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Giustizia: carceri al collasso... e si pensa di abolire la Gozzini! di Adriano Todaro
www.girodivite.it, 19 settembre 2008
Sono 85 i detenuti morti in meno di un anno mentre si pensa ai "braccialetti". Nella indifferenza più totale, così si consuma la vita nelle carceri italiane. Siamo al collasso, ma si pensa di abolire la legge Gozzini. Un detenuto agli arresti domiciliari presso una clinica psichiatrica di Viterbo, si è tolto la vita martedì 16 settembre. L’uomo, 42 anni, era stato arrestato in seguito al furto di alcuni oggetti dal duomo di Civita Castellana, in provincia di Viterbo. È l’ultimo suicidio in ordine di tempo che interessa i detenuti. Molte volte, come in questo caso, non si conosce neppure il nome del detenuto. In altri casi il nome lo si conosce e così veniamo a sapere che nel carcere di Opera (Milano) un 33enne, Gianni Montenegrini, è stato trovato impiccato. Gli inquirenti pensano al suicidio, ma molti fanno notare che un paraplegico avrebbe difficoltà ad impiccarsi. Gianni Montenegrini era in carcere dal giugno scorso in attesa di giudizio. Nel carcere di Velletri, invece, Stefano Brunetti, 41 anni, prima di morire ha accusato gli agenti penitenziari di averlo ridotto in gravi condizioni. Arrestato per il tentato furto di una bicicletta, Brunetti aveva avuto prima una colluttazione con il proprietario e poi, nel commissariato di Anzio, aveva distrutto alcune suppellettili della camera di sicurezza. Per questo motivo era stato sedato e portato nel carcere di Velletri. La mattina seguente l’uomo, con il torace gonfio a causa probabilmente di lesioni interne, è stato trasferito all’ospedale di Velletri e sottoposto a Tac. Poco prima di morire al medico che gli chiedeva chi lo avesse ridotto in questo modo, aveva risposto "Le guardie!". Un detenuto marocchino si è suicidato per inalazione di gas a Badu ‘e Carros, in provincia di Nuovo. Senza nome e senza storia, come tanti suoi connazionali. Il 25 agosto scorso, invece, è morto Franco Paglioni, trovato riverso sul pavimento della cella tra le sue feci dopo aver inutilmente denunciato forti dolori. Mentre le istituzioni parlano di cause naturali, il cappellano del carcere, don Dario Ciani, scrive che le condizioni di salute del detenuto erano note, tanto che in passato aveva sempre ottenuto misure alternative a causa della sua incompatibilità con la detenzione. Questa volta non è accaduto e Franco Paglioni è morto. L’autorità giudiziaria non ha chiarito le cause esatte dalla morte. Del resto a chi mai può interessare un Franco Paglioni qualsiasi affetto, per giunta, da una sieropositività conclamata? A nessuno. Se in carcere ci va qualche potente, comincia la sfilata dei deputati per andarlo a trovarlo, si parla di garantismo. Se poi si toglie la vita o muore… Paglioni non era nessuno, era malato, non aveva nessun potere, non faceva parte dei poteri forti di questa società. È morto fra le sue feci e nessuno si è accorto. Nelle carceri italiane dal 1° gennaio al 12 settembre 2008 sono morti 85 detenuti. Di questi, almeno 33, per suicidio. Rispetto allo stesso periodo del 2007, il numero dei suicidi tra i detenuti è aumentato dell’11 per cento. Se continua questo andamento, alla fine dell’anno i suicidi potrebbero arrivare a quota 50 (nel 2007 erano stati 45) e il totale dei decessi a 128 (contro i 123 del 2007). In totale, dal 2000 ad oggi, i detenuti morti in carcere sono stati 1.298, di cui 468 suicidi accertati. E mentre in carcere si muore, il duo Alfano-Maroni straparla di braccialetti elettronici. I 400 utilizzati finora con scarso successo, sono costati, a tutti noi, 11 milioni di euro l’anno, fin dal 2003 con un contratto stipulato con la Telecom che scade nel 2011. In pratica pagheremo senza usare i 400 braccialetti anche perché, tecnicamente, sono stati un flop. Il segnale si perdeva oltre i 200 metri come si perdeva se il detenuto andava in cantina o nella vasca da bagno. Per l’affitto dei 400 braccialetti, abbiamo accumulato un debito di 7 milioni di euro. Ora si parla di spendere altri 20 milioni di euro. Ma come? Hanno sempre detto che non c’erano soldi. Perché, di grazia, sono stati tagliati 150 milioni di euro per le strutture carcerarie e per la traduzione dei detenuti? La domanda se l’ha fatta Francesco Quinti, responsabile nazionale Comparto Sicurezza della Cgil. Sì, bella domanda. Dubitiamo che Quinti avrà delle risposte. I nostri governanti sono tutti presi a convincere gli italiani che c’è un problema sicurezza e in carcere debbono andare tutti (almeno coloro che non sono potenti): da chi fa pipì in strada a chi adesca, da chi si sdraia sulle panchine a chi legge un libro nel parco, da chi usa gli zoccoli a chi usa le borse di plastica. E in più, naturalmente, i "diversi", siano essi gay, neri o rom. In realtà le carceri scoppiano di nuovo, c’è un sovraffollamento spaventoso. Ogni mese entrano in carcere circa mille persone. Alla fine dello scorso agosto in carcere c’erano 55.831 persone per 43.262 posti, Al momento dell’indulto c’erano in carcere 60.710 detenuti. Secondo le stime del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria) fra poco si potrebbe arrivare alla cifra esplosiva di 67 mila persone incarcerate. Ci sono sempre più conflitti con gli agenti, fra gli stessi detenuti perché quando si dorme in sette in una cella di pochi metri, certamente non si può essere rilassati e contenti. E qualcuno propone di abolire la legge Gozzini. Così torneremo indietro e ricominceranno le rivolte nelle carceri. E questo che vogliono i nostri ministri? Ogni detenuto ci costa 300 euro al giorno e la Gozzini (legge 663 del 1986) andava nel senso del recupero del condannato, quindi anche del risparmio economico. D’altronde un detenuto recuperato e reinserito non costituisce più un pericolo e i dati dimostrano che non si delinque più. È questa la vera sicurezza, non l’altra, quella "percepita", quella strombazzata dai media servili, dai giornalisti proni agli ordini del potente del momento. Se approveranno l’abolizione o la modifica della Gozzini, se l’obiettivo sarà solo quello della repressione, delle pene inasprite, si toglierà ai detenuti la speranza per una vita migliore e diversa. Se non c’è possibilità di riscatto perché mai dovrei tenere buona condotta? Le carceri saranno in balìa dei rivoltosi e la società continuerà ad avere paura. Più di prima. Giustizia: Alfano; chi è in carcere ha il diritto di rifarsi una vita
Agi, 19 settembre 2008
"Non vogliamo essere solo ricordati come il Governo del rigore, ma come il Governo dell’umanità, perché anche chi è in carcere ha il diritto di rifarsi una vita". Così il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, durante il suo intervento alla lezione aperta organizzata alla Cattolica di Milano dalla scuola politica di Roberto Formigoni. Alfano ha fatto riferimento anche ai tanti bambini che passano i primi anni di vita in carcere con le madri e ha annunciato che presto in Italia non sarà più così. "È incivile un Paese - ha sostenuto il ministro - che lascia i bambini a convivere nelle celle con le proprie mamme. A noi non importa di chi sono figli. Noi tireremo fuori i bambini dalle celle". Giustizia: don Ciotti; l’importante è avere tutti più coraggio…
Asca, 19 settembre 2008
Stasera alle ore 20, a Velletri, in piazza San Clemente è prevista una serata animata dall’esperienza di Don Luigi Ciotti, fondatore del Gruppo Abele e presidente di Libera. La serata si inserisce nelle iniziative per il terzo anniversario dall’inaugurazione del progetto San Lorenzo della Caritas Diocesana di Velletri-Segni, che ricorre il prossimo 23 settembre. "L’anno appena trascorso ha visto volontari, operatori e detenuti della casa circondariale di Velletri, impegnati a collaborare per aprirsi all’esterno delle mura del carcere, in una parola, alla società. Oltre alle attività di sostegno morale e materiale ai detenuti e alle loro famiglie all’interno e all’esterno del carcere - scrivono - sono stati organizzati vari incontri nelle scuole, rappresentazioni teatrali e cineforum occasioni per raccontare e riflettere insieme su cosa siano concretamente la giustizia e il carcere in Italia. Riflessioni importanti in un momento in cui - con l’approvazione del cosiddetto "pacchetto sicurezza" - sono state approvate anche delle modifiche, che negativamente restringono le possibilità di trattamento all’interno degli istituti penitenziari". Giustizia: i detenuti italiani all’estero; più di mille in Germania
Il Velino, 19 settembre 2008
Le carceri della Germania sono le più "affollate" di detenuti italiani. Il dato emerge da uno studio che il ministero della Giustizia ha condotto per fare il punto sulla posizione processuale degli italiani detenuti all’estero. Con 1.140 detenuti la Germania si aggiudica il primo posto nell’elenco stilato dagli uffici di via Arenula, raccogliendo poco meno della metà del totale degli italiani detenuti nel mondo che, complessivamente, sono 2.820. Nei penitenziari tedeschi sono 798 gli italiani che stanno scontando una condanna definitiva, mentre 342 sono in attesa di giudizio o di estradizione. Ai primi posti della singolare classifica seguono la Spagna con 336 detenuti, il Belgio con 280 e la Francia con 206. Mentre al quinto e al sesto posto figurano il Regno Unito che ospita nelle sue carceri 179 italiani di cui ben 114 in attesa di giudizio o di estradizione e gli Stati Uniti con 134 detenuti dei quali 115 con sentenza definitiva. Tra gli obiettivi dello studio ministeriale, condotto in collaborazione con la Farnesina, c’è la necessità di intensificare i rapporti di cooperazione giudiziaria con quei Paesi esterni all’area Schengen che non hanno obbligo di comunicare l’eventuale arresto di cittadini italiani. Ciò allo scopo di valutare in quali casi sia opportuna una richiesta del ministero della Giustizia allo Stato estero per trasferire in Italia il detenuto. "Si tratta di una richiesta facoltativa - spiegano i funzionari del ministero - che però in alcune circostanze è indispensabile per sottrarre il cittadino italiano ad un regime di detenzione che non sarebbe compatibile con i principi della nostra Costituzione". Un compito non facile: "Mentre in ambito comunitario i dati relativi agli italiani vengono aggiornati anno per anno - dicono alla Giustizia - altri Paesi inviano comunicazioni solo quando si procede a specifiche attività in cooperazione giudiziaria o quando vengono avanzate richieste di rogatoria". Tra i Paesi extracomunitari gli Stati Uniti e la Svizzera sono quelli con i quali "i rapporti sono costanti e collaudati", in altri casi invece le comunicazioni "avvengono a singhiozzo". Come con il Marocco, dove un paio di anni fa, in occasione di un incendio in un carcere causato da una rivolta, morirono alcuni detenuti italiani e la notizia venne ufficialmente comunicata all’Italia diverse settimane dopo. Attualmente in Marocco si trovano 27 detenuti italiani di cui 16 condannati con sentenza definitiva. Nelle carceri dei Paesi sudamericani sono in tutto 370 gli italiani, nella maggioranza accusati di reati collegati all’associazione mafiosa, al narcotraffico e alla tratta di esseri umani. Al primo posto si colloca il Venezuela con 48 detenuti, seguito dal Brasile con 43 detenuti, Argentina (27), Ecuador (26), Perù (23), Colombia (22), mentre un solo italiano si trova nelle carceri del Nicaragua e un altro nel Paraguay. I reati contestati ai 2.353 italiani "ospiti" delle carceri in tutta Europa comprendono invece accuse di corruzione, riciclaggio, contrabbando e, soprattutto in Spagna e Germania, anche omicidio. Perfino Lettonia, Finlandia e Norvegia possono "contare" su due detenuti italiani a testa, accusati di furto, mentre uno è in Polonia e un altro in Serbia e la Romania raggiunge quota nove, di cui sei in attesa di estradizione. L’unico Paese dell’Europa con il quale non sono stati ancora stipulati accordi per il trasferimento di detenuti è l’Albania, nelle cui carceri si trovano cinque italiani. L’area geografica meno… gettonata dalla criminalità italiana è l’Africa sub-sahariana: Costa d’Avorio, Eritrea, Senegal e Zimbawe, insieme, raggiungono sette detenuti italiani, contro i 23 dell’Australia, gli 11 della Thailandia e altrettanti in India. Solo tre, invece, sia in Giappone che in Indonesia. Nell’ultimo biennio, però, il dato relativo all’Asia e all’Oceania è aumentato di quasi un terzo. Sono diverse le pratiche in corso per il trasferimento in Italia di detenuti all’estero, soprattutto da Paesi asiatici, del Medio Oriente e dell’Africa. Ma le norme prevedono, oltre al consenso o alla richiesta dell’Italia o del detenuto stesso, anche il nulla osta del Paese di provenienza. E il Brasile, ad esempio, ha negato il trasferimento per due narcotrafficanti accusati anche in Italia e per il capo di un’organizzazione che trafficava in esseri umani condannato nel Paese sudamericano ma indagato per analoghi reati anche in Italia. Giustizia: Bologna; caso Franzoni affidato a altro magistrato di Luigi Spezia
L’Espresso, 19 settembre 2008
Rossi, il magistrato al centro delle polemiche, si occuperà dei detenuti dalla M alla Z Tutto torna come prima e per questo cambia tutto sul "caso Franzoni". Il nuovo presidente del Tribunale di sorveglianza, Francesco Maisto, nel giorno del suo insediamento - ieri - ha preso una decisione urgente che, come conseguenza inevitabile, costringe il giudice Riccardo Rossi a non occuparsi più di Anna Maria Franzoni. Maisto, dopo il suo discorso di presentazione in cui ha annunciato che agirà "senza ira e senza paura", dopo aver ascoltato i saluti del presidente della Corte d’Appello Giuliano Lucentini e del presidente degli avvocati Lucio Strazziari, ha firmato il suo primo provvedimento, notificato d’urgenza agli interessati. Da oggi, a prendere decisioni sui detenuti rinchiusi nel carcere della Dozza non sarà più soltanto il giudice Riccardo Rossi. I giudici saranno due. Si torna alla situazione normale, fisiologica che esisteva fino alla fine dell’anno scorso, fino a quando cioè alla sezione di sorveglianza lavorava ancora il giudice Maria Longo, passata ora alla Procura Generale. Il giudice Longo si occupava dei detenuti dalla lettera A alla lettera L, il giudice Rossi di quelli dalla lettera M alla Z. A gennaio, partita Longo, tutti i detenuti erano stati assegnati provvisoriamente al dottor Rossi. Da oggi, Rossi torna a essere giudice di riferimento dei suoi detenuti di sempre, quelli dalla M alla Z. Degli altri si occuperà Giampiero Costa, l’ex presidente del Tribunale di Sorveglianza, che in teoria è un giudice in sovrannumero, dato che con l’arrivo di Maisto i giudici sono cinque. Quello che subito balza agli occhi è che tra la "A" e la "L" c’è la "F", che porta subito a pensare ad Anna Maria Franzoni. A prendere in considerazione le istanze e a decidere il destino del fascicolo che scotta, quello che riguarda la richiesta della mamma di Cogne di poter uscire dal carcere per vedere i suoi due figli Davide e Gioele, sarà Costa e non più Rossi. Il provvedimento di Maisto non è motivato, non c’è ovviamente nessun riferimento al "caso Franzoni" di cui dovrà occuparsi anche il Csm. Non è una misura contro Rossi, contro la scelta di far fare una perizia in carcere alla donna condannata per l’omicidio del figlio Samuele, un perizia chiesta dai suoi legali e finalizzata a valutare se potrà o no uscire dalla cella e vedere i figli all’esterno. Quella di Maisto è una decisione di carattere puramente amministrativo e organizzativo, che solo implicitamente porta in sé questa importante conseguenza sul caso del momento. Certamente il cambiamento organizzativo relativo al rapporto con i detenuti del carcere della Dozza disinnesca una situazione diventata problematica a causa delle polemiche che si sono manifestate. La perizia disposta dal giudice Rossi e svolta in carcere alcuni giorni fa per stabilire se Anna Maria Franzoni è capace di rimanere con i figli fuori del carcere, è stata giudicata da alcuni consiglieri del Csm "anomala", poiché disposta dal giudice di sorveglianza e non dalla direzione del carcere, oltretutto senza rispettare i tempi, cioè effettuata prima che sia stato scontato un terzo della pena. Una decisione che da un lato può ingenerare una falsa aspettativa da parte di una donna privata della libertà, quindi in condizioni particolarmente fragili e dall’altra può indurre una reazione a catena, mettere in condizione tutte le persone che sono in carcere a qualsiasi titolo e che hanno figli di fare la stessa cosa, di pretendere anche loro di essere sottoposti a perizia psichiatrica sulla scorta dell’apertura del giudice Rossi. Giustizia: i trans contro il dl Carfagna; scenderemo in piazza
Redattore Sociale - Dire, 19 settembre 2008
Le associazioni napoletane contro il provvedimento: "La prostituzione è esercitata soprattutto da persone discriminate senza alternative o in gravi situazioni di disagio economico e sociale". "Se passa il disegno di legge del ministro Carfagna, noi siamo finite". Non usa mezzi termini l’Associazione Transessuali Napoli che ieri, insieme a Gesco, Dedalus, M.I.T. Napoli, Priscilla e Cantieri sociali, ha promosso un incontro per discutere e contrastare la strategia proposta dall’amministrazione comunale in materia di sicurezza. Se approvato, infatti, il pacchetto sicurezza darebbe attuazione, a livello locale, al decreto Maroni-Carfagna, prevedendo, tra l’altro, sanzioni severissime, da una multa ad alcuni giorni di prigione, per chi si prostituisce per strada, per chi adesca e anche per chi contratta con le prostitute. "Crediamo - sostiene la vicepresidente dell’associazione napoletana che rivendica i diritti dei trans Loredana Rossi - che mandare le lucciole al chiuso vietando la prostituzione in strada non sia una risposta adeguata, anche perché in nome della sicurezza, o meglio del decoro, si finisce per tutelare ancora meno le prostitute, esse stesse spesso vittime di episodi di microcriminalità". "Siamo disposte anche a scendere in piazza per far valere il nostro diritto a condurre una vita dignitosa", continua la portavoce dei transessuali, che lancia una provocazione: "Magari andiamo tutte davanti al carcere di Poggioreale e ci arrestano, così risparmiamo sulle spese di vitto e alloggio". Presente ieri all’affollato incontro presso la sede di Gesco anche il responsabile della cooperativa sociale Dedalus Andrea Morniroli, che rilancia l’idea dello zoning: l’individuazione di quartieri specifici della città, tra quelli a più bassa vivibilità, dove si possa concentrare chi lavora in strada. "La prostituzione - sostiene - è esercitata soprattutto da persone discriminate che non hanno alternative, come, appunto, le transessuali, o in gravi situazioni di disagio economico e sociale: occorre offrire possibilità di inclusione sociale, percorsi di fuoriuscita, e non colpire queste persone". Sull’argomento è intervenuta anche Elena Coccia, avvocato dell’associazione Giuristi Democratici: "L’amministrazione locale, così come quella centrale, ha una visione della sicurezza completamente diversa dalla percezione della gente, che si sente insicura a Napoli perché vive in una città dove ti può crollare addosso un palazzo da un momento all’altro, dove puoi voltare l’angolo di casa ed essere rapinata o violentata". "Il problema - continua - non sono certo i writers, o i senza dimora che stanno alla stazione, meno ancora le prostitute che fanno mostra di sé, soprattutto in confronto ai tanti manifesti pubblicitari in cui la donna è un oggetto. A tutte queste persone il comune, lo stato offrono forse un’alternativa?". Milano: Manzelli; a San Vittore… pochi mezzi, tanti detenuti di Alessandro Litta Modignani
L’Opinione, 19 settembre 2008
Gloria Manzelli è nata 47 anni fa a Rimini. Parla senza la minima inflessione: tanti anni nelle carceri italiane, a contatto con detenuti, agenti e operatori di ogni dove, hanno spento il suo accento romagnolo, ma non certo quell’aria da ragazza sorridente che ricorda certe compagne di scuola dei tempi andati. Non ha proprio il "fisique du rôle" del direttore di un carcere. Non si può certo dire che questo mestiere l’abbia invecchiata, semmai il contrario. "Grazie. Sono stata direttore quattro anni a Lodi e poi sette anni al carcere di Canton Mombello, Brescia, forse il più critico della Lombardia: 600 detenuti ammassati in letti a castello alti fino a quattro piani, a fronte di una capienza massima di 286. Non era facile".
A San Vittore com’è la situazione? Attualmente abbiamo 1366 uomini, 1260 dei quali in attesa del primo grado di giudizio, e circa 100 donne, senza contare le 9 "esterne", rinchiuse nell’apposita struttura di via Macedonio Melloni, con i loro nove bambini. Il secondo e il quarto raggio sono chiusi. Per quest’ultimo era previsto, mentre il secondo ha avuto un cedimento strutturale nell’ottobre 2006. Meglio così: era diventato ingestibile per l’igiene e invivibile nei rapporti umani.
Quali sono le problematicità? Vede, San Vittore è un tipico carcere circondariale, cioè di transito. Qui entrano dai 30 ai 50 arrestati al giorno, più di mille al mese, per l’80% extra-comunitari. Non hanno vestiti, né di che lavarsi. Il turn-over è elevatissimo, per via dei continui trasferimenti. Questo fa sì che viviamo in un clima di perenne emergenza. Arrivano di continuo spacciatori appena arrestati. Recentemente ne abbiamo avuto uno di 80 anni. Vi sono casi di tbc, epatite, sporcizia. Prima fornivamo un kit di ingresso: biancheria, ciabatte per la doccia, sapone dentifricio e spazzolino, oltre a carta, busta e francobollo per avvisare eventualmente la famiglia. Ora non l’abbiamo più e dobbiamo confidare nel buon cuore dei volontari. Avremmo anche bisogno di tute, che sono l’abbigliamento tipico del detenuto, per la loro praticità.
Come vengono gestiti gli arrivi? L’ingresso avviene al quinto raggio. C’è il colloquio psico-sanitario, con l’ausilio dei volontari. Vede, il ricorso alla carcerazione è una prassi sistematica e costante. Che l’arrestato resti dentro un giorno o un anno, tutta la vita o poche ore, la prassi è sempre la stessa. Le cito un dato: fra i 700 arrestati del gennaio 2007, 297 sono stati rimessi fuori entro tre giorni e, di questi, 114 dopo un solo giorno. Questa è la realtà quotidiana con la quale dobbiamo necessariamente misurarci.
Immagino che per il personale il compito sia molto impegnativo... Sulla carta abbiamo mille agenti, ma con tanti distacchi in corso, in realtà gli effettivi sono 760. Consideri che sono molto impegnati in continui trasferimenti, scorte eccetera. Ogni mese abbiamo due o tre sfollamenti importanti fuori regione, dal Piemonte alla Sicilia.
Pure in questo contesto, a San Vittore si svolgono attività lavorative? Per forza di cose, riusciamo a svolgere solo quelle attività che hanno durata breve o media. Il call center, che con 75 addetti era un po’ il nostro fiore all’occhiello, sarà attivo ancora per poco, perché i "definitivi" sono stati trasferiti a Opera o a Bollate. Non possiamo fare né formazione professionale, né costituire cooperative. Abbiamo invece corsi scolastici (di due o quattro mesi) di alfabetizzazione (due mesi) di informatica, inglese e fotografia (un mese). Solo al femminile riusciamo a mantenere attività di lungo periodo, come sartoria, data entry, call center ecc...
I raggi terzo e quinto, dopo la ristrutturazione, sono finalmente luoghi di detenzione normali, vivibili. Per il secondo e il quarto raggio sono previsti lavori? Se vi sono progetti allo studio, io non ne so nulla. Non mi sembra semplice, perché il secondo raggio, come le dicevo, ha avuto un cedimento strutturale. Si parla da tempo di demolire San Vittore e di costruire la "Cittadella della Giustizia" nella zona di Rogoredo. Ma sono tempi lunghi. Personalmente non ne sono al corrente.
L’ultima volta che ho visitato il quarto raggio, prima della chiusura, ho visto delle grandi trappole per topi. Siete riusciti a debellarli? Facciamo regolarmente le azioni di derattizzazione e disinfestazione. Ma i topi ci sono, è inutile negarlo. Vengono da fuori: dai parchi, dalle fogne. In parte la loro presenza è dovuta a comportamenti anti-igienici dei detenuti, che gettano i rifiuti nei cortili invece che in pattumiera. Ora abbiamo applicato le reti anti-getto alle finestre e la situazione è migliorata.
Com’è la situazione degli educatori? Abbiamo quattro educatori e tre agenti di rete, una figura intermedia, di contatto fra interno ed esterno. In Lombardia ve ne sono 60. Sarebbe utile avere qualche psicologo in più, perché il rischio suicidi è sempre molto elevato e gli episodi di autolesionismo sono frequenti. Bisognerebbe lavorare anche sulle famiglie, non solo con gli psicofarmaci. Ma le nostre forze non possono certo bastare. Monza: "detenuto" in commissariato, ammanettato a un palo
Corriere della Sera, 19 settembre 2008
Le serrature delle celle di sicurezza sono così malandate, trasandate, rabberciate, che si possono aprire dall’interno. Ma il ragazzo che vedete nella foto tonda, un immigrato, nelle celle di sicurezza non c’è mai entrato. Non c’era posto. Erano strapiene. E così gli agenti l’hanno ammanettato dove capitava. A un palo, una qualunque colonna nel corridoio d’ingresso. Tra persone con in mano denunce, tra gente in attesa del rinnovo del passaporto, tra poliziotti e bicchieri di caffè, interrogatori, faldoni, inchieste aperte e inchieste chiuse. Garantisce Fabio Sgrò, segretario provinciale del Siap, che l’immagine, un’immagine choc, che ha fatto e farà discutere a lungo, "è stata scattata da un agente iscritto al mio sindacato". Nessun fotomontaggio, dice Sgrò. Niente ritocchi. Men che meno ritocchi ad arte, per "caricare" la protesta, gonfiarla, darle fiato. Quel che vedete, "è realmente avvenuto". E proprio partendo dall’immagine, ieri mattina, il Siap, ha organizzato un presidio per (ri)lanciare l’allarme del commissariato di Monza. Volantini, cori, striscioni. E "rabbia, tanta rabbia". Monza è una città che conta 120mila abitanti e che tra pochi, pochissimi mesi, nella prossima primavera, diventerà Provincia. Ma se molte sedi della nuova creatura istituzionale sono già pronte, la Questura "non ci sarà ancora per lungo tempo". Al suo posto, "resterà il commissariato". Dove, come dimostra la foto, "la situazione è drammatica". Sempre secondo quanto raccontato dal Siap, l’immagine risale allo scorso inizio anno, ma da allora a oggi "è ricapitata altre volte". Succede così, in certi giorni: le celle di sicurezza, probabilmente in conseguenza di una tornata di arresti e di retate nel corso della notte, non sono fruibili. La pattuglia rientra. In compagnia di un fermato. Il suo posto, sarebbe nelle celle di sicurezza. "No, lì no, non si può". E allora, dove? Dove capita. Ecco, per esempio qui. C’è una colonna, è un punto di passaggio, sì, ma non troppo, magari non dà eccessivamente nell’occhio. L’immigrato viene ancorato alla colonna. E lasciato così. Se più tardi, casomai, qualcuno verrà portato via, magari, ci sarà il trasferimento nelle celle di sicurezza. In ogni modo, "non c’è soltanto il caso di Monza. Questa è una situazione comune a molti commissariati". E però, "oltre alle celle di sicurezza fuori uso, quello di Monza conta altri nodi irrisolti". Sebbene gli archivi siano stipati di carta e faldoni, l’impianto antincendio è fuori norma e come se non bastasse il personale in servizio è "sottodimensionato rispetto alle esigenze". I numeri, come detto, mettono in drammatico risalto la sola pattuglia a turno per una città di 120 mila abitanti. Al momento, soluzioni a breve termine non se ne vedono. Il dirigente, Vincenzo D’Agnano, ha spiegato di avere appena avuto un incontro con Luigi Piscopo, il "commissario prefettizio che sta seguendo la costituzione della nuova Provincia brianzola e i responsabili del Provveditorato opere pubbliche". Il motivo della riunione era proprio quello di discutere i ritardi dei cantieri per la nuova Questura e le condizioni critiche del commissariato di viale Romagna. Il risultato finale è stato il via libera a un progetto di riqualificazione dell’edificio che dovrebbe andare in porto nel giro di pochi mesi. "Non sono in grado di dire quando partiranno i cantieri - dice -, ma la procedura è a buon punto". E in attesa della nuova "Questura, la sede attuale sarà sicuramente riorganizzata con nuovi spazi". Trapani: On. Fleres denuncia soppressione di corso scolastico
Comunicato stampa, 19 settembre 2008
Salvo Fleres, Garante per i diritti dei detenuti, su soppressione classi scolastiche della Casa Circondariale di Trapani: "Non consentire ai detenuti la prosecuzione degli studi significa chiudere le porte alla cultura, anche quella della legalità, pregiudicando al tempo stesso il loro reinserimento sociale". "Non consentire ai detenuti la prosecuzione degli studi significa chiudere le porte alla cultura, anche quella della legalità pregiudicando al tempo stesso il loro reinserimento sociale". Questo è quanto ha dichiarato il Sen. Salvo Fleres, Garante dei diritti dei detenuti alla notizia del mancato avvio, per i soggetti reclusi, delle prime classi dell’indirizzo tecnico commerciale dell’Istituto "Leonardo Sciascia" di Trapani. "Mi sono già attivato presso gli organi competenti, ha proseguito il Sen. Fleres, affinché possano risolversi i problemi legati alla carenza di personale scolastico, prevedendo la realizzazione di attività flessibili in stretta collaborazione con l’Istituto Sciascia. Confido - ha concluso il Sen. Fleres - nella sensibilità del Dirigente scolastico della Provincia di Trapani, affinché si adoperi per garantire lo svolgimento delle lezioni per i soggetti ristretti dimostrando così la presenza delle istituzioni accanto a chi in queste ricomincia a credere".
Il Garante Sen. Salvo Fleres Busto Arsizio: quando il lavoro ti salva, la realtà dei detenuti
Varese News, 19 settembre 2008
"In carcere ho la fortuna di lavorare". Inizia così il cortometraggio che ieri sera - giovedì 18 settembre - ha aperto l’evento dedicato al carcere di Busto Arsizio. In una piazza Santa Maria affollata, con persone che sono rimaste anche in piedi, gli spettatori hanno potuto vedere il bel video girato a luglio 2008 da Massimo Lazzaroni (a sinistra) e Mauro Colombo (a destra) "Via per Cassano 102". L’idea, partita già alcuni mesi dalla Commissione Servizi Sociali di Busto, era quella di organizzare una serata per parlare del ruolo carcere sul territorio comunale. A dibattere sono quindi stati alcuni esponenti di tutte le realtà coinvolte in questo processo. "Grandi assenti" - in parte anche per motivi burocratici - i detenuti stessi. Ma la lacuna è stata colmata, in piccola parte, dal corto che mostra in pochi minuti una "giornata tipo" raccontata da persone che in carcere vivono da anni e che nel lavoro hanno trovato "una mezza libertà", come racconta Roman. Ecco allora che quando la cella si apre al mattino presto inizia la giornata di Marco, cuoco dell’istituto, che spiega che "io fuori ho sempre lavorato. Quando sono arrivato qui, i primi tempi non avevo niente da fare e la testa andava per i fatti suoi. Avevo toccato il fondo. Il lavoro invece ti permette non solo di essere impegnato, ma di guadagnare anche qualcosa per te e la tua famiglia". E proprio la famiglia è il pensiero più bello, ma anche più doloroso per i detenuti. "Mio figlio è nato quando ero già qui dentro: non l’ho mai visto". "Non so come fai a resistere: i miei vengono a trovarmi spesso, le loro visite per me sono importantissime". Così chiacchierano due detenuti mentre "passeggiano" avanti e indietro per il piccolo sportivo. "La speranza è la forza queste persone - spiega il direttore del carcere Salvatore Nastasia -. Non solo quella "naturale" di riacquistare la libertà, ma a anche quella di riuscire a reinserirsi in una vita familiare e sociale. È per questo che noi operatori siamo li". Insieme a loro ci sono gli agenti di Polizia Penitenziaria (P.P.) che hanno "secondo la Costituzione una duplice funzione - chiarisce Michela Cangiano, commissario di P.P. della Casa Circondariale -: di controllo e prevenzione, ma anche di rieducazione. Nel carcere bustocco non ci sono persone con alto profilo criminale, ma emarginati. Più della metà della popolazione carceraria è formata da stranieri: il carcere è la prima istituzione italiana che conoscono e noi le prime persone che incontrano". Come tanti altri istituti in Italia, quello bustocco è sovraffollato: più di 400 persone in un luogo che può contenerne 290. Il pensiero quindi va subito a come affrontare queste problematiche, dato che come sottolinea anche Cangiano un detenuto ha un costo molto alto: più di 200 euro al giorno. "Esistono delle misure alternative - spiega Anna Savio assistente sociale - pensate per coloro che per legge hanno i requisiti per scontare la pena o parte all’esterno, con restrizione precise. Il territorio di Busto non dà sempre risposte negative, è collaborativi e ci ha sostenuto in vari progetti. Ma c’è un grosso problema: mancano le risorse". È quindi anche a percorsi alternativi e di riabilitazione che bisogna guardare. "È necessario dare la massima priorità alla formazione e al lavoro - puntualizza Francesco Maresca, referente del settore lavoro della provincia di Varese -: in realtà è un’opportunità che circa il 10 per cento dei detenuti. Noi stiamo lavorando per cercare di collocare ex detenuti in aziende, non in cooperative sociali: non è facile, ma neanche impossibile". In questo, collaborano attivamente con gli operatori del progetto Agenti di rete della cooperativa Sol.Co. "Il nostro ruolo - spiega Sabrina Gaiera, che lavora insieme a Sergio Preite - è quello di tessere relazioni introno al detenuto o ex detenuto per favorire il suo reinserimento e promuovere la sua persona. Mettersi in contatto con il territorio e le varie realtà significa costruire percorsi di libertà". Insomma, è la "persona" al centro di tutto. "Per noi - spiega il cappellano don Silvano Brambillasca - esistono le persone con cui creare legami. Li aiutiamo a trovare la voglia di conoscere loro stessi e a riscoprire l’altro, sia i compagni in cella che le persone che sono a casa. Non è facile per i detenuti, ma è importante provarci". Cosa succederà quindi domani, dopo questo evento? "Abbiamo ricevuto spunti toccanti - conclude l’assessore ai servizi sociale Luigi Chierichetti -. C’è ad esempio la questione delle risorse economiche scarse, ma vorrei mettere in evidenza il ruolo della risorse umane, i volontari che anche nel gran caso dell’indulto sono stati fondamentali". Ma è proprio una volontaria, seduta accanto a me durante la serata, che mi pone però una questione non da poco. "Qui, stasera, hanno parlato tutti degli aspetti belli del carcere di Busto. E dei tanti problemi che ci sono non ha parlato nessuno". Busto Arsizio: pronto il nuovo numero di giornale del carcere
Varese News, 19 settembre 2008
Ha riscosso successo - o almeno incuriosito un po’ - il giornale esposto insieme ad altri prodotti durante la serata evento per il carcere. In bella mostra accanto al miele e a prodotti artigianali realizzati nei carceri di Busto e Varese, il quinto numero di Mezzo Busto è uscito fresco di stampa proprio giovedì 18 settembre. Vari gli argomenti trattati: dalla cronaca del concerto del 7 giugno con tanto di intervista al sindaco Gigi Farioli, al ruolo del "tempo" per un detenuto (entrambi tradotto in spagnolo). C’è poi il racconto della visita in carcere di un gruppo di giovani guidati dal cappellano Don Silvano e una riflessione sulla possibile convivenza fra italiani e stranieri nella società italiana. Infine immancabile la rubrica di sport (anche in inglese), accanto a una new entry. "Da dove vieni" sarà infatti il nuovo appuntamento fisso per scoprire i paesi di origine dei tanti detenuti stranieri: inaugura la rubrica la Romania. Per informazioni e per sapere dove trovare Mezzo Busto: mezzo_busto@libero.it Terni: le Guardie Carcerarie Tailandesi in visita al carcere
Comunicato Stampa, 19 settembre 2008
Lunedì 22 settembre alle ore 9.00 nella Casa Circondariale di Terni è organizzata la visita di una delegazione di Guardie Carcerarie Tailandesi, attualmente ospiti della Comunità "Incontro" di Amelia ed in Italia per uno stage formativo sulle "misure alternative alla detenzione". L’Amministrazione Penitenziaria ha previsto la visita oltre che nell’istituto cittadino, anche nell’ambito degli istituti del Provveditorato della Calabria dove nei giorni scorsi si sono svolti gli incontri. Il Direttore della Casa di Terni Dr. Francesco Dell’Aira insieme al personale riceverà i rappresentati per una visita dell’istituto e uno scambio di informazioni sull’organizzazione e sulla normativa dei sistemi penitenziari dei due Paesi.
Ufficio Stampa CC Terni Immigrazione: su pacchetto sicurezza le Ong chiedono ascolto
L’Unità, 19 settembre 2008
Nei giorni scorsi il disegno di legge conosciuto come "Pacchetto sicurezza" è stato assegnato alle Commissioni Affari Costituzionali e Giustizia del Senato. Le 33 Ong operanti nel settore dei diritti dell’infanzia, riunite nel Tavolo associativo guidato da Unicef Italia hanno chiesto di essere ascoltate in un’audizione parlamentare per illustrare le proposte e i rilievi già presentati lo scorso luglio al ministro dell’Interno, Roberto Maroni. Il documento inviato alle due Commissioni del Senato (in .pdf) è frutto di un percorso di analisi e riflessioni congiunte di un tavolo di lavoro, promosso dall’Unicef Italia, composto da realtà associative che lavorano per garantire la piena attuazione anche dei diritti dei bambini e degli adolescenti di origine straniera presenti sul territorio italiano. Le associazioni e le organizzazioni del Tavolo hanno inviato al Parlamento le principali preoccupazioni che solleva il "Pacchetto sicurezza" ed alcune proposte di modifica dei provvedimenti che lo compongono, relativamente agli effetti che si potranno avere sui minorenni. Le principali modifiche introdotte dal Disegno di Legge (Atto del Senato n. 733) riguardano la norma che consente a Sindaci e Prefetti di ordinare lo sgombero e l’immediato ripristino dello stato dei luoghi a spese degli occupanti (articolo 7), l’impiego di minorenni nell’accattonaggio (articolo 8), l’introduzione del reato di immigrazione clandestina (articolo 9), la modifica alla legge 24 dicembre 1954, n. 1228, stabilendo che l’iscrizione anagrafica è subordinata alla verifica, da parte dei competenti uffici comunali, delle condizioni igienico-sanitarie dell’immobile in cui il richiedente intende fissare la propria residenza, ai sensi delle vigenti norme sanitarie (articolo 16) e sull’aumento della durata del trattenimento nei Centri di identificazione ed espulsione fino a 18 mesi (articolo 18). "Il perseguimento della sicurezza, motivo e oggetto del Pacchetto - sostengono le associazioni del Tavolo - è di fondamentale importanza per la crescita e lo sviluppo dei bambini e degli adolescenti e soprattutto per essi deve essere strumento di garanzia ai fini dell’esercizio di tutti i diritti che la Convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza riconosce loro. Occorre però riflettere sull’accezione del termine: sicurezza, per chi lavora per i diritti, significa sicurezza sociale, ottenuta attraverso politiche inclusive e la promozione di una cultura dei diritti umani. Poiché non soltanto misure espressamente destinate ai minorenni hanno effetti su di loro, è necessaria un’analisi attenta e approfondita sulle conseguenze che tali misure potranno avere in modo diretto e indiretto su bambini e adolescenti di origine straniera presenti sul territorio italiano". Tra le altre priorità - aveva sostenuto lo scorso luglio il presidente di Unicef Italia Vincenzo Spadafora presentando il documento redatto dal Tavolo delle Ong - c’è anche la necessità di riportare al centro dell’attenzione la Convenzione internazionale dei diritti dell’Infanzia rispetto alla quale il nostro Paese non ha compiuto alcun adempimento". Immigrazione: "l’Italia maltratta i bimbi rom" rissa in Senato
La Repubblica, 19 settembre 2008
"In Italia i carabinieri maltrattano i bambini rom, li prendono per i piedi e li mettono con la testa nell’acqua". "Come si permette? Non è vero niente. È in Olanda che fate ben di peggio". Da questo botta risposta avvenuto, ieri, al Senato, fra l’eurodeputata olandese verde Els de Groen, e Mario Pescante, Pdl, ("Lei forse si sbaglia con Auschwitz"), è nato un caso politico. Tanto che, in serata, dalla Polonia dove si trova per un visita proprio al campo di Auschwitz, è intervenuto anche il presidente del senato. "Mai mi sarei atteso - ha dichiarato il senatore Renato Schifani - che in una sede così autorevole sarebbero state mosse accuse non veritiere ed immeritate nei confronti dell’Italia, da ospiti di altri Paesi". Scenario dello scontro, Palazzo Madama. Qui erano state invitate alcune decine di europarlamentari per parlare con deputati e senatori delle commissioni Affari costituzionali e Politiche Ue di tre temi caldi in tema di sicurezza. Il censimento dei rom, l’aggravante della clandestinità. E i decreti su rifugiati, libera circolazione e ricongiungimento familiare che il governo vuole correggere dopo aver ascoltato il parere dell’Europa. Durante lo scontro era presente, però, anche una "abusiva", come s’è definita la stessa Rita Bernardini, ex segretaria dei radicali. "È vero - ha spiegato la deputata radicale - non ero fra gli invitati. Ma quando mi sono presentata, nessuno mi ha detto niente. E così ho registrato tutto il match fra la de Groen e i politici italiani, e l’ho pubblicato su radio radicale". Lo scambio di battute al vetriolo è scoppiato quando la deputata olandese della Commissione per le libertà civili, giustizia e interni, Els de Groen, ha accusato i carabinieri italiani di essere ricorsi anche alla tortura nei campi rom, infilando la testa di minori dentro secchi pieni d’acqua. L’intervento della eurodeputata (definito "pieno di accuse infondate"), è stato interrotto da numerosi politici italiani. "Si confonde con Auschwitz - le ha replicato il deputato del Pdl Mario Pescante - perché cose come quelle che racconta forse accadevano lì, non certo in Italia" E ancora: "Se fosse venuto un parlamentare italiano a rivolgere queste accuse al parlamento olandese contro le autorità del luogo, non credo che gli avrebbero permesso di intervenire come sta facendo lei". Els de Groen, per nulla intimorita, non s’è fermata, ma ha continuato ad accusare l’Italia di "comportamenti disumani nei confronti del popolo nomade", ricordando il caso "dei sei rom che a Verona hanno denunciato di essere stati torturati dai carabinieri". E criticando aspramente i provvedimenti presi dal governo italiano, "a cominciare dall’aggravante della clandestinità prevista nel pacchetto sicurezza". "Le sue accuse - l’ha ancora interrotta Pescante - sono un insulto per il nostro Paese". Mentre al Senato si svolgeva il match fra la deputata olandese e Pescante, alla Camera il capogruppo della Lega, Roberto Cota, presentava una mozione per chiedere "test d’accesso per gli studenti stranieri nelle scuole dell’obbligo". E, in caso di bocciatura, "la frequenza in una "classe ponte". "In queste classi ad hoc - ha precisato Cota - si studierà l’italiano". Si svolgeranno corsi "per la diversità morale e la cultura religiosa del Paese accogliente". E ci saranno lezioni "per l’educazione alla legalità, alla cittadinanza, al sostegno alla vita democratica, al rispetto delle tradizioni territoriali e regionali". Immigrazione: censimento rom… 10mila mancano all’appello di Giacomo Susca
Il Giornale, 19 settembre 2008
Come sono arrivati i controlli, se ne sono andati loro. Ad oggi, almeno 10mila rom mancano all’appello tra Roma, Napoli e Milano. È il primo effetto del censimento voluto dal ministro dell’Interno, Roberto Maroni, all’interno dei campi nomadi sparsi lungo la Penisola. Oltre 700 gli insediamenti abusivi da passare al setaccio con l’obiettivo di identificare la popolazione presente. La scadenza prevista per l’operazione, nei tre comuni capoluoghi in cui i prefetti sono stati nominati commissari straordinari per l’emergenza, è fissata al 15 ottobre prossimo, ma già ora si ricavano alcuni risultati importanti. "Stiamo vincendo la sfida della sicurezza. E i rimpatri sono aumentati del 50% in tre mesi", assicura Maroni. A cominciare dalla Capitale. Su 70 campi visitati da forze dell’ordine e operatori sociali, 50 risultano non autorizzati, compreso l’indirizzo di Casilino 900, famosa come la più grande baraccopoli d’Europa arrivata a ospitare circa 600 inquilini. Riferisce il Presidente della Croce Rossa romana Fernando Capuano: "Le stime forniteci a giungo dal Comune indicavano 12mila persone sul territorio: sono conti che bisognerà aggiornare al ribasso. Infatti, finora ne abbiamo censite poco più di 2mila e prevediamo che alla fine la cifra reale non supererà le 7mila unità". Tradotto, 5mila rom in meno nella sola città di Roma dalla firma dell’ordinanza di protezione civile firmata dal Viminale il 30 maggio scorso; ancora più breve l’intervallo di tempo se si prendono in considerazione le linee guida per l’attuazione, diramate a fine luglio. A Milano il quadro è ormai definitivo. Palazzo Marino ha concluso il censimento all’interno delle 12 aree riconosciute dal Comune: 1.180 i nomadi identificati, quasi la metà hanno la cittadinanza italiana, 413 sono i romeni, seguiti da kosovari (84), macedoni (70) e bosniaci (32). Nel 2007 i vigili riscontrarono nelle stesse roulotte la presenza di circa duecento persone in meno. Ma è la geografia degli insediamenti abusivi quella che è cambiata maggiormente nelle ultime settimane. Si partiva da un centinaio di campi irregolari per un totale di 10mila nomadi nella metropoli; dopo 80 sgomberi e 350 allontanamenti da pubbliche vie messi in atto dalla polizia locale, la stima della popolazione rom milanese oggi non supererebbe le 5mila unità. La metà esatta, dunque, rispetto a quella che circolava fino a ieri. Riassume il vicesindaco con delega alla Sicurezza, Riccardo De Corato: "A Milano si apprezzano i frutti di un lavoro costante di Prefettura, Questura e polizia municipale anche grazie ai nuovi strumenti legislativi messi a disposizione dal ministero dell’Interno". A Napoli, invece, ci sarebbero circa 4.500 nomadi in una ventina di campi nella provincia, un migliaio al di sotto dei 5.500 stimati prima dell’avvio del censimento. Duemilacinquecento gli abitanti solo dei tre mega insediamenti di Secondigliano, Scampia e Giugliano. La missione di ricognizione - promossa dall’Ufficio immigrazione della Prefettura partenopea con la collaborazione della Croce Rossa, dell’Opera Nomadi e del Tribunale dei minori ha coperto finora otto siti. Su dove si trovino adesso i nomadi non rintracciati nelle tre città da cui è partita l’identificazione il dibattito è aperto. Secondo le associazioni che operano nell’assistenza ai rom, questi si sarebbero semplicemente spostati fuori dai gradi centri, dove i controlli sono meno stringenti, giungendo nelle regioni per il momento non interessate dal decreto Maroni. È quanto sarebbe successo in province come Brescia, Pavia, Padova, Genova e Reggio Emilia, che già ospitavano nei loro confini comunità molto numerose. Ma è lo stesso terzo settore a riconoscere l’impatto deterrente avuto dalle misure di pubblica sicurezza varate dal ministero. Il ragionamento è quasi banale: "Per chi vive di espedienti non è più possibile vivere all’ombra dei campi nomadi italiani". Droghe: dall’Ue un piano d’azione di 4 anni contro il consumo
Vita, 19 settembre 2008
La Commissione europea ha lanciato un piano d’azione quadriennale per intensificare la lotta al consumo di droga nei ventisette paesi dell’Unione. Il progetto, presentato a Bruxelles dal commissario europeo per Giustizia, Libertà e Sicurezza, Jacques Barrot, punta soprattutto a rafforzare la cooperazione tra Stati membri e a ridurre offerta e domanda di stupefacenti. Le misure prevedono anche un’alleanza europea contro la droga attraverso la quale si intende ridurre i danni sociali causati dal fenomeno. Il piano d’azione passerà adesso al vaglio dei 27 Stati membri e dovrebbe essere adottato entro fine anno. "In Europa si contano due milioni di persone con seri problemi di tossicodipendenza: è giunto il momento di sensibilizzare i gruppi vulnerabili, i giovani in particolare, sui rischi legati al consumo di droga" afferma Jacques Barrot. "Grazie all’alleanza europea contro la droga - prosegue il commissario - i cittadini europei saranno chiamati a svolgere un ruolo attivo, ed esempio informando e facendo conoscere le iniziative di successo finora realizzate" Stando ai dati più recenti, il consumo di eroina, cannabis e droghe sintetiche si è stabilizzato o è diminuito mentre aumenta negli Stati membri il consumo di cocaina. Nell’Unione, si stima che il numero totale dei consumatori regolari o occasionali di droghe ammonti a 70 milioni per la cannabis, ad almeno 12 milioni per la cocaina, a 9,5 milioni per l’ecstasy e a 11 milioni per le anfetamine, mentre sono almeno mezzo milione coloro che ricevono ufficialmente un trattamento sostitutivo al consumo di droghe quali l’eroina. Nell’UE si registrano circa 7.500 morti per overdose l’anno. Tra le azioni proposte nel piano d’azione quadriennale 2009-2012, figurano misure intese a migliorare la qualità, la disponibilità e la copertura dei programmi di trattamento e riduzione dei danni rivolti ai consumatori di droghe e il varo di operazioni doganali e di polizia improntate sull’intelligence per contrastare gruppi criminali che operano su ampia scala tanto nell’UE che lungo le rotte del narcotraffico dall’Afghanistan e dall’America Latina. Nell’estate 2009 Bruxelles intende anche lanciare una campagna di prevenzione a livello europeo. Droghe: Stato-Regioni approva il test per i lavoratori a rischio
Notiziario Aduc, 19 settembre 2008
La conferenza Stato-Regioni di ieri ha approvato il testo di attuazione della legge sulla droga che prevede i controlli e test antidroga per i lavoratori a rischio, come autisti o piloti di aereo. E il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla famiglia, droga e servizio civile, Carlo Giovanardi ha sottolineato che da adesso è possibile dare il via ai test: "Dopo 18 anni finalmente abbiamo il testo di attuazione della legge sulla droga che già prevedeva i controlli ma che non era mai stata applicata". "Si tratta di controlli annuali sulla base di segnalazioni fatte dai datori di lavoro", ha spiegato il sottosegretario, sottolineando: "In caso positivo, anche di consumo saltuario, il lavoratore non verrà licenziato, ma spostato ad altra mansione, e segnalato ai centri di assistenza per i tossicodipendenti". Non scatteranno da domani, ma con il via libera odierno delle Regioni, dopo i test antidroga sulle strade, si apre la porta ai test antidroga nei luoghi di lavoro, per i lavoratori a rischio; ovvero per chi svolge determinate attività che potrebbero causare danni a terzi, come camionisti, autisti di autobus o piloti. In concreto - spiega Giovanni Serpelloni che dirige il Dipartimento antidroga presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri e il centro di medicina preventiva del dipartimento delle dipendenze di Verona - ci vorranno i tempi tecnici di divulgazione e di attuazione del protocollo, ma le misure e i test saranno operativi al massimo entro un mese. Le Regioni, infatti, dovranno ora diffondere il protocollo alle Asl e queste lo dovranno girare al medico competente che è previsto nelle aziende per legge, e naturalmente ai datori di lavoro in quanto responsabili dell’applicazione, nonché ai Sert che intervengono in caso di tossicodipendenze. Il medico competente che lavora in aziende e fabbriche dovrà quindi effettuare visite mediche e test tossicologici, o meglio prelievi di urina e capelli che verranno poi testati nei normali laboratori esterni. I test di controllo di routine saranno fatti una volta all’anno, ma il medico potrà sempre e comunque intervenire in caso di segnalazioni, o di dubbi che sono sorti ad esempio da altre visite mediche. I test antidroga prevedono in un primo livello - spiegano al dipartimento antidroga della presidenza - un prelievo delle urine, se questo test darà esito positivo o in caso di dubbi si passa al secondo livello ovvero il test pilifero, quello sui capelli. Se emerge una tossicodipendenza il lavoratore sarà preso in cura dai Sert, altrimenti - in caso ovviamente di test positivi - inizia una fase di monitoraggio cautelativo. Dal primo accertamento positivo, il medico dovrà certificare la non idoneità a svolgere quelle mansioni, il lavoratore potrà tornare alla sua mansione solo n caso di totale e accertata remissione. Il lavoratore, anche se in cura al Sert, avrà il diritto di conservare il posto, senza stipendio naturalmente. Qui si pongono alcuni problemi, soprattutto per le piccole aziende c’è il rischio che non sia possibile adibire il lavoratore ad altre mansioni o di non poter sopportare economicamente il peso di una sospensione lavorativa, da qui il rischio di licenziamenti. Un punto critico che allarma i sindacati. Ma - fermo restando il ricorso possibile del lavoratore - al dipartimento antidroga diretto da Serpelloni assicurano che saranno casi residui, che in ogni caso l’applicazione delle misure sarà monitorata per eventuali correttivi, e inoltre a fronte di questo sta la necessità di garantire la sicurezza ai terzi, alle persone. Chi si droga insomma - dicono - non può certo guidare un autobus o pilotare un aereo. Su questo fronte, ovvero su quello dei lavori a rischio, il punto dolente è stato evidenziato soprattutto da Confindustria, preoccupata di una generalizzazione eccessiva dei controlli a troppe categorie. Su questo punto - spiega Serpelloni - al dipartimento stanno già lavorando a ridefinire il provvedimento del 30 ottobre 2007, per limare le categorie a rischio e limitare i controlli solo laddove ci sia effettivamente un rischio per i cittadini. Al di là dei problemi che possono sorgere per sostituire un lavoratore sospeso, infatti le spese per i test antidroga e per il monitoraggio cautelativo sono a carico delle imprese, la eventuale cura al Sert, invece rientra nelle normali competenze e spese delle Regioni. I costi in media in laboratorio di un test per le urine è di 5-6 euro a sostanza, in genere si effettua per 4-5 sostanze; il test sui capelli costa un po’ di più: dalle 50 euro alle 300 per alcuni laboratori privati un po’ più cari, ma è un test di secondo livello, da farsi solo in caso di dubbio o per confermare il test urine positivo. Qui starà anche alle aziende contrattare con Regioni e laboratori tariffe convenienti, soprattutto in caso di grandi numeri. Serpelloni comunque sottolinea che sia il dipartimento che il sottosegretario saranno molto attenti ad evitare il rischio discriminazioni. Dati sull’incidenza delle tossicodipendenze sui luoghi di lavoro al momento non sono disponibili ma - Serpelloni ricorda il caso di Vercelli del maggio del 2007: un incidente di autobus, dove morirono due bambini e il conducente confessò di aver fumato uno spinello la sera prima. "I test - sottolinea Serpelloni - hanno due effetti sul fronte prevenzione: non solo si previene il rischio che persone che abbiamo problemi con la droga possa mettere a repentaglio la vita altrui, ma hanno anche un notevole effetto deterrente". In ogni caso la prima fase di attuazione dei test antidroga sarà monitorata accuratamente per limare eventuali punti critici. Il dipartimento di Giovanardi infatti può vantare i risultati dei primi controlli anti droga fatti sulle strade, i risultati della task force poliziotti-medici di Verona hanno lasciato un po’ tutti a bocca aperta: positivo un automobilista su due. E ora il protocollo Drugs on street potrà essere esteso a tutta Italia, il sottosegretario Giovanardi ha annunciato alle Regioni che il dipartimento antidroga è pronto ad aiutare le Regioni che lo chiederanno, esportando il protocollo sperimentato a Verona e dando supporto tecnico per l’applicazione. I costi saranno a carico delle Regioni, ma chi vorrà potrà usufruire del pragmatismo anglosassone dimostrato dal dipartimento antidroga diretto da Serpelloni. Questo il piano ideale: controlli delle forze dell’ordine coordinati dalle prefetture, con task force miste di agenti e medici, nei punti strategici, ovvero vicino a locali o nei punti di raccordo verso le città, eseguiti regolarmente una volta a settimana nel ‘periodo criticò ovvero il week end, nelle ore critiche dalla notte all’alba, per evitare le stragi del sabato sera e non per disturbare le gite fuori porta delle famigliole. Messico: due rivolte in carcere in 3 giorni, 22 i detenuti morti
Ansa, 19 settembre 2008
È dovuto intervenire l’esercito per mettere fine ai due drammatici episodi di rivolta che hanno avuto luogo nell’arco di 72 ore nel carcere messicano di La Mesa, a Tijuana. La sollevazione dei detenuti, che denunciano la durezza delle pratiche nelle carceri, è stata repressa con un bilancio di 22 detenuti morti e oltre un centinaio feriti. La ricostruzione sulle cause rimane confusa, e il governo dà versioni diverse. La prima rivolta è di domenica ed aveva causato tre morti. In risposta, il ministro per la sicurezza pubblica dello Stato, Daniel de la Rosa, aveva sospeso i dirigenti del carcere e aperto un’inchiesta. Ieri la violenza è esplosa per la seconda volta portando il bilancio a 22 vittime, e sembra che complici di questo secondo, violentissimo episodio, siano state le stesse guardie carcerarie, aprendo deliberatamente le celle ai detenuti. Per il procuratore per i Diritti umani dello Stato, Francisco Savier Sanchez Corona, la reazione dei detenuti era prevedibile. Secondo questa versione la tensione si sarebbe acuita in seguito all’uccisione da parte delle guardie di un detenuto sorpreso a telefonare con un cellulare, episodio reso noto dai media messicani solo in seguito. Smentisce questa ricostruzione dei fatti l’altra voce del governo coinvolta nella questione, De La Rosa, secondo cui la posta in gioco sarebbe non tanto la violenza esercitata dalle guardie, quanto una guerra tra bande all’interno del carcere per il controllo degli stupefacenti. Usa: un funzionario Comites in arresto per pedo-pornografia
www.italiachiamaitalia.net, 19 settembre 2008
"Comites di Miami ancora nella bufera. Dopo le inchieste in atto della magistratura italiana e americana per falso ideologico in atti pubblici commesso da pubblico ufficiale contestata al presidente del Comites di Miami, Cesare Sassi, e a quattro dei sei componenti del Comitato Italiani all’Estero della città della Florida (l’indagine, condotta dal pm della Procura di Roma, Giovanni Bombardieri, si è conclusa il mese scorso con il deposito degli atti e la formalizzazione delle accuse nei confronti di Luciana Saliani, Maurizio Paglialonga, Edoardo Ribetti e del tesoriere del Comites Ilaria Belloni, oltre che, naturalmente, dello stesso presidente Cesare Sassi) una nuova accusa, certamente più grave, fa ritornare alle cronache giudiziarie la rappresentanza di Miami". È quanto si legge su Gente d’Italia, il quotidiano delle Americhe di Mimmo Porpiglia, quotidiano sempre molto bene informato riguardo tutto ciò che accade nella città di Miami. La notizia che dà Gente d’Italia è a dir poco scandalosa: "Il 29 agosto scorso Silvano Toso, responsabile per la Florida del patronato Enasco della Confcommercio e presidente della Commissione Istituzioni e Associazioni del Comites di Miami, è stato arrestato da agenti federali e rinchiuso in una prigione federale, dov’è tutt’ora detenuto per "pedopornografia". "Toso - si legge ancora - corrispondente del quotidiano America Oggi e punto di riferimento del periodico locale Il giornale italiano della Florida è una figura molto nota negli ambienti delle istituzioni italiane di Miami ed uno dei più stretti collaboratori del presidente del Comites Sassi. Compare da sempre sul periodico Comites Informa ed in tutte le manifestazioni istituzionali italiane". Sempre secondo Gente d’Italia, "l’inchiesta dei "federali" è appena all’inizio. Ci sarebbero altri italiani e italo-americani nella lista dei "sospettati" con i quali il Toso avrebbe scambiato anche materiale pedopornografico. Ermanno Filosa, rappresentante del Popolo della Libertà dei Caraibi, dopo essere venuto a conoscenza dei fatti, ha dichiarato: "Che vergogna! Molti italiani in visita qui in Repubblica Dominicana e provenienti da Miami me lo avevano sempre detto del giro dei pedofili dentro il Comites di Miami. Incredibile che sia vero!", ha esclamato.
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