Rassegna stampa 18 settembre

 

Giustizia: il piano di Alfano per le carceri? è fumo negli occhi

di Gennaro Santoro (Antigone)

 

La Rinascita, 18 settembre 2008

 

Il piano svuota carceri è l’ennesima manovra demagogica dell’attuale governo. Si getta fumo negli occhi con provvedimenti in gran misura già esistenti e già rilevatisi inefficaci. O, quanto meno, di misure che non riescono nell’immediato a risolvere il dramma del sovraffollamento.

Sono 16 mila i detenuti in più rispetto la capienza regolamentare mentre secondo i dati del Ministero il sedicente piano svuota carceri interesserebbe 7.000 persone. Dunque, se tutto va bene, le carceri continuerebbero ad avere un’eccedenza umana di 9.000 unità in più. Senza tener conto del fatto che a causa delle leggi liberticide e riempi carcere targate Bossi-Fini, Fini-Giovanardi ed ex Cirielli, i detenuti crescono di mille unità al mese.

Entrando nel merito delle proposte, l’espulsione degli stranieri con pena residua ai due anni, prevista dall’art. 16 della Legge sull’immigrazione, è quasi del tutto inattuata a causa della difficoltà incontrate nell’identificazione delle persone e nella stipula di accordi con i paesi d’origine.

Riguardo i braccialetti elettronici, gli stessi già sono stati sperimentati con alti costi e pessimi risultati negli anni passati. Tuttavia, tale proposta potrebbe essere valutata positivamente come misura di lungo periodo volta a ridurre il ricorso al carcere come principale sanzione penale. Dunque, la proposta del Ministro Alfano non risolve l’emergenza carcere.

Sappiano anche che se sciaguratamente dovesse essere approvata la contro-riforma dell’ordinamento penitenziario presentata dal presidente della commissione Giustizia del Senato, Filippo Berselli, le galere scoppierebbero. Eliminare gli sconti di pena della liberazione anticipata significa tornare alle carceri dei primi anni Settanta, alle rivolte, alle violenze, all’insicurezza quotidiana.

Intanto, aldilà delle proclamazioni di facciata, il Governo nell’ultima manovra economica triennale taglia di circa 200 milioni di euro i fondi destinati al Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria. Come a dire, tutto fumo e niente arrosto.

Se davvero si vogliono risolvere i problemi del pianeta carcere bisogna innanzitutto adottare provvedimenti quali la diminuzione delle fattispecie penali, la velocizzazione dei processi (ad oggi circa il 50% dei detenuti è ancora in attesa di giudizio), l’abrogazione delle leggi riempi-carcere, l’ampliamento delle misure alternative (che abbattono la recidiva più del carcere).

E bisogna finalmente introdurre la figura del garante nazionale dei diritti delle persone private della libertà personale, perché nel carcere e nelle altre istituzioni totali i diritti umani sono calpestati non solo a causa del sovraffollamento ma anche perché non vi è un organo di garanzia del rispetto dei diritti minimi della persona - proprio per questa ragione come associazione Antigone abbiamo istituito il Difensore civico dei detenuti.

Ma si tratta di provvedimenti non a buon mercato, ovvero, che non regalano consensi, voti. È avvenuto così che alcune forze del centro sinistra, consapevoli di tale principio, hanno cominciato a rincorrere la destra sul tema della sicurezza, contribuendo in tal modo ad alimentare una percezione di insicurezza totale.

In questo clima culturale di paura e tolleranza zero diviene ancora più difficile proporre alternative al pan penalismo proprio delle destre. Perché anche chi fino a qualche anno fa prestava ascolto ad analisi scientifiche sull’andamento dei crimini in Italia (dal ‘90 ad oggi il numero dei crimini commessi è sostanzialmente invariato), sulle ricette per risolvere la questione criminalità senza demagogie e in maniera rispettosa delle pre-regole di uno Stato di Diritto, oggi è disorientato perché è la stessa classe dirigente di centro sinistra (e talvolta della sinistra) a sponsorizzare una concezione della sicurezza e della giustizia propria della destra.

Avviene così che Veltroni critichi il piano svuota carceri del governo perché è un indulto mascherato (!), e non già perché si tratta di misure demagogiche, inefficaci e non garantiste dei diritti minimi della persona (ad esempio, perché si imporrebbe una misura invasiva come il braccialetto elettronico anche senza il consenso dell’interessato).

In questo panorama, l’unico "supporto" per chi, come l’associazione Antigone, si batte per le garanzie del sistema penale e crede ancora che sicurezza e giustizia debbano rispettare i principi fondamentali dello Stato di diritto, è rappresentato dalle prese di posizione forti assunte dalla Caritas, Famiglia Cristiana e da altri organismi certamente non di sinistra. Ed è con questi soggetti che la Sinistra (quella vera) deve provare, con pazienza, a spazzare la coltre di odio e di intolleranza che ha invaso l’animo degli italiani.

Giustizia: Simspe; 3.000 detenuti sieropositivi, il 15% ha l’Aids

 

Ansa, 18 settembre 2008

 

Su una popolazione carceraria di 55.960 persone, si stima che circa 3.000 siano affette da Hiv e ben il 15% sia in fase di Aids conclamato. È la percentuale più alta mia raggiunta dal 1991 ad oggi. L’epatite virale da Hcv, inoltre, colpisce il 38% dell’intera popolazione detenuta, mentre il 25% è positivo al test per l’infezione da tubercolosi. Sono i dati delle ultime rilevazioni epidemiologiche compiute nelle carceri italiane che verranno illustrate e discusse nell’ambito delle giornate di studio su "Novità e progetti di salute per le persone detenute", venerdì e sabato a Viterbo.

"Non conosciamo ancora i motivi delle escalation di infezioni negli istituti di pena - dice Giulio Starnini, responsabile dell’unità operativa di medicina protetta dell’ospedale Belcolle di Viterbo, uno dei tre attivi in Italia - stiamo valutando se sia dovuto ad un reale aumento dei contagi o alla stretta nella concessione delle misure alternative alla detenzione ai reclusi malati. Ma il dato resta allarmante".

Nel corso del convegno, organizzato dalla Simspe (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria) e dalla Asl di Viterbo, verrà fatto il punto sul passaggio delle competenze in materia di assistenza sanitaria nelle carceri dal ministero della Giustizia alle Asl.

Giustizia: Simspe; in carcere il suicidio è 20 volte più frequente

 

Ansa, 18 settembre 2008

 

Il numero dei suicidi nelle carceri italiane è 20 volte superiore a quello della popolazione libera. Il fenomeno riguarda anche il personale di polizia penitenziaria, il cui tasso di suicidi è di 1,3 ogni 10mila addetti, contro una media nazionale dello 0,6.

"È un pericoloso indicatore del disagio all’interno degli istituti di pena che - ha detto Giulio Starnini, responsabile dell’unità di medicina protetta dell’ospedale Belcolle di Viterbo - analizzeremo nel corso di "Novità e progetti di salute per le persone detenute", in programma a Viterbo venerdì e sabato prossimi, organizzato dalla Simspe (Società italiana di medicina e sanità penitenziaria) e dalla Ausl.

Secondo Starnini, nonostante la gravità oggettiva, la situazione italiana è lievemente migliore di quella europea. "Stando ai dati forniti dall’Oms, dal Consiglio d’Europa e dal ministero della Giustizia italiano - spiega ancora - nelle nostre carceri si suicidano 11,1 detenuti ogni 10.000. In Europa, il tasso sale al 12,4. Nella valutazione va tuttavia tenuto conto che in Italia il tasso dei suicidi nella popolazione libera è di 0,6 ogni 10.000 abitanti, mentre nel resto del mondo sale a 1,6".

Giustizia: negli Opg in 1.200, tra affollamento e record di suicidi

 

Redattore Sociale - Dire, 18 settembre 2008

 

Massimo Morgia, romano, 37 anni, è stato trovato morto nel suo letto. Potrebbe trattarsi di suicidio. È il 12° morto dall’inizio 2007 all’interno dell’istituto casertano, il quarto dall’inizio dell’anno.

Si chiamava Massimo Morgia, era originario di Roma e aveva 37 anni: è stato trovato morto ieri nel suo letto, all’interno dell’Ospedale psichiatrico giudiziario (Opg) di Aversa, in provincia di Caserta. Ancora da accertare le cause della morte, ma non è da escludere l’ipotesi del suicidio. Dal gennaio 2008 a oggi, altre tre persone si sono tolte la vita all’interno di questo stesso istituto: un dato significativo, soprattutto quando si considera che la struttura accoglie complessivamente 265 persone (tutti uomini), su una capienza regolamentare di 259 posti e una tollerabile di 306.

L’ultimo caso si era verificato nel marzo scorso, quando un altro giovane di 36 anni si era tolto la vita. Nel mese di gennaio erano stati due i suicidi registrati all’interno dell’Opg di Aversa, che si aggiudica il triste primato finora detenuto dall’Opg di Reggio Emilia, dove tra il 2002 e il 2003 si erano tolte la vita ben cinque persone.

Aversa è uno dei 6 Opg oggi funzionanti in Italia, all’interno dei quali sono accolte attualmente 1.238 persone. Gli Opg sono deputati ad accogliere non soltanto i detenuti prosciolti per vizio di mente (a causa cioè di disturbi psichiatrici), ma anche i detenuti che, pur avendo scontato la pena, sono assegnati alla misura di sicurezza dell’internamento.

Con gli istituti penitenziari gli Opg condividono, tra l’altro, il problema del sovraffollamento, come appare evidente dal rapporto tra capienza e presenze registrato all’interno di alcune strutture. Precisamente, gli Opg oggi funzionanti in Italia sono: Aversa (Ce), con una capienza regolamentare di 259 posti e 265 ospiti; Barcellona Pozzo (Me), con una capienza di 186 posti, 204 il limite tollerabile e ben 265 le presenze attuali; Castiglione Siviere (Mn), con una capienza regolamentare di 193 posti (223 tollerabili) e 208 presenze; Montelupo Fiorentino, con una capienza tollerabile di 80 posti e 101 presenze attuali; Napoli Sant’Eframo, con una capienza di 103 posti, 117 tollerabili e 109 presenze; infine Reggio Emilia, con una capienza di 130 posti, 252 tollerabili e 290 presenze.

A queste cifre vanno aggiunte quelle relative alle cosiddette sezioni di osservazione, destinate a detenuti con problemi psichici e funzionanti presso alcuni istituti: precisamente, Bologna (2 presenze), Castelfranco Emilia (76), Favignana (37), Firenze Sollicciano (19), Isili (21), Livorno (8), Milano San Vittore (14), Modena Saliceta S. Giuliano (100), Monza (5), Napoli Secondigliano (9), Palermo Pagliarelli (5), Reggio Calabria (4), Roma Rebibbia (13), Sulmona (108), Torino Lo russo e Cutugno (35), Trani (0) e Venezia Giudecca (9).

Per quanto riguarda i suicidi e le morti sospette all’interno degli Opg, regolarmente monitorati da Ristretti Orizzonti, dal 2002 a oggi 15 persone si sono tolte la vita: precisamente, 5 a Reggio Emilia (tutte tra il 2002 e il 2003), 9 ad Aversa e una a Montelupo Fiorentino. A queste si aggiungono 3 morti sospette, ad Aversa, Reggio Emilia e Castiglione Stiviere.

Giustizia: Cassinelli (Pdl); è degrado edilizio e sovraffollamento

 

Il Velino, 18 settembre 2008

 

"Purtroppo, le aggressioni all’interno delle carceri sono ormai all’ordine del giorno". È questo il commento di Roberto Cassinelli (Pdl) riguardo all’aggressione subita domenica scorsa da due agenti penitenziari all’interno del carcere di Genova Marassi. Cassinelli rivolge "un sincero augurio di pronta guarigione" ai due giovani agenti, "avendo presente che non è certo la prima volta che accadono fatti tanto spiacevoli, e restando col timore che episodi del genere possano drammaticamente verificarsi ancora".

"La situazione delle carceri liguri e la serenità delle persone che vi lavorano - aggiunge Cassinelli, che sta già lavorando ad un dossier sulle carceri liguri da portare in Commissione a Montecitorio - sono temi al centro della mia azione politica e parlamentare". Il deputato del Pdl ha già visitato le carceri di Marassi e di Chiavari, dove, afferma, "ho constatato un forte degrado dell’edilizia ed un sovraffollamento della popolazione. Entrambi i fattori contribuiscono a dar vita a fatti spiacevoli come quello di domenica scorsa. Per di più, gli agenti penitenziari sono troppo pochi e non possono riuscire, da soli, a lavorare in serenità".

"Purtroppo, le aggressioni all’interno delle carceri sono ormai all’ordine del giorno". È questo il commento di Roberto Cassinelli (Pdl) riguardo all’aggressione subita domenica scorsa da due agenti penitenziari all’interno del carcere di Genova Marassi. Cassinelli rivolge "un sincero augurio di pronta guarigione" ai due giovani agenti, "avendo presente che non è certo la prima volta che accadono fatti tanto spiacevoli, e restando col timore che episodi del genere possano drammaticamente verificarsi ancora".

"La situazione delle carceri liguri e la serenità delle persone che vi lavorano - aggiunge Cassinelli, che sta già lavorando ad un dossier sulle carceri liguri da portare in Commissione a Montecitorio - sono temi al centro della mia azione politica e parlamentare". Il deputato del Pdl ha già visitato le carceri di Marassi e di Chiavari, dove, afferma, "ho constatato un forte degrado dell’edilizia ed un sovraffollamento della popolazione. Entrambi i fattori contribuiscono a dar vita a fatti spiacevoli come quello di domenica scorsa. Per di più, gli agenti penitenziari sono troppo pochi e non possono riuscire, da soli, a lavorare in serenità".

"La mia principale preoccupazione - prosegue Cassinelli - è rivolta agli agenti delle forze dell’ordine, preziosi servitori dello Stato, che vedono ogni giorno messa a repentaglio la propria incolumità". Sarebbe quindi auspicabile, secondo il deputato ligure, la messa in atto delle novità proposte dal ministro Alfano, come "l’introduzione braccialetto elettronico, se la tecnologia sarà in grado di garantirne la sicurezza, e l’espulsione dei detenuti stranieri, che alleggerirebbe sensibilmente il peso di una situazione ormai insostenibile".

La questione non sarebbe però risolta solo con queste misure, perché - conclude Cassinelli - "non vanno assolutamente dimenticate le gravi carenze nell’ambito dell’edilizia carceraria, che necessita di un piano di rinnovamento e di ristrutturazione". Proprio domani Cassinelli visiterà anche le carceri di Pontedecimo e di Savona, "per verificare di persona anche le condizioni della casa circondariale femminile genovese e quelle del penitenziario savonese".

Giustizia: il "Comitato educatori" incontra deputati di Pd e Pdl

 

Comunicato stampa, 18 settembre 2008

 

Incontro del Comitato con gli onorevoli Bernardini, Melis, Concia, Ferrante del Pd: assumere tutti i vincitori in un unico blocco costa meno che in gruppi di poche unità.

Si è tenuto l’altro ieri l’incontro dei rappresentanti del Comitato "I Nuovi Educatori Penitenziari", il presidente dott.ssa Lina Marra e la dott.ssa Alessandra Ciantò, con i deputati del gruppo Pd Rita Bernardini, Guido Melis, Anna Paola Concia e Donatella Ferrante.

La richiesta dei rappresentanti del comitato è stata quella che si assumano in un unico blocco i 397 vincitori del concorso per educatori penitenziari bandito nel 2003, e che, tenuto conto delle gravi carenze di organico, si prosegua con l’assunzione degli idonei. L’Onorevole Bernardini aveva già posto all’attenzione del Ministro Alfano la questione delle carenze di educatori al Dap ed è in attesa di una risposta in merito.

La dott.ssa Lina Marra ha messo in evidenza come la prevista assunzione in scaglioni non giovi né all’efficienza dell’istituzione penitenziaria che soffre la forte mancanza d’educatori né alle casse dello Stato su cui peserebbe di più la formazione iniziale dei neoassunti se avvenisse in blocchi poiché l’Istituto Superiore di Studi Penitenziari dovrebbe organizzare corsi distinti per poche unità alla volta.

Durante l’incontro si parlato anche dei fondi derivanti dalla Cassa delle Ammende, destinati ad attività rieducative, che non sono mai stati utilizzabili per via di impedimenti burocratici e che intervenendo propriamente potrebbero diventare fruibili.

Proprio per questo l’Onorevole Bernardini intende presentare a breve un’interrogazione parlamentare al Ministro Alfano in cui si richiede il costo della formazione iniziale degli educatori penitenziari e si sostiene l’opportunità, anche dal punto di vista economico, di assumere in un unico blocco i 397 vincitori.

La dott.ssa Marra ha chiesto all’On. Rita Bernardini un sostegno per far acquisire alla nostra battaglia una dimensione pubblica, assolutamente necessaria per poter approfondire tutte le tematiche connesse alla rieducazione e alla presenza degli educatori negli istituti di pena, soprattutto nel rapporto con l’opinione pubblica. A tal riguardo, L’On. Bernardini ha offerto al Presidente del Comitato i microfoni di Radio Radicale e, inoltre, ha prospettato la possibilità di un incontro con il Ministro di Giustizia, On Angelino Alfano, attraverso la Sua intermediazione.

Incontro con l’onorevole Ida D’Ippolito, segretario della Commissione giustizia della camera dei deputati: un’interrogazione ed un emendamento in finanziaria a favore degli educatori penitenziari

Il presidente dei "Nuovi Educatori Penitenziari", dott.ssa Lina Marra, e la Dott.ssa Daniela Turella, Segretario Tesoriere del nostro Comitato, hanno incontrato ieri a Roma l’Onorevole Ida D’Ippolito, appartenente al Pdl, componente della Commissione Speciale per l’esame di disegni di legge di conversione di Decreti-Legge e segretario della Commissione Giustizia.

La dott.ssa Marra ha fatto presente all’On. D’Ippolito la situazione di incertezza che vivono i 397 vincitori e gli idonei del concorso per educatori nell’amministrazione penitenziaria indetto nel 2003, data la volontà politica di non assumere prima del 2009 e comunque in blocchi di poche unità.

L’Onorevole D’Ippolito s’è resa disponibile ad un intervento incisivo in nostro favore: una nuova interrogazione al Ministro Alfano e, cosa ancora più importante, la presentazione di un emendamento in Finanziaria, in modo tale che vengano stanziati i fondi necessari alle assunzioni di tutti i vincitori in un unico blocco e in tempi più brevi del previsto. Non possiamo che apprezzare grandemente l’impegno preso dall’On. D’Ippolito con cui manterremo vivi i contatti per concordare le strategie più consone a raggiungere l’agognato traguardo dell’assunzione di tutti i vincitori in tempi brevi.

Giustizia: Ugl; troppi agenti suicidi, servono presidi psicologici

 

Adnkronos, 18 settembre 2008

 

"Ancora un suicidio di un agente della Polizia Penitenziaria. Bisogna subito affrontare i cronici problemi del personale del settore o questi terribili episodi non cesseranno". Lo ha affermato Giuseppe Moretti, segretario nazionale Ugl Polizia Penitenziaria, in merito al suicidio di un agente della Polizia penitenziaria avvenuto ieri a Catania, alla cui famiglia l’Ugl ha inviato le più sentite condoglianze.

"Questa mattina l’Ugl ha incontrato il presidente del Dap, Franco Ionta - ha aggiunto il sindacalista - al quale abbiamo chiesto interventi a favore del personale di Polizia Penitenziaria per scongiurare fatti come quello accaduto ieri. Lo stato psicologico degli agenti subisce infatti una compressione dovuta alle disagiate condizioni di lavoro, all’assenza di un qualsiasi rapporto di relazione all’interno delle strutture penitenziarie e alle difficoltà economiche causate dall’aumento del costo della vita. Abbiamo infatti registrato un fortissimo indebitamento del personale per l’acquisto di beni di uso comune, come auto e causa".

"Occorre quindi - ha spiegato Moretti - che l’amministrazione Penitenziaria avvii un servizio di sostegno psicologico che garantisca ai dipendenti una assistenza permanente permettendo agli interessati la totale anonimità. Dare il via a presidi psicologici che aiutino il personale è solo uno dei provvedimenti urgenti richiesti già da tempo dall’Ugl, che lanciando l’allarme sovraffollamento ha sottoposto al ministro Alfano un elenco di interventi non più rinviabili se non si vuole il collasso delle carceri. Quest’ultimo suicidio, dopo i sette dell’anno scorso -ha concluso il sindacalista- devono far riflettere sull’opportunità di una complessiva riforma del Corpo di Polizia Penitenziaria, che permetta al personale di motivarsi e progredire in carriera con la certezza di potersi costruire una vita serena accanto ai propri affetti familiari".

Giustizia: uccisione di Meredith Kercher; il processo che non c’è

da Davide Giacalone

 

www.legnostorto.com, 18 settembre 2008

 

I giornali titolano annunciando che comincia il "processo ad Amanda", che sarebbe uno dei presunti assassini della giovane Meredith Kercher, cittadina inglese. La notizia è destituita d’ogni fondamento. In realtà è solo cominciata l’udienza preliminare. L’omicidio avvenne il primo novembre 2007. Il 6 vengono arrestate alcune persone: due sono ancora accusate, una è stata prosciolta. Il 6 dicembre è eseguito un ulteriore arresto, anche in questo caso contro persona ancora accusata. Un mese dopo l’assassinio, insomma, non solo il quadro accusatorio era completo, ma le persone ora richieste di rinvio a giudizio erano in carcere. Ma l’udienza comincia nel settembre del 2008.

Mettiamo che siano rinviati a giudizio, il processo vero e proprio comincerà nel 2009 e finirà quando i tempi della giustizia lo consentiranno. Nel frattempo i presunti assassini, che oggi sono detenuti da presunti innocenti, torneranno in libertà. Nessuno chiederà mai quale attività investigativa è stata svolta dal 6 dicembre in poi. Nessuno darà conto delle date di fissazione dell’udienza preliminare. Nessuno spiegherà perché il processo non è già stato fatto. Non solo tutto questo è considerato del tutto normale, ma so già che qualcuno mi considera un pazzo sol perché non m’accorgo che i tempi sono stati, rispetto alla media nazionale, quasi brucianti. Infatti è così, questa lungaggine è, in proporzione al resto, una saetta. Ma non solo nessuno sente più lo scandalo del tempo perso, siamo giunti alla perversione di far passare per processo quel che non lo è.

La giovane accusata, se ho ben capito, si dichiara innocente. Che è un suo diritto, e nessuno di noi può escludere che innocente lo sia sul serio. Solo che, dopo quasi un anno di galera, non siamo ancora in grado di farle sapere se sarà processata o meno. Ove mai sia colpevole, non per questo la giustizia italiana può essere assolta.

Giustizia: ladri d’auto in ritirata, in 8 anni 24% di furti in meno

di Vincenzo Borgomeo

 

La Repubblica, 18 settembre 2008

 

Crollano i furti d’auto: con 780 mila vetture trafugate nel 2007 contro le 907 mila del 2006 in Europa per la prima volta assistiamo a una brusca frenata del fenomeno. E lo stesso discorso vale per l’Italia dove lo scorso anno sono "sparite" nel nulla duecentomila auto, ventimila in meno rispetto al 2006.

E dal 1999 allo scorso anno la flessione arriva a meno 24%. Non solo: secondo le prime stime quest’anno i dati miglioreranno ancora rendendo le 370 mila auto rubate nel 1991 (record storico) solo un lontano ricordo per gli automobilisti italiani.

Il punto è che oggi insomma rubare l’auto non conviene più perché per ogni tipologia di furto c’è una controindicazione: chi ruba una macchina per i pezzi di ricambio ha a che fare con troppe centraline elettroniche di bordo (su alcuni modelli si arriva a oltre quaranta) che spesso sono in grado di "riconoscere" se l’auto è stata manomessa da un ladro e quindi vanno immediatamente in blocco.

Gli stessi trapianti meccanici di motori e sospensioni sono poi sempre più difficili perché l’elettronica governa il funzionamento di ogni pezzo. Non solo: il costo della manodopera è talmente elevato che anche potendo attingere a magazzini di pezzi rubati (quindi a bassissimo "costo") non conviene più riparare una macchina grazie alla concorrenza dei modelli nuovi offerti con sconti sempre più forti.

Chi invece ruba un’auto per spostarsi da un posto all’altro deve vedersela con le migliaia di telecamere montate in ogni città, un efficace sistema di indagine di polizia e carabinieri e - non ultimo - una quasi certa presenza di antifurti satellitari e altri modelli collegati direttamente con le forze dell’ordine. Il rischio di essere scoperti diventa insomma elevatissimo. Anche all’estero: fino a pochi anni fa per risalire alla storia di una macchina rubata in un altro Paese servivano ricerche complicatissime da parte delle forze dell’ordine. Oggi invece con il coordinamento di tutte le banche dati in tempo reale qualsiasi agente può avere tut-ti i dati di un’auto che ha appena fermato per un controllo.

Stesso discorso per chi invece ruba un’auto per poi rivenderla con l’aggiunta che "ripulire" una vettura di numeri di telaio (ormai memorizzati in modo elettronico in centinaia di pezzi) oggi è molto difficile. Quindi l’unica possibilità per questi topi d’auto è quella di rivendere poi la macchina in Paesi dove la legge in pratica non esiste e dove è addirittura possibile circolare con la vecchia targa d’origine.

Insomma come spiega Roberto Sgalla, direttore della Polizia Stradale, "tanti fattori determinano questo eccellente risultato. Ossia l’impegno delle forze dell’ordine, il potenziamento dell’attività investigativa, ma anche della tecnologia imperante che ha portato a realizzare antifurti elettronici molto efficaci".

Ai ladri, quindi, non resta che rifarsi con i rottami. E non è un caso che nella classifica delle auto più rubate ci sono modelli vecchissimi e ormai fuori produzione come la Fiat Uno, la Punto, Panda, Cinquecento o Autobianchi Y10. In questo sottobosco vale ancora il famoso slogan dei topi d’auto: "le vecchie Golf sono come il porco non si butta via nulla". E fra qualche anno, quando queste vecchie auto finiranno allo sfasciacarrozze, i dati dei furti d’auto caleranno ancora.

Giustizia: in 30 Comuni semafori "truccati", per le multe-facili 

 

Corriere della Sera, 18 settembre 2008

 

Truccavano i semafori. E truccavano le gare d’appalto per piazzare il loro diabolico apparecchio, il T-Red, sulle strade di quei comuni d’Italia che, andando in cerca di sicurezza stradale, contravvenzione dopo contravvenzione hanno riempito le casse e svuotato le tasche degli automobilisti. Che ora, a migliaia, secondo il Codacons, potranno chiedere di annullare le multe. Una associazione per delinquere, sostiene la procura di Milano.

Un "cartello" occulto che, con la complicità di funzionari comunali o di comandanti della polizia municipale incastrati da e-mail, "promuoveva, organizzava e coordinava l’attività" per garantirsi e "favorire l’acquisizione di contratti con enti pubblici".

Il loro fine, scrive il gip, non era la sicurezza stradale, e difatti il vigile elettronico non finiva in prossimità di asili o giardini pubblici, ma veniva piazzato su vie a scorrimento veloce, garantendo di conseguenza maggiori incassi dalle multe.

Con questa accusa, su richiesta del pm Alfredo Robledo e per decisione del gip Andrea Ghinetti, sono finiti agli arresti Raul Cairoti, 38 anni, amministratore unico della Ci.ti.esse srl di Rovellasca (Como); Giuseppe Astoni, 51 anni, direttore commerciale della Scae spa; Simone Zari, 43 anni, socio e amministratore di fatto della Centro Servizi srl; e Antonino Tysserand, 50 anni, amministratore unico della Tecnotraffico srl e titolare della ditta individuale Tecnologie per il traffico. Cairoli, considerato "promotore del cartello", è finito in cella, gli altri agli arresti domiciliari.

La Guardia di finanza ha accertato manipolazioni di appalti in oltre, trenta comuni, così al Nord come al Sud. E si è scoperto che in alcuni casi, grazie agli accordi sotterranei con gli amministratori pubblici, alle gare per l’affidamento della fornitura delle telecamere e degli autovelox - gare a trattativa privata - venivano invitate soltanto le imprese affiliate al cartello gestito dagli arrestati. E altre volte, invece, venivano inseriti nei bandi di gara requisiti tali da escludere di fatto le aziende estranee al sodalizio.

Anziché acquistare le apparecchiature che fotografano chi passa col rosso, i Comuni venivano invitati a noleggiarle affidando poi alle stesse società inquisite la loro manutenzione e la taratura. Taratura "opportunamente" eseguita, ha stabilito la consulenza della procura di Milano, così da moltiplicare le multe intervenendo sui tempi di passaggio del semaforo dal giallo al rosso. Perché non era il giallo a durare pochi secondi, ma il rosso a scattare senza la giusta pausa che concede a chi guida il corretto tempo di reazione per decidere, come prevede il codice della strada, se liberare l’incrocio in fretta oppure arrestarsi allo stop.

Pisa: detenuto di 30 anni ritrovato morto, le indagini in corso

 

Ristretti Orizzonti, 18 settembre 2008

 

Un 30enne, originario di Frosinone, è stato ritrovato senza vita nel carcere di Pisa, città in cui risiedeva da tempo e dove era detenuto dallo scorso 25 aprile per un furto d’auto. Sembra che la morte sia stata provocata dal gas del fornello da camping, ma non è ancora stato chiarito se si tratta di suicidio o di un tentativo di "sballo" finito in tragedia. Sulla salma sarà eseguita l’autopsia.

Palermo: Garante Fleres, Ucciardone inadeguato, da chiudere

 

La Sicilia, 18 settembre 2008

 

Il carcere Ucciardone di Palermo, secondo il senatore Salvo Fleres, garante per la tutela dei diritti dei detenuti, deve chiudere. Questo per garantire ai detenuti l’applicazione del terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione in termini di rieducazione. Il 3 settembre scorso, infatti, nel carcere di Palermo è andata via la luce a causa di un black out. "Ho avuto modo di acquisire informazioni - ha dichiarato Fleres - e l’accaduto non può essere imputato ai gestori della struttura che hanno prontamente attivato le procedure necessarie a risolvere il problema. La realtà è diversa e conferma che gli interventi posti in essere non hanno riportato gli impianti all’originario funzionamento in quanto sono ormai obsoleti e necessitano di ulteriori riparazioni".

Novara: detenuti in permesso, da tre carceri, per fare murales

 

Ansa, 18 settembre 2008

 

Partirà lunedì 22 settembre sul lago d’Orta (Novara) la seconda fase dell’iniziativa che, d’intesa con il Ministero della Giustizia ed altre Istituzioni, lo scorso anno riscosse grande successo. Questa è la prima esperienza in Italia che coinvolge detenuti in trattamento che usciranno per tre giorni dalle Case circondariali di Vercelli, Novara e Verbania per diventare artisti sotto la direzione di studenti liceali e pittori professionisti: il loro compito sarà quello di realizzare 8 murales dedicati al cinema e alla televisione italiana firmata Rai.

L’iniziativa, sostenuta dalla Regione Piemonte con il patrocinio della Presidenza del Consiglio dei ministri, è promossa dall’Associazione no profit "Accademia delle Arti e del Muro Dipinto" e rientra nell’ambito del progetto ministeriale "Oltre le mura", destinato ai detenuti in trattamento. La località in cui si svolge il singolare happening è la frazione Legro del Comune di Orta San Giulio, nota per essere l’unico paese dipinto italiano dedicato al cinema ed alla televisione: frammenti di scene girate in Piemonte sono state immortalate su 46 facciate di altrettante case. E lunedì 22 si inizierà con omaggi a registi e film prodotti dalla Rai negli anni 60/80.

Roma: Regina Coeli, servizio anagrafe per "riconoscere" i figli

 

Comunicato stampa, 18 settembre 2008

 

Le scorse settimane 4 detenuti del carcere di Regina Coeli hanno potuto ufficialmente riconoscere i loro figli minori. Negli stessi giorni anche un altro detenuto agli arresti domiciliari ha potuto riconoscere il figlio. La pratica di riconoscimento dei figli naturali è un diritto civile: ogni qualvolta nasce un figlio, il genitore si reca all’anagrafe ed appone la propria firma sotto un modulo che certifica la paternità e la maternità del nascituro.

Le pratiche per il riconoscimento, che si sono concluse alla fine di luglio, hanno avuto una gestazione complessa. Prima del 2004, la pratica di riconoscimento dei figli da parte dei detenuti poteva essere effettuata solo tramite notaio, a prezzi proibitivi dal punto di vista economico.

L’intervento congiunto della direzione e dell’area educativa e trattamento del carcere di Regina Coeli e del Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni - che hanno sollecitato l’applicazione di un protocollo d’intesa del 2002, tra Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria (Prap) e Comune di Roma che consentiva l’ingresso in carcere dell’ufficiale di stato civile - ha permesso che un funzionario dell’amministrazione capitolina potesse espletare in carcere le pratiche necessarie affinché i detenuti potessero riconoscere i figli.

"Bisogna pensare che i tempi della burocrazia e i tempi del carcere non coincidono - ha detto il Garante Regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - ad esempio, un detenuto che aveva iniziato le pratiche di riconoscimento a Regina Coeli, ha potuto riconoscere il figlio diverso tempo dopo, quando già si trovava agli arresti domiciliari. Abbattere questi muri burocratici, così come combattere le battaglie per dare le carte d’identità in carcere, consentire l’iscrizione al Servizio Sanitario Regionale per i detenuti, anche se questi non sono residenti, vuol dire iniziare un percorso di legalità che, alla lunga, potrà riportare i detenuti a pieno titolo nel tessuto sociale di una città".

 

Dietro le sbarre ma sono padre (L’Unità)

 

Luca era in una cella del carcere di Regina Coeli quando è nato suo figlio. Per lui nessuna corsa dall’ospedale all’ufficio anagrafe. Nessun riconoscimento. Solo l’attesa dell’arrivo nella struttura penitenziaria di un ufficiale comunale con la carta da firmare è diventare così papà a tutti gli effetti. Anche se dietro le sbarre di un carcere. Lo prevede un protocollo del 2004 tra Comune e Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. Ma la burocrazia, si sa, non va di pari passo con le speranze. Piccole e grandi che siano. Al punto che, mesi dopo la nascita del figlio, Luca ha addirittura ottenuto gli arresti domiciliari, vivendo giorno e notte con il piccolo senza potergli dare però il suo cognome. Poi qualche settimana fa, su pressione della direzione di Regina Coeli e del Garante regionale dei diritti dei detenuti, in casa sua è arrivato il funzionario di stato civile.

E finalmente si è sentito papà. "Bisogna pensare che i tempi della burocrazia e quelli del carcere non coincidono - ha detto il Garante Regionale dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni - Abbattere questi muri burocratici, così come combattere le battaglie per dare le carte d’identità in carcere e consentire l’iscrizione al servizio sanitario ai detenuti, anche se questi non sono residenti, vuol dire iniziare un percorso di legalità che, alla lunga, li potrà riportare a pieno titolo nel tessuto sociale di uria città".

In tutto altri tre detenuti del carcere di Regina Coeli hanno ricevuto la visita del funzionario di stato civile. Questa volta direttamente nell’istituto penitenziario dove si è svolta anche una piccola cerimonia nella sala magistrati. Riconoscere un figlio è un giorno di festa. Ma lo è anche l’atto dì matrimonio, la carta di identità, il certificato di residènza. Per un detenuto, afferma chi lavora nelle carceri romane, "sono come un battesimo civile, il segno che lo Stato ti conosce e non ti ha dimenticato. In alcuni casi poi servono per un possibile reinserimento lavorativo, per ottenere gli assegni familiari e alni vantaggi". Le pratiche di riconoscimento dei figli minori sono venti-trenta l’anno nelle carceri romane e fino al 2004 occorreva la firma del notaio.

Con costi elevati, anche di 500 euro a pratica. Da qui la volontà della precedente giunta di siglare un protocollo d’intesa con il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria. E l’invio di un funzionario per effettuare i riconoscimenti. Negli ultimi mesi, prima dell’intervento del Garante, l’applicazione del protocollo ha subito troppi rallentamenti. Ritardi dovuti alla lentezza di una burocrazia che non segue il passo delle decisioni giudiziarie. E così trasferimenti, concessione dei domiciliari, altre misure alternative spesso cambiano il destino di un detenuto prima dell’arrivo del funzionario comunale.

Napoli: associazioni contro il piano del Comune sulla sicurezza

 

Redattore Sociale - Dire, 18 settembre 2008

 

Multe a writers, senzatetto, clochard, prostitute e clienti delle lucciole: queste alcune delle misure presentate ieri al consiglio comunale. Morniroli (Dedalus): "Colpire i più deboli non rende più sicura la città".

Le cooperative sociali e le associazioni di Napoli dicono no al pacchetto sicurezza proposto dal comune. Multe a writers, senzatetto, clochard, prostitute e clienti delle lucciole: queste sono solo alcune delle misure del piano sicurezza presentato ieri al consiglio comunale, su proposta dell’assessore Scotti. E se la politica si divide, è netta l"opposizione alla strategia comunale da parte del mondo cooperativo ed associativo della città.

"Colpire i più deboli non rende più sicura la città - sostiene Andrea Morniroli, responsabile della cooperativa sociale Dedalus - l’amministrazione cittadina, non avendo evidentemente nient’altro da proporre ai cittadini per farli sentire più sicuri, se la prende con gli ultimi e i più fragili, rendendo ancora più precaria la loro esistenza". "La cifra dell’insicurezza a Napoli - aggiunge - è la mancanza di lavoro, la diffusione di un sistema sempre più clientelare, la debolezza del sistema di welfare, il traffico barbaro che non rispetta le persone, la rabbia e i conflitti che nascono da situazioni di povertà materiali e relazionali".

"Prendersela con i writers, con i senza fissa dimora, con le prostitute e i loro clienti, con chi ai semafori chiede qualche briciola del nostro benessere - sbotta Morniroli - significa essere forti con i deboli continuando ad essere deboli con i forti, non avere progetti per la città, scaricare sui più sfortunati responsabilità che non sono loro". Secondo i responsabili di Gesco, Dedalus, M.I.T. Napoli, Priscilla, Cantieri sociali, Associazione Trans Napoli, che oggi (alle ore 15.00, presso la sede di Gesco in via Vicinale S. Maria del Pianto n. 61) terranno un incontro per discutere del pacchetto proposto dall’amministrazione comunale, le politiche di sicurezza devono prevedere interventi di prevenzione e di contrasto alla violenza e ad ogni forma di crimine, ma soprattutto politiche concrete per il lavoro, la stabilizzazione del sistema di welfare, la realizzazione di spazi pubblici e di centri di aggregazione per i giovani, l’attivazione di progetti di accoglienza e di mediazione sociale. "Soltanto città solidali ed accoglienti - conclude il referente di Dedalus - sono sicure. Le città cattive sono, invece, spesso incivili ed insicure".

 

Un pacchetto sicurezza "contro le fasce deboli"

 

Il pacchetto sicurezza proposto dall’amministrazione comunale proprio non piace alle organizzazioni sociali di Napoli. Questa volta a dire no sono le associazioni napoletane "Città Invisibile" e "Antigone Campania". "La relazione sulla sicurezza che l’assessore Luigi Scotti ha pronunciato in consiglio comunale - dichiarano i presidenti delle due organizzazioni Samuele Ciambriello e Dario Stefano Dell’Aquila - ci lascia profondamente perplessi. Queste non possono essere le linee di intervento del centrosinistra".

"È paradossale - proseguono Ciambriello e Dell’Aquila - che in un documento sulla sicurezza non compaia nemmeno una volta la parola camorra né si faccia riferimento a reati come l’usura e il racket: vere e proprie piaghe della nostra città. Divengono, invece, priorità immigrati, senza dimora, graffitari, prostitute, e mendicanti". "Troviamo davvero singolare - continuano i responsabili - preoccuparsi del decoro urbano, fino a considerare un illecito sanzionabile il dormire in giacigli di fortuna nei pressi della stazione, piuttosto che potenziare il sistema dei servizi sociali".

Questo documento, che pure è stato redatto da un ex ministro della giustizia dell’area della sinistra radicale, rappresenta - per Ciambriello e Dell’Aquila - "un arretramento rispetto allo spirito e alle aspettative con cui questa coalizione si è insediata al governo della città". "Scimmiottare il centrodestra - sottolinea ancora Dario Stefano Dell’Aquila - non porta da nessuna parte e non migliora la vita quotidiana dei cittadini, che, a questo punto, non si capisce perché non debbano votarlo".

"La sicurezza di una città - continua - non può spettare al sindaco: un sindaco deve occuparsi d’altro. Sicurezza urbana non significa adottare provvedimenti che penalizzano fasce deboli o che colpiscono comportamenti sociali, ma garantire a ciascun cittadino il concreto esercizio dei propri diritti, assicurando la giusta integrazione politiche di sviluppo urbano e politiche di inclusione sociale". Intanto, in attesa dell’evolversi della discussione nel prossimo consiglio del 23 settembre, la posizione dell’assessore Scotti non sembra largamente condivisa. "Ci auguriamo - concludono gli esponenti dell’associazionismo cittadino - che il sindaco e la sua maggioranza sappiano riportare, come già in parte sta accadendo, la discussione su un piano diverso".

Padova: poliziotto penitenziario gestiva racket di prostituzione

 

Il Gazzettino, 18 settembre 2008

 

L’ispettore di polizia penitenziaria si accontentava di cento euro al giorno. Cento euro per ognuna delle "sue" quindici ragazze dell’Est che si prostituivano in città. D’altro canto, lui si occupava di tutto. Le andava a ricevere alla stazione al loro arrivo a Padova, le sistemava nella decina di appartamenti che aveva in affitto a suo nome, le addestrava e le pubblicizzava sui siti a pagamento in internet e sui giornali di annunci gratuiti. Ma per il pubblico ministero Sergio Dini si trattava semplicemente di sfruttamento della prostituzione. E chiede il giudizio di Rossano Sperati, cinquantaduenne, in servizio alla casa penale di strada Due Palazzi. Il sottufficiale è sospeso da alcuni mesi.

L’ispettore Sperati era finito nei guai nel luglio di due anni fa. Era accusato di estorsione. Voleva dei soldi da due prostitute dell’Est e le aveva minacciate di morte. Ma le ragazze lo avevano denunciato ai carabinieri. Era scattata la trappola e il sottufficiale di polizia penitenziaria era stato bloccato con il denaro in mano.

Nel capo d’imputazione si afferma che lo sfruttamento sarebbe durato dal luglio 2005 fino all’ottobre 2007. Ma forse non è nato tutto per caso. Pare che il poliziotto penitenziario facesse frequenti viaggi in Romania. Forse è lì che reclutava le "sue" ragazze. Il resto era un gioco da ragazzi. E lui lo conosceva molto bene. I patti erano chiari. Lui si occupava di tutto e loro gli davano cento euro al giorno a testa.

Secondo l’accusa Rossano Sperati aveva in affitto una decina di appartamenti in città. In via Mortise, in via Tiepolo, in via Da Zevio e in via Gattamelata. Alcune erano da sole, altre erano sistemate in coppia. Lì, ricevevano comodamente i clienti. Non dovevano fare altro che rispondere al telefono. La loro pubblicità era dappertutto. Sul periodico Aladino e poi sui siti internet di Cerco Amici, Cerco Amici Vip, Best Annunci. Foto e numeri di telefono ben in evidenza.

C’erano soldi per tutti. E tanti. Fino a quando le due ragazze non si sono stancate di pagare il poliziotto penitenziario, che guadagnava in un giorno quello che lo Stato gli dava per un mese di lavoro dietro alle sbarre. Sì, le ragazze avevano capito che potevano fare anche da sole. E sono andate a denunciarlo. Adesso nel fascicolo giudiziario c’è di tutto. Soprattutto, ci sono le testimonianze di una quindicina di prostitute.

Immigrazione: la Consulta esamina l’aggravante di clandestinità

 

 

Il Sole 24 Ore, 18 settembre 2008

 

L’aggravante di clandestinità nelle mani della Corte costituzionale. Sarà la Consulta, infatti, a dover decidere sulla legittimità della misura presa contro chi è privo del permesso di soggiorno. Il giudice unico del tribunale di Latina ha, infatti, rinviato alla Corte la decisione sulla norma introdotta dal decreto legge n. 92 del 2008 nell’ambito del "pacchetto sicurezza".

A fondamento della valutazione di non manifesta infondatezza, l’ordinanza di rinvio sottolinea soprattutto il profilo di contrasto con l’articolo 3 della Costituzione. A non convincere è l’aspetto di generalità e automaticità dell’aggravante in questione collegata a una "qualità personale del colpevole".

La riflessione del giudice parte dalla considerazione della natura giuridica della circostanza aggravante, la cui ragione è costituita dall’aspirazione del legislatore di adeguare la pena alla reale portata dei fatti concreti, nella prospettiva di rendere il più aderente possibile la sanzione alla condotta. Lo sforzo di individualizzare la fattispecie penale è affidato alla previsione di elementi accessori del fatto che devono, però, sempre essere valutati dall’autorità giudiziaria. È il giudice, cioè, a dover sempre accertare la presenza delle condizioni di fatto che costituiscono l’aggravante.

Un esempio, sottolinea l’ordinanza, per chiarire le idee: l’aggravante, anche questa di natura "soggettiva", dell’abuso di poteri del pubblico ufficiale. Per configurarla non basta la qualifica di pubblico ufficiale dell’imputato, ma il magistrato deve anche accertare l’avvenuto abuso di potere. Non si tratta mai, e il giudice unico di Latina ricorda anche altri casi, di aggravanti che discendono dalla condizione o qualità dell’imputata.

Nel caso dell’aggravante per clandestinità, invece, al giudice è impedito dalla norma qualsiasi esame concreto del collegamento tra la qualità di straniero illegittimamente presente in Italia e la condotta criminale per la quale viene giudicato. Il legislatore ha, però, connesso alla condizione personale del mancato rispetto della disciplina amministrativa dell’immigrazione un valore penale con conseguenza immediata sulla sanzione.

Questa previsione, spiega l’ordinanza, si scontra con l’interpretazione offerta anche di recente dalla Corte costituzionale che ha più volte bollato di irragionevolezza e sproporzione la legislazione interna sulla condizione dello straniero clandestino. Tanto più che, secondo il giudice di Latina, c’è un problema di bilanciamento di interessi per cui il controllo dell’immigrazione clandestina non è comunque confrontabile con il diritto alla libertà personale.

 

Tribunale di Latina, ordinanza 1° luglio 2008

 

Nel caso dell’aggravante di cui all’articolo 61 n. 11 bis del Codice penale ci troviamo di fronte ad una fattispecie totalmente eccentrica rispetto al sistema e, dunque, irragionevole ai sensi dell’articolo 3 della Costituzione, perché non solo non consente al giudice alcuna valutazione in concreto della connessione tra la qualità di straniero illegittimamente presente nello Stato e la condotta criminale per la quale viene giudicato (come invece avviene per le altre aggravanti comuni soggettive), ma riconnette alla condizione persona le dell’inottemperanza alla disciplina amministrativa dell’immigrazione una valenza penale, con obbligatorio riflesso sulla pena.

Droghe: Giovanardi; dopo Verona, controlli estesi a tutta Italia

 

Redattore Sociale - Dire, 18 settembre 2008

 

"Siamo pronti, per i comuni che ce lo chiederanno, a esportare in tutta Italia i controlli antidroga effettuati con il modulo mobile sperimentato con successo a fine agosto a Verona". Lo ha detto, nel corso di un’intervista radiofonica trasmessa da R101, il sottosegretario alla Presidenza del Consiglio con delega alle politiche familiari Carlo Giovanardi.

"È dimostrato - ha aggiunto - che la collaborazione tra lo Stato, le Regioni, il volontariato, garantisce effetti benefici sul territorio. Il governo nazionale, naturalmente, non può imporre nulla. Rifaremo l’esperimento a Ravenna perché ce lo hanno chiesto. I test saranno operativi in tutta Italia quando enti locali, Regioni e medici si metteranno d’accordo per applicare il modulo già operativo a Verona".

Nell’intervista Giovanardi parla anche dell’obbligo per i locali pubblici che vendono alcolici, (scatterà dal 23 settembre) ad esporre le tabelle del ministero della Salute per la lotta all’alcolismo: "ci sono esercenti seri che collaborano - ha aggiunto - e ci sono organizzazioni come il Silb, il sindacato dei locali da ballo, che si è sempre contraddistinto per contrastare ogni tipo di iniziativa che possa concorrere a frenare le stragi del sabato sera".

Firenze: metadone nel mercato spaccio? Federserd smentisce

 

Asca, 18 settembre 2008

 

Un aumento di denunce per spaccio e detenzione di metadone a carico di tossicodipendenti viene osservato negli ultimi tempi dagli uffici della procura di Firenze in base alle segnalazioni che pervengono dagli organi di polizia di giudiziaria.

Il fenomeno, secondo quanto si apprende, viene considerato nuovo, è relativo agli ultimi mesi (a partire dalla primavera) e potrebbe non riguardare solo il capoluogo toscano. Anche se non è stata aperta nessuna inchiesta giudiziaria specifica sulla questione, nella procura fiorentina si fa notare che negli ultimi tempi numerosi tossicodipendenti stanno facendo scorte di metadone tramite i servizi delle Asl ma, anziché utilizzarlo per scopo personale, lo destinano allo spaccio incrementando la filiera dei reati legati agli stupefacenti.

Questa nuova tendenza, secondo gli inquirenti, troverebbe leva in un decreto ministeriale del novembre 2007 firmato dall’ex ministro alla salute Livia Turco. Il provvedimento, tra le varie disposizioni, consente la consegna del metadone al paziente, oppure a un familiare o ad altra persona maggiorenne debitamente in possesso di delega, per un fabbisogno personale massimo di 30 giorni.

"A noi non risulta che ci sia un aumento sensibile di denunce, sul territorio nazionale, per detenzione e spaccio di metadone o di altri farmaci sostitutivi": il presidente nazionale di Federserd (federazione dei servizi pubblici per le dipendenze), Alfio Lucchini, commenta così all’Ansa l’allarme proveniente da uffici della Procura di Firenze.

"Da sempre - spiega Lucchini - una piccola quota di metadone entra nel mercato dello spaccio. Ma negli ultimi anni c’è stato uno sforzo consistente da parte dei Sert a utilizzare, sia nei farmaci sostitutivi che non consentissero lo spacciò. In pratica, il farmaco prescritto dal medico del Sert è personalizzato e tarato su quel paziente. Tra l’altro, precisa Lucchini, se un tossicodipendente non assume le quantità prescritte, sta male, e dunque come può spacciare il farmaco che gli serve? Infine, Lucchini sottolinea come sia davvero raro che un Sert consegni al tossicodipendente o a un suo delegato metadone per 30 giorni: tendenzialmente i protocolli sono di 7-10 giorni, in casi rari di 15 e rarissimi di un mese. In Italia non c’è il vezzo di dare metadone per periodi così lunghi".

 

 

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