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Giustizia: affollamento delle carceri, Strasburgo ci condanna di Luigi Manconi (già Sottosegretario alla Giustizia con delega alle carceri)
L’Unità, 6 agosto 2009
Il più recente segnale è la condanna inflitta all’Italia dalla Corte di Strasburgo per aver costretto un detenuto con altri sei in una cella chiusa per 18 ore al giorno, in uno spazio di appena 2,7 metri a persona invece dei 7 che gli standard di civiltà della pena e di decenza imporrebbero. Da allora la situazione è ulteriormente precipitata e oggi, si può dire, le carceri scoppiano. Aggiungo: solo l’intelligenza collettiva della popolazione reclusa garantisce che quel sovraffollamento intollerabile non determini conseguenze drammatiche. Ma già drammatiche, fino alla crudeltà, sono le condizioni di chi si trova detenuto e, tanto più, nei mesi estivi. E questo vale anche per chi, in carcere, svolge la sua attività lavorativa. Oggi, nel sistema penitenziario italiano si trovano oltre 63.500 reclusi. Decine di migliaia in più della capienza regolare e di quella eufemisticamente definita "tollerabile". Se nel luglio di tre anni fa non fosse stato approvato quel provvedimento di indulto tanto vilipeso quanto provvidenziale (la recidiva tra chi ne ha beneficiato è assai meno della metà di quella registrata tra chi non usufruisce di sconti di pena), oggi il numero dei detenuti si avvicinerebbe a 75.000. Se disaggreghiamo i dati, scopriamo che la maggioranza non è composta da stranieri, come futilmente si sente dire tutti i santi giorni: gli stranieri sono, bensì, circa il 38%. Una percentuale elevatissima, spiegabile in parte col fatto che gli immigrati sono i meno garantiti: scarsa conoscenza della lingua e scarsissima della legge, pochissimi gli avvocati di fiducia, prevalenza di custodia cautelare e detenzione in carcere, ridottissimo il ricorso alle misure alternative e ai benefici. Altro dato significativo è quello delle persone recluse per violazione delle norme sugli stupefacenti: in gran parte si tratta di tossicomani, che dovrebbero essere dovunque tranne che in carcere. Sullo sfondo, una crescente penalizzazione e carcerizzazione: aumenta il numero dei comportamenti qualificati come reati e aumenta il numero dei reati sanzionati con la detenzione in cella. È scontato che, con tali premesse, si vada al disastro. La sola soluzione cui si affida il governo (la costruzione di nuove carceri) richiede tempi totalmente inconciliabili con il ritmo di crescita della popolazione detenuta. Dunque, con l’ulteriore degrado delle condizioni di vita e con la sistematica violazione dei diritti fondamentali della persona. Tragico paradosso è che questo sia l’esito prodotto dal governo che si dichiara "delle libertà" e che si riempie indecentemente la bocca di parole come tutela della persona e diritti individuali. Unico segnale positivo è l’iniziativa dei radicali e, in particolare di Rita Bernadini: nei giorni di Ferragosto - quando il carcere è più che mai una macchina spietata - è prevista la visita a decine di istituti da parte di parlamentari e consiglieri regionali. Speriamo che tengano gli occhi aperti, ben aperti. Giustizia: migliaia detenuti potranno citare in giudizio lo Stato?
Redattore Sociale - Dire, 6 agosto 2009
Dopo che la Corte dei diritti dell’Uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia a risarcire un bosniaco per i danni causati dal sovraffollamento, il coordinatore dei Garanti prepara un modello di ricorso per le associazioni. La Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha condannato l’Italia a pagare 1000 euro di risarcimento a un detenuto bosniaco, colpevole di furto aggravato, per aver scontato un periodo di detenzione nel carcere di Rebibbia in condizioni di sovraffollamento, dove è stato vittima di "trattamenti inumani e degradanti". Un caso emblematico, in base al quale il Coordinatore dei Garanti dei detenuti (la bolognese Desi Bruno), sta studiando un modello di ricorso che verrà diffuso dalla rete delle associazioni impegnate in carcere. Abbiamo ricevuto proprio oggi da Lecce un comunicato del Sappe, Sindacato di Polizia Penitenziaria, che denuncia come in carcere i detenuti abbiano a disposizione un metro e mezzo quadrato a testa. La legge, invece, dice che ci vogliono 7 metri quadri per il primo detenuto, più quattro per ogni detenuto aggiunto, ma non viene rispettata quasi da nessuna parte. Forse non tutti i 64 mila detenuti chiederanno il risarcimento, ma pochi di meno. Il percorso, tuttavia, non è così semplice: il ricorso va infatti presentato prima ai giudici italiani, deve superare tutti i gradi di giudizio e solo allora può approdare alla Corte europea dei diritti dell’uomo. "Il sovraffollamento in carcere non è una novità - dice Francesco Bertè, medico del carcere di Monza - è un problema dell’Italia in particolare e forse anche di alcuni Stati del Terzo mondo, perché in Europa questo problema non c’è. In alcune carceri lombarde hanno messo le persone in qualsiasi posto fosse possibile chiuderle e blindarle per qualche ora. Dopo l’indulto le carceri si erano svuotate del 50%, ora ci sono oltre 64mila persone. Basta pensare che in un carcere come quello di Monza, che potrebbe contenere 400 detenuti, ce ne sono 840. Se non la smetteranno di assumere consulenti che vanno al Ministero della Giustizia e che di carceri non ne capiscono nulla, finché non prenderanno provvedimenti per costruire nuove carceri o ristrutturare quelle che ci sono con cognizione di causa, avremo sempre problemi". Giustizia: Prc; ricorsi alla Cedu, mettiamo a disposizione i legali
Redattore Sociale - Dire, 6 agosto 2009
"Come cittadino e come politico provo sgomento alla notizia che l’Italia è stata condannata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo a risarcire un detenuto bosniaco per i danni subiti a causa del sovraffollamento della cella in cui è stato ristretto per alcuni mesi nel carcere di Rebibbia". Lo dice Giovanni Russo Spena, responsabile nazionale giustizia Prc. Russo Spena osserva che "la superficie a disposizione del detenuto bosniaco (2,7 mq) è stata molto inferiore agli standard stabiliti dal Comitato per la prevenzione della tortura che stabilisce in 7 metri quadri a persona lo spazio minimo sostenibile per una cella. In Italia quasi tutti i detenuti vivono in situazioni disumane simili". Per questo, aggiunge, "il Prc mette a disposizione di tutti i detenuti che vivono in uno spazio al di sotto dello standard di 7 metri quadri a persona i nostri avvocati per ricorrere alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo. Le segnalazioni possono essere indirizzate via mail all’indirizzo: giustizia@rifondazione.it. Rifondazione comunista aderisce inoltre alla campagna di visite in carcere promossa dai Radicali per il 14, 15 e 16 agosto". Giustizia: carceri in crisi? dopo indulto sono mancate riforme di Edoardo Cicchinelli
Agenzia Radicale, 6 agosto 2009
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha condannato l’Italia a risarcire con mille euro un detenuto bosniaco che, tra il 2002 ed il 2003, fu costretto a condividere una cella di appena 16mq con altre cinque persone. La sentenza della corte è datata 16 luglio scorso, ma è stata ripresa solo oggi dal sito del Corriere e dall’Ansa, a corto di notizie. Le carceri italiane tornate ai livelli di prima dell’indulto (luglio 2009). Il 16 luglio scorso la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha parzialmente accolto le richieste dell’ex detenuto Sulejmanovic, che aveva chiesto alla Repubblica Italiana un risarcimento di 4.000 euro per le inaccettabili condizioni della sua detenzione nel carcere romano di Rebibbia. Per alcuni mesi infatti Sulejmanovic aveva condiviso una stanza di circa 16 mq con altre cinque persone: uno spazio di meno di 3mq a persone è stato considerato dalla Corte in contravvenzione non solo alla legislazione internazionale contro le torture, ma più semplicemente in contravvenzione alle stesse leggi italiane. La sentenza non può essere certo accolta con sorpresa. I fatti risalgono al 2002/2003, e l’assoluta condizione di illegalità delle carceri italiane fu ammessa dalle stesse istituzioni, tanto che nel 2006 il Parlamento (con voto tanto trasversale quanto discusso) decise per l’indulto: una specie di "sconto di pena" di 3 anni, non applicabile ai reati più gravi, che fece uscire dalle galere diverse migliaia di detenuti. A fronte di una capienza ufficiale di circa 40.000 posti, nel 2006 infatti si contavano oltre 60.000 detenuti. La logica alla base dell’indulto era chiara. Se si esce dal carcere peggio di come vi si era entrati viene meno l’aspetto "rieducativo" o di "reinserimento" della pena carceraria; il carcere come semplice punizione difficilmente libera la società dalla delinquenza. Ed inoltre, per quanto ciò sia paradossale, lo stato non dovrebbe contravvenire alle regole che esso stesso si dà. All’epoca dei fatti contestati alla Repubblica Italiana nel carcere di Rebibbia, a fronte di una capienza di 1.188 posti, risultavano 1.560 detenuti. Condanna quasi automatica, e la tempistica molto italiana e poco europea: sei anni pieni dalla denuncia presentata dagli avvocati di Sulejmanovic al definitivo pronunciamento dei giudici. La sentenza ha però il merito di riaprire un caso: la situazione delle carceri italiane è tornata pari pari ai livelli di intollerabilità che erano stati alla base dell’indulto. Stessa identica situazione, i posti nelle carceri italiane sono 44.000, i detenuti sono 65.000. Il motivo di questo ritorno indietro è piuttosto semplice. L’indulto doveva essere un provvedimento all’interno di una manovra articolata, svuotamento delle carceri per far fronte ad una emergenza immediata, ma anche depenalizzazione di alcuni reati, percorsi alternativi al carcere e costruzione di nuove strutture detentive. Tutto ciò non è stato fatto. Di nuovo, le carceri italiane non sono messe in condizione di svolgere il loro compito. Anche la polizia penitenziaria lancia gridi di allarme; solo a scorrere i titoli delle notizie pubblicate sul sito del Sappe (Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria) si capisce bene quale sia la situazione: "Criticità Umbria", "Carcere di Lecce: esplode l’emergenza stranieri", "Emergenza carceri. Sappe: non si può resistere ancora a lungo". E ora, con tutta probabilità, si apriranno una marea di contenziosi tra ex-detenuti e stato che graveranno sulle spese dello stato. Giustizia: su gestione delle carceri governo sta sbagliando tutto
Europa, 6 agosto 2009
Una pessima figura per l’Italia, condannata dalla Corte europea per i diritti umani a risarcire un cittadino bosniaco accusato di furto e detenuto per alcuni mesi del 2002 a Rebibbia "per insufficiente spazio in cella". La Corte, rivela l’associazione Antigone, ha accertato che lo spazio in cui l’uomo che ha presentato il ricorso era stato rinchiuso per oltre due mesi e mezzo, all’inizio della detenzione, ospitava sei persone, ognuna delle quali "disponeva di 2,70 metri quadri in media", una superficie "ben inferiore a quella ritenuta auspicabile dal Comitato per la prevenzione della tortura e delle punizioni degradanti, che ha indicato come minimo desiderabile 7 metri quadri per detenuto". Per fortuna non sono stati luglio e agosto, quei due mesi. Per fortuna non erano giornate romane afose e umide come queste nostre: ma avrebbero potuto esserlo. In Italia, dice ancora Antigone, ci sono oggi circa 64mila detenuti, la metà dei quali è in attesa di giudizio. Sono circa 20mila persone in più di quelle che le nostre carceri potrebbero ospitare. Non c’è spazio, qui, per tornare sui motivi per i quali questo giornale a suo tempo sostenne a viso aperto l’impopolare provvedimento di indulto approvato durante il governo Prodi, anche se continuiamo a ritenere, alla luce dei fatti, di non aver avuto torto. Crediamo però di dover dire che questi dati rappresentano una lezione di chiarezza lampante, per un governo la cui politica in materia di lotta alla criminalità (e purtroppo anche di contrasto all’immigrazione) si fonda sulla carcerizzazione e sulla creazione di nuovi reati. Un governo, aggiungiamo, al quale non si può certo riconoscere un forte impegno per la velocizzazione dei processi. E che non solo non ha a disposizione le risorse per mantenere l’impegno, continuamente annunciato, a costruire nuove carceri, che comunque non risolverebbero il problema in tempi brevi. Ma non riesce nemmeno a garantire le risorse necessarie per una dotazione di polizia giudiziaria adeguata a gestire una situazione inevitabilmente esplosiva. Giustizia: il "piano carceri" è fantomatico, non ci sono i soldi! di Luigi Ferrarella
Corriere della Sera, 6 agosto 2009
L’amnesia collettiva sull’illegalità quotidiana delle carceri meglio non avrebbe potuto essere simboleggiata dal clamore a scoppio ritardato della sentenza (ieri alla ribalta dopo essere passata inosservata il 17 luglio) con la quale la Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia a risarcire con mille euro un detenuto bosniaco per il "trattamento inumano e degradante" della sua reclusione nel 2003 a Rebibbia in 2,7 mq. Nell’ultimo anno almeno 7 volte il Governo ha annunciato che "in uno dei prossimi Consigli dei ministri" sarebbe stato varato il piano per le carceri con 55.000 detenuti. Nel frattempo sono diventati 63.587: 20.325 più della "capienza regolamentare" di 43.262, già 11 più della mitologica "capienza tollerabile", e 2.777 più di prima dell’indulto. Ben 30.436 sono ancora senza condanna definitiva, e ogni giorno è "record dal dopoguerra" per la semplice ragione che aumentano di 800-1.000 al mese. Ingiusto sarebbe addebitare al Guardasigilli decenni di ignavia prorogata da 30 amnistie o indulti in 60 anni. Ma la realtà è che, nelle priorità di bilancio dettate dal ministero dell’Economia, non ci sono tempo, personale e soldi per i 17.000 nuovi posti vagheggiati entro il 2012, al costo di 1 miliardo e 590 milioni. Non c’è abbastanza tempo: nel 2012 per una capienza portata a 60.000 posti ci saranno già 90.000 detenuti. Non ci sono abbastanza agenti penitenziari: per aprire nuove carceri bisognerebbe assumerne altri 5.000, e oggi son già sotto organico di 4.000. E non ci sono abbastanza soldi, se il ministero stesso stima che manchino all’appello 980 milioni, e spera di farsi dare due terzi del budget dai privati, confidando nei contatti con Emma Marcegaglia per rispolverare modelli di contrattualistica (permute, project financing, leasing) già falliti nel 2001-2006 per mancanza di candidati. Ma di questo passo, i soldi che non si trovano oggi per le carceri dovranno domani essere per forza trovati dallo Stato per pagare le condanne inflittegli dall’Europa. L’ultimo stadio. Prima che finisca come in California, dove i giudici federali hanno appena dichiarato incostituzionale il sistema sanitario delle prigioni e imposto al governatore Schwarzenegger, in assenza di interventi, la messa in libertà entro 2 anni di 40.000 dei 150.000 detenuti. Giustizia: l’Italia dovrebbe affrontare il discorso sull’amnistia di Lanfranco Palazzolo
La Voce Repubblicana, 6 agosto 2009
In Italia abbiamo sbagliato a concedere l’indulto. Sarebbe stato meglio affrontare un dibattito chiaro sull’amnistia. Lo ha detto il capodelegazione del Pdl al Parlamento Europeo Mario Mauro. Ecco cosa ci ha comunicato l’esponente del Ppe sulla situazione degli istituti di pena in Italia e sulla sua visita nel carcere di Macomer, il prossimo 14 agosto.
Onorevole Mauro, il 14 agosto si recherà nel carcere di Macomer… "Questa non è la prima volta che mi reco in un carcere italiano. La visita nelle carceri è una delle prerogative dei parlamentari, i quali danno voce ai poveri. Mi riferisco a coloro che hanno bisogno della presenza delle istituzioni e della società. Quando visito le carceri italiane penso anche al lavoro del corpo delle guardie carcerarie. Credo che la capacità rieducativa della pena si giochi nei rapporti tra questi uomini e i reclusi. È qui che si dimostra il valore delle istituzioni e della democrazia".
Quali penitenziari ha visitato? "Sono stato più volte nelle carceri lombarde, nel carcere di Bari e in quello di Voghera, tanto per citare qualche istituto di pena che ho visitato".
In quale istituto ha trovato la situazione peggiore? "Nel carcere milanese di San Vittore. Nonostante gli sforzi di tutti, quello di San Vittore resta un carcere troppo vecchio. In quel carcere c’è un oggettivo dislivello tra il numero dei reclusi e la disponibilità dei posti. Questa è la condizione che determina una tale situazione".
Cosa pensa dei provvedimenti che sono stati presi in Italia nel campo della sicurezza? "Personalmente ritengo che l’amministrazione della giustizia in Italia è il tallone d’Achille del sistema-Paese. Se pensiamo alle nostre tradizioni e a quello che c’è scritto nella giurisdizione ci rendiamo conto del cattivo andamento della nostra macchina, la quale è stata giudicata severamente anche dalla Corte di Giustizia Ue. La fatiscenza delle strutture, il soprannumero dei carcerati, l’incapacità del sistema di produrre pene alternative al carcere e l’assenza di strutture di reinserimento si sono accumulati nel tempo. L’Italia ha paura di fare i conti con il proprio passato. Abbiamo votato un indulto per la paura di affrontare i contenuti di una discussione sull’amnistia che avrebbe inevitabilmente avviato un dibattito su quello che è successo nel nostro paese dagli anni 70 in poi".
Cosa le chiedono i detenuti quando si reca in visita nelle carceri italiane? "Il grosso delle richieste riguarda i benefici fruibili da coloro che scontano la pena. Poi ci sono le richieste di coloro che sono in carcerazione preventiva. La polizia penitenziaria deve affrontare la detenzione di coloro che non sanno perché si trovano in carcere". Giustizia: Antigone; creare "liste attesa" per entrare in carcere
Redattore Sociale - Dire, 6 agosto 2009
L’indulto è "un’ipotesi fuori dall’agenda del possibile. Preferirei che oggi si prendessero piccole misure di buonsenso. Ne dico una, adottata negli Stati Uniti: le liste di attesa per i piccoli crimini. Immediatamente evitiamo di buttare in galera gente dove non c’è posto letto". È la proposta lanciata da Patrizio Gonnella, presidente di Antigone, Associazione "per i diritti e le garanzie nel sistema penale", nel corso di un’intervista all’Agenzia Radiofonica Econews sulle carceri. "I detenuti - ricorda Gonnella - sono cresciuti rispetto al periodo pre-indulto. Si prendono provvedimenti contro gli immigrati solo perché si tratta di immigrati, per non aver ottemperato all’obbligo di espulsione, il 38% dei detenuti è costituito da persone che hanno violato la legge sugli stupefacenti, e contemporaneamente non viene commissariato il Comune di Fondi. È una sicurezza per i ricchi e contro i poveri". Giustizia: Udc; situazione è drammatica, misure straordinarie
Il Velino, 6 agosto 2009
"L’allarme lanciato dall’associazione Antigone sul rischio per lo Stato italiano di pagare 64 milioni di euro a causa della condanna di luglio per trattamento inumano derivante da sovraffollamento è davvero preoccupante". Lo sostiene Roberto Rao (Udc), che aggiunge: "La scorsa settimana l’Udc ha richiamato con forza il governo ad assumersi le sue responsabilità con provvedimenti straordinari, perché non basta annunciare il grande piano carceri che ancora non è stato presentato in Consiglio dei ministri e che vedrà la luce solo fra qualche anno nella migliore delle ipotesi. Oggi non c’è nulla di concreto, mentre la situazione all’interno degli istituti è drammatica come i gravi fatti di questi giorni dimostrano: il diffondersi per protesta delle automutilazioni e numerose aggressioni al personale di vigilanza. Una situazione non più sostenibile né per i detenuti né per il personale di sorveglianza e di assistenza". "È necessario - ha aggiunto l’esponente dell’Udc - che da subito si ponga mano sia alla revisione della custodia cautelare e alle norme per accelerare i processi, visto che oltre 30.000 detenuti sono in attesa di giudizio, sia all’utilizzo di strumenti alternativi alla detenzione come il braccialetto elettronico di cui non si sente più parlare, dopo costosissimi esperimenti. Purtroppo il governo sulle carceri non va oltre gli annunci, però deve essere consapevole che dopo la sentenza di oggi il problema non tocca più solo la dignità delle persone, il grado di civiltà di un paese, ma rischia di trasformarsi anche in un pesante danno economico". Giustizia: Pd; le carceri nel disastro, ma dal governo solo parole
Asca, 6 agosto 2009
"Anche la Corte europea dei diritti dell’uomo certifica lo stato di disastroso sovraffollamento delle nostre carceri, condannando l’Italia a risarcire ad un detenuto i danni morali subiti proprio in conseguenza di questa situazione di degrado. Si tratta dell’ennesima attestazione della politica fallimentare del governo, questa volta in tema di carceri". Lo afferma il responsabile Giustizia del Pd, Lanfranco Tenaglia. "Il ministro Alfano - aggiunge l’esponente democratico - per aprile 2009 aveva annunciato, in pompa magna, la presentazione di un piano carceri. Un progetto che, a suo dire, avrebbe risolto il problema del sovraffollamento e dell’edilizia carceraria. Stiamo ancora aspettando. Di quel piano si sono perse le tracce e intanto le carceri italiane stanno scoppiando e il personale di polizia giudiziaria, a cui va la nostra solidarietà, è ridotto ai minimi termini e lavora in condizioni disperate e difficilissime a causa dei tagli del governo". Ad avviso di Tenaglia, in conclusione, "sulla giustizia, così come sulle carceri, la politica del governo è pessima: le uniche cose di cui abbiamo certezza è che i processi dureranno di più e le carceri rischieranno di esplodere". Giustizia: Casellati (Pdl); in due anni creeremo 5mila posti in più
Agi, 6 agosto 2009
"Il governo Berlusconi ha ereditato una situazione drammatica sul fronte carcerario e si è subito messo al lavoro, mettendo a punto un Piano straordinario carceri, che punta a dare risposte concrete, in tempi ragionevoli, al sovraffollamento". È quanto dichiara Elisabetta Casellati, sottosegretario alla Giustizia, che aggiunge: "Nel giro di due anni, saranno garantiti circa 5.000 posti in più, mentre a regime l’aumento della capienza sarà di 17mila unità. E per l’immediato si stanno cercando altre strade, come il varo di accordi con diversi Paesi, per far scontare ai detenuti stranieri le pene nei loro Paesi d’origine. Ovviamente, siamo aperti a proposte e suggerimenti, purché non si torni a parlare dell’indulto, che si è indiscutibilmente rivelato un errore". Giustizia: Carra (Pd); fare nuove carceri? mi vengono brividi
Correre della Sera, 6 agosto 2009
"Queste sono visite che bisogna fare in punta di piedi, senza fare tanto rumore perché si rischia di sfruttare la sofferenza altrui per farsi un po’ di pubblicità gratuita". Enzo Carra (Pd) è uno dei 68 parlamentari nazionali che finora ha dato la disponibilità a visitare un carcere il 14 0 il 15 agosto: "Andrò a Rovereto, farò solo alcune ore di macchina perché sono in vacanza al Nord. Parlerò con i detenuti, con il direttore, con gli agenti. E come gli altri parlamentari sottoporrò ai miei interlocutori un modulo con le domande in modo da dare sistematicità a questa nostra iniziativa".
A un detenuto può far piacere la visita di un deputato il giorno di Ferragosto? "Credo che quando si è in carcere faccia sempre piacere ricevere una visita. Bisogna solo cercare di essere discreti".
Lei, che il carcere lo ha conosciuto per davvero nel 1993, ricevette visite in quei 17 giorni trascorsi a San Vittore. "Sì, vennero i Radicali. C’era Marco Taradash. Devo dire che mi fece piacere".
È vero che il momento più duro è l’inizio, quando ti mettono in cella per la prima volta? "Ti vengono molti pensieri".
Negli ultimi anni l’unica risposta della politica all’emergenza carcere è stata l’indulto. Anche lei si è pentito? "No. E mi dispiace che ora molti colleghi si vergognino di avere votato quel provvedimento insieme alla stragrande maggioranza dei parlamentari. Certo, sarebbe stato meglio votare anche l’amnistia per alleggerire il peso sui magistrati. E poi andava fatto altro perché con il solo salasso non si guarisce il malato".
Il governo sostiene che il problema si risolve costruendo nuove carceri. "Mi vengono i brividi solo a pensarci".
Quindi, quale è la soluzione? "Bisognerebbe smetterla di scrivere leggi che introducono nuovi reati nel codice". Giustizia: Osapp; "numeri ufficiali" su presenze non sono reali
Il Velino, 6 agosto 2009
"Siamo molto contenti e soddisfatti della sentenza di Strasburgo anche perché se è questo il modo di sollecitare l’amministrazione, e il ministro della Giustizia, che non c’è, sugli effetti del sovraffollamento vuol dire proprio che siamo all’ultimo stadio". Così commenta Leo Beneduci, segretario generale del sindacato Osapp, la sentenza della Corte di Strasburgo che ha condannato lo Stato a risarcire un detenuto bosniaco per i danni morali a causa delle condizioni di detenzione subite nel carcere di Rebibbia, durante la sua detenzione. "I problemi - attacca - però sono ben altri e i numeri che ha dato il Dap, le 63.587 presenze ufficiali nei penitenziari, non sono reali: prevediamo e temiamo infatti che alla fine della pausa estiva ci sia un’impennata dell’afflusso dovuto alla ripresa delle udienza penali e dell’attività giudiziaria". "Siamo contenti della condanna anche perché siamo al corrente di ricorsi presentati da appartenenti delle forze di polizia penitenziaria e sottoposti alla Corte di giustizia europea. Se valgono le stesse ragioni che hanno giustificato il risarcimento al detenuto, allo stesso modo anche per gli agenti devono essere addotte le stesse motivazioni". "Oramai il poliziotto penitenziario - ha aggiunto - è trattato allo stesso modo del detenuto, subisce gli stessi effetti del recluso, vivendo a stretto contatto con chi è tenuto a scontare la pena subisce le sue stesse condizioni di vita, viene aggredito, viene privato degli affetti familiari come se anche lui fosse un ospite delle patrie galere. Peccato però che il Dap si preoccupi dei danni legati alle richieste di risarcimento, come nel caso dei pericolosissimi fornellini a gas (come per gli ultimi episodi a Lucca denunciati oggi dall’Osapp) per i quali viene richiesta un liberatoria al momento dell’acquisto, e non si preoccupi delle cause che rendono quei risarcimenti legittimi ed esigibili. Peccato che, inoltre, l’amministrazione non commenti la sentenza e si limiti, con quale coraggio, a definire la condizione del bosniaco più che accettabile". "Tra l’altro - conclude - mentre Ionta sembra essere notevolmente preoccupato non altrettanto risultano esserlo i ben remunerati provveditori regionali, che nella riunione tenuta ieri al dipartimento hanno rassicurato i vertici dell’amministrazione, non si sa su quali basi viste le crescenti aggressioni subite dal personale di polizia, che la situazione è pienamente sotto controllo". Giustizia: Osapp; ministro assente, dovrebbe dare risarcimento
Agi, 6 agosto 2009
"Dovremmo chiedere il risarcimento ad un ministro della Giustizia praticamente assente, che ieri non è praticamente intervenuto nella questione penitenziaria". A sottolinearlo è Leo Beneduci, segretario generale dell’Osapp, che torna sulla polemica scoppiata dopo la sentenza della Corte di Strasburgo che ha condannato l’Italia a risarcire un detenuto per le condizioni vissute in carcere. Il Guardasigilli, delle patrie galere quand’è che se ne occupa - si chiede il sindacalista - con le prerogative e le competenze che solo il ministro della Giustizia ha e non altri? Perché per le assunzioni, il potenziamento, la rivalutazione del ruolo e delle funzioni per la Polizia Penitenziaria chi le deve, ovvero le dovrebbe, disporre? Ionta o Alfano?", così come "dell’assegnazione dei fondi necessari per il funzionamento del sistema penitenziario, per il personale come per i servizi", nonché delle "misure deflattive riguardo al sovraffollamento" e di "una riforma del codice penale che tenga presente l’evoluzione della società e l’esigenza che il carcere sia destinato ai reati di maggiore allarme o pericolosità". Giustizia: Ugl; Strasburgo conferma l’allarme urge una riforma
Asca, 6 agosto 2009
"La condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti dell’uomo, che ha stabilito un risarcimento di mille euro ad un detenuto bosniaco per i danni morali provocati dal sovraffollamento del carcere romano di Rebibbia, conferma le preoccupazioni che l’Ugl Polizia Penitenziaria esprime da tempo". Lo dichiara il segretario nazionale Ugl Polizia Penitenziaria Giuseppe Moretti. "La condizione di sovraffollamento - evidenzia Moretti - aumenta il rischio di malattie, di stress e di aggressioni tra i detenuti e contro il personale che opera nelle sezioni detentive, violando le norme sanitarie sugli istituti penitenziari. Attualmente, infatti, i parametri imposti dal Ministero della Salute prevedono 9 mq per una cella singola e 5 mq in più per ogni altra persona ubicata nello stesso ambiente, mentre il Comitato Europeo per la prevenzione della tortura e delle pene prevede 7 mq in celle singole e 4 mq in celle collettive. Di fatto, invece, in una cella singola spesso si arriva a collocare anche quattro brande a castello, ignorando non solo le norme igienico-sanitarie, ma anche il rispetto della dignità sia della popolazione detenuta che del personale di Polizia Penitenziaria". "Alla luce di tutto ciò - continua il sindacalista - continuiamo a chiedere una riforma urgente del sistema penitenziario italiano. In particolare, da tempo l’Ugl sostiene la necessità di riaprire il confronto sul "piano carceri" e di ricorrere alla nazionalizzazione della detenzione, ovvero a modifiche dell’attuale norma che prevede la possibilità di espiazione della pena nelle nazioni di provenienza, superando il vincolo della volontà del condannato e anche ipotizzando un indennizzo a quei paesi che accolgono soggetti della propria nazionalità in attesa di giudizio. Inoltre, come è previsto per i soggetti sottoposti al regime dell’articolo 41 bis, si potrebbe introdurre nei processi la tecnologia delle video conferenze, con un risparmio di risorse umane ed economiche". "Siamo convinti che questi provvedimenti - conclude Moretti - insieme al ricorso a misure alternative alla detenzione previo aumento dei controlli da assegnare alla Polizia Penitenziaria, ad una riduzione progressiva delle carcerazioni brevi, all’annullamento delle traduzioni per le convalide e all’impiego del personale nel controllo di tutta l’esecuzione penale, potrebbero costituire l’avvio di una grande riforma che rilanci le funzioni dell’amministrazione penitenziaria nella lotta alla criminalità, contribuendo a mantenere inalterata la certezza della pena e la piena esecuzione dei dettati costituzionali in materia di recupero del detenuto". Giustizia: il "regolamento" sulle ronde sarà esecutivo da sabato di Alberto Custodero
La Repubblica, 6 luglio 2009
Certificato di "buona salute mentale" per i rondisti. Spariranno le ronde leghiste ("camicie verdi" e "guardia nazionale padana"), e quelle "nere" ("guardia nazionale italiana"). Sono queste le due novità del regolamento attuativo della legge sui volontari della sicurezza che il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, renderà esecutivo l’8 agosto. Oltre ai punti già noti (le associazioni dovranno essere senza fini di lucro, non potranno avere finanziamenti, sono vietate uniformi, i volontari dovranno girare con pettorine di riconoscimento), il decreto prevede che gli "osservatori volontari" presentino un "certificato medico dell’Asl di buona salute fisica e mentale". E che le associazioni non "siano espressione di partiti o movimenti politici, né di organizzazioni sindacali, né essere in alcun modo riconducibili a questi". Non è chiarito, tuttavia, come l’aspirante rondista possa procurarsi il certificato di "buona salute mentale". "Per una valutazione di questo tipo - spiega Luigi Ferranini, segretario nazionale della Sip, la Società italiana psichiatria - ci vuole una visita specialistica dallo psichiatra. Dovranno essere fissati dei protocolli nazionali. Va chiarito se l’aspirante rondista vuole mettersi al servizio delle persone, oppure se è spinto da motivazioni individuali o ideologiche". Spariranno le ronde politicizzate, fra queste "camicie verdi" e Gnp: un autogol per la Lega Nord, questo, messo a segno proprio dal ministro dell’Interno leghista, Maroni? Replica l’europarlamentare "camicia verde" Mario Borghezio. "I leghisti - spiega - potranno iscriversi alle associazioni, ma lo faranno a titolo personale. La perdita delle "camicie verdi" è compensata dalla soddisfazione che sulle ronde si sia infranto un tabù: quando le abbiamo iniziate noi, erano considerate "eversive". Oggi hanno la connotazione degli scout". Non tutti, nel centrodestra, sono favorevoli alle ronde. Contrario il sindaco di Roma, Gianni Alemanno. In un’intervista al Secolo d’Italia, ha detto: "Non ci piacciono e non le faremo". S’è detto disposto, però, una volta esecutivo il decreto, "a valutare insieme alle associazioni del centro storico la fattibilità di una collaborazione che valorizzi le varie esperienze sul territorio". Ma non tutti, all’opposizione, sono contrari. L’europarlamentare Debora Serracchiani ha attaccato il sindaco di Genova Marta Vincenzi, che - contro la linea del Pd, contraria alle ronde - ha definito "molto belle" le associazioni dei "volontari della sicurezza". "Sarebbe interessante conoscere l’opinione del senatore Marino - ha dichiarato Serracchiani - dopo che la sua principale sponsor, il sindaco Vincenzi, appare entusiasta dell’iniziativa del ministro Maroni". Il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha precisato che "non ci sarà contrasto con le pattuglie dei militari nelle città". Per Enzo Letizia, segretario dei funzionari di Polizia, "la mancanza della sanzione nella legge in caso di "volontari" non autorizzati consente a chiunque di farsi ronde da sé, anche armate, senza rischiare nulla". Lettere: Ordine degli assistenti sociali, a ministro della Giustizia
Comunicato stampa, 6 luglio 2009
Il Presidente dell’Ordine Nazionale Assistenti Sociali scrive al Ministro Alfano sulla grave situazione degli Uepe e degli Ussm. Onorevole Ministro, da più parti e da più sedi arrivano al Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali segnali di grande difficoltà e disagio che attraversa tutto il sistema della Giustizia, ma vissuti in maniera particolare dal servizio sociale, sia della Giustizia minorile, che del Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Una attenta valutazione della situazione attuale ci induce ad esprimere una forte preoccupazione per il futuro del servizio sociale del sistema penale, a fronte di una realtà in cui non appare chiaro quale sia l’orientamento rispetto al ruolo e alle funzioni svolte dagli assistenti sociali della Giustizia, paventandosi addirittura una loro completa delegittimazione. È in tale quadro che vanno valutati anche i tagli alla spesa che, resisi in parte necessari per la crisi finanziaria in atto, stanno tuttavia mettendo in pericolo la persistenza stessa di qualsiasi forma d’intervento di protezione e di reinserimento sociale, sia nei confronti dei minori del circuito penale, che degli adulti del sistema penitenziario. Ciò che appare è che i tagli operati hanno avuto immediata e negativa conseguenza in particolare sui servizi periferici e territoriali della Giustizia, destinati all’operatività diretta nei confronti dei beneficiari degli interventi sociali. Molto meno sui livelli intermedi e centrali. La drastica riduzione di risorse finanziarie, umane e strumentali si traduce, per i servizi territoriali, nella crescente difficoltà, se non in una vera e propria impossibilità, ad assolvere al proprio mandato istituzionale in quanto la possibilità di operare, nelle varie realtà locali, è ridotta ormai a livelli non più rispondenti nemmeno alle minime esigenze di funzionalità dei servizi. Tale condizione di emergenza, se in generale crea di fatto una pericolosa immobilità dell’intero sistema Giustizia, nel caso specifico del Servizio Sociale, chiamato ad intervenire sul possibile recupero dei minori e sulla riabilitazione e reinserimento sociale degli adulti, significa anche perdita di senso del lavoro e della stessa rispondenza costituzionale degli Ussm e degli Uepe. La realtà organizzativa e le pratiche professionali del servizio sociale della Giustizia, così come concretizzatesi e sviluppatesi nel corso di questi ultimi decenni, consentono di affermare che gli Uepe e gli Ussm sono oggi diffusamente presenti nei territori, dove hanno attivato un’attività volta alla sottoscrizione di accordi e intese con gli Enti locali, dove operano in stretta collaborazione e coordinamento con gli attori istituzionali e non, e con le altre agenzie che si occupano della sicurezza dei territori di vita dei cittadini. Siedono ai tavoli tecnici che elaborano i Piani di Zona, vengono chiamati a far parte dei tavoli promossi dalle Prefetture per le questioni inerenti la sicurezza, hanno costanti rapporti di collaborazione con le agenzie della società civile (volontariato, cooperazione sociale, privato no profit) per la costruzione di reti operative che prevedano opportunità d’integrazione e responsabilizzazione attraverso percorsi formativi, lavorativi e di promozione sociale. Tale politica di intervento trova il proprio fondamento nell’opinione che sia necessario inserire la Politica criminale nel più generale ambito della Politica sociale programmata, nel convincimento che l’andamento della criminalità dipende molto più dall’andamento dei problemi sociali, che non da repressive politiche penali. Al riguardo, è stato da più parti evidenziato che la mancanza, o l’insufficienza, di politiche e interventi nel campo sociale si traducono in un aumento del livello di penalità. Questo Consiglio Nazionale dell’Ordine degli Assistenti Sociali non crede possibile che si voglia e si possa accettare la vanificazione di tale patrimonio di competenze e di buone pratiche professionali che hanno consentito al servizio sociale della Giustizia, minori e adulti, di arrivare a costituire il perno di un processo di territorializzazione dell’esecuzione penale e di tutela dei principi di inclusione e giustizia sociale, né che si intenda annullare un processo di crescita culturale, che ha interessato il nostro paese e l’Europa negli ultimi decenni, il cui punto cardine vede la pena anche come opportunità di riabilitazione e non solo come espiazione e che, in particolare per i minori, richiama la responsabilità educativa, e non solo punitiva, dello Stato. Credendo fermamente in tali principi e nella possibilità che gli assistenti sociali inseriti nel sistema della Giustizia nel partecipare al reinserimento sociale di quanti, minori e adulti, hanno messo in atto comportamenti penalmente rilevanti, contribuiscano anche ad una maggiore sicurezza sociale e, in termini più ampi, alla sicurezza di tutti i cittadini, si chiede di invertire la logica dei tagli, capovolgendo la piramide e ottimizzando le risorse, in modo da assicurare non soltanto maggiore funzionalità ai servizi operativi. Ci rendiamo conto delle difficoltà del momento, ma è nostra convinzione che tali difficoltà si possano meglio affrontare mantenendo un approccio che consideri le politiche penali come congiunte con le politiche sociali. È in questa ottica che crediamo importante l’apporto del servizio sociale per individuare strategie e azioni che possano consentire di superare l’attuale momento di crisi. È, quindi, con spirito di collaborazione, che richiediamo un urgente confronto con Lei su questi temi di grande rilevanza per il servizio sociale della Giustizia. Confidando nell’accoglimento della richiesta di incontro, le porgiamo distinti saluti.
Ordine Nazionale Assistenti Sociali La Presidente, Lombardia: Pd; l'emergenza si combatte con più risorse umane
Adnkronos, 6 agosto 2009
"Questa mattina abbiamo toccato con mano e misurato concretamente l’emergenza delle carceri lombarde". Così Carlo Porcari, capogruppo Pd in Consiglio regionale lombardo, ha commentato la visita a San Vittore effettuata insieme alla deputata Pd Alessia Mosca per fare il punto sulla situazione carceraria, sulle condizioni di vita dei detenuti e sulle condizioni di lavoro delle guardie. Sovraffollamento, strutture inadeguate a contenere un così alto numero di persone e mancanza di piani puntuali di ristrutturazione edilizia sono risultate le maggiori criticità. "Si opera troppo spesso in emergenza, nei prossimi giorni verranno trasferiti 250 detenuti a causa del sovraffollamento, perché occorre ridurre la pressione su San Vittore. La Regione deve fare la sua parte per favorire percorsi di riabilitazione alternativi al carcere, ad esempio per quei detenuti che hanno compiuto reati legati alla tossicodipendenza, eppure in Lombardia sono insufficienti anche i centri per curare la tossicodipendenza e quelli che ci sono, sono saturi". Umbria: Fp-Cgil; rischi tenuta sistema penitenziario regionale
Ansa, 6 luglio 2009
"Egregio Presidente, questa organizzazione sindacale più volte è intervenuta per evidenziare a codesto Dipartimento i rischi che - tra gli altri - incombevano sulla tenuta complessiva del sistema penitenziario umbro e, in particolare, l’impatto che si andava a determinare sull’organizzazione del lavoro e i diritti del personale di Polizia Penitenziaria con la paventata, irrazionale decisione di aprire nel corso della stagione estiva le sezioni di Perugia "Capanne" e Spoleto". È quanto si legge nella lettera che Francesco Quinti, Coordinatore Nazionale Fp-Cgil polizia penitenziaria ha indirizzato a Franco Ionta Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. "Le conseguenze, peraltro facilmente prevedibili - si legge ancora nella missiva - stanno ora manifestandosi in tutta la loro criticità e gravità, con gravissime ripercussioni sul sistema penitenziario umbro e, soprattutto, sull’esiguo personale di Polizia Penitenziaria in servizio, di fatto - e in larghissima misura - costretto a rinunciare in maniera inaccettabile per questa organizzazione sindacale al diritto a fruire delle ferie estive, ai riposi settimanali e a tutte le altre prerogative previste dalle vigenti norme contrattuali in ragione dell’aumento esponenziale dei carichi di lavoro individuali, anche straordinari, determinato sia dall’aumento di circa 500 detenuti sia dall’insufficienza delle risorse umane necessarie, comprese quelle limitate nel numero colà recentemente inviate in missione". Fatta questa premessa Quinti chiede al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria "l’invio immediato di almeno 100 unità di Polizia Penitenziaria in quelle sedi, reperendole - come già per i provvedimenti assunti di recente - in parte dalle istanze fatte pervenire dal personale interessato su base volontaria se del caso anche riaprendo i termini di un interpello straordinario, in altra da tutte le strutture e servizi centrali di codesta Amministrazione, di certo numericamente in grado di contribuire all’esigenza straordinaria testé descritta". La Fp-Cgil chiede infine che il tema in questione e più in generale quello che attiene alle relazioni sindacali tra le parti venga affrontato in un apposito confronto da tenersi al Dap. Milano: Pd; nel carcere di San Vittore situazione è intollerabile
Agi, 6 agosto 2009
A poche ore dalla diffusione della notizia della condanna inflitta dalla Corte per i diritti dell’uomo di Strasburgo all’Italia, il Pd torna a battere sul problema del sovraffollamento nelle carceri. Questa mattina, infatti, la deputata Alessia Mosca, il capogruppo del partito al consiglio regionale lombardo, Carlo Porcari, e il segretario regionale, Maurizio Martina, hanno anticipato la visita che un gruppo di parlamentari europei, nazionali e regionali faranno negli istituti di detenzione a Ferragosto, andando a verificare le condizioni del carcere milanese di San Vittore. A riportare le prime impressioni in una conferenza stampa che ha seguito la visita, è stata Alessia Mosca che ha parlato di "situazione intollerabile" assicurando di non aver visto "neanche una cella in cui siano rispettati gli standard europei". Il tema è ovviamente quello del sovraffollamento, ma non solo: gli esponenti del Pd hanno provato ad analizzare il problema da più punti di vista individuando nell’insufficienza di personale un altro grave deficit che grava sulla qualità della vita e sulla sicurezza dei detenuti. "Abbiamo visitato un reparto al terzo piano di San Vittore: ci sono 132 detenuti e una sola guardia che fa un turno da otto ore; durante la notte c’è una guardia per due piani". Si parla di "deficit nella pianta organica", per quanto riguarda gli agenti penitenziari, appunto, ma col dito puntato anche verso gli educatori: "ce ne sono soltanto 6 per 1450 detenuti - ha chiarito Mosca - C’è un sottodimensionamento da tutti i punti di vista". E non dimenticando che un carcere è sì un luogo destinato ad accogliere chi deve scontare una pena, ma che pure dovrebbe prevedere una rieducazione dei condannati, con queste basse cifre di personale specializzato la conclusione è presto tratta: "finisce che ci sono persone - ha ragionato la deputata - che entrano per un furto ed escono capaci di un omicidio". La preoccupazione, del resto, non si ferma allo stato presente, ma guarda al futuro e "al reato di clandestinità che, seppure prevedere l’espulsione, per un periodo iniziale obbliga comunque ad un passaggio nelle carceri locali. Come faranno, allora, queste strutture a sopportare questa nuova ondata?". "Si dice che non dobbiamo fare alberghi a cinque stelle - le ha fatto eco Carlo Porcari - ma qui non siamo neanche a mezza stella. Abbiamo inoltre delle strutture, come Bergamo e Bollate, inutilizzate o sottoutilizzate per mancanza di personale. Per le guardie c’è anche il problema dello stipendio: guadagnano circa 1.300 euro al mese, spesso non riescono a permettersi un affitto e a Bollate dormono addirittura nelle celle". Porcari ha anche una riflessione sull’indulto, da apprezzare, secondo lui, non soltanto perché ha attenuato il problema del sovraffollamento, ma anche perché è servito da "deterrente per molti: soltanto una bassissima parte di quelli che sono usciti sono pietrata come recidivi, dovendo così scontare anche la pena che era stata loro cancellata". A guardare al fenomeno da un punto di vista delle soluzioni (tra le quali rientrano anche maggiori risorse per guardie e personale specializzato nella rieducazione), è stato Maurizio Martina: ha definito "suggestioni fantasiose" le ipotesi di coinvolgere il privato nell’edilizia carceraria e invitato a ripensare ad una piano che "programmi nel tempo una seria politica infrastrutturale". Un ultimo affondo è per il presidente della Regione, Roberto Formigoni: "non lo si è mai visto entrare in un carcere - ha detto Porcari -. È un presidente a cui piace mettersi in mostra quando ci sono cose positive da vendere, ma che non si occupa delle persone". A lui, il Pd chiede di "organizzare la sanità nelle carceri" e aumentare le risorse "per le comunità di recupero, in modo che i tossicodipendenti possano uscire dagli istituti di detenzione ed essere accolti lì". Frosinone: Uil; una delle realtà peggiori di sistema penitenziario
Adnkronos, 6 luglio 2009
"Gli spazi verdi e le aiuole sono invase da sterpaglie ed erbacce incolte che ben si coniugano con la desolante visione di pennoni senza bandiere". È un quadro desolante, fin dalle sue prime battute, quello descritto Eugenio Sarno, il segretario generale della Uil Pa Penitenziari, nella lettera inviata, tra gli altri, al capo del Dap, Franco Ionta, dopo aver effettuato una visita nella Casa circondariale di Frosinone. Se l’aspetto esterno della struttura, secondo la descrizione di Sarno, evoca squallore e abbandono, l’interno non è da meno. "Le aree destinate alla ricreazione e alla socializzazione del personale - scrive Sarno - sono semplicemente spazi inarredati e privi di qualsiasi comfort. La sala convegno, o quella che dovrebbe essere la sala convegno, non è altro che un atrio collocato di fronte al bancone del bar. Non c’è una tv, non c’è un tavolo, non c’è una sedia". Il sindacalista prosegue nel suo racconto: "Approssimandosi agli uffici della Direzione, il visitatore realizza con quale triste e sporca realtà avrà a che fare. Il passamano e le rare suppellettili sono ricoperte da uno strato di polvere utile a datare l’anno di costruzione dell’edificio. Le scale sono sudice ed è possibile apprezzare una gran moltitudine di ragnatele. "Lo stesso ufficio del direttore - continua il racconto - sarà ricordato per il permeante e cattivo odore di tabacco e fumo che sconsiglia una sosta superiore ai canonici trenta secondi utili per un formale e dovuto saluto. Purtroppo questo non è solo che l’inizio del viaggio in una delle realtà penitenziarie più brutte e sporche che lo scrivente abbia visitato nella sua, oramai, ventennale attività sindacale", scrive Sarno. Il racconto prosegue con la descrizione della sala conferenza destinata ai briefing quotidiani, che "è ricavata in un ambiente la cui destinazione d’uso al massimo potrebbe essere un garage o un deposito materiale. Umida, indecorosa ed inadatta ad ospitare conferenze anche per la mancanza di sedie e tavolo che possa definirsi tali". Poi, "l’accesso ai padiglioni detentivi avviene mediante l’attraversamento di un percorso pedonale e il passaggio di una portineria che consente l’ingresso alle varie sezioni. Da segnalare - scrive Sarno nella sua lettera - che proprio nelle imminenze di tale portineria è stata ricavata l’area di sosta e concentramento dei rifiuti. Una scelta alquanto discutibile considerato l’elevato transito di persone che debbono giocoforza e malvolentieri sottoporsi al supplizio di inalare gli inevitabili fetori provenienti dai sacchetti di raccolta". "A Frosinone - ricorda il sindacalista - sono attive dodici sezioni detentive e una sezione destinata alla semilibertà. Alle ore 11 odierne erano presenti in istituto 482 detenuti, su una ricettività pari a circa 250, di cui circa 100 sono classificati AS3 (Alta Sicurezza livello 3), 50 classificati come categorie protette (sex offender, ecc.) e 5 classificati collaboratori di giustizia di prima fascia". Per il sindacalista, "tutte le sezioni presentano standard di salubrità quantomeno discutibili. Gli ambienti appaiono scarsamente manutenzionati; molte aree sono pervase da muffe; tutte le celle ideate e progettate per ospitare un solo detenuto ne ospitano due; nelle sezioni (A-B) che hanno camere progettate per tre posti trovano invece ospitalità dai cinque ai sei detenuti". "Per quanto attiene al contingente di polizia penitenziaria - sottolinea Sarno - si segnala che a fronte di un organico decretato pari a 260 unità , si riscontra una presenza pari a 230, di cui 18 unità impiegate al Ntp. A tali unità vanno ulteriormente detratte 19 unità per distacchi ‘out’ e 8 unità per convalescenza di lungo corso. I distaccati ‘in’ ammontano a 5. di cui uno destinato alla Procura della Repubblica. Delle 11 unità per cui il Dap aveva disposto l’invio in missione ne sono materialmente arrivate solo tre". Per il segretario della Uil Pa Penitenziari, "dalla grave e deficitaria situazione organica scaturisce anche un quadro di contrizioni dei diritti elementari e fondamentali quali il godimento di riposi e ferie. Alla data del 1 agosto sono ben 192 i riposi non goduti, mentre ammontano a ben 12.181 le giornate di ferie non fruite al tutto il 31 dicembre 2008". "Per quanto sopra descritto, riaffermando un giudizio molto più che negativo sulle condizioni strutturali, gestionali, amministrative ed operative della Casa circondariale di Frosinone" conclude Sarno nella sua lettera, la Uil Pa Penitenziari rimette ai destinatari, "ogni valutazione circa la possibilità di disporre in via ispettiva l’accertamento di eventualità responsabilità circa lo stato di abbandono, degrado e incuria in cui versa la Casa circondariale di Frosinone". Infine, Sarno chiede "di voler disporre ogni utile e possibile azione tendente al ripristino dell’operatività del personale nell’ambito del quadro di garanzie normative allo stato gravemente compromesso". Milano: 200 detenuti andranno al lavoro nei cantieri dell’Expo?
Ansa, 6 luglio 2009
Il progetto è molto ambizioso - e forse foriero di polemiche - perché mira a collocare anche 200 detenuti-lavoratori nei cantieri dell’Expo 2015. L’idea è venuta al provveditore regionale della carceri in Lombardia, Luigi Pagano, ex direttore di San Vittore, che insieme al Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria) ha dato il via a febbraio 2009 alla prima Agenzia regionale per il lavoro penitenziario. Per ora - in attesa di una risposta per i cantieri dell’Expo nei quali impiegare i detenuti in lavoro esterno come muratori, carpentieri, saldatori, etc. - l’agenzia regionale ha potuto collocare temporaneamente una quarantina di carcerati nelle aziende pubbliche che si occupano di raccolta di rifiuti urbani e nelle cooperative settore del risanamento ambientale: "L’ambizioso progetto dell’agenzia regionale - scrive il Dap nel suo piano - nasce dall’esigenza di disporre di un flusso continuativo di informazioni relative al bacino di detenuti lavoratori potenzialmente occupabili presenti presso gli istituti penitenziari così da fare convergere domanda e offerta, creando nuove opportunità occupazionali". Al Dap - dove sono in cantiere altre agenzie regionali per il lavoro dei detenuti - sanno bene che le carceri lombarde sono le più ambite per i reclusi definitivi che intendono lavorare: al Nord, nel triangolo industriale, maggior sono le occasioni di un impiego anche stagionale rispetto alle regioni meridionali nelle quali questo tipo di meccanismo sembra difficile da realizzare. Va ricordato, tuttavia, che i detenuti avviati a lavoro vengono inquadrati senza contratti tradizionali altrimenti si scatenerebbe una sorta di guerra "tra poveri". Ma è pur vero - confermano al Dap - che in molte regioni del Nord alcuni lavori stagionali (pulizia dei parchi, piccola manutenzione urbana, sistemazione aree delle archeologiche) sono disponibili anche per chi passa la notte dietro le sbarre. Varrà lo stessa disponibilità anche per i cantieri dell’Expo? Il Dap, diretto dal ex procuratore Franco Ionta, anche quest’anno ha messo a punto un "progetto di recupero del patrimonio ambientale e per lavori di pubblica utilità" studiato per funzionare su scala nazionale. Il piano - coordinato dal vice capo dipartimento Emilio Di Somma, dal direttore generale del trattamento e dei detenuti, Sebastiano Ardita, e affidato all’ispettore Enzo Lo Cascio - prevede un ampio spettro di iniziative: solo per fare qualche esempio, il recupero ambientale dell’isola dell’Asinara (Casa Circondariale di Sassari), la manutenzione urbana di Ortigia (Casa Circondariale di Siracusa), la pulizia della caditoie stradali (Casa di Reclusione di Fossombrone), il progetto per il recupero dei giardini pubblici di Mantova. Lucca: emergenza carcere? soluzione è nelle misure alternative
La Nazione, 6 luglio 2009
La protesta dei detenuti del carcere di San Giorgio contro il sovraffollamento, il caldo torrido e le scarse condizioni igieniche della Casa Circondariale lucchese continua a far discutere. Ad intervenire è Silvana Giambastiani, presidente del Gruppo volontari carcere, realtà che da anni accoglie i detenuti nella Casa San Francesco, contribuendo al loro reinserimento sociale, oltre a visitarli all’interno della struttura penitenziaria. "Le carenze delle strutture carcerarie e la carenza degli operatori e del personale addetto al carcere non è certo un problema nuovo - commenta la Giambastiani -. Ma la sola risposta "facciamo nuovi carceri" appare semplicistica e fuorviante. La migrazione dei popoli, fenomeno nuovo per le dimensioni assunte nel terzo millennio, rende vecchie le logiche reclusive del passato. La sicurezza si costruisce in primo luogo all’esterno del carcere, nella società civile attraverso la legalità, la solidarietà e il senso civico diffuso". Dopo aver elencato i diversi provvedimenti normativi "svuota carcere", come l’indulto, il presidente dell’associazione ribadisce che "la situazione di protesta degli internati in carcere è condivisibile e legittima. Sono poi i detenuti stessi che protestando (astenendosi dal cibo e rumoreggiando contro le sbarre a determinate ore) garantiscono un’azione controllata e pacifica" e chiede di non far scendere "i riflettori sul mondo del carcere, ma cogliamo l’occasione di questo grido elevato dai detenuti con la protesta per aprire una interlocuzione stabile con il carcere lucchese e con una realtà di operatori che quotidianamente si spendono nel carcere". L’assessore provinciale alle politiche sociali, Mario Regoli, ribadisce invece che questa protesta "pacifica e civile vuol mettere in evidenza anche come, a causa della legge Cirielli, si sia venuta a creare una situazione pressoché insostenibile non solo a Lucca, ma nei carceri di tutta Italia. Una legge che da una parte depenalizza i reati dei cosiddetti "colletti bianchi" e, dall’altra, stringe le maglie nei confronti dei detenuti di fascia bassa. Diminuendo o annullando la possibilità di accedere a permessi speciali per chi ha una recidiva, di fatto si ha l’annullamento di molti programmi che offrono la possibilità di creare un percorso formativo dei carcerati, importante anche per quando avranno terminato di scontare la loro pena e dovranno reinserirsi nella società. La Provincia di Lucca, qualche mese fa, si è fatta promotrice di un protocollo di intesa tra enti, associazioni e mondo dell’imprenditoria proprio per offrire ai detenuti una prospettiva diversa, che permetta loro di uscire dal carcere senza finire nuovamente nel mondo della delinquenza comune". Intanto il consigliere regionale Maurizio Dinelli ha visitato il carcere. "Ho avuto modo - dichiara Dinelli - di parlare con la direttrice e con alcuni rappresentanti del personale di polizia penitenziaria che hanno dimostrato grande professionalità e sensibilità umana nel gestire la protesta dei detenuti. Una protesta relativa al sovraffollamento del carcere che, per ora, viene condotta con metodi pacifici al solo scopo di attirare l’attenzione sulle condizioni in cui vivono i detenuti. Il problema della emergenza penitenziaria - continua Dinelli - riguarda tutto il paese e non può, purtroppo, essere risolta in tempi brevi, mi impegnerò comunque a sensibilizzare il ministero sulla difficile situazione del penitenziario di S. Giorgio". Udine: interrogazione su sovraffollamento e il taglio alle risorse
Agi, 6 luglio 2009
Un’interrogazione al ministro della Giustizia sulla "cronica e così delicata situazione degli istituti penitenziari, dovuta al sovraffollamento e alla carenza di personale", è stata annunciata dal deputato friulano dell’Udc, Angelo Compagnon. Compagnon, che ha visitato la Casa Circondariale di Udine, alla presenza del direttore Francesco Macrì, ha evidenziato come "i tagli alle risorse effettuati dal Governo, stiano creando considerevoli difficoltà di gestione ed efficienza amministrative". Ad oggi nella struttura friulana sono detenuti 218 uomini (87 italiani e 131 stranieri) a fronte di una capienza massima di gran lunga inferiore alle 200 unità. L’aumento della popolazione carceraria - ha notato Compagnon - è inversamente proporzionale alla presenza del personale di polizia penitenziaria, rappresentato a Udine da venti unità in meno rispetto a quelle previste (-15). Roma: a Ferragosto i 20 detenuti - spazzini ripuliranno la città
Redattore Sociale - Dire, 6 luglio 2009
Venti detenuti di Rebibbia, per un giorno, a Ferragosto diventeranno operatori ecologici ottenendo un rimborso netto di 7,5 euro l’ora. Il progetto di recupero del Patrimonio ambientale per favorire il reinserimento socio-lavorativo dei detenuti, promosso dal Dap e a cui il comune di Roma e Ama aderiscono per la prima volta, prevede una fase di formazione della durata di quattro ore che sarà svolta da personale qualificato Ama nella casa di reclusione di Rebibbia. Dopo il corso di formazione i 20 detenuti, divisi in due gruppi, saranno impegnati dalle 8 alle 11 del giorno di ferragosto nella polizia dei giardini di via Val Padana, in IV Municipio, e nell’area di fronte alla stazione Metro B di Santa Maria del Soccorso, in V Municipio. Insieme ai detenuti ci saranno anche operatori del comune di Roma e tecnici Ama che forniranno supporto organizzativo e anche attrezzature e i mezzi per la raccolta e la rimozione del materiale. Il servizio di vigilanza e controllo sarà garantito dal Gruppo operativo mobile della Polizia penitenziaria. I detenuti, che prenderanno parte al progetto, tutti su base volontaria, usufruiranno dei benefici previsti dalla legge penitenziaria quali il permesso premio o il lavoro all’esterno. Ama infine provvederà alla copertura assicurativa e previdenziale dei detenuti. Il protocollo d’intesa è stato firmato dal sindaco di Roma Gianni Alemanno, dal capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) Franco Ionta, dall’amministratore delegato dell’Ama Franco Panzironi, dal presidente dell’Ama Marco Daniele Clark e dal responsabile della Direzione generale dei Detenuti e del Trattamento Sebastiano Ardita. Alemanno, nell’incontro per la firma del protocollo ha detto: "Bisogna rendere più efficiente il sistema carcerario perché spesso molte scarcerazioni facili vengono giustificate, in maniera sbagliata, proprio in ragione del sovraffollamento". "Un sistema carcerario più efficiente serve sia per garantire situazioni di umanità e dei diritti delle persone che la sicurezza dei cittadini". "La situazione dei penitenziari in Italia continua ad essere critica; bisogna costruire più carceri perché c’è una situazione di sovraffollamento che rappresenta un supplemento di pena che va al di là di quelli che sono i termini della Costituzione". Ravenna: pantegane in carcere, Sindaco chiede ispezione Ausl
Asca, 6 luglio 2009
Mentre in carcere arrivano "le pantegane, a me, in singolare coincidenza, è arrivata una lettera del Ministero della Giustizia" che non vede emergenze a Port’Aurea e che non "accenna nemmeno alla nostra richiesta di costruire una nuova Casa Circondariale". Il sindaco di Ravenna, Fabrizio Matteucci saputo della presenza di ratti in carcere, ha chiesto un’ispezione all’Ausl, una verifica accurata sulle condizioni igienico sanitarie della struttura. "L’azienda sanitaria - commenta il sindaco - ha dato la disponibilità e mi auguro che la direzione del carcere sia altrettanto sollecita nel consentire il sopralluogo". Intanto a Matteucci è arrivata la risposta a una delle tre lettere inviate al ministro della Giustizia, Angelino Alfano sulla situazione della casa circondariale di Ravenna. "Nell’ultima, del 30 giugno, avevo richiesto un incontro urgente". Il 31 luglio è arrivata una prima replica "deludente ed evasiva" dove si "nega che la casa circondariale di Ravenna costituisca un’emergenza, inserendola invece nel quadro generale della "condizione molto critica che tutti gli istituti di pena stanno attraversando". Nella nota si "minimizza" il problema del sovraffollamento, affermando che la casa circondariale ospita 161 detenuti (l’Ausl in un sopralluogo effettuato il 18 giugno ne aveva contati 168) ma, "161 è proprio la capienza cosiddetta di necessità", aggiunge irritato il primo cittadino. Il ministero poi aggiunge che sono stati ultimati gli interventi di riparazione dei servizi igienici e delle docce e sono in progetto ulteriori realizzazioni come la lavanderia e la palestra. I bagni però, obietta Matteucci, sono stati risistemati dopo che "io ho emesso un’ordinanza". Per il resto, il Comune attende ancora i rimborsi di vecchi lavori. Nessuna notizia infine, conclude il sindaco, sulla costruzione di un nuovo carcere. "Continuerò a scrivere ad Alfano, da oltre un anno ho formalizzato al ministro la previsione di un’area per il nuovo carcere inserita nel nostro Piano strutturale comunale. Gli confermerò nuovamente, e lo farò finché ce ne sarà bisogno, che la situazione è insostenibile". Arezzo: il carcere è in una situazione "uguale a quella dell'800"
Il Tirreno, 6 luglio 2009
Il consigliere regionale Fabio Roggiolani ha compiuto una visita ispettiva nel carcere di Arezzo. All’uscita ha riferito della situazione della struttura carceraria aretina. Anche ad Arezzo le condizioni di sovraffollamento sono in linea purtroppo con il dato nazionale che vede una pesante condizione di sovraffollamento delle carceri. Il Carcere di Arezzo - ha spiegato Roggiolani al termine della sua visita - prima dell’inizio della dismissione, avviata pochi giorni fa per i lavori di ristrutturazione previsti, conteneva quasi 140 detenuti, a fronte dei circa 70 previsti per questa struttura. Situazione che si traducono in particolari condizione che vedono 8 detenuti in una cella di sedici metri quadrati. "Questa situazione - ha detto Roggiolani - è uguale a quella dell’800". Difficile - secondo il racconto di Roggiolani - anche la situazione per quanto riguarda gli spazi comuni, le strutture per l’attività fisica e il verde previsto dalle normative. Al sovraffollamento si somma una pesante carenza negli organici. La Casa Circondariale di Arezzo ha ben venti unità di personale in meno e le strutture per il recupero e reinserimento dei detenuti mancano o sono carenti. Una situazione di fronte alla quale la buona volontà del personale può fare ben poco. Pur in questo quadro - ha detto Roggiolani - apprezzata l’azione di recupero e di socializzazione messa in atto dalla direzione. Iniziative che hanno ridotto a zero gli atti di autolesionismo tra i detenuti del carcere aretino. Pesaro: mancano gli agenti e il Dap manda 10 studenti-stagisti
Ansa, 6 luglio 2009
"Gli stagisti non sono una soluzione per Villa Fastiggi": l’onorevole David Favia (Idv) e il coordinatore regionale del partito Gianfranco Borghesi intervengono sulla decisione del Governo di inviare a Pesaro dieci studenti provenienti dal corso di polizia penitenziaria di Sulmona. "Se D’Anna e Ciccioli pensano di aver risolto la questione così, dimostrano mancanza di rispetto verso chi vive una condizione di disagio reale come gli agenti", dicono. "Se questi sono i fatti, Villa Fastiggi può anche dimenticarsi ogni tipo di speranza per il suo futuro e riporre ogni fiducia nei propri cassetti. Non ci siamo, non è serietà questa - asseriscono i due esponenti dell’Idv -. Il nostro è un grido d’allarme vero e reale: non è una polemica, né tanto meno una provocazione estiva. L’istituto penitenziario merita di veder affrontata la propria drammatica carenza di agenti in modo serio". "Ora, con tutto il rispetto per la volontà e la professionalità che i dieci stagisti dimostreranno - aggiungono -, non crediamo che possano davvero esser loro a poter tamponare una situazione sempre più delicata. Sono ragazzi provenienti dalle scuole, ma a Villa Fastiggi regnano problemi di una dimensione assolutamente superiore alla loro pur grande disponibilità". La soluzione per Favia e Borghesi è quella avanzata dagli stessi esponenti dell’Italia dei Valori già alcuni giorni fa: "Serve un interpello nazionale che definisca il trasferimento di agenti da tutt’Italia a Pesaro. Il Governo ha preso in giro tutti decretando invece prima un interpello che spostava agenti dalle Marche ad altre regioni, poi scegliendo di limitare le difficoltà di Villa Fastigi con l’arrivo di quelli che sono in realtà studenti, che rischiano davvero di trovarsi ad affrontare compiti ben più ardui e pericolosi rispetto alle loro possibilità". Rovigo: Presidente Provincia e Garante; Ferragosto in carcere
www.centrofrancescanodiascolto.it, 6 luglio 2009
Tiziana Virgili, presidente della Provincia di Rovigo e Livio Ferrari, Garante delle persone private della libertà del Comune di Rovigo si recheranno ad incontrare i detenuti della locale Casa Circondariale domenica 16 agosto per dare un segnale di attenzione alle persone recluse anche in questo periodo di ferie. La presidente di Palazzo Celio, nell’occasione, omaggerà sia i ristretti che gli agenti della polizia penitenziaria in servizio di un gelato. Questa presenza si inserisce nella campagna lanciata dai Radicali italiani che stanno sollecitando deputati, senatori e consiglieri regionali di tutti gli schieramenti politici affinché, assieme ai garanti per i diritti delle persone private della libertà, visitino tutti i 205 istituti penitenziari italiani e si uniscono alla "comunità penitenziaria" per una ricognizione approfondita della difficilissima situazione delle carceri italiane; per conoscere meglio e direttamente come vivono la realtà quotidiana direttori, agenti, medici, psicologi, educatori e detenuti, per essere così capaci di interpretare i bisogni e di proporre le soluzioni legislative e organizzative adeguate, sia immediate che a medio e lungo termine. Ciò affinché gli istituti penitenziari possano essere non solo luogo di espiazione della pena ma realizzare a pieno i valori sanciti dall’art. 27 della Costituzione Italiana secondo il quale le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato; mentre, per quel che riguarda tutti i lavoratori che prestano la loro attività ad ogni livello negli istituti carcerari, devono essere garantite condizioni di lavoro moralmente, socialmente ed economicamente adeguate ai profili professionali ricoperti, che diano il giusto riconoscimento ai compiti di esemplare responsabilità espletati e che consentano di dare completa attuazione ai risultati delle rivendicazioni e delle conquiste, purtroppo oggi ancora in larga parte disattese. Venezia: a tracolla le "malefatte", borse prodotte nelle carceri di Mitia Chiarin
La Nuova di Venezia, 6 luglio 2009
Alla festa del Redentore a Venezia sono andate letteralmente a ruba. Duecento borse vendute in poche ore al chiosco della cooperativa Rio Terà dei Pensieri. Le "malefatte...di città di Venezia", le borse ricavate dagli striscioni in Pvc riciclati, piacciono. Costano poco, dai 20 ai 25 euro. Sono simpatiche perché riproducono frammenti di cartelloni pubblicitari che rivivono dopo aver pubblicizzato eventi in centro storico ed in terraferma. Ora le "malefatte" si preparano a sbarcare al Lido di Venezia per la Mostra del Cinema in programma dal 2 al 12 settembre. Un apposito banchetto metterà in vendita al Lido le "malefatte", borse prodotte nelle carceri veneziane grazie ad un progetto del Comune a cui collabora un vero e proprio gruppo di lavoro, capitanato da Fabrizio Olivetti, art director dell’ufficio grafico del Comune di Venezia. "Tutte le borse preparate per il Redentore sono andate vendute in fretta. Idem per la festa della Salute. Grazie all’aiuto del sindaco Cacciari abbiamo venduto in 24 ore tutte le borse. Alcune si possono ancora acquistare al banchetto di campo Santo Stefano mentre è in corso la preparazione di altri pezzi che porteremo alla Mostra del Cinema del Lido. È una vetrina importante che consentirà di far conoscere il nostro progetto a una platea internazionale. La parte difficile è recuperare gli striscioni da cui ricavare i frammenti che poi diventeranno le Malefatte", ci spiega Olivetti. Dai brandelli decontestualizzati delle pubblicità si ottengono borse che sono pezzi unici da portare in spalla. La plastica viene recuperata e con l’acquisto si aiuta la cooperativa sociale Rio Terà dei Pensieri che svolge attività di formazione professionale e artigianale all’interno delle carceri veneziane. Insomma dietro le "malefatte", non c’è solo il piacere dello shopping ma anche un acquisto consapevole e solidale. Quindi, chi ha striscioni da buttare dia una mano inviando i materiali al gruppo di lavoro. Per informazioni: ufficio Servizio Civile via Andrea Costa 38 Mestre telefono 041.5072943.
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