L’immigrazione clandestina non è un reato penale negli Stati Uniti bensì un’infrazione amministrativa. Negli ultimi anni tuttavia molti degli stranieri detenuti, in attesa del processo e dell’eventuale espulsione, sono stati sottoposti al regime penitenziario riservato ai criminali: stesse limitazioni alla libertà di movimento, stesso isolamento, le medesime punizioni per le infrazioni disciplinari. In alcuni centri sono state rilevate carenze nelle cure mediche, nell’accesso all’assistenza legale, nella qualità igienica e del cibo, nella possibilità di telefonare all’esterno.

La stessa frammentazione delle strutture aggravava i disagi: i membri della stessa famiglia accusati di soggiorno illegale potevano essere divisi, spediti in località distanti fra loro migliaia di chilometri, con ulteriori difficoltà di comunicazione e di accesso all’assistenza legale. Una struttura penitenziaria è diventata tristemente nota: l’ex carcere di Stato di Austin, nel Texas, dedicato ad accogliere bambini. Un centro del tutto inadeguato per le cure dei minori, oggi non a caso il primo della lista fra quelli che vengono chiusi. Tutti i bambini da Austin verranno trasferiti al Family Shelter Care di Berks in Pennsylvania, una clinica specializzata.

John Morton, il direttore dell’Immigration and Customs Enforcement da cui dipende la polizia di frontiera, sotto l’autorità della Napolitano, ha dichiarato ieri: "Vogliamo garantire un sistema di detenzione civile che risponda a tutti i bisogni delle persone che vi sono ospitate". I costi della riforma saranno elevati. Per migliorare le condizioni di vita e garantire i diritti umani dei clandestini, il bilancio federale degli Stati Uniti dovrà accollarsi dagli 80 ai 100 dollari di spesa aggiuntiva al giorno per ogni immigrato.

Nell’immediato questa riforma non inciderà sul numero dei clandestini sottoposti alla vigilanza. "Per ora - ha detto Morton - non variano le regole in base alle quali deteniamo o non deteniamo le persone. Quello che cambia, è il modo in cui le trattiamo quando sono detenute". Una riforma che affronti alla radice tutta la politica dell’immigrazione è in cantiere: dovrebbe aggiornare le regole ormai anacronistiche sui permessi di lavoro e sulla Green Card, il titolo di soggiorno permanente. Ma quello sarà un parto più difficile, per le divisioni che su questo terreno spaccano trasversalmente ogni partito.

Laos: detenuta inglese incinta sconterà ergastolo in suo paese

 

Adnkronos, 7 agosto 2009

 

La cittadina britannica condannata all’ergastolo in Laos e rimasta incinta durante la detenzione potrà scontare il resto della pena in Gran Bretagna. Le autorità laotiane e britanniche hanno infatti firmato un accordo grazie al quale Samantha Orobator, incinta di quasi 8 mesi, potrà essere trasferita oggi stesso in Gran Bretagna, dove darà alla luce il suo bambino al fianco della sua famiglia e dietro l’assistenza dei medici britannici. "È un’ottima notizia", ha commentato il ministro degli Esteri britannico Chris Bryant.

La Orobator, nata in Nigeria 20 anni fa, venne arrestata nell’agosto del 2008 a Vientiane, mentre si imbarcava su un aereo con 680 grammi di eroina nascosti sotto i vestiti. In Laos la massima pena prevista per traffico di droga è la morte per fucilazione ma, secondo la legge, una donna incinta non può essere condannata alla pena capitale. Il suo ritorno in patria è stato possibile grazie a un accordo sullo scambio di detenuti siglato il 7 maggio scorso tra Gran Bretagna e Laos, a cui è arrivata oggi l’approvazione definitiva.

La condanna all’ergastolo era stata emesso lo scorso giugno, a valle di un’inchiesta condotta dalle autorità per stabilire come la giovane potesse essere rimasta incinta nel carcere femminile di Phongthonmg. A provocare la gravidanza, come rivelato in seguito dalla stessa Orobator, è stato John Watson, cittadino britannico anch’egli detenuto per droga, che avrebbe fatto giungere alla detenuta una siringa riempita del suo sperma.

 

 

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