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Giustizia: Alfano; "braccialetto"? forse. Espulsioni? di sicuro
Ansa, 17 settembre 2008
Il braccialetto elettronico come "aggravante ulteriore per gli arresti domiciliari" sarà introdotta solo se ci sarà la garanzia "di evasioni zero e recidiva zero". Lo ha detto il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, nel corso della trasmissione Sky Tg24 sera. "Il braccialetto come misura supplementare sarà applicato solo se certi che funzioni come nella civilissima e confinante Francia, dove si registrano evasioni zero e recidive zero. Lì ne sono in funzione duemila". Alfano ha ribadito che di essere al lavoro con il ministro dell’Interno Maroni affinché i tecnici della Giustizia e degli Interni individuino le tecnologie in grado di garantire, appunto, che non ci siano evasioni e recidive con l’uso del braccialetto. "Se così non sarà - sottolinea Alfano - questa norma, introdotta nel 2000 da un governo di centrosinistra, era e resterà inapplicata". Il Guardasigilli ha infine escluso che verrà avviato un programma svuota-carceri, ma ha precisato che si lavorerà per decongestionare i sovraffollati istituti penitenziari: "Il 35%-40% dei detenuti sono stranieri. Intendiamo mandarli a casa loro a scontare la pena. Berlusconi ne ha parlato oggi con Sarkozy. Sono convinto che il costo dell’espulsione sarà inferiore ai costi di mantenimento, di sicurezza e processuali in Italia". Giustizia; Pezzotta; Governo è inadeguato, alimenta le paure
Ansa, 17 settembre 2008
"I recenti fatti di cronaca di Milano e i dati Censis sulla città di Roma sono dirette conseguenze della strategia della paura su cui il governo ha basato ogni suo intervento in tema di sicurezza". Lo sottolinea il deputato dell’Unione di Centro Savino Pezzotta. Per l’ex segretario della Cisl "provvedimenti come le schedature nei campi rom, la presenza dei militari nelle città, la creazione di nuovi reati senza un sistema giudiziario capace di sostenerli, si sono rivelati drammaticamente inadeguati e controproducenti: il risultato ottenuto- osserva- è una crescente percezione di insicurezza nei cittadini, un clima esasperato e il proliferare di fenomeni di razzismo, intolleranza e violenza". Giustizia: i Garanti dei detenuti ci sono, ma con le mani legate di Sara Dellabella
www.rivistaonline.com, 17 settembre 2008
Roma è la prima città italiana ad aver istituito la figura del "Garante dei diritti e delle opportunità delle persone private della libertà" nel 2003, tanto che la delibera di nomina è divenuta presto il modello per molti enti locali, comuni e province. Oggi l’istituzione del Garante è funzionante anche presso i Comuni di Firenze, Bologna, Brescia, Torino, Sassari, Nuoro; presso le Regioni Lazio e Sicilia; presso la Provincia di Milano. Altri Comuni e Regioni stanno esaminando analoghe proposte di delibera o legislative. Al giorno d’oggi è all’esame della Camera un progetto di legge istituivo di un Garante nazionale. Quella del Garante, però è una figura "sperimentale" ed informale, ovvero è guardata con sospetto perché non regolamentata dall’Ordinamento Penitenziario. Non ha il diritto di ispezione che la legge riconosce ai parlamentari e ai Consiglieri regionali ed entrano in carcere in base alla stessa norma che regola la collaborazione dei volontari. Insomma quella che si è istituita con il Garante è una figura a sua volta poco garantita e che difficilmente ha poteri incisivi sul pianeta carcere, ma nonostante questo intorno agli istituti di detenzione sono nati, grazie alla collaborazione di molte cooperative, progetti. Il Garante del Comune di Roma espleta le funzioni attribuitegli dalla delibera istitutiva esercitando un potere di moral suasion e di mediazione fra le richieste dei detenuti e le diverse autorità a cui sono rivolte, svolge con continuità un’azione di controllo sugli istituti di pena e sulla gestione dei diversi reparti, con le eccezioni dei reparti che ospitano detenuti in regime di 41 bis e detenuti "collaboranti"; è ammesso personalmente e attraverso i suoi collaboratori al colloquio diretto con i detenuti; assicura, quando se ne presenti la necessità o ne venga richiesto, un’azione di raccordo e di coordinamento fra diverse istituzioni; collabora strettamente con le altre istituzioni (in particolare per il Comune di Roma con la Consulta penitenziaria e con il Piano Carcere, con l’Assessorato alle Politiche Sociali e con quello al Lavoro alle Periferie urbane e allo Sviluppo locale) che si occupano dei Diritti delle persone private della libertà; prende, nell’ambito delle sue possibilità, tutte le iniziative che possano contribuire a migliorare la vita all’interno del carcere e il rispetto dei diritti dei detenuti e ad assicurare una maggiore conoscenza e una corretta e trasparente informazione sull’istituzione penitenziaria. La speranza è che ogni provincia ospitante un istituto di detenzione si doti di un suo Garante, in attesa che il Parlamento tra un’emerge e l’altra, riesca a istituzionalizzare questa importante figura, forse l’unica in grado di ristabilire un contatto tra la cella e la realtà, senza rendere la detenzione un limbo inutile. Giustizia: madri detenute, quando il carcere diventa asilo nido di Barbara D’Amico
www.rivistaonline.com, 17 settembre 2008
Le pareti sono piene di disegni, accanto al letto si trova spesso un piccolo fasciatoio e durante l’ora d’aria è possibile vedere queste mamme con in braccio i propri figli: non siamo in un normale asilo nido, ma in una delle tante strutture penitenziarie italiane che accolgono, assieme a donne detenute, i loro bambini. Il carcere visto dai minori: figli di chi è condannata ad anni di detenzione e che, per legge, ha diritto a crescere il proprio piccolo o la propria piccola sino al raggiungimento dell’età scolare. Secondo i dati del Ministero di Grazia e Giustizia, nel 2007 erano 18 gli asili nido funzionanti nelle strutture penitenziarie - i principali presso Pozzuoli, Roma, Trani, Perugia e Venezia - e 68 le detenute madri con figli in istituto. Di questi, 53 erano al di sotto dei 3 anni e 23 dovevano ancora nascere. Il dato più interessante è quello relativo ai bambini che sin dalla loro nascita non hanno conosciuto il mondo esterno ma solo quello carcerario: fenomeno criticato e fonte di numerosi provvedimenti per far fronte alla paradossale e incolpevole condizione del minore che, pur avendo diritto ad una vita libera, non può essere privato delle attenzioni del proprio genitore. L’art. 11 della legge n. 354 del 26 luglio 1975 "Ordinamento Penitenziario" al comma 9 prevede che alle detenute madri sia consentito di tenere presso di sé i figli fino all’età di tre anni. Per la cura e l’assistenza dei bambini l’Amministrazione penitenziaria deve organizzare appositi asili nido secondo le modalità stabilite dalla legge (art. 19 del Regolamento di esecuzione D.P.R. 30 giugno 2000), sia all’interno che all’esterno delle strutture detentive. A Milano l’ Icam (Istituto di custodia attenuata per detenute madri) rappresenta una struttura all’avanguardia, con 420 metri quadrati di giardino e attrezzature, camere doppie e singole, ludoteca, infermeria e sala comune: una realtà che lo scorso anno ha potuto ospitare ben 32 mamme provenienti dal carcere di San Vittore e i rispettivi figli conducendo un esperimento unico in Italia. Sia le madri che la polizia penitenziaria, infatti, vestono in borghese e l’intero progetto mira a non far percepire ai bambini la realtà carceraria. Strutture simili sono salutate con elogio dai vari rapporti stilati annualmente in materia di condizioni penitenziarie, non da ultimo il rapporto dell’associazione Antigone e quello di Amnesty International. Una possibilità, quella di creare misure alternative alla detenzione in carcere, resa possibile dal contenuto numero di donne presenti nelle strutture italiane (solo mille detenute ogni 17 mila uomini), con una punta massima di quasi seicento trattenute in strutture penitenziarie proprio in Lombardia. E se le risorse umane consentono l’attuazione di un diritto inviolabile come quello della crescita e dell’educazione del minore, non altrettanto può dirsi per quelle economiche. La scarsità di fondi è stata la ragione, forse, dei provvedimenti che, a partire dalla legge 165/98 - art. 4 - hanno esteso la possibilità di usufruire della detenzione domiciliare alle detenute madri di bambini di età inferiore ai dieci anni, sempre che non debbano scontare pene per gravi reati di cui agli art. 90 e 94 del testo unico 309/90 in materia di droghe e sostanze stupefacenti. Giustizia: 3mila i detenuti italiani nel mondo, politica è assente di Giovanni Falcone
www.italiachiamaitalia.net, 17 settembre 2008
Non si riesce proprio a capire il perché del disinteresse totale della politica, ma ancora peggio del Parlamento, verso la situazione-problematica dei detenuti Italiani all’estero. Sono 18 mesi che cerco di portare avanti questo problema sociale nazionale che attanaglia sì i circa 3.000 detenuti nel mondo, ma anche le famiglie in Italia, gente che come me deve lottare giorno per giorno con problemi che vanno dai più seri, avvocati, tribunali ma anche cose più semplici, che diventano insuperabili, come il riuscire ad avere la possibilità di parlare al telefono ogni tanto con i nostri familiari detenuti. Siamo abbandonati: per quanto riguarda me, ringraziando Dio e il personale dell’Ambasciata di Delhi che tanto sta facendo per aiutarmi, mi ritengo fortunato, nella sventura; certo non è così per tutti, almeno per quanto di mia conoscenza. Politica che tanto è impegnata quotidianamente per affrontare il problema degli immigrati ma di tutti gli stranieri, in regola e non, presenti sul nostro territorio, legiferando anche per questo. Giusto e sacrosanto, la solidarietà va data a tutti, gente che ha abbandonato i propri paesi per cercare una vita migliore, ma anche per scappare da guerre civili e situazione di genocidi. Milioni di euro spesi tutti i giorni, per detenzione, braccialetti elettronici (oggi in un articolo ho letto che sono già stati spesi 50 milioni di euro), alloggi, sussistenza, sanità, scuole per bambini, assegni sociali, ma anche tantissimi soldi per questioni giudiziarie, avvocati, interpreti, spese per processi, ancora strutture per mantenere viva la loro cultura civile e religiosa. Tutte cose che mi trovano d’accordo e lo dico col cuore in mano, mi fa tremendamente male quando leggo di immigrati maltrattati, sfruttati, derisi e ogni altra cosa che li mette in condizioni di sudditanza ma anche in alcuni casi peggiori in schiavitù totale. Però nello stesso tempo non posso non pensare alle condizioni di vita dei nostri cari, cittadini Italiani detenuti nel mondo, detenzioni assurde, ai limiti della sopravvivenza in alcuni casi, ma in genere comunque tutti con violazioni totale dei Diritti Umani, ma anche con l’inattuazione di Garanzie Civili e Giuridiche. Per non parlare della situazione Sanitaria. E se tutto ciò viene a mancare non si sa come pensare al mantenimento della propria cultura e religione, in India addirittura, in alcuni Stati è in atto una caccia ai cristiani da parte degli induisti, ci sono stati dei morti e ancora non è finita. Ad Angelo e Simone in fase di arresto è stato negato l’interprete e l’avvocato, hanno dovuto firmare con modi coercitivi un documento in lingua Indi che poi si è rilevato un atto di accusa per cui sono stati condannati a 10 anni di reclusione. Reciprocità, questo è quello che chiedo, oltre alle leggi particolari, bisogna pretendere la reciprocità da questi Stati che detengono i nostri cittadini, devono rendersi conto che nella globalizzazione ci siamo tutti, noi e loro, i Diritti come i Doveri riguardano tutti, noi diamo a loro ma loro devono anche dare a noi, facciamo le moschee, luoghi di culto per tutti, Induisti, Buddisti e ogni altra religione,addirittura abbiamo fatto togliere i crocefissi dagli uffici pubblici e scuole per non urtare la loro suscettibilità, ma lo stesso devono fare loro per noi; invece si verifica che in alcuni paesi non possiamo neanche girare col crocifisso al collo, loro indossano regolarmente il Niqab (abito che copre tutto tranne gli occhi) creando problemi di sicurezza come successo al museo di Venezia a fine agosto, anche sulle spiagge, mentre ad esempio le donne occidentali non possono indossare il bikini, che da noi è oramai normale; sembrano banalità, ma messe insieme a tutto il resto.... Adesso il cruccio e problema principale di alcuni politici è di dare il diritto di voto agli stranieri dopo pochi anni in Italia, non lo trovo giusto e come me in tanti; penso che per i nostri amati politici è arrivata l’ora di pensare che se siedono in quei banchi lo devono a noi, li abbiamo mandati lì per affrontare e risolvere i problemi di vita quotidiana dell’Italia, e di noi Italiani. Devono pensare prima a noi e non solo e soprattutto a loro, milioni di euro spesi giorno per giorno per loro e noi non riusciamo ad avere una telefonata dai loro Stati per i nostri cittadini, troppa sproporzione di comportamento, è ora di cambiare. Ed è inutile e da incivile dire che i 3.000 potevano anche starsene a casa o che in tanti sono delinquenti abituali, anche gli stranieri in Italia sono delinquenti abituali con l’aggravante dell’atrocità e inumani, che fanno cose aberranti, ma non per questo non vengono loro garantiti i Diritti previsti legali e tutto e questo è comprovabili da atti e documenti. Politici ma anche la nostra cara amata Chiesa, abbiate la bontà, e dovere Civile, Costituzionale e Cristiano di ascoltarci, ascoltare i nostri problemi e insieme trovare le strade migliori a risolverli, come sopra detto vi abbiamo votato per questo. Giustizia: "Equitalia Spa", nasce Agenzia per "recupero fondi" di Marco Bellinazzo
Il Sole 24 Ore, 17 settembre 2008
Il ministero della Giustizia prova a svegliare i propri conti "dormienti". In tempi sempre più magri per i bilanci pubblici, Via Arenula rompe gli indugi e con il decreto legge sulle sedi disagiate - in vigore da oggi - punta a far cassa recuperando i fondi parcheggiati e, talvolta dimenticati, presso banche, Poste e altri non meglio precisati "operatori finanziari"; soldi che rappresentano, per usare un linguaggio da azienda, il volume d’affari del servizio giustizia: si va dai beni confiscati ai mafiosi alle multe per le società disposte in base al decreto "231"; dal denaro sequestrato e non ancora reclamato dopo cinque anni dalla chiusura dei processi, ai crediti per sanzioni amministrative e alle pene pecuniarie irrogate a vario titolo. Un patrimonio di cui ancora nessuno, peraltro, conosce l’esatta dimensione. Si parla di cifre che veleggiano ben oltre il miliardo di euro. Spetterà alla neonata "Equitalia Giustizia Spa" effettuare nel prossimo mese la due diligence. Sicurezza, ordine pubblico e ammodernamento di tribunali e Corti d’appello: la lista delle spese da finanziare, invece, è già pronta. Nel decreto legge sulle sedi disagiate trova spazio il nuovo "Fondo unico giustizia". Il provvedimento d’urgenza a 143 varato giovedì scorso dal Consiglio dei ministri per far fronte al rischio di paralisi nell’attività di molti tribunali e Procure (specie di quelle meridionali), è stato pubblicato ieri nella "Gazzetta Ufficiale" n. 217. Ma, rispetto alla versione finora nota, il Dl 143 contiene anche una serie di disposizioni che razionalizzano le modalità di gestione degli "incassi" del servizio giustizia, sulla scia di quanto già delineato nella manovra d’estate (articolo 61, comma 23, della legge 113/08). L’innesto di queste disposizioni in un decreto legge rende immediatamente esecutivo - da Oggi - l’iter che dovrà portare a centralizzare presso "Equitalia Giustizia Spa" la gestione dei proventi di confische, sequestri e sanzioni varie, ora devolute a una pluralità di soggetti (Poste italiane, banche e altri operatori finanziari). Questi ultimi, entro 30 giorni, dovranno comunicare a Equitalia, tra le altre cose, l’esatto ammontare delle somme in deposito. L’entità del "tesoretto", infatti, deve essere ancora accertata. L’elenco delle risorse che dovranno alimentare il "Fondo unico giustizia", del resto, è piuttosto variegato: le somme di denaro sequestrate se, trascorsi cinque anni dalla data della sentenza definitiva, non ne sia stata disposta la confisca e nessuno ne abbia chiesto la restituzione; i soldi sequestrati nel corso dei procedimenti penali; le somme sequestrate per l’applicazione di misure di prevenzione previste dalla legislazione antimafia; i proventi derivanti dalla vendita dei beni confiscati sempre in base alla legi-slazione antimafia; e, inoltre, i proventi relativi a titoli al portatore, a quelli emessi o garantiti dallo Stato, ai valori di bollo, ai crediti pecuniari, ai conti correnti, ai conti di deposito titoli, ai libretti di deposito e a ogni altra attività finanziaria oggetto di provvedimenti di sequestro sempre nell’ambito di procedimenti per mafia; e, ancora, i soldi derivanti dall’irrogazione di sanzioni amministrative o dalla confisca di beni, incluse quelle a carico di società alla luce del decreto "231". Risulta invece sostanzialmente confermato il mix di incentivi economici e di carriera riconosciuti ai magistrati (un centinaio) che saranno trasferiti d’ufficio nelle circa 60 sedi disagiate individuate dal Csm. L’aumento di stipendio al massimo per quattro anni sarà di circa 2.500 euro (in pratica il doppio di quanto oggi assegnato a chi accetta di lavorare nelle sedi meno ambite). Potranno essere trasferiti d’ufficio, in distretti limitrofi, anche i Pm in servizio da meno di 10 anni. I magistrati che prestano già servizio nelle sedi disagiate avranno ancora diritto di essere preferiti nella scelta della destinazione successiva come stabilito dalla legge 133 del 1998. "Ma l’opzione potrà essere esercitata solo sul 50% di posti messi a concorso nell’ambito di ciascun ufficio - sottolinea Bernardo Petralia, vicepresidente della VII Commissione del Csm - e comunque entro lo stesso grado. Non sarà più possibile, cioè, il salto dal primo grado all’appello. Uno stop a favore del quale il Csm si stava orientando già da qualche tempo". Giustizia: in Italia 23mila persone sparite, appello ai Comuni
Redattore Sociale - Dire, 17 settembre 2008
Un appello forte ai 2.000 comuni italiani nei quali risulta esserci almeno una persona scomparsa delle 23.545 dissoltesi nel nulla in Italia tra il 1974 e il 2008. Un appello affinché si impegnino attivamente ad aiutare la loro ricerca. Lo lanciano Aiccre, Associazione italiana dei comuni, delle province, delle regioni e delle altre comunità locali, insieme a Penelope, associazione dei famigliari delle persone scomparse. Si tratta di un protocollo di "sensibilizzazione istituzionale" affinché questi comuni si impegnino in azioni di informazione, affiggendo pubblicamente foto degli scomparsi, di coordinamento interistituzionale con forze di polizia e magistratura e aderendo alla nuova Rete di poteri locali per le persone scomparse sul modello australiano. "Duemila persone all’anno scomparse assomigliano alla cifra dei morti sul lavoro - sottolinea Roberto Di Giovan Paolo, segretario generale Aiccre - e questo non è più accettabile. Il problema è stato nel passato fortemente sottovalutato. È importante quindi - sottolinea - che la creazione di questa rete unificata permetta di portare la questione dalle famiglie delle persone scomparse alla comunità a cui appartengono. I comuni spesso non sono neanche informati di queste sparizioni". I sindaci potranno portare la delibera proposta dal protocollo in consiglio comunale per l’approvazione, modificandola se necessario. Attiveranno così tutte le iniziative necessarie. "Con questa iniziativa l’Aiccre ci fa sentire molto meno soli- dice Elisa Pozzo Tasca, presidente nazionale associazione Penelope- si parla sempre di singoli casi famosi quando si affronta il tema delle persone scomparse, ma sono in tutto ben 23.545, la dimensione di un paese medio piccolo". Prosegue Pozzo Tasca: "Finora ci siamo sentiti molto poco ascoltati dalle istituzioni ma la situazione è grave. Ci sono casi di cadaveri di persone scomparse ritrovati dopo 6 mesi ma consegnati alle famiglie dopo 7 anni perché giacevano negli obitori senza che nessuno sapesse di chi fossero". E conclude la presidente di Penelope: "Speriamo che ora questo appello, insieme al Ddl ripresentato in questa legislatura aiuti a modificare questa grave carenza italiana di una rete efficiente di ritrovamento delle persone scomparse". Emilia-Romagna: carceri stipate, 152 detenuti ogni 100 posti
www.emilianet.it, 17 settembre 2008
Ristabiliti i livelli pre-indulto, un indice di sovraffollamento superiore alla media nazionale, carenza di personale. Così il quadro della relazione sulla situazione penitenziaria elaborata dalla Regione Centocinquantadue persone per 100 posti di capienza regolamentare. È l’indice di sovraffollamento medio delle carceri in Emilia-Romagna, che supera quello nazionale (113). Un dato non certo incoraggiante, a cui si aggiunge la generale carenza di personale. È quanto emerge, in sintesi, dalla Relazione sulla situazione penitenziaria nel 2007 in Emilia-Romagna elaborata dalla Regione. Un documento previsto da una normativa recente - la legge 3 del 2008 sulla tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della Regione - realizzato dall’assessorato alle Politiche sociali in collaborazione con gli assessorati alle Politiche per la salute e alla Scuola e lavoro, che verrà illustrato prossimamente alla Commissione assembleare Politiche per la salute e politiche sociali. Nel 2007 "il numero dei detenuti è ritornato progressivamente ai livelli pre-indulto, con un incremento mensile che, a livello nazionale, si è attestato attorno alle 800 persone, a livello regionale sulle 55 - ha sottolineato l’assessore alle Politiche sociali della Regione Anna Maria Dapporto, presentando la relazione alla Giunta - In Emilia-Romagna l’aumento complessivo nell’arco dell’anno è stato di 668 persone: +22,68%. Nella nostra regione - ha continuato l’assessore - la situazione è grave: oltre al sovraffollamento, si rilevano quasi ovunque carenze di personale, che concorrono a rendere più drammatica la situazione. L’insieme di questi due problemi determina una degenerazione della vivibilità in carcere. Voglio ricordare - ha concluso Anna Maria Dapporto - che la responsabilità di ciò che avviene all’interno degli istituti è del ministero della Giustizia, mentre Regioni ed enti locali lavorano sul tema del reinserimento sociale e lavorativo". A fine dicembre 2007, nei 12 istituti dell’Emilia-Romagna erano presenti complessivamente 3.613 detenuti (3.499 uomini e 114 donne), su 2.382 posti di capienza regolamentare (fonte ministero della Giustizia). 1.843 gli stranieri, ovvero il 51,01% dei detenuti (in alcuni istituti la percentuale supera il 60%). Una percentuale, quest’ultima, simile ad altre regioni del nord: nel Veneto il 60% dei detenuti sono stranieri e in Lombardia il 48%. La relazione traccia un profilo della popolazione carceraria: quasi il 63% dei detenuti è residente in regione, il livello di istruzione è basso (il 31,88% ha al massimo la licenza elementare, il 57% la terza media), quasi la metà - prima di andare in carcere - risultava disoccupato. Per quanto riguarda la posizione giuridica, oltre il 70% dei detenuti è in attesa di giudizio. La maggior parte delle persone deve scontare una pena inferiore a 6 anni: la permanenza media dei detenuti in carcere risulta in generale molto bassa, mentre il turn-over è altissimo. Un aspetto, quest’ultimo, ancora più rilevante per le donne. Circa le tipologie di reato in Emilia-Romagna il 40,71% dei detenuti è in carcere per reati legati alla droga; una cifra destinata a salire al 55,29% se si considerano solo gli stranieri (1.019 su 1.843). E se negli ultimi anni sono cresciuti in misura ridotta i detenuti per reati di stampo mafioso, è aumentato invece il numero delle persone detenute per violazione della legge sull’immigrazione. Le attività e gli interventi che la Regione svolge a favore dei detenuti ed ex-detenuti sono regolate da Protocolli d’Intesa siglati con il ministero della Giustizia. Il reinserimento sociale è frutto di un’integrazione fra l’opera svolta durante il periodo della carcerazione e quello da svolgere successivamente; l’obiettivo quindi è sviluppare sempre più una stretta collaborazione fra gli operatori impegnati nell’attività all’interno degli istituti (appartenenti all’amministrazione penitenziaria, dipendenti da enti locali, o volontari) e gli operatori che seguiranno i casi dopo la dimissione nel territorio di appartenenza. Lo strumento principale delle politiche sociali per la re-inclusione delle persone detenute è costituito dai finanziamenti regionali ai Comuni sedi di carcere all’interno del Programma finalizzato al contrasto della povertà e dell’esclusione sociale, affidato alla progettazione dei Piani sociali di zona. Ogni anno la Regione destina 400.000 euro, cifra quasi raddoppiata dagli enti locali. Attraverso i Piani sociali di zona, i Comuni continuano a gestire i progetti mirati alla mediazione culturale, al miglioramento della qualità della vita in carcere e al reinserimento socio-lavorativo delle persone. A questi strumenti si va ora a sommare la legge 3 del 2008, "Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della Regione Emilia-Romagna", che consolida l’insieme delle politiche regionali sull’area penale. Lazio: da 1° ottobre cure sanitarie detenuti passano a Regione
Il Velino, 17 settembre 2008
Dal 1 ottobre l’assistenza sanitaria nelle carceri del Lazio sarà gestita dalla Regione. Si è tenuto questa mattina presso la Regione Lazio un incontro tra il Vice presidente Esterino Montino e il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria del Lazio Angelo Zaccagnino cui ha partecipato anche il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. L’incontro era finalizzato a definire il passaggio delle competenze sulle prestazioni sanitarie alla popolazione carceraria del Lazio dal Ministero di Grazia e Giustizia alla Regione, così come previsto dal decreto ministeriale n. 126 del 2008 che ne fissa il termine ultimo entro il 30 settembre prossimo. La Giunta regionale, con delibera dello scorso luglio aveva già recepito, infatti, i contenuti del decreto ministeriale avviando le procedure per il passaggio delle consegne. Dal 1 ottobre l’assistenza sanitaria nelle carceri del Lazio sarà gestita dalla Regione. Si è tenuto questa mattina presso la Regione Lazio un incontro tra il Vice presidente Esterino Montino e il Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria del Lazio Angelo Zaccagnino cui ha partecipato anche il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. L’incontro era finalizzato a definire il passaggio delle competenze sulle prestazioni sanitarie alla popolazione carceraria del Lazio dal Ministero di Grazia e Giustizia alla Regione, così come previsto dal decreto ministeriale n. 126 del 2008 che ne fissa il termine ultimo entro il 30 settembre prossimo. La Giunta regionale, con delibera dello scorso luglio aveva già recepito, infatti, i contenuti del decreto ministeriale avviando le procedure per il passaggio delle consegne. "Oggi i detenuti nel Lazio sono 5.359 e per tutti la Regione si impegna ad assicurare il mantenimento dei livelli di prestazione sanitaria già erogati dal Ministero - ha dichiarato il Presidente Marrazzo - e, con la collaborazione del Garante per i detenuti Marroni lavoreremo per qualificare e migliorare ulteriormente l’assistenza sanitaria nelle carceri" "Senza l’impegno della Regione - ha detto il Garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - dal primo ottobre i detenuti delle carceri del Lazio rischiavano di trovarsi senza assistenza sanitaria. Il trasferimento alle Asl dell’assistenza sanitaria non era più rinviabile. L’esperienza ha, infatti, dimostrato che quello alla salute è uno dei diritti più vilipesi in carcere, non per cattiva volontà degli operatori, ma per la oggettive carenze di personale, strutture e fondi. Oggi, grazie all’impegno della Regione, siamo davanti ad una importante affermazione del diritto alla salute anche in carcere". "Oggi i detenuti nel Lazio sono 5.359 e per tutti la Regione si impegna ad assicurare il mantenimento dei livelli di prestazione sanitaria già erogati dal Ministero - ha dichiarato il Presidente Marrazzo - e, con la collaborazione del Garante per i detenuti Marroni lavoreremo per qualificare e migliorare ulteriormente l’assistenza sanitaria nelle carceri" "Senza l’impegno della Regione - ha detto il Garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - dal primo ottobre i detenuti delle carceri del Lazio rischiavano di trovarsi senza assistenza sanitaria. Il trasferimento alle Asl dell’assistenza sanitaria non era più rinviabile. L’esperienza ha, infatti, dimostrato che quello alla salute è uno dei diritti più vilipesi in carcere, non per cattiva volontà degli operatori, ma per la oggettive carenze di personale, strutture e fondi. Oggi, grazie all’impegno della Regione, siamo davanti ad una importante affermazione del diritto alla salute anche in carcere". Aversa: all’Opg muore 37enne; è il 12° decesso dall'inizio 2007
Ansa, 17 settembre 2008
Morte improvvisa di un pregiudicato, è giallo. L’uomo era ricoverato nell’ospedale giudiziario di Aversa ed inaspettatamente ieri notte tarda, è stato trovato morto nel suo letto. Sono stati inutili i tentativi del personale sanitario impegnati sul posto, per rianimarlo, il poveretto purtroppo era deceduto, non si sa da quanto tempo prima. È l’ennesimo episodio di decesso in circostanze misteriose avvenuto all’interno del carcere, a distanza di pochi mesi l’uno dall’altro. Stavolta lo sfortunato si chiamava Massimo Morgia, originario di Roma, nato il 1 novembre del 1971. Si trovava nella struttura per scontare la sua pena detentiva, ma per un motivo tutto da accertare, l’uomo è deceduto, con lui nella stanza c’erano altri pazienti che pare non si siano accorti di quello che succedeva al povero Morgia. Il corpo senza vita di Massimo riverso nel letto è stato scoperto dal personale infermieristico della struttura ospedaliera. L’uomo in vita, aveva difficoltà a socializzare con altri detenuti, era in collisione costantemente con altri detenuti e creava problemi di natura caratteriale, creando conflitti anche con le guardie. Un uomo di non facile carattere, introverso, difficile. Inoltre, come spesso accade in questi casi, il poveretto era stato abbandonato a sé stesso, dalla famiglia che viveva fuori e dalle amicizie che non si ricordavano neppure che fosse esistito. Purtroppo non è il primo episodio di morte improvvisa ed inspiegabile quella che è avvenuta ieri notte, altri episodi, e nemmeno tanto tempo fa, hanno scosso le guardie del penitenziario. L’ultima morte avvenuta fu il suicidio di un pregiudicato che, rimasto solo ed abbandonato da tutti, aveva deciso di togliersi la vita. Massimo era un ragazzo di quasi 37 anni, una volta scontata la sua pena, qualunque essa sia stata, avrebbe potuto recuperare il resto della propria vita. Invece il destino ha voluto che la sua vita terminasse in quel posto, senza nessuno che avesse potuto fare qualcosa per evitare il tragico finale della sua pur breve e tumultuosa vita. In tarda notte il suo corpo è stato trasportato nel reparto di medicina legale dell’ospedale San Sebastiano e Sant’Anna di Caserta dove si attende la visita autoptica disposta dal sostituto procuratore della Repubblica di Santa Maria Capua Vetere, il dott. Giuliano Caputo. Sarà l’autopsia infatti, a chiarire le reali cause del misterioso decesso. Viterbo: il detenuto suicida era ricoverato per problemi mentali
Tuscia Web, 17 settembre 2008
Un uomo di 42 anni, S.R., detenuto agli arresti domiciliari, si è impiccato nella casa di cura psichiatrica Villa Rosa di Viterbo, dove era ricoverato. Era stato arrestato nell’aprile scorso dai carabinieri per aver rubato oggetti sacri nel duomo di Civita Castellana. L’uomo, con diversi precedenti, soffriva da tempo di problemi psichici. Il cadavere è stato scoperto dal personale della casa di cura, entrato nella sua stanza per le pulizie. Sono poi intervenuti i carabinieri incaricati di controllare più volte al giorno il detenuto. L’allarme del Garante dei diritti dei detenuti. "La morte del detenuto nella casa di cura di Viterbo ripropone, con drammatica urgenza, il problema dei detenuti con problemi psichici in carcere": lo afferma il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni. "Nei mesi scorsi - prosegue - due detenuti con problemi psichici erano morti nelle carceri di Frosinone e a Regina Coeli. Lo scorso luglio, inoltre, un agente di polizia penitenziaria di Rebibbia Nuovo Complesso si era ucciso sparandosi un colpo di pistola. Purtroppo in carcere e nel mondo che ruota attorno al carcere si continua a morire". "È evidente che la patologia psichiatrica non può essere gestita solo con il carcere o l’uso massiccio di farmaci. In un momento in cui si parla sempre più di reati da punire con il carcere e di certezze delle pene, non vorrei passasse in secondo piano il fatto che chi è in carcere è pur sempre un cittadino di questa società con diritti fondamentali, come quello alla salute, che non possono essere sospesi", conclude Marroni. Catania: si suicida assistente Polizia Penitenziaria, appello Cgil
Ansa, 17 settembre 2008
Nel primo pomeriggio di oggi un assistente capo della Polizia Penitenziaria, in servizio presso la Casa Circondariale di Catania Bicocca, si è suicidato all’interno della sua auto. L’uomo, 39 anni, separato, di Mascalucia, libero dal servizio, si è tolto la vita sparandosi un colpo alla tempia destra con la sua pistola beretta 92 d’ordinanza. A nulla sono valsi i soccorsi. La salma è stata trasportata all’obitorio dell’ospedale Garibaldi di Catania per l’ispezione cadaverica disposta dal magistrato di turno. Non sono note al momento le cause del gesto.
L’appello della Fp Cgil Comparto Sicurezza
Nella giornata di ieri un tragico evento ha colpito duramente le nostre coscienze, Pietro Cancellieri, assistente capo della Polizia Penitenziaria in servizio presso la Casa Circondariale di Catania e dirigente sindacale della Fp Cgil, si è tolto la vita sparandosi un colpo alla testa con l’arma d’ordinanza. Per il momento scegliamo di non pronunciarci sulle cause del drammatico gesto, oggi intendiamo solo esprimere il nostro indescrivibile dolore e stringere in un forte abbraccio tutti i suoi cari e i suoi colleghi, ai quali vogliamo manifestare tutta la nostra solidarietà e vicinanza. Attendiamo dal Ministro Alfano e dal Capo del Dap, ognuno per la propria parte di responsabilità, misure concrete di contrasto al drammatico fenomeno che oggi ci consegna il pesante dato di circa 71 suicidi negli ultimi 10 anni, solo per il Corpo della Polizia Penitenziaria. Se non è questa un’emergenza da affrontare con immediatezza e risolutezza, qualcuno ci dica quali possono essere definite tali!
Francesco Quinti Responsabile Nazionale Fp Cgil Comparto Sicurezza Frosinone: coppia arrestata per furto di 2 cetrioli e 2 zucchine
Comunicato stampa, 17 settembre 2008
Il Garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni: "è questo inutile tipo di tolleranza zero a rendere invivibili le carceri. Prima di ogni altro provvedimento "svuota-celle" è il caso di stabilire i reati che meritano realmente il carcere". Sono stati arrestati questa mattina dalle forze dell’ordine in flagranza di reato dopo il furto di due cetrioli e due zucchine da un orto nella zona di Pontecorvo (Fr) e sono stati subito trasferiti in carcere in attesa di giudizio. Protagonisti della vicenda - resa nota dal Garante Regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni - una coppia di cittadini italiani della zona, entrambi senza un lavoro fisso. Ora la donna - 37 anni, impiegata saltuariamente con contratti a termine come portantina negli ospedali della zona - è stata trasportata nel carcere di Rebibbia Femminile mentre il compagno è stato trasferito nella casa circondariale di Cassino. "Dopo aver passato giorni interi a discutere sulle misure svuota-carceri proposte dal guardasigilli Anfano, questo caso emblematico giunge a proposito per spiegare perché le carceri sono sovraffollate - ha detto il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni -. Quella di Pontecorvo è una vicenda che se non fosse drammatica sarebbe ridicola e che dovrebbe essere di competenza dei Servizi Sociali del comune, non di un carcere. Non è di questa inutile tolleranza zero che hanno bisogno i cittadini. Io credo che, prima di ipotizzare ogni altro provvedimento straordinario per rendere vivibili le nostre carceri, occorrerebbe una profonda rivisitazione della nostra legislazione per stabilire definitivamente quali reati meritino di essere puniti con il carcere".
L’Ufficio del garante dei detenuti del Lazio Roma: Alemanno; nell’ultimo anno reati sono diminuiti del 40% di Fabio Rossi
Il Messaggero, 17 settembre 2008
Roma è più sicura? Il sindaco punta sui dati della prefettura: in un anno, nel periodo dall’agosto 2007 all’agosto 2008, nella Capitale i reati come furti e rapine sono calati anche del 40 per cento. Gianni Alemanno cita i rapporti forniti da polizia, carabinieri e guardia di finanza, che l’inquilino del Campidoglio ha ricevuto ieri mattina dal prefetto Carlo Mosca. Lo fa per rispondere alle polemiche sugli dati del Censis, che parlano di una sensazione di insicurezza molto diffusa tra i romani. Il prefetto, annuncia Alemanno, "mi ha dato gli ultimi dati disponibili rispetto all’andamento dei crimini commessi nel Comune di Roma: i reati continuano costantemente a calare fino a raggiungere, nell’agosto di quest’anno, una cifra così bassa che non si registrava da anni". Le cifre, sostiene il sindaco, "parlano incontrovertibilmente: la svolta sulla sicurezza c’è stata, è percepibile". Dalle tabelle relative all’andamento dei reati nella Capitale, messe a disposizione dalle forze dell’ordine, emerge che il picco maggiore di reati si è registrato nel marzo 2007, con 21.793. Dal quel momento inizia la fase di decremento che porta fino ai dati dell’agosto 2008, dove il numero totale di delitti è sceso sotto quota diecimila (9.199, contro i 15.525 di agosto 2007). Il raffronto è positivo anche negli altri mesi estivi: a giugno e luglio 2007 sono stati commessi rispettivamente 19.845 e 19.804 reati, mentre negli stessi mesi del 2008 si scende a 14.098 e 13.128. "I reati calano significativamente dall’indomani dell’omicidio della signora Reggiani - spiega il sindaco - Noi vogliamo mantenere la guardia alta, dobbiamo fare in modo che il patto per Roma sicura venga rapidamente applicato". Nel mese di agosto, in particolare, il totale dei furti nella Capitale è stato di 6.425, mentre le rapine sono state 151 e il totale dei "reati predatori" (furti più rapine) 6.576. I numeri arrivano dall’andamento dei reati commessi nella Capitale, e analizzati dalle forze dell’ordine, nel periodo che va dal gennaio 2006 all’agosto 2008. Comparando i dati con quelli relativi all’agosto 2007 e all’agosto del 2006, il Campidoglio fa notare che vi è un calo che oscilla tra il 40 e il 50 per cento in meno dei reati. Ad agosto 2006 infatti si registravano nella capitale 11.747 furti, 328 rapine 12.075 reati predatori. Nello stesso mese del 2007 i furti erano 11.355, le rapine 336 e i reati predatori 11.691. Consultando il grafico a disposizione le forze dell’ordine hanno desunto che nel 2006 l’andamento è stato pressoché "uguale" mentre vi è stato un picco di furti, rapine e reati predatori nel marzo 2007 dove sono stati registrati 16.069 furti, 393 rapine e 16.462 reati predatori. Ma, come ha fatto notare il sindaco, il vero giro di boa si è avuto dopo quella tragica fine di ottobre dello scorso anno. Quando l’omicidio di Giovanna Reggiani in quella angusta e buia stradina della stazione di Tor di Quinto. Lì è scattata una molla nei cittadini e nelle istituzioni, che ha portato a due patti per Roma, il primo firmato quando era sindaco Walter Veltroni, il secondo dopo l’ascesa di Gianni Alemanno al colle capitolino. Roma: caos dopo l'Ordinanza sulle multe a prostitute e clienti
La Repubblica, 17 settembre 2008
Roma contro le minigonne delle prostitute. "Un abbigliamento indecoroso e indecente" è "motivo di distrazione", per gli automobilisti e va multato. In attesa dell’approvazione del ddl Carfagna, il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha deciso di puntare sul decoro e sul codice della strada per varare un’ordinanza contro "i clienti e chi adesca al fine di prostituirsi". Il provvedimento prevede una multa di 200 euro, che presto diventeranno 500. Ma già arrivano le prime proteste e le richieste di chiarimento: "Chi specificherà quanto corta deve essere una gonna affinché si manifesti inequivocabilmente l’intenzione di adescare?", si chiede uno dei sindacati della municipale che invita "le donne di Roma a non vestirsi in maniera succinta". Intanto le prostitute annunciano ricorso al Tar. I primi multati. Su via Salaria e viale Togliatti, strade periferiche di Roma, anche oggi molte ragazze straniere erano "al lavoro" nonostante le multe e la penuria di clienti, fuggiti dal d-day anti meretricio. "Tanto le multe non le paghiamo", ha commentato più di una disincantata e discinta. Un cliente, uno dei pochi colto in flagrante mentre abbordava un trans, quasi incredulo ai vigili ha urlato: "È proibito? Ma è una trasgressione innocua, non voterò più Alemanno". Codice della strada. Nell’ordinanza del sindaco di Roma Gianni Alemanno contro la prostituzione, si sottolinea che "l’attività di meretricio produce gravi situazioni di turbativa alla sicurezza stradale, a causa di comportamenti gravemente imprudenti, in violazione del Codice della strada, di soggetti che, alla guida dei propri veicoli, sono alla ricerca di prestazioni sessuali". L’abbigliamento. Nel provvedimento inoltre si sottolinea anche come l’uso da parte delle prostitute "di un abbigliamento indecoroso e indecente" sia "motivo di distrazione per gli utenti della strada e causa di frequenti incidenti stradali", e si cita il Regolamento della Polizia Municipale che "prevede il divieto di atti offensivi alla decenza e alla morale". Rischio incidenti stradali. L’ordinanza vieta dunque nelle strade del comune di Roma, e soprattutto sulle vie consolari, "dove maggiore è il rischio di gravi incidenti stradali di contattare soggetti dediti alla prostituzione". Inoltre vieta a chiunque di "assumere atteggiamenti, modalità comportamentali ovvero indossare abbigliamenti che manifestino inequivocabilmente l’intenzione di adescare o esercitare l’attività di meretricio". Le multe. "L’ordinanza - ha aggiunto il sindaco di Roma - colpisce i clienti e chi adesca ed è uno strumento per combattere la tratta della prostituzione che è una vera e propria piaga sociale". La pena pecuniaria prevista è, al momento, di 200 euro "per un problema legato ai regolamenti che stabilisce questo tetto che è molto basso". In realtà l’importo di questa sanzione durerà appena due settimane perché "presenteremo un’ulteriore modifica al regolamento comunale che possa consentire di elevarla fino a 500 euro. Multa sul posto. "Se la verbalizzazione della sanzione avverrà sul posto" dove il trasgressore verrà fermato "la multa non sarà mandata a casa", ha detto il sindaco. Ma "chi scappa dall’intimazione non invochi il tema della privacy". Il racket. "Se dovesse essere accertato che una prostituta sorpresa in strada è in qualche modo oggetto di problemi sociali o vittima del racket, non sarà multata. Queste ragazze - ha spiegato Alemanno -, saranno avviate ai servizi sociali per un’opera di recupero e di assistenza". Il sindacato dei vigili. Critico il sindacato dei vigili Sulpm: "Chi specificherà quanto corta deve essere una gonna affinché si manifesti inequivocabilmente l’intenzione di adescare?". Il Sulpm chiederà al sindaco di "fare una circolare chiarificatrice" e nel frattempo invita, ironicamente, "le donne di Roma a non vestirsi in maniera succinta". L’opposizione. "L’ordinanza del sindaco non tiene conto del fatto che ormai la maggior parte delle prostitute a Roma provenienti dall’Est, lavora con un accordo economico al 50% col protettore: quando si arriva a guadagnare oltre 500 euro a notte, è molto difficile accettare l’alternativa dell’avviamento ai servizi sociali". È il commento di Monica Cirinnà, del Pd, presidente della Commissione delle Elette in Campidoglio. Le prostituite al Tar. Il Comitato per i diritti delle prostitute, guidato da Pia Covre, promette battaglia legale contro l’ordinanza anti-prostituzione del sindaco Gianni Alemanno e del sindaco di Verona e sta valutando il ricorso al Tar. "La prostituzione non è reato - ha spiegato Pia Covre del Comitato -. Un’ordinanza, come quella di Verona, non può prevalere su una legge dello stato. Quando poi sarà approvato, se sarà approvato, il ddl Carfagna, allora le cose cambieranno. L’ordinanza di Roma non la conosciamo nel dettaglio ma da quanto abbiamo appreso, anche qui ci sono le condizioni se non altro per valutare seriamente l’opportunità di fare ricorso". Polemiche su ddl Carfagna. Non si placano le polemiche anche sul ddl Carfagna, al punto che lo stesso ministero, in serata, dirama una nota per precisare alcuni punti: "Sarà compito delle forze dell’ordine procedere alla identificazione dei soggetti fermati (clienti e prostitute). Alla identificazione seguirà un regolare processo, al termine del quale, l’eventuale condanna verrà eseguita al momento del rintraccio". Ricorda inoltre, il dicastero delle Pari opportunità, che il ddl "prevede per le prostitute minorenni il cosiddetto rimpatrio assistito, che sarà ovviamente preceduto da una accurata identificazione e da un trattenimento in appositi luoghi di accoglienza. È di tutta evidenza come la prostituzione di strada sia organizzata, gestita e controllata da trafficanti di esseri umani, che vanno colpiti anche sottraendo loro forzosamente la fonte del profitto". Cagliari: Buoncammino è affollato, 100 detenuti oltre capienza
La Nuova Sardegna, 17 settembre 2008
È allarme a Buoncammino. L’ennesimo allarme. Il livello di guardia è stato superato più volte negli ultimi sei mesi: il carcere è sovraffollato e l’effetto indulto è svanito da tempo. Oggi le presenze sono quattrocentoventi contro una disponibilità massima di trecentoventi detenuti. Aumentano i detenuti, con una media quotidiana di sei arrivi, mentre resta immutato il numero degli agenti di polizia penitenziaria. Il vuoto nell’organico ha raggiunto il tetto preoccupante di ottanta unità in meno. A sollevare il caso, ancora una volta, sono stati i sindacati interni, che hanno chiesto un incontro urgente all’Amministrazione regionale penitenziaria. Anche la direzione del carcere non nasconde le difficoltà di gestione: nelle celle da quattro sono adesso rinchiusi fino a otto detenuti. Una situazione disumana accentuata dal fatto che Buoncammino è un carcere vecchio dove è impossibile realizzare spazi di riabilitazione. Ormai è chiaro: da ogni parte si guardi il mondo carcerario è al limite del collasso. Una delle cause dell’allarme di questi giorni è soprattutto dovuto alla situazione sanitaria dei detenuti. Moltissimi sono tossicodipendenti e tanti sono afflitti da una doppia patologia: tossicodipendenza e disturbi psichici, miscela esplosiva che rischia di travolgere gli ultimi argini e non può essere contrastata da una struttura carceraria e medica da sempre sottodimensionata rispetto alla popolazione carceraria. Ogni giorno, a questo punto, le emergenze da affrontare a Buoncammino non sono soltanto quelle della sicurezza interna, ma anche di come Buoncammino può garantire ai detenuti, visto l’attuale sovraffollamento, quel minimo di vivibilità e salute. Adesso i sindacati e la stessa direzione del carcere aspettano una risposta dall’Amministrazione penitenziaria regionale. Risposta - ed è questo la parte più forte della denuncia - che non può essere rinviata oltre. Gela (Cl): 50 anni per il nuovo carcere, e ora manca il personale
La Sicilia, 17 settembre 2008
Mentre nel dibattito politico nazionale trova spazio la problematica del sovraffollamento delle carceri con progetti di espulsioni di detenuti extracomunitari e l’impiego di 4.100 braccialetti elettronici per altrettanti carcerati, ieri a Gela lo Stato, tramite l’Amministrazione penitenziaria di Caltanissetta, ha preso possesso di un nuovo edificio carcerario capace di ospitare 100 detenuti. Si trova in contrada Pezza Madonna, lungo la strada statale che collega Gela a Catania, ed è composto da 48 celle, dotate di bagno, destinate a due detenuti ciascuna. Perché quello di Gela non allunghi la lista delle strutture carcerarie italiane non utilizzate o destinate ad altri usi - attualmente ce ne sono una cinquantina sparse per lo Stivale - è necessario che lo Stato completi l’edificio realizzando le cucine, l’ascensore, i sistemi di sicurezza. Mancano anche gli arredi, ma l’aspetto più importante è che vi venga destinato il personale, dal direttore alle guardie. Per adesso il piccolo carcere di Gela è uno scatolone vuoto, vigilato giorno e notte dalle guardie carcerarie. In via informale pare che siano otto le unità destinate a controllare la struttura contro i raid di ladri e vandali che in passato ne hanno fatto scempio. La storia del carcere che il Comune ieri ha ceduto definitivamente allo Stato (la consegna simbolica è avvenuta il 26 novembre 2007 nelle mani dell’allora Guardasigilli Clemente Mastella in visita a Gela) è vecchia di quasi mezzo secolo. Un carcere-lumaca. L’avvio dell’iter progettuale è, infatti, datato al 1959, ma è stato necessario arrivare al 1978 per approvare il progetto. Gli altri trent’anni sono serviti per trovare i fondi e appaltare l’opera. Aperto il cantiere, i lavori sono stati bloccati più volte per varie perizie e nel frattempo ladri e vandali distruggevano ciò che si era fatto. Ci fu un momento, una decina di anni fa, in cui ci si rassegnò a non vedere completato il carcere. Alla fine, le amministrazioni comunali guidate da Franco Gallo e Rosario Crocetta si sono adoperate per evitare che il carcere restasse nella lista delle opere incompiute. Complessivamente la struttura è costata poco più di 5 milioni di euro. Busto Arsizio: incontro in piazza, per far conoscere il carcere
Varese News, 17 settembre 2008
Storie di mura e di persone. Giovedì sera in piazza Santa Maria un incontro pubblico per conoscere la realtà del carcere e l’impegno profuso per ridare un futuro a quanti vi sono finiti dentro. Una serata per sensibilizzare la cittadinanza ai problemi del carcere di via del Cassano e di quanti vi si trovano, forzosamente - i detenuti -, per lavoro - gli agenti di polizia penitenziaria, il personale - o volontariamente - le non poche persone che aiutano nelle attività lavorative e di reinserimento sociale. È quella prevista per giovedì 18 settembre alle 21 in piazza Santa Maria (solo in caso di pioggia alla sala Tramogge dei Molini Marzoli), con la partecipazione di esponenti dell’amministrazione comunale e di quella penitenziaria, nonché di chi opera quotidianamente a contatto con il carcere. Una realtà difficile, caratterizzata fra l’altro da massiccia presenza straniera (il 60% del totale, Malpensa continua a riempire le celle di corrieri della droga da ogni angolo del globo terracqueo), eppure meritevole di essere conosciuta. Nasce dunque dall’impegno di Comune, carcere e associazioni "Storie di mura e di persone", l’incontro pubblico, volutamente all’aperto in contrasto col chiuso della realtà carceraria, che sarà condotto dalla giornalista di Rete55 Chiara Milani e vedrà proiettare il filmato "Via per Cassano 102" a cura della coop Totem. Un docufilm sulla vita interna alla casa circondariale, un piccolo spaccato di vita carceraria e di lavoro quotidiano. "Regista" di tutta l’iniziativa è stato Sergio Preite, educatore e insegnante Enaip, che fa parte del progetto Agenti di rete: è lui che ha tenuto i contatti fra tutti gli attori fin dalla scorsa primavera. All’odierna conferenza stampa di presentazione dell’iniziativa in comune erano presenti l’assessore ai servizi sociali Luigi Chierichetti, il presidente della commissione servizi sociali Enrico Salomi, la responsabile dell’area trattamentale del carcere dott.ssa Rita Gaeta, e Marina Consolaro presidente della coop sociale "Il Solco". "Il Comune da tempo collabora per il reinserimento dei carcerati" ricorda Chierichetti. "Due anni fa anche l’indulto fu affrontato in modo costruttivo e dignitoso, lavorando davvero sodo per una decina di giorni, grazie ad associazioni e coop estremamente attive: voglio ricordare Volgiter ad esempio, ma non è stata la sola". Il consigliere Salomi ricorda che "L’iniziativa nasce da una consapevolezza trasversale tra le forze politiche ed è sospinta dai consiglieri comunali. Il parto è stato laborioso, visti anche i numerosi attori in campo. Parlare di sicurezza vuol dire anche parlare dei servizi a supporto della medesima: il privato sociale è strumento di prevenzione e rieducazione per chi ha sbagliato, e noi siamo della scuola del Beccaria, siamo per dare sempre una seconda possibilità e per la dignità del detenuto". Il carcere come luogo dimenticato nelle parole della dottoressa Gaeta, ma anche come luogo di possibile riscatto. "Attraverso il dialogo, una possibilità in più, un lavoro, le persone possono cambiare, è il nostro mandato verso i detenuti, ogni volta che riusciamo a reinserire un detenuto nella società con un lavoro abbiamo fatto il nostro dovere. Ciò vale per gli agenti di polizia penitenziaria, che devono custodire ma anche rieducare, compito molto difficile e complicato". Anche Marina Consolaro, presidente della coop Il Solco, parte di un coordinamento di sedici cooperative sociali consorziate, valuta positivamente l’iniziativa di giovedì sera. "Il progetto Agenti di rete, finanziato dalla Regione, trova un culmine in questa serata. Il lavoro appreso all’interno del carcere è strumento di promozione, è il primo tassello di autonomia verso il reinserimento" ricorda. "Una serata così non è comune, anche in altre realtà che partecipano al progetto: la cooperazione è orgogliosa di partecipare".
Studenti e detenuti insieme per "ricominciare"
Come a scuola anche in carcere è iniziato l’anno scolastico e per dare maggiore senso allo sforzo che molti detenuti stanno mettendo in atto per recuperare conoscenze e riqualificarsi, i responsabili dell’area trattamentale del carcere di Busto Arsizio, in primis la dottoressa Gaeta che ne è a capo, hanno deciso di portare una scuola intera ad inaugurare questo importante momento di formazione. Presenti anche autorità della politica locale come l’assessore Andrea Pellicini, a capo dell’agenzia formativa e autorità comunali. Così, nel primo pomeriggio di oggi, martedì 16 settembre, a partire dagli studenti fino ai professori e alla preside Eugenia Bolis dell’istituto professionale Verri hanno fatto visita al carcere e sono stati accolti nella sala polifunzionale; ad accompagnarli il neo-nominato direttore dell’ufficio scolastico provinciale Claudio Merletti . L’occasione, come hanno ribadito tutti gli intervenuti, era quello di dare risalto ai molti corsi avviati dalle stesse scuole professionali bustocche all’interno del carcere e che danno la possibilità a molti di imparare una professione, spesso quella che non si ha avuto la possibilità di imparare all’età giusta. Un modo per dare lo stesso valore ai corsi del carcere e a quelli negli istituti, altra comunanza il fatto che sia la scuola che il carcere sono parentesi nella vita di una persona. Pur rimanendo in due "mondi" della città, contrapposti, una ha bisogno dell’altra, soprattutto il penitenziario. L’indirizzo è sempre quello del reinserimento, hanno detto tutti. Così da tempo sia l’agenzia formativa che alcuni istituti della scuola hanno avviato, anche grazie all’aiuto di privati, corsi di formazione in vari campi, molto gettonata la cucina. Pisa: "Lisistrata incatenata", una denuncia su donne detenute
Comunicato stampa, 17 settembre 2008
"Il corpo delle donne sembra fatto apposta per la prigione. Sembra così, voglio dire, agli uomini maschi. Il corpo delle donne deve essere castigato per il solo fatto di esistere, prima e a prescindere da qualunque trasgressione". È questa la prima, significativa frase con la quale Adriano Sofri apre la sua prefazione al libro "Lisistrata incatenata - da le Mantellate ai giorni nostri. Mezzo secolo di sopravvivenza carceraria al femminile". L’opera, non in commercio, è stata curata da Francesco Ceraudo presidente dell’Amapi, l’associazione che riunisce i medici penitenziari italiani, e dal giornalista Doady Giugliano, con i significativi interventi del Garante dei Detenuti di Firenze, Franco Corleone e dell’Ass.Regionale alla Salute, Enrico Rossi. Oltre 150 pagine per denunciare l’esser donna detenuta nelle patrie galere, attraverso le toccanti testimonianze di giovani ragazze, molte delle quali, mogli e madri, che vorrebbero poter credere in un futuro. L’iniziativa editoriale, sarà presentata in prima nazionale, sabato 20 Settembre alle ore 10, nella Sala delle Baleari del Comune di Pisa, dove interverranno l’On. Rita Bernardini (fondatrice dell’Ass. per la Ricerca Scientifica "Luca Concioni"), Vittorio Cerri (Direttore Casa Circondariale Don Bosco-Pisa), Giovanni Conso (Giudice Costituzionale e Presidente dell’Accademia dei Lincei), On. Franco Corleone (Garante Detenuti Firenze), On. Paolo Fontanelli (Resp.Enti Locali-PD), Maria Pia Giuffrida (Dirigente del Dipartimento Amm. Penitenziaria), Sen. Luigi Manconi (Sociologo, docente Iulm); Alessandro Margara (Pres. Onorario Corte Cassazione), On. Ermete Realacci (Resp. Comunicazione PD), Enrico Rossi, Ass. Regionale alla Salute. L’evento, aperto al pubblico, sarà introdotto da Marco Filippeschi, Sindaco di Pisa e moderato dal giornalista Antonio Valentini.
Archimedia Communication Cristina Calcagno 339.8987427 - 330.512774 Bologna: da Avvocato di strada "Strada, femminile, singolare"
Comunicato stampa, 17 settembre 2008
Avvocato di strada presenta "Strada, femminile, singolare". Un progetto di tutela legale a donne in situazione di disagio. Giovedì 18 settembre, ore 21. Spazio Esaforum, Festa dell’Unità di Bologna, Parco Nord. Presentazione del progetto "Strada, femminile, singolare" Il volontariato per le donne in difficoltà. Interventi di: Avv. Antonio Mumolo, Presidente Avvocato di strada Onlus; Avv. Camilla Zamparini, Avvocato di strada Onlus; Antonio Dercenno, Presidente Fiori di Strada Onlus; Mattia Fontanella, Responsabile di zona soci Coop Adriatica. Saranno presenti numerose volontarie delle Associazioni promotrici del progetto. Il progetto. La povertà in Italia oggi è un problema in crescita. Con la precarizzazione del lavoro e l’allentamento dei tradizionali legami sociali un numero sempre più grande di persone finisce a vivere in strada, senza lavoro, senza un posto dove stare, senza la possibilità di tornare ad una vita comune. Tra queste persone ai margini forse il gruppo più vulnerabile è rappresentato da donne sole o con figli minori. "Strada: femminile, singolare" è un progetto dell’Associazione Avvocato di strada Onlus attuato in collaborazione con Fiori di Strada Onlus, che ha come obiettivo la tutela legale delle donne senza dimora e in condizione di esclusione sociale, la sensibilizzazione sui temi dell’esclusione e della tutela dei diritti, il monitoraggio del fenomeno delle donne in condizione di indigenza ed emarginazione. A partire da ottobre 2008 il secondo e il quarto mercoledì del mese dalle 15 alle 17 un gruppo di avvocati esperti in tema di problematiche legali di genere offriranno una tutela legale gratuita a tutte le donne che si presenteranno agli sportelli di via Lodovico Berti 2/9, Bologna. L’avvio del progetto è stato possibile grazie al sostegno di Coop Adriatica. "Strada: femminile, singolare", infatti, è stato selezionato tra i progetti vincitori del bando C’entro anch’io 2008 - 2009 "Nessuno Escluso". I soci della cooperativa di consumatori possono contribuire allo sviluppo e alla crescita del progetto devolvendo una quota libera del proprio ristorno. Immigrazione: Bruxelles fischia rappresentante di Berlusconi di Alberto D’argenio
La Repubblica, 17 settembre 2008
Doveva essere il vertice per trovare le soluzioni all’emarginazione degli 8 milioni di Rom europei, ma si è trasformato in una ennesima caotica contestazione del governo italiano con tanto di fischi al rappresentante dell’esecutivo Berlusconi, il sottosegretario Eugenia Roccella, e conseguente protesta formale della nostra diplomazia nei confronti dell’Ue. Il tutto mentre il commissario europeo alla Giustizia, Jacques Barrot, ha chiesto al ministro degli Interni Roberto Maroni significative modifiche al pacchetto sicurezza: nel mirino le espulsioni dei cittadini comunitari e l’aggravante di clandestinità. "Against Ethnic Profiling", contro la schedatura su base etnica. La cerimonia d’apertura del primo vertice Ue sull’inclusione Rom è stata bloccata dalla contestazione di decine di persone che sfoggiavano t-shirt contro l’ormai celebre provvedimento del governo. La protesta si è placata solo quando il presidente della Commissione Ue, Josè Manuel Barroso, ha scandito: "Siamo d’accordo con la maglietta, l’integrazione Rom è urgente a livello politico e umano". Parole calibrate in modo da non attaccare l’Italia. Chi invece lo ha fatto, e duramente, è stato il miliardario ungherese e filantropo George Soros, tra gli ospiti d’onore di giornata: "Sono estremamente preoccupato per la schedatura su base etnica in Italia. Queste misure dovrebbero essere illegali e spero che la Ue le bocci". Applausi scroscianti da parte del pubblico mentre dall’Italia le agenzie battevano la replica del ministro degli Esteri Franco Frattini, "preoccupato dal livello di disinformazione su una norma che è stata promossa dalla Commissione Ue". Allusione al fatto che - nonostante le numerose bocciature politiche (tra gli altri Europarlamento e Onu) - dal punto di vista tecnico il censimento dei nomadi è stato ritenuto in linea con le regole comunitarie dal commissario Barrot, che comunque continua a vigilare affinché la sua realizzazione sia in linea con i diritti umani. E durante il summit di Bruxelles lo stesso Barrot ha puntualizzato: "Soros ignora i fatti o è in malafede. I testi normativi sui censimenti dei campi rom sono in regola". Insomma, un vertice dedicato ad uno scottante problema europeo si è trasformato in una nuova polemica sul caso Italia, sfociata in aperta contestazione, con tanto di incidente diplomatico, quando il sottosegretario al Lavoro, Eugenia Roccella, ha preso la parola a nome del governo. L’aula ha coperto la sua voce con fischi e urla e gli incandescenti rappresentanti delle comunità Rom hanno abbandonato la sala in segno di protesta. In serata il rappresentante italiano presso l’Ue, l’ambasciatore Nelli Feroci, ha stigmatizzato "il deplorevole" episodio in una lettera di protesta all’organizzatore del vertice, il commissario europeo agli affari sociali Vladimir Spidla, lamentando che l’inviato del governo non ha potuto pronunciare il proprio intervento sull’inclusione dei Rom "in un clima sereno a causa di una serie di accese contestazioni da parte di alcuni elementi del pubblico". Intanto dietro le quinte proseguono i contatti tra Roma e Bruxelles per sbrogliare la matassa sulle norme più bersagliate del governo Berlusconi. Se Barrot per ora ha promosso il censimento, non è andato altrettanto bene al pacchetto sicurezza. "Tutto ciò che è automatico è inaccettabile", ha spiegato ieri riferendosi alle espulsioni dei cittadini comunitari (vedi romeni). Anomalia che il commissario la scorsa settimana ha chiesto di cambiare. In particolare Maroni dovrà chiarire che l’aggravante di clandestinità non si applica ai cittadini Ue, cancellare la loro espulsione automatica in caso di condanna a più di due anni di carcere e modificare una serie di passaggi del pacchetto sicurezza e di leggi precedenti contrarie al principio cardine dell’Unione europea secondo cui l’espulsione di cittadini comunitari può avvenire solo su decisioni prese caso per caso e secondo criteri stabiliti da Bruxelles. Punti - spiegano autorevoli fonti Ue - che il governo si è impegnato a correggere quanto prima. Pena la bocciatura Ue. Droghe: genitori negano i soldi, tossicodipendente si dà fuoco
Notiziario Aduc, 17 settembre 2008
I genitori si sono rifiutati di consegnargli i soldi per acquistare della droga e lui, un uomo di 47 anni, ha preso una bottiglia di alcool e si è dato fuoco. Ora, M.A., è ricoverato in prognosi riservata all’ospedale Niguarda di Milano con ustioni di secondo e terzo grado su oltre il 70% del corpo. L’episodio è avvenuto nel primo pomeriggio di ieri, pochi minuti dopo le 14, in una villetta in via Toscana a Segrate, in provincia del capoluogo lombardo. Il 47enne, già noto alle forze dell’ordine come tossicodipendente, si è dato fuoco davanti ai genitori settantenni. Un gesto dimostrativo, spiegano i militari intervenuti, i cui i segni però saranno permanenti. Droghe: tra i sessantenni aumenta uso di cocaina e marijuana
Notiziario Aduc, 17 settembre 2008
In base a un’indagine Usa, l’uso di droghe non è un problema solo dei giovani. Se nel 2007 è diminuito l’interesse delle persone sotto i 24 anni per cocaina, amfetamina e marijuana, il consumo di sostanze stupefacenti è invece raddoppiato nella fascia 55-65 anni (al 4,1%), che è la generazione dei loro genitori e nonni. Quest’incremento è dovuto al fatto che molti dei cosiddetti baby boomer - nati tra il 1946 e il 1964 e cresciuti in epoca di rock and roll ed emancipazione sessuale- hanno continuato a fare uso di stupefacenti. Spiega il ministero della Sanità statunitense: "La nostra preoccupazione che i baby boomer avrebbero continuato a usare droghe ha ottenuto conferme". I baby boomer sono dunque i candidati ideali per una ricerca sulla guida, di portata europea, e che in Germania verrà condotta dall’Università di Wuerzburg. Il progetto Druid ("Driving under the influence of drugs, alcohol and medicines"), cui partecipano 30 istituti di ricerca di 19 Paesi, è finalizzato a misurare l’effetto dell’uso di droghe sugli automobilisti, e sarà utile nell’elaborazione di nuove norme stradali valide in tutta l’Unione Europea. L’ateneo di Wuerzburg cerca nella zona di Monaco consumatori abituali di cannabis e altre sostanze; 170 volontari si sono già annunciati per l’esperimento. Per quattro settimane dovranno girare con un BlackBerry (il computer portatile) e riempire un questionario ogni giorno, in cambio di 300 euro. Ai ricercatori interessa scoprire se c’è chi si mette alla guida sotto gli effetti della droga; l’eventuale quantità assunta; in quali circostanze e la frequenza. "Non invitiamo a consumare droghe; cerchiamo persone che già ne fanno uso", spiega Martina Walter del Centro interdisciplinare per le ricerche sul traffico dell’Università di Wuerzburg. "Non puntiamo il dito contro chi si droga ma nemmeno lo esaltiamo", precisa. Dal punto di vista legale, nessun problema per i partecipanti, scrivono le Procure di Monaco e Wuerzburg: le procure non accederanno ai dati personali dei volontari, e questi non potranno essere ceduti a terzi. Il progetto è stato studiato anche dal punto di vista giuridico ed è stata esclusa l’istituzione di una commissione etica, giacché l’esperimento non comporta la cessione di sostanze stupefacenti. Il procuratore capo di Monaco, Christian Schmidt-Sommerfeld, chiarisce che non è il consumo di droghe a essere punito, bensì la loro acquisizione. Dice anche che guidare sotto l’effetto di droghe viola il codice stradale come la guida in stato di ubriachezza; l’unica differenza è che per l’alcol sono stati fissati dei limiti e per le droghe illegali no. Droghe: italiano estradato in Grecia per hascisc rischia 10 anni
La Repubblica, 17 settembre 2008
Nella mattinata, intorno alle 5 e 30, è stato arrestato il riminese Luca Zanotti che in serata verrà estradato in Grecia per rispondere dell’accusa di traffico internazionale, detenzione e spaccio di droga che in caso di condanna prevedono una detenzione non inferiore ai 10 anni. Nel 2005 il ventiquattrenne, insieme all’amico Davide D’Orsi, era stato fermato dalle autorità elleniche nel Peloponneso con 21 grammi di hashish. La Cassazione nei giorni scorsi ha concesso alla Grecia di detenere Zanotti in attesa del processo che, secondo le prime informazioni, potrebbe tenersi a metà ottobre. Il riminese rimarrà nel carcere di Kalamata, prima di essere trasferito ad Atene in attesa del giudizio. Proprio la località di detenzione è motivo di preoccupazione tra i familiari a causa della durezza del regime carcerario greco. La vicenda. Luca Zanotti e Davide D’Orsi sono stati fermati dalla polizia greca nel 2005, durante una vacanza nel Peloponneso. I due, che all’epoca avevano rispettivamente 21 e 25 anni, furono trovati con 21 grammi di hashish ed arrestati dalle autorità elleniche per possesso di sostanze stupefacenti. Dopo quattro giorni in cella e il pagamento di 2.500 euro di cauzione furono infine rilasciati potendo così tornare in Italia. La procedura legale è andata avanti con la richiesta della magistratura greca di estradare i due ragazzi per sottoporli a processo, concessa per Zanotti e respinta per D’Orsi, nei confronti del quale servirà però un’altro processo d’appello. La mobilitazione. In difesa dei due ragazzi si sono mobilitate forze politiche e associazioni. A inizio settembre si è svolta una manifestazione di solidarietà a Sant’Arcangelo di Romagna, paese di origine di Zanotti, alla quale avevano preso parte anche il sindaco Vannoni e i parlamentari riminesi Marchioni (Pd) e Pizzolante (Pdl) e che si era conclusa con la raccolta di un migliaio di firme. Pochi giorni dopo, l’onorevole Elisabetta Zamparutti, esponente del partito Radicale eletta nelle liste del Pd, ha rivolto un’interrogazione al presidente del Consiglio e al ministro della Giustizia, chiedendo che non venisse eseguita l’estradizione. Per perorare la propria causa Zanotti ha anche aperto blog con tutti gli aggiornamenti sulla propria situazione, a cui si affianca la raccolta di adesioni giunta fino ad ora a 1.500 firme. Le accuse. Nei confronti dei due ragazzi sono state avanzate accuse molto pesanti: traffico internazionale, detenzione, spaccio e uso di sostanze stupefacenti. La legge greca non prevede infatti distinzione tra la detenzione ad uso personale e lo spaccio di droghe, quindi Zanotti rischia una pena non inferiore ai 10 anni di carcere in caso di condanna. Messico: rivolta in una prigione di Tijuana, 3 morti e 31 feriti
Ansa, 17 settembre 2008
Poliziotti e soldati messicani hanno fermato una rivolta in una prigione di Tijuana, che ha provocato la morte di tre detenuti e il ferimento di 31 persone, tra cui sei agenti di polizia. Secondo Agustin Perez, portavoce della polizia, un detenuto è stato picchiato a morte da altri prigionieri e il suo corpo è stato dato alle fiamme. Le autorità stanno cercando i responsabili dell’accaduto. Colonne di fumo rosa sono fuoriuscite dalla prigione e sono stati appesi striscioni di protesta su un presunto abuso di potere delle guardie penitenziarie di Tijuana. Sui cartelloni comparivano le scritte "Basta morti" e "Le guardie sono degli assassini". Secondo i detenuti, sono state le guardie del carcere a uccidere almeno due prigionieri. Perez ha confermato che una delle guardie è stata arrestata e sono ricercate le altre due. Il segretario della Pubblica sicurezza ha detto che la rivolta è iniziata domenica pomeriggio, durante un controllo delle guardie che cercavano nelle celle droghe e cellulari. Iran: femministe condannate per "disturbo all'ordine pubblico"
Ansa, 17 settembre 2008
Volevano gli stessi diritti degli uomini, in tema di divorzio, custodia dei figli ed eredità. Ora rischiano la frusta e il carcere. Per le femministe Massoumeh Zia e Marzieh Morteza Langheroudi l’accusa è di "disturbo dell’ordine pubblico". La condanna - confermata oggi in via definitiva dal Tribunale rivoluzionario di Teheran - è di 35 frustate e 1 anno di carcere per Zia e di 10 frustate e una reclusione di 6 mesi per Langheroudi. Ma l’esecuzione della condanna è sospesa a un termine condizionale. Langheroudi, 55 anni, dovrà stare attenta a non "sgarrare" per i prossimi due anni, se non vuole andare incontro all’umiliazione della punizione corporale e alla durezza del carcere. La sua compagna di lotta, la 31enne Zia dovrà comportarsi bene per cinque anni. Certo, non sarà semplice "rigar dritto". Infatti, in concreto, le donne hanno semplicemente fatto un po’ di volantinaggio. Hanno cercato di raccogliere firme, hanno espresso un dissenso e scritto articoli femministi sul Web. Hanno chiesto, insomma, di non essere considerate inferiori. La più giovane, Zia, fu arrestata durante un corteo nel giugno del 2006, insieme ad altre 70 attiviste. Langheroudi, è stata arrestata con altre 30 donne quando, poco dopo, si riunirono sotto al tribunale per chiedere la liberazione delle amiche. Si prese la condanna a un anno di carcere anche un uomo, Amir Yaqoubali, per aver manifestato al fianco delle femministe. La campagna che ha visto incarcerare dozzine di donne si chiamava "un milione di firme". Con le adesioni raccolte (in Iran, ma anche all’estero) le donne avrebbero chiesto l’abolizione delle norme discriminatorie nei loro confronti per quel che riguarda matrimonio, divorzio, custodia dei figli ed eredità. Ma la repressione del regime contro le donne si fa sempre più violenta. La leader delle femministe, la 21enne Hana Abdi, è detenuta in una provincia sperduta dell’Azerbagijan orientale, colpevole di "complotto contro la sicurezza dello Stato". È attesa la sentenza definitiva, ma questa nuova sentenza non è certo un segnale incoraggiante.
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