|
Giustizia: "tutti in galera!"... il motto del Popolo delle libertà
Aprile on-line, 21 novembre 2008
Il giustizialismo, nell’accezione berlusconiana, è la tendenza a utilizzare la magistratura come strumento per conseguire obiettivi politici. Ma se al posto della magistratura si utilizza la polizia, di cosa dovremmo parlare? Di "polizismo"? A dire il vero. il governo presieduto dall’anziano ex magnate televisivo non usa la polizia, si limita a chiedere che le forze dell’ordine risolvano tutti i problemi politici. Per farlo deve far leva sulla paura, un "paurismo" fomentato e strumentalizzato che porta ad un’unica risposta per ogni tipo di problema. Basti guardare le proposte dei mesi recenti su cui spesso l’esecutivo ha dovuto fare marcia indietro, ma che intanto vengono sbandierati per racimolare adeguato consenso. In ordine sparso il governo ha chiesto l’arresto per: clandestini, prostitute, clienti di prostitute, graffitari, e per chi, solo in Campania, depositi rifiuti ingombranti fuori dal cassonetto. Il carcere come soluzione di ogni problema. Insomma, alla verifica dei fatti, il motto del popolo delle libertà è: "in galera!". Ovviamente solo per i personaggi sopra descritti, perché per bancarottieri ed alte cariche dello Stato, insomma per i potenti, sono previste pacche sulle spalle e soprattutto "lodi". Giustizia: criminalità e immigrati spaventano meno gli italiani
Redattore Sociale - Dire, 21 novembre 2008
Sorprese nel secondo Rapporto Demos-Unipolis sulla rappresentazione sociale e mediatica della sicurezza. Si riduce la quota (sempre elevata) delle persone che ritengono in aumento gli atti di criminalità. Le 4 "ragioni" dell’insicurezza. La paura della criminalità e perfino degli immigrati sembrano improvvisamente scendere nelle impietose classifiche dei sondaggi. Almeno questa è la fotografia che si deduce dal secondo Rapporto Demos-Unipolis curato da Ilvo Diamanti, su un campione altamente rappresentativo di 2000 casi. Le paure non solo diminuirebbero di intensità, ma stanno cambiando direzione. Negli ultimi mesi l’opinione pubblica italiana ha subito infatti una velocissima trasformazione e il nesso che sembrava inscindibile tra insicurezza e criminalità sembra modificarsi. Questo il risultato principale del secondo Rapporto Demos-Unipolis. Si tratta di risultati per certi versi sorprendenti, che vengono spiegati così dallo stesso Ilvo Diamanti: "Il primo rapporto realizzato da Demos per Unipolis, un anno fa, aveva messo in luce come il nesso fra criminalità e sicurezza era divenuto tanto stretto da rendere difficile perfino distinguere i piani". Diamanti ricorda infatti che gli incidenti sul lavoro o sulle strade assumono grande rilevanza solo in casi eccezionali, come nel caso dell’incidente della ThyssenKrupp, nel quale morirono tragicamente sette operai. "Comunque, suscitano emozione, ma non paura e insicurezza. Come se si trattasse di eventi in una certa misura inevitabili". La spirale generata dal circuito fra realtà, opinione pubblica e media negli ultimi anni ha alimentato l’insicurezza, facendola giungere a livelli elevatissimi, come è emerso dal primo rapporto di Demos per Unipolis dell’anno scorso. Il picco è stato raggiunto nell’autunno 2007: in quel mese si è registrato il grado più alto di preoccupazione sociale, di allarme per i crimini contro la persona e la proprietà privata ma anche nei confronti degli immigrati, percepiti come minaccia, molto più che come risorsa. Con l’edizione 2008 del rapporto si cambia registro. I dati dell’indagine quest’anno suggeriscono infatti un cambiamento profondo. "A tal punto - dice ancora Diamanti - che pare quasi di trovarsi di fronte a un altro paese". Che cosa è successo? Come mai questo cambiamento repentino? I risultati del sondaggio Demos-Unipolis sono stati incrociati all’indagine sull’insicurezza nei media, condotta dall’Osservatorio di Pavia attraverso l’analisi dei Tg delle principali reti nazionali, Rai e Mediaset. "Dopo molti anni - dice Diamanti - assistiamo al sensibile ripiegamento delle "paure" legate all’incolumità personale. Si riduce, dunque, la quota (peraltro elevatissima) di persone che ritengono in aumento la criminalità in ambito nazionale. Ma diminuisce in modo ancor più rilevante la componente di persone che considerano aumentata la criminalità a livello locale: dal 53% al 40%". Contemporaneamente, cala il timore di essere vittima di furti, violenze, rapine, truffe. Altra novità rilevante: nell’ultimo anno arretra anche la "paura" degli immigrati, che anzi - per una grossa fetta di cittadini italiani - cominciano ad essere considerati una "risorsa", piuttosto che un problema. Secondo i risultati della ricerca, insomma, l’insicurezza non è affatto un fenomeno neutrale e "oggettivo". Il secondo rapporto Demos-Unipols conferma al contrario che il senso di insicurezza viene in genere alimentato da quattro ordini di ragioni. Il primo è la "perifericità" sociale. L’insicurezza risulta più elevata tra i ceti più bassi, fra le persone con un grado di istruzione meno elevato, tra le donne, nel centro-sud. Il secondo è il "capitale sociale". L’insicurezza cresce fra le persone esterne ai circuiti della partecipazione; mentre si riduce sensibilmente fra coloro che sono inseriti in reti di relazioni amicali e di vicinato molto fitte. Il terzo è "l’esposizione ai media", in particolare alla televisione. Quando il "consumo" televisivo supera le 4 ore al giorno l’angoscia cresce. Il quarto è "politico": il problema della sicurezza è denunciato con maggior forza dagli elettori del centrodestra: Pdl e Lega; mentre è percepito in modo meno drammatico dagli elettori del centrosinistra. In particolare del Pd e della sinistra radicale, mentre gli elettori dell’IdV rivelano un grado di paura piuttosto elevato. Giustizia: l’insicurezza cresce, insieme al "consumo" televisivo
Redattore Sociale - Dire, 21 novembre 2008
Indagine Demos-Unipolis. Il legame tra percezione dell’insicurezza legata alla criminalità e la "gestione" delle notizie da parte dei media. Dati incrociati con quelli dell’Osservatorio di Pavia. Ma con le elezioni lontane il clima cambia. Nell’autunno del 2008 gli italiani si sentivano più "sicuri" rispetto allo stesso mese dell’anno precedente. Le paure "economiche" e quelle "globali" restano alte, ma risultavano ancora stazionarie. Quelle "personali", dettate dalle minacce all’incolumità personale e della famiglia, alle proprietà e al domicilio, invece mostravano addirittura un calo. Nello stesso tempo si riduce sensibilmente la percezione che la criminalità stia aumentando: a livello nazionale e, ancor più, locale. Il rapporto tra percezione della insicurezza legata alla criminalità e i media è dimostrato dalla quantità e qualità delle notizie che vengono veicolate in particolare dalla televisione. È uno dei principali risultati del secondo Rapporto Demos-Unipolis sulla percezione della sicurezza tra gli italiani che è stato presentato oggi a Roma al Cnel e che sarà presentato e discusso la prossima settimana durante il Seminario di Redattore Sociale a Capodarco. Nel Rapporto Demos sono state analizzate le risposte di chi vede la televisione e sono state incrociate ai risultati di un’altra ricerca specifica sulla comunicazione della sicurezza realizzata dall’Osservatorio di Pavia. Nonostante la persistenza delle notizie legate alla criminalità, in particolare, nei notiziari televisivi, anzitutto nei Tg di punta (Tg5 e Tg1) e sulle reti private, il calo dell’insicurezza "personale" si rifletterebbe nel calo, assai consistente, dell’attenzione dedicata dall’informazione televisiva a questi argomenti. Anche se si discute molto tra gli esperti quale sia il rapporto vero di causalità fra emozione e televisione, la relazione fra la percezione dell’insicurezza e l’esposizione mediatica appare evidente dall’analisi dei dati dell’indagine. Sembra cioè ormai certo che il grado di insicurezza espresso dai cittadini cresce insieme alle ore di "consumo" televisivo (ad eccezione delle "paure globali"). In questo clima di disgelo emotivo, anche l’atteggiamento verso gli immigrati diventa meno ostile: sul pregiudizio negativo tende spesso a prevalere quello positivo: che costituiscano una risorsa. Nella ricerca Demos si sostiene che il cambiamento del clima d’opinione dipende, in misura significativa, dal cambiamento del clima politico e mediatico. Fra i due ambiti il rapporto è stretto, quasi simbiotico. La campagna elettorale lunga, in qualche modo permanente, che ha caratterizzato l’Italia nei mesi precedenti il voto di aprile, ha certamente avuto forti riflessi sulla comunicazione mediatica. I temi relativi alla sicurezza e alla criminalità, in particolare, hanno ottenuto grande visibilità, perché prioritari nell’agenda degli attori politici in vista del voto. Così, l’insicurezza è divenuta un tema di prima serata, un titolo da posizionare in testa ai notiziari. In controtendenza con l’andamento dei reati. Ora invece le elezioni sono lontane, i rapporti di forza in Parlamento stabili e ben definiti. Per cui non si assiste a battaglie mediatiche e politiche sui temi della criminalità e dell’immigrazione. Lo spazio dedicato dai media a questi temi appare in drastica riduzione, come quello riservato agli immigrati. Anche se il calo dei reati, che pur prosegue, avviene senza strappi. Mentre la crescita dell’immigrazione e gli sbarchi dei clandestini continuano, a ritmo superiore rispetto agli anni precedenti. Fanno "meno" notizia. E, parallelamente, spaventano di meno. È possibile che questa tendenza si consolidi, nel prossimo futuro, perché non sono in vista campagne elettorali critiche quanto quelle che hanno caratterizzato gli ultimi anni. È probabile, invece, che si accentuino ulteriormente le preoccupazioni legate all’economia, al reddito, al lavoro. Giustizia: la paura della criminalità ha connotazioni politiche
Redattore Sociale - Dire, 21 novembre 2008
Indagine Demos-Unipolis. Percezione di insicurezza più forte nel centro-destra. Gli indicatori si abbassano se si passa al "quotidiano": chi percepisce un aumento della criminalità nella propria zona di residenza è intorno al 40% (-10%). Sebbene persista, nell’opinione pubblica, la diffusa convinzione di una progressione dei fenomeni criminali, su scala nazionale, il dato si ridimensiona, negli ultimi dodici mesi, attestandosi intorno all’82%. Lo scarto rispetto all’ottobre scorso è di circa 6 punti percentuali; dopo anni in cui la "febbre" da timore criminale sembrava non doversi più fermare abbiamo assistito ad un primo raffreddamento nel maggio di quest’anno e poi all’assestamento attuale, in cui l’allarme è tornato sostanzialmente ai livelli del 2005. Sono questi i risultati della seconda indagine Demos-Unipolis presentati oggi a Roma. Nell’indagine - che sarà discussa anche durante il prossimo seminario nazionale dell’agenzia Redattore Sociale a Capodarco di Fermo - è interessante anche la parte relativa al rapporto tra campagne politiche ed elettorali e percezione delle paure. Quanti ritengono che la criminalità sia aumentata in Italia negli ultimi cinque anni sono soprattutto gli elettori dell’Udc (83%), del Pdl (84%) e della Lega Nord (92%). Al contrario, gli indicatori di inquietudine si abbassano in modo ancora più sensibile se consideriamo le grandezze riferite al contesto di vita e al "quotidiano" delle persone. Quanti infatti percepiscono un aumento della criminalità nella propria zona di residenza sono tornati ampiamente sotto la maggioranza assoluta, attestandosi intorno al 40%: il calo rispetto all’ottobre del 2007 è di oltre dieci punti percentuali. Anche in questo caso consideriamo l’aspetto "politico" dei dati presentati. Ad essere maggiormente spaventati sono gli elettori della Lega Nord (51%), seguiti da quanti simpatizzano per il Pdl (46%). Chi si riconosce nel Partito Democratico, invece, percepisce in misura maggiore una stasi o una diminuzione della criminalità nella propria zona. Si abbassa anche il livello di preoccupazione direttamente riferito a sé, alla propria famiglia, ai propri beni. Tutti i quesiti proposti dal rapporto, infatti, evidenziano un generalizzato (seppur, talvolta, contenuto) arretramento. Tra questi, il timore maggiormente presente negli intervistati rimane la paura di veder violata la propria abitazione: il 21% dichiara di sentirsi frequentemente preoccupato di questo, con una flessione rispetto a un anno fa di circa due punti percentuali. A seguire troviamo invece il timore di subire una truffa legata ai sistemi di pagamento elettronico e la paura del furto del mezzo di trasporto (auto, moto, bicicletta, scooter): per entrambi è il 19% del campione a dichiarasi spesso preoccupato, e anche in questo caso il trend è di leggero calo (rispettivamente: meno uno e meno tre punti percentuali rispetto all’ottobre 2007). La paura di subire scippi o borseggi, invece, inquieta oggi il 15% della popolazione e, in questo caso, osserviamo una diminuzione consistente, di circa sei punti percentuali rispetto alla rilevazione passata. Chiude questo elenco di crimini il timore frequente di subire un’aggressione o una rapina, che coinvolge il 13% del campione. Nella passata rilevazione l’allarme per questo reato si assestava intorno al 19%, quindi anche in questo caso lo scarto è negativo di circa sei punti percentuali. Giustizia: non più criminale; immigrato è una risorsa per 42%
Redattore Sociale - Dire, 21 novembre 2008
Indagine Demos-Unipolis. Cambia la percezione dell’immigrazione tra gli italiani. Dopo gli anni di massimo allarme, cresce la quota di persone che vede negli immigrati una risorsa piuttosto che un pericolo. Il numero degli italiani che vedono gli immigrati come "fonte" di criminalità, o comunque come "causa" della sua crescita, si riduce sensibilmente, fra il 2007 e il 2008. Si è chiusa una parabola ascendente che durava da ormai cinque anni. Oggi, a vedere l’immigrazione come una insidia per l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone è circa un rispondente su tre (36%). Dall’altra parte, invece, quanti considerano il fenomeno migratorio come sorgente di arricchimento e apertura culturale ammontano a circa il 42%. In questo caso, pur disponendo di una serie storica meno completa, possiamo osservare come l’andamento sia stato, nel corso del tempo, più ondivago, anche se, negli ultimi anni, l’indice appare in leggera (ma costante) flessione. Sono alcuni dei risultati più interessante della seconda ricerca Demos-Unipolis che è stata presentata oggi a Roma, esattamente a un anno di distanza dal primo rapporto. Nella ricerca curata anche quest’anno da Ilvo Diamanti si chiedeva agli intervistati (2000 persone) se gli immigrati possono essere considerati un pericolo per l’ordine pubblico e la sicurezza delle persone. E nello stesso questionario veniva chiesto se per caso la presenza degli immigrati favorisce la nostra crescita culturale. Ebbene i risultati sono anche in questo caso abbastanza sorprendenti. Nei grafici che illustrano i risultati della ricerca si vede infatti chiaramente che la curva che rappresenta la prima domanda (gli immigrati sono un pericolo per l’ordine pubblico?) ha avuto un picco nell’ottobre-novembre del 2007 per poi cominciare a scendere progressivamente. Si è passati infatti dal 50,7% (ovvero più della metà degli italiani in quel periodo pensavano che gli immigrati fossero solo un rischio per la convivenza civile) al 36,2% del novembre di quest’anno. Contemporaneamente è in discesa anche la curva "positiva", ovvero quella che rappresenta le risposte alla domanda gli immigrati sono una risorsa culturale. Si passa dal 46,3% dell’ottobre-novembre del 2007 al 42,3% di oggi. Come si vede la flessione è più bassa della prima. Sono cioè molti di più gli italiani che ci hanno ripensato a proposito dell’abbinamento tra immigrato e criminale. Giustizia: armi, antifurti, case blindate; l'italiano non demorde
Redattore Sociale - Dire, 21 novembre 2008
Indagine Demos-Unipolis. La tentazione di difendersi da soli dalla criminalità e la voglia di organizzare ronde nei quartieri rimane stabile tra gli italiani. Il 7% possiede un’arma. Ma crescono fiducia nel pubblico e richieste di socialità. La tentazione di difendersi da soli non vede particolari spostamenti e rimane sugli stessi livelli registrati lo scorso anno. Il 7% possiede un’arma, mentre è circa un intervistato su quattro ad aver stipulato una polizza assicurativa contro i furti in casa. I sistemi elettronici antifurto sono presenti nelle case di un intervistato su tre, mentre la presenza di porte o finestre blindate riguarda il 44% del campione. Sono alcuni dei risultati della seconda indagine Demos-Unipolis presentata oggi a Roma. Rispetto alle risposte che il campione degli italiani aveva dato nel 2007 si vede comunque una flessione. In quel periodo (picco massimo dell’allarme sociale sulla criminalità, vedi lanci precedenti) l’8,2% degli intervistati aveva dichiarato di aver acquistato un’arma per difesa personale. Oggi siamo appunto al 7%. Nell’ottobre del 2007 oltre il 32% degli intervistati aveva acquistato un sistema di allarme per la casa. Oggi siamo a 31,2%. Nell’ottobre del 2007 il 38,8% degli intervistati dichiarava di aver stipulato un’assicurazione sulla vita. Oggi la percentuale è scesa al 35%. Rimane invece stabile la tendenza all’istallazione di porte blindate ed è invece in leggera crescita l’assicurazione contro i furti nella propria abitazione. Nel frattempo cresce la fiducia nelle forze dell’ordine e perfino nella pubblica amministrazione. Il ruolo del pubblico, in questa edizione dell’indagine, è avvalorato anche dalla crescita del numero delle persone che ritengono di potersi rivolgere alle istituzioni (centrali e periferiche) quali "garanti" della sicurezza. Le associazioni di volontariato rimangono il riferimento privilegiato dei rispondenti: in caso di necessità, infatti, il 62% dichiara di poter contare moltissimo o molto su di loro, dato in linea con quanto rilevato nel 2007. L’altra istituzione a cui il campione guarda con particolare favore è la parrocchia, ritenuta affidabile dal 44%. I primi riferimenti a cui guarda il cittadino, quindi, sono quelli che non richiedono "requisiti di entrata", ma che disegnano spazi di socialità e assistenza aperti a tutti coloro ne abbiano bisogno, in cui una quota consistente di rispondenti pensa di poter ricevere aiuto in caso di necessità. Al comune, invece, si affida circa un rispondente su quattro, quota appena superiore a quanto raccolto dalle assicurazioni, che però segnano un incremento di circa tre punti percentuali rispetto all’ottobre scorso. Nello stato pensa di poter contare il 22% degli intervistati e in questo caso l’incremento rispetto alla scorsa rilevazione è di ben sette punti percentuali. A riporre fiducia negli enti pubblici è poco più di un intervistato su cinque (+3 punti percentuali rispetto al 2007). Complessivamente, osserviamo dunque un generale avanzamento del pubblico nell’orizzonte del bisogno del singolo. Inoltre, comune, enti pubblici e stato, pur non raggiungendo valori particolarmente alti, mostrano un trend positivo rispetto a dodici mesi fa, quasi a chiedere una sicurezza diversificata: non più semplice tutela fisica del cittadino, ma riferimento cui poter guardare. Emerge chiaramente dalle interviste anche il bisogno di aumentare gli spazi di socialità e incontro nei territori. Ci si sente - almeno in alcune zone del paese - meno blindati e nello stesso tempo più soli. L’autodifesa personale non è più considerata la via maestra. Giustizia: l’italiano spaventato; donna, istruzione medio-bassa
Redattore Sociale - Dire, 21 novembre 2008
Indagine Demos-Unipolis. Le più insicure sono le donne (43%), con un livello di istruzione medio-basso, soprattutto al mezzogiorno (e in comuni medio-grandi). L’assenza di legami sociali aumenta la paura. Gli indici della seconda ricerca Demos-Unipolis consentono di tracciare un profilo delle persone che hanno più paura. Emergono precise tipologie di persone. Si tratta in particolare delle donne (43%, contro una media generale del 36%), con un livello d’istruzione medio-bassa (37-38%, tra chi non ha raggiunto il diploma di scuola superiore), residenti in comuni medio-grandi, in particolare nel Mezzogiorno (41%). Contano, però, nell’alimentare questa forma di paura, anche la densità dei reticoli sociali, così come la variabile mediatica risulta determinante. L’assenza di legami con le altre persone nel contesto di vita tende ad incrementare il livello d’allarme: tra chi non conosce i propri vicini di casa, ad esempio, l’indice sale fino a superare la soglia della maggioranza assoluta (51%). Decisivo il ruolo della tv: un valore quasi pareggiato da chi dichiara una esposizione televisiva elevata: 48%, tra chi staziona davanti allo schermo per più di quattro ore al giorno. Nel caso dell’insicurezza economica alcuni caratteri dell’identikit rimangono coerenti, mentre altri risultano del tutto specifici. La caratterizzazione femminile e la consistente presenza di soggetti con un titolo di studio basso o medio-basso tende a confermarsi: da una media del 63%, l’indice sale infatti al 70% tra le donne e al 67% tra chi possiede la sola licenza di scuola elementare. Nonostante questa caratterizzazione, che rimanda soprattutto alla componente anziana del gruppo, sono soprattutto le persone in età centrale a dirsi maggiormente preoccupate su questi aspetti. Soprattutto, a parità di altre condizioni, la fascia anagrafica compresa fra i 25 e i 34 anni si mostra come la più inquieta. Anche su questa dimensione, tuttavia, l’incidenza dell’esposizione televisiva appare molto influente: si sale infatti al 71%, tra chi ricade nella fascia degli spettatori televisivi assidui. Specifico il profilo di chi condivide l’ultima delle forme di inquietudine isolate dall’indagine: la più intensa, per estensione sociale, e quindi anche la più trasversale dal punto di vista socio-grafico. Le aree di maggiore intensità, per quanto attiene all’insicurezza globale, possono essere individuate tra le donne (anche se, in questo caso la distanza rispetto al sotto-campione maschile è di soli quattro punti), le persone di età centrale e, ancora una volta, tra i residenti nelle regioni del Centro-Sud (78%). Sono tuttavia i tratti culturali e, ancor più, politici ad "insistere" su questa forma di inquietudine. Le paure globali, infatti, paiono colpire maggiormente le persone I profili dell’indagine tengono conto anche dei risultati di una serie analisi di regressione logistica, svolte utilizzando i quattro indici come variabili dipendenti. Esse hanno consentito di isolare le variabili indipendenti più rilevanti, nella spiegazione del senso di insicurezza, considerandone il contributo al netto dell’effetto esercitato dagli altri predittori inseriti, di volta in volta, nel modello statistico. Caratterizzate da un orientamento politico di centro-sinistra: siamo intorno all’80% per gli elettori del Pd, dell’Italia dei Valori, ma anche per quelli dell’Udc. Conta, nello specifico, anche l’attivismo all’interno del mondo dell’associazionismo e, ancor più, il livello di partecipazione all’interno di circuiti di natura politica (80%). C’è anche l’angoscia indefinita che tende a saldare insieme tutte le forme di insicurezza descritte in precedenza, anche dal punto di vista del profilo di chi la esprime. Dal punto di vista dei caratteri socio-demografici, l’identikit tende a suggerire i tipici attributi che contraddistinguono la perifericità sociale. A condividere questo sentimento sono infatti soprattutto le persone con un basso livello d’istruzione (49%), i più anziani (43%), le donne (44%) e in particolare le casalinghe (49%), assieme a pensionati (41%) e disoccupati (51%). Dal punto di vista territoriale si tratta di persone residenti in centri di piccole dimensioni (37%, sotto i 30 mila abitanti), soprattutto nelle regioni del Mezzogiorno (42%). Anche in questo caso la relazione con il livello di esposizione televisiva è molto stretta: l’indice passa infatti dal 30% di chi vede la televisione fino a due ore al giorno al 37% di chi la vede dalle due alle quattro ore giornaliere, per poi impennarsi al 47% tra chi supera la soglia delle quattro ore. Appare influente, allo stesso tempo, anche la variabile fornite dalla robustezza dei legami di vicinato: sebbene la direzione della relazione non sia univoca, il valore più levato si registra fra chi dichiara di non conoscere i propri vicini (43%). Giustizia: messa in prova; il "copia e incolla" tra Alfano e Idv di Dino Martirano
Corriere della Sera, 21 novembre 2008
La versione del Guardasigilli... "Nei procedimenti relativi a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo a 4 anni (...) l’imputato può chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova". Quella dell’Italia dei Valori… "Nei procedimenti relativi a reati puniti con la sola pena pecuniaria o con pena detentiva non superiore nel massimo a 3 anni (...) l’imputato può chiedere la sospensione del procedimento con messa alla prova". È davvero un bel copiato, con piccola e sostanziale variazione, il ddl Alfano sull’introduzione della messa alla prova per gli imputati che rischiano pene fino a 4 anni. D testo uscito dagli uffici di via Arenula, nell’articolo incriminato ma anche nella relazione, ricalca parola per parola ciò che è stato scritto da 14 senatori dall’Italia dei Valori nel ddl 584 discusso due settimane fa in commissione al Senato e affidato, un’altra coincidenza, al relatore Piero Longo della Pdl, uno degli avvocati di Silvio Berlusconi. L’unica variazione introdotta dai tecnici di Alfano riguarda il magico numero 4: per i parlamentari di Di Pietro, infatti, 3 sono gli anni di pena edittale oltre i quali non si può chiedere la sospensione del processo e la messa in prova; per il governo, invece, quel tetto è di 4 anni. Tra i due testi, dunque, cambia la platea dei reati ma non il meccanismo che sospende il processo e, soprattutto, prospetta l’estinzione del reato se il lavori socialmente utili sono svolti positivamente dall’imputato. E questo ha permesso al ministro Alfano di polemizzare con il leader dell’Idv: "Di Pietro parla di amnistia ma lui ha presentato lo stesso testo...". Nelle due relazioni si rintracciano parole incredibilmente uguali: "Si è ritenuto di recuperare per i reati di criminalità "medio piccola" un ruolo importante alla probation giudiziale con sospensione del procedimento...". Testuale: a pagina 36 della relazione Idv e a pagina 4 di quella del governo. La differenza la fa quell’anno in più, spiega con pacatezza il senatore Luigi Li Gotti (Idv) perché "il nostro tetto a 3 anni è coerente con l’attuale disciplina della messa in prova dopo la condanna Con il ddl Alfano, invece, entrano nel computo malversazione, false informazioni al pm, violenza privata, furto aggravato, falsità materiale del pubblico ufficiale, intercettazioni illegali, etc.". Li Gotti dimentica il Testo unico sull’immigrazione che all’articolo 12 prevede pene fino a 3 anni per chi favorisce l’ingresso dei clandestini e fino a 4 anni per chi li sfrutta. Chi non ha digerito la faccenda è proprio Antonio Di Pietro che ora respinge la paternità del ddl dell’Idv: "Non condivido un meccanismo che porti all’estinzione del reato. Prendo atto che all’interno dell’Idv c’è chi ha presentato un analogo provvedimento (a quello del governo, ndr) ma il partito ha dato indicazione che questa parte del testo sia ritirata. Perché bisogna intervenire sulla pena e non sul reato. Figuriamoci ora che il governo alza il tetto fino a 4 anni. Tetto sotto il quale rientrano tutti i reati non previsti per la sospensione condizionale e nell’affidamento in prova dopo la condanna. Questa è la voce dell’Idv, quelle sono proposte in discussione al Senato". Giustizia: "messa in prova"... ridurre il limite dei quattro anni
Il Sole 24 Ore, 21 novembre 2008
Non ha nessuna intenzione di gettare la spugna. Anzi, scommette su una soluzione che sarà trovata in tempi brevi. In una settimana, più precisamente. Da Palermo, dove è volato per il fine settimana, il ministro della Giustizia Angelino Alfano non ha dubbi. "Se qualcuno pensa di creare problemi all’interno della coalizione sul disegno di legge con la "messa alla prova" si sbaglia, perché al Consiglio dei ministri di venerdì prossimo arriveremo compatti con una soluzione". Si sbilancia il ministro, anche se il collega degli Interni Roberto Maroni preferisce glissare e avvertire: "Non commento ipotesi giornalistiche: le uniche misure sulla sicurezza sono quelle in discussione in Parlamento". Eppure, prova a ricordargli Niccolò Ghedini, parlamentare Pdl e consigliere del premier Silvio Berlusconi, lunedì sera ad Arcore, in una cena, gli era stato spiegato tutto "per filo e per segno e lui era d’accordo". Sarà. Ma la Lega e, in parte, An si sono messe di traverso sulla proposta della Giustizia di rendere da una parte più faticosa la sospensione condizionale della pena e, dall’altra, di prevedere la "messa alla prova", con possibile estinzione del reato, per chi commette un delitto con pena massima fino a 4 anni. Adesso di tempo per trovare la "quadra" non ne resta molto. Ma già si intravedono i possibili spiragli. Due le soluzioni possibili per non mettere in difficoltà Alfano che, comunque, sarà costretto a modificare un disegno di legge a cui tiene molto, perché - ha ribadito più volte - è indirizzato ad assicurare "l’effettività della pena". Il punto di partenza, si sottolinea nella maggioranza, è che l’istituto della "messa alla prova" piace a molti. Anche all’opposizione che, nella passata legislatura, con il Governo Prodi, presentò in un più ampio disegno di legge per accelerare il processo penale una misure identica o che, adesso, ha depositato in Parlamento un’analoga proposta di legge targata Italia dei Valori; ma piace anche ai magistrati, come ha confermato ieri il presidente Anm Luca Palamara. E allora prima di abbandonarla del tutto, stralciandola dal testo (ipotesi più drastica), bisognerà pensarci bene. Anche perché al ministero della Giustizia si fa sapere di essere disposti a discutere del limite dei 4 anni, l’aspetto che ha sollevato le maggiori critiche, anche perché comprenderebbe reati particolarmente delicati come la corruzione semplice o l’abuso di ufficio. Se invece il tetto si riducesse di un anno, come previsto dal disegno di legge Idv e come chiede l’Anm per renderlo simmetrico a quanto previsto per l’affidamento ai servizi sociali, allora le polemiche potrebbero smorzarsi. E abbassare i toni è anche la richiesta dell’ex sottosegretario alla Giustizia del Governo Prodi, Luigi Manconi, che invita il Pd a non unirsi ai giustizialisti di entrambi gli schieramenti, appoggiando una proposta che non esita a giudicare "ottima". Giustizia: Osapp; la "messa in prova" è un altro spot di Alfano
Il Velino, 21 novembre 2008
"A due giorni dall’ennesimo scivolone sul ddl della messa alla prova, stoppato per mano del collega degli Interni, il ministro della Giustizia Alfano scopre le carte, e ci dimostra ancora una volta come non sia del tutto informato rispetto una realtà che dovrebbe invece curare". Lo dichiara Leo Beneduci segretario generale dell’Organizzazione sindacale autonoma Polizia penitenziaria a proposito dell’intervista rilasciata dal Guardasigilli che proprio ieri sulle colonne del quotidiano Libero ha annunciato l’apertura di 3 nuovi istituti: a Noto, Gela e Rieti. "Non si limiti a dare notizie - prosegue - specie se poi queste notizie non sono del tutto vere. Con gli attuali ritmi di crescita della popolazione carceraria, che ricordiamo aver superato la soglia delle 58 mila unità, per gli obiettivi che l’amministrazione si prefigge di portare la capacità degli istituti italiani a 1.300 nuovi posti letto, servirebbero almeno 500 agenti di Polizia penitenziaria in più, che non ci saranno per almeno 2 anni visto che gli ultimi 219 assunti saranno disponibili solo nel 2010". "Noto per esempio - aggiunge Beneduci - ha un istituto che ospita da più di un anno 80 detenuti, ma per le mire del ministro di farlo funzionare a pieno regime, e accrescerne la capacità ricettiva, servono almeno dagli 80 ai 100 agenti in aggiunta a quelli attualmente in servizio. A Rieti, invece, se si prevede di portare il numero dei reclusi a 500 unità, è necessario che il personale di Polizia penitenziaria venga adeguato almeno con 220 nuovi agenti. Adesso l’istituto ospita solo 53 detenuti, ma è comunque in sopranumero oltre la quota del consentito". "Ci chiediamo - sottolinea il segretario generale Osapp - dove siano questi cantieri di imminente chiusura, anche perché saremo ben lieti di partecipare alle loro inaugurazioni, quando solo a Catania la situazione è quella che anche le Asl. hanno testimoniato ieri, verificando uno stato di abbandono totale. Per non parlare poi di Torino Le Vallette dove i reclusi sono ancora ammassati nella palestra del carcere. Per ritornare al disegno di legge oggetto del desiderio del ministro Alfano c’è da osservare come magari questo non serva tanto a svuotare le carceri, come qualcuno si è precipitato a sostenere all’indomani della defaillance al Consiglio dei ministri. Se veramente si intendevano introdurre alternative al carcere occorreva preoccuparsi anche delle vittime dei reati. Ma si sa come poi le cose vadano nel nostro Paese". "Di nuovo c’è che - afferma Beneduci - il titolare della Giustizia ha inteso fare l’ennesimo spot per recuperare un errore politico divenuto quanto mai imbarazzante. Di nuovo c’è che stralcio a parte, riferito al disegno di legge sull’effettività della pena, la situazione emergenziale delle carceri arriverà come sempre a superare di ora in ora, di giorno in giorno, l’ultimo stadio; in attesa che questi fantomatici cantieri chiudano finalmente i battenti. Ma mancheranno sempre e comunque le persone necessarie". Giustizia: le carceri scoppiano, quasi 60mila i detenuti in cella
Il Giornale, 21 novembre 2008
Detenuti al 31 ottobre 2007: 47.807. Detenuti al 31 ottobre 2008: 57.861. In attesa di giudizio: 29.500 (di cui 16.118 in attesa del 1° giudizio, 9.696 appellanti e 3.690 ricorrenti). Definitivi: 24.919. Le regioni più affollate: 8.377 Lombardia, 7.338 Campania. Stranieri: 21.4781, di cui 3.904 comunitari e 17.374 extracomunitari. Nazionalità prevalenti: Marocco 4.626 Romania 2.738 Albania 2.623. La giustizia dà i numeri: nelle patrie galere piene come mai in precedenza albergano più detenuti in attesa di giudizio (29.504) che condannati in via definitiva (24.919). Oltre 16mila i reclusi che non hanno mai visto un giudice, 9.696 quelli che in cella aspettano l’appello. Per non parlare dei prigionieri stranieri saliti a 21.478 rispetto ai 17.750 di appena un anno fa. Il rapporto del Dap sulla popolazione detenuta aggiornato al 31 ottobre fotografa una situazione esplosiva. Che nel suo dato complessivo (quasi 58mila persone in cella rispetto alle 47mila del 2007) dà conto di una situazione "alloggiativa" a dir poco disastrosa. Le cifre sciorinate dal ministero della Giustizia parlano da sole, indipendentemente dal raffronto con i dati sui 144mila procedimenti penali estinti per prescrizione nel 2007. Regione per regione, l’elemento "sovrannumero" regna sovrano. Fino a otto detenuti per celle singole. Sul territorio nazionale spopola l’iper affollamento in Lombardia (8.377 detenuti) Campania (7.338) e Sicilia (6.743). A Napoli-Secondigliano i presenti sono quasi il doppio (2.495) dei posti letto previsti. In Emilia situazione limite: alla Dozza di Bologna si schizza a quota 1.078 quando la capienza massima è di 483 unità. Per non dire di Modena (463 per 222 posti), Piacenza (359 per 178) e Ferrara (422 per 256). Preoccupa la Lombardia, a cominciare da Milano San Vittore (1.527 reclusi per 702 posti), Bergamo (524 per 210), Busto Arsizio (434 per 167) e Monza (765 per 420). Da brividi i numeri su Bari (516 detenuti per 292 posti) e soprattutto Lecce (1.170 arrestati per una capienza totale da 681 posti). Spostandoci nelle isole, il risultato non cambia. In Sardegna le situazioni più critiche vengono evidenziate su Cagliari, Iglesias e Oristano mentre in Sicilia c’è l’imbarazzo della scelta: Caltagirone ospita 225 persone a fronte di una capienza di 75; il claustrofobico istituto di Favignana, posizionato dieci metri sotto terra, ne ha venti in più sui 90 di base; l’Ucciardone di Palermo ne conta 1.176 anziché 999, Termini Imerese 492 invece di 290, Siracusa 492 su 280. Ovunque, o quasi, è un dramma. Laconico il commento di Riccardo Arena, speaker di Radio Carcere: "Una riforma sulle carceri non è più rinviabile. Si potrebbe ridurre il cosiddetto flusso (90 mila all’anno) di quelli che entrano e escono dopo pochi giorni: i detenuti in stato di custodia cautelare. Questi andrebbero arrestati quando è indispensabile, cosa che evidentemente non avviene se dopo pochi giorni escono. Il sistema delle pene andrebbe riformato, prevedendo sanzioni diverse dalla detenzione in carcere, sanzioni ugualmente punitive e magari esecutive già dopo la condanna in primo grado. Come dimostrano questi dati, si deve intervenire sull’edilizia penitenziaria. Il 50% delle nostre 205 carceri risale al 1200 o al 1800, vanno chiuse...". Giustizia: Grasso; su mafia rafforzare sistema intercettazioni
La Repubblica, 21 novembre 2008
Mantenere e rafforzare il sistema delle intercettazioni e dei collaboratori di giustizia per combattere con sempre più efficacia la criminalità organizzata. E quanto ha sottolineato il procuratore nazionale anti-mafia Piero Grasso durante la conferenza stampa al Viminale per la presentazione dei dati relativi alla lotta alle mafie. Grasso ha ricordato che dopo le stragi del 93 contro Giovanni Falcone e Paolo Borsellino in Italia si è aperta una grande stagione di contrasto contro la criminalità organizzata che ha portato all’adozione di pene più severe per i mafiosi, il carcere duro per i boss, l’eliminazione dei benefici per i detenuti accusati di associazione mafiosa. Si tratta, ha aggiunto Grasso, di un’azione globale contro la criminalità organizzata che vede impegnate le forze di polizia e la magistratura in una piena collaborazione. Il procuratore nazionale anti-mafia ha parlato anche di una "rivoluzione epocale" in materia di estorsione grazie all’adozione dell’obbligo di denuncia da parte degli imprenditori che operano nel campo di appalti pubblici. Per chi invece non denuncia, si è scoperto, potrebbe esserci la recessioni contrattuale. Lazio: entro il 2009 a Roma una casa per le mamme detenute
Agi, 21 novembre 2008
Il Ministero della Giustizia ha manifestato la propria disponibilità a collaborare affinché sia evitata la presenza dei bambini all’interno della struttura penitenziaria attraverso la creazione dell’istituto di custodia la cui gestione, però - in base alla legislazione vigente - resterà affidata alle strutture ministeriali. Il presidente della Consulta Caradonna, dal canto suo, si è impegnato a coinvolgere il sindaco Alemanno e l’assessore capitolino Sveva Belviso, ricordando le competenze di "Roma Natura" e dell’assessorato all’Ambiente. Il Garante dei detenuti Marroni, pur ritenendo utile il progetto della "casa", ha rimarcato di non considerarla "la soluzione definitiva": il vero problema, a suo dire, è la riforma dei codici. "La questione delle mamme detenute con figli va rovesciata - ha aggiunto il Garante dell’infanzia, Francesco Alvaro, chiedendo la definizione anche di strategie per chi ha raggiunto i tre anni di età - si parta dai bambini". Leda Colombini e Stefania Boccale di "A Roma insieme" hanno sottolineato che le Icam andrebbero utilizzate solo per i reati di particolare gravità, mentre dovrebbero avere spazio prevalente le case famiglia gestite dai servizi sociali e dal terzo settore. L’attuale soluzione di spostare i bambini fuori dal carcere per inserirli in una struttura che rimane di reclusione non è giudicato come risolutivo del problema. Il superamento di tale difficoltà - però - implica una revisione della vigente legislazione. "In attesa di un mondo migliore - ha quindi concluso il consigliere Anna Maria Massimi - cerchiamo ora, per quanto possibile, di arrivare alle modifiche dei codici, alle case famiglia, ma nel frattempo arrivare concretamente alla realizzazione di questa Icam. Lavoreremo perché nella Finanziaria regionale 2009 siano messi i fondi necessari". Livorno: detenuto morto in cella, il pm interroga un macedone
Il Tirreno, 21 novembre 2008
Ha parlato davanti al pubblico ministero Gianfranco Petralia il detenuto di origine macedone indagato per omicidio colposo a seguito della morte di un altro detenuto, morto per asfissia due domeniche fa in una cella del carcere delle Sughere dopo aver "sniffato" a lungo il gas dalla bombola che aveva. Il magistrato ha deciso di indagare l’altro detenuto perché era stato lui ad aver passato alla vittima la bombola con la quale poi è morto. Petralia ha sempre detto di non credere all’ipotesi del suicidio: il detenuto italiano, originario della Calabria, insomma, secondo la Procura non voleva uccidersi ma è morto per uno "sballo" finito male, le cui conseguenze non sono state controllate a dovere. Il macedone iscritto al registro degli indagati non ha negato il fatto che il pm gli contesta, ovvero la consegna della bombola al detenuto. Durante l’interrogatorio ha però ricordato che mai e poi mai avrebbe immaginato che quest’oggetto sarebbe stato usato con quelle finalità - figuriamoci se con quelle conseguenze - dall’amico, che fra l’altro ha insistito a lungo per avere la bombola. Solitamente, ha spiegato il macedone nel suo colloquio, durante il quale era assistito dall’avvocato Francesco Agostinelli, i detenuti utilizzano le bombole per fare il caffè e distribuirlo anche agli altri compagni di detenzione. Quella domenica, invece, la bombola si è trasformata in un’arma mortale. "Ma a mia insaputa", ha puntualizzato l’indagato davanti al pubblico ministero. Belluno: dal carcere di Baldenich… lo Stato ci ha dimenticato
Il Corriere delle Alpi, 21 novembre 2008
Abbiamo letto nei giorni scorsi sia l’articolo dell’amico detenuto che lamentava le condizioni di vita a Baldenich sia quanto riferito dalla direttrice dell’istituto, sul Corriere del 13.11.2008, in riguardo ai corsi professionali e alle altre opportunità offerte alla popolazione detenuta. Siamo purtroppo molto lontani dalla realtà, soprattutto per il secondo intervento. Bene, ha scritto l’amico Silvano riguardo allo stato dello stabile che sembra appartenere ad un’altra epoca e da qui lo abbiamo ribattezzato "Spielberg" con la descrizione degli angusti e vetusti spazi, dove quest’umanità è ristretta: celle inadeguate, servizi igienici insufficienti e datati nel tempo, spioncini sigillati, docce in comune e non a norma, passaggi piccoli, muro divisorio nella sala colloqui e mancanza di strutture dove poter esercitare ogni sorta di attività, da quelle fisiche, eccezion fatta per la minuscola palestra, fino a quelle ben più vitali quali spazi destinati alla socialità o ai corsi scolastici e professionali. Il nostro amico ha scordato di parlare dell’acqua che spesso non è nemmeno potabile poiché dai tubi esce un liquido scuro costringendo la direzione a distribuire acqua in bottiglie. Per quanto invece riguarda la direzione dell’istituto si sorprende sentire che nello "Spielberg" ci siano tutte queste attività dal momento che la lavanderia è stata chiusa e attualmente non ci lavora nessuno, nonostante ci siano 5 detenuti in possesso dell’abilitazione al servizio. Siamo altrettanto scettici sulla possibilità di venire impiegati all’esterno in semilibertà o a fine pena perché, proprio in questo carcere, l’atteggiamento della direzione è di chiusura totale e non ci sono, allo stato, persone detenute che godano di qualche beneficio proprio perché la direzione mette parere negativo su tutte le istanze dei detenuti. Se pensiamo da quanto tempo è insediata a Belluno la direttrice abbiamo l’esatta misura di quanto siano strettamente demagogiche e propagandiste le sue dichiarazioni. In relazione al corso di pasticceria occorre precisare che tale iniziativa è di carattere nazionale e non è, quindi, un progetto nato a Belluno. Ecco, direttore, in questo contesto, dove nemmeno l’assistenza sanitaria è garantita, ci troviamo a convivere quotidianamente 150 - 200 persone, tra detenuti e operatori della sicurezza, in un posto dove lo Stato sembra averci dimenticato, ma che comunque è presente grazie all’abnegazione del personale di Polizia Penitenziaria, che non se la passa di certo meglio di noi.
Lettera firmata Milano: detenuti-spazzini al lavoro, li controlla il bracciale Gps
Corriere della Sera, 21 novembre 2008
Il Provveditore Pagano: "Chi sconta la pena fuori dalla cella non torna a delinquere". Il presidente della Provincia Penati: "Stiamo lavorando a un progetto strutturale". Si parte tra un mese con tre persone. L’obiettivo è arrivare a regime a 30 unità. Braccialetto elettronico per i detenuti-spazzini fuori dalle carceri: i primi tre usciranno da Bollate per pulire le strade sorvegliati a distanza grazie a un apparato collegato al sistema satellitare Gps che già segue i mezzi della Provincia di Milano. L’avvio di questo sistema, il primo del genere in Italia, non è legato alla legge del 2001 che, pensata per coloro che sono ai domiciliari, venne messa in soffitta dopo la prima deludente applicazione che a Milano vide la fuga-beffa di un sudamericano. Sarà possibile grazie a un accordo sul lavoro esterno, approvato dal Ministero della giustizia, tra il Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, la Provincia di Milano e il consorzio Cem-Ambiente che prevede l’uso del sistema Gps che controlla gli automezzi del Cem sparsi sul territorio di 49 comuni n braccialetto non è obbligatorio e potrà essere utilizzato in via sperimentale per i detenuti ammessi al lavoro esterno dai magistrati di sorveglianza e già controllati periodicamente dalla Polizia penitenziaria. Si parte tra un mese con i primi tre inseriti nelle squadre del Consorzio, spazzeranno e raccoglieranno i rifiuti lungo 185 chilometri di strade provinciali. Attraverso il monitoraggio dei mezzi sarà verificata anche la posizione di ciascun detenuto. Se tenterà di allontanarsi o di liberarsi dall’apparato, scatteranno le ricerche. L’iniziativa è il risultato di un primo esperimento fatto a Ferragosto, quando 50 reclusi ripulirono parchi e aree verdi, e punta alla diffusione del lavoro esterno dei detenuti. Ora si passa all’inserimento in un’attività lavorativa stabile gestita dall’Agenzia per il lavoro penitenziario che, organizzata dal Provveditorato, prenderà il via a dicembre. "Stiamo lavorando a un progetto più ampio e strutturale nel tempo per dare l’opportunità ai detenuti di costruire un percorso di speranza successivo alla pena", conferma Filippo Penati, presidente della Provincia. L’Agenzia sarà un vero e proprio ufficio di collocamento in contatto con le altre strutture pubbliche e private, pensato per far lavorare i detenuti non pericolosi condannati a pene lievi e vicini alla scarcerazione. Si occuperà anche della sorveglianza collegandosi via internet alla piattaforma web della Provincia. "Le statistiche - spiega Luigi Pagano, provveditore dell’amministrazione penitenziaria - dicono che nel 68% dei casi coloro che scontano per intero la pena nel carcere tornano a delinquere. La percentuale scende al 25 per quelli che hanno goduto del lavoro esterno o di misure alternative alla detenzione". È un affare per tutti. Per le aziende che impiegano i reclusi, perché la legge concede sgravi fiscali che abbattono di un terzo il costo di questi lavoratori, e per la società "La diminuzione di un solo punto della recidiva - aggiunge Pagano - fa risparmiare atta collettività svariati milioni l’anno di spese per pro-cessi e carcere". I detenuti non sottrarranno occupazione in quanto saranno impiegati a tempo determinato in quei lavori di bassa manovalanza che generalmente vengono rifiutati dai disoccupati. Non saranno mai lasciati soli perché la loro presenza nelle squadre non supererà il 70% del totale. Le previsioni sono di portare entro un mese a una decina il numero di occupati nelle tre carceri milanesi per arrivare a 30 a regime. Silvio Nardello, direttore tecnico del Cem, è convinto che il progetto "può essere esportato facilmente in tutte le carceri Italiane che potranno destinare i detenuti alla pulizia di boschi, spiagge e parchi". Milano: 20 agenti "scortano" 60 detenuti; sicurezza a rischio
www.cronacaqui.it, 21 novembre 2008
"Ogni giorno in Tribunale rischiamo la rivolta: se qualche detenuto perde la testa e dà in escandescenze non possiamo garantire la sicurezza dei cittadini". La denuncia arriva dagli agenti della polizia penitenziaria, gli stessi agenti che ogni giorno trasportano i carcerati da San Vittore (e da Bollate) fino a Palazzo di Giustizia, e ritorno. "Siamo in 20, massimo 25 poliziotti e dobbiamo scortare 60 detenuti. Praticamente sono loro a scortare noi - racconta Nicolino Labella, segretario regionale del sindacato Sappe - ma nessuno sembra rendersi conto del pericolo". Il problema infatti è stato segnalato più e più volte ma non è cambiato nulla e "noi siamo costretti a lavorare lo stesso. Anche se è contro il regolamento - si sfoga un poliziotto del nucleo traduzioni di San Vittore - e prima o poi qualcosa succederà". Secondo le norme infatti ogni detenuto dovrebbe essere accompagnato da tre agenti. Dovrebbe, ma la realtà è che nei corridoi del Tribunale milanese tutto funziona al contrario e c’è una guardia ogni tre carcerati. Ieri, ad esempio, gli ammanettati erano 62 e le divise 20. Troppo poche per contenere eventuali rivolte, troppo poche per garantire sicurezza alle migliaia di persone che ogni giorno affollano Palazzo di Giustizia. "Basta che qualcuno prenda un ostaggio al settimo piano (quello dove ci sono gli uffici dei giudici, ndr) e succede una strage - continua un agente - non abbiamo abbastanza personale per fronteggiare situazioni di emergenza. E prima o poi l’emergenza ci piomberà addosso". Le cose non vanno certo meglio nel tragitto tra la prigione e il Tribunale: sui bus vecchi e scassati in uso alla polizia penitenziaria vengono caricati anche 20 detenuti per volta, ma a sorvegliarli ci sono solo 5 poliziotti. "Tutto fila liscio finché non ci sono imprevisti - denuncia Labella - ma non voglio nemmeno immaginare cosa potrebbe accadere in caso di incidente stradale o di guasto del mezzo. Cinque guardie non riuscirebbero certo a controllare venti persone in mezzo alla strada". La carenza di personale è una piaga che colpisce ormai da anni la polizia penitenziaria, ma "nelle ultime settimane la situazione è diventata esplosiva" spiega una guardia. E sempre più spesso sono i magistrati a dover attendere per ore e ore i detenuti "bloccati" nelle celle di sicurezza in attesa che qualche agente penitenziario si liberi. E in un Tribunale caotico come quello milanese posticipare di qualche ora un’udienza (o rinviarla) finisce col creare disagi a non finire. "Dieci anni fa le guardie erano 250 - spiega il rappresentante del Sappe - ora, tra tagli e distacchi al meridione, siamo rimasti in meno di 70. Nel 2006 il capo del personale ci aveva promesso di far rientrare 100 uomini distaccati al Sud, ma ad oggi non ne è rientrato nemmeno uno". E se la situazione non cambia gli agenti sono pronti a scendere in piazza e a manifestare, "perché nei corridoi del Tribunale e sui bus della polizia esiste una situazione allarmante, ma il pericolo viene continuamente sottovalutato". Como: protesta agenti; 1 operatore in sezioni da 80 detenuti
Corriere di Como, 21 novembre 2008
"Grazie per tutto ciò che non avete fatto". Oggi è la festa della polizia penitenziaria. E oggi, davanti alla Prefettura, gli agenti del carcere "Bassone" di Como distribuiranno volantini in cui ringraziano, ironicamente, il ministero della Giustizia e il provveditorato regionale all’amministrazione penitenziaria per "non aver risolto - spiega Massimo Corti, rappresentante della Cisl al Bassone - i problemi che affliggono da anni la nostra casa circondariale". I sindacati di categoria hanno proclamato uno stato d’agitazione. Gli agenti lamentano, innanzitutto, una storica carenza d’organico. Mancano 80 agenti. "E questo si traduce in situazioni paradossali: turni massacranti - continua Corti - e sezioni da 80 detenuti controllate da un solo agente. La carenza d’organico è lampante soprattutto nella sezione femminile, dove una nostra agente ha dovuto persino inanellare 36 giorni consecutivi senza riposo". Anche l’edificio è malandato: i sindacati denunciano un "malsano ambiente di lavoro", dove "piove dai tetti nei reparti detentivi". "Alla già nota carenza di organico - spiega sempre Corti - dobbiamo poi aggiungere la detenzione di Olindo Romano e Rosa Bazzi (i due imputati per la strage di Erba, ndr) che, dovendo essere sorvegliati a vista, hanno assorbito due unità di un corpo già povero di risorse". Secondo la Cisl, "questa lunga serie di problemi aumenta anche lo stress psicofisico degli agenti e rischia di minare le condizioni di sicurezza". Firenze: Compagnia della Fortezza in "Un silenzio straordinario"
Il Tirreno, 21 novembre 2008
Sabato alle 21 al Cantiere Sanbernardo di Via Pietro Gori la Compagnia della Fortezza di Volterra presenta "Un silenzio straordinario", con l’attore-detenuto Placido Calogero e la regia di Armando Punzo: uno spettacolo liberamente ispirato al teatro di Samuel Beckett di cui l’anno prossimo si celebrerà il ventennale della scomparsa. Dopo lo spettacolo si potrà assistere alla proiezione di "Mi interessa Don Chisciotte", documentario di Lavinia Baroni sul "Pinocchio" della Compagnia della Fortezza ed incontrarsi con Armando Punzo e Placido Calogero. Il progetto di Laboratorio Teatrale nel Carcere di Volterra nasce nell’agosto del 1988, a cura di Carte Blanche sotto la direzione di Armando Punzo. Da allora la Compagnia della Fortezza composta dai detenuti-attori del carcere di Volterra ha prodotto circa ogni anno uno spettacolo nuovo. A partire dal 1993 gli spettacoli della Compagnia della Fortezza sono stati rappresentati fuori dal carcere e sono stati invitati nei principali teatri e festival italiani, numerosi inviti sono giunti anche dai maggiori festival internazionali. Sabato sera sarà presentato al Cantiere Sanbernardo "Un silenzio Straordinario", ultima produzione della Compagnia della Fortezza che finora è stata messa in scena solo una volta al Festival della cittadinanza democratica nella Repubblica di San Marino. Lo spettacolo, con la regia e la drammaturgia di Armando Punzo, è liberamente ispirato al teatro di Samuel Beckett ed in particolare a L’ultimo nastro di Krapp. Il Krapp di Punzo è Placido Calogero, attore-detenuto e storico componente della Fortezza, che lega indissolubilmente la storia del personaggio beckettiano che passa il suo tempo ad ascoltare la propria voce registrata su vecchie bobine e a mangiare banane indigeste a quella del carcerato e della sua solitudine. La serata terminerà con un incontro tra il pubblico, Armando Punzo e Placido Calogero per una chiacchierata informale sullo spettacolo e sulla Compagnia. Busto Arsizio: non solo repressione, servono soluzioni coerenti
Varese News, 21 novembre 2008
Il carcere visto da dentro, ma anche i problemi che restano una volta fuori. Sono questi alcuni dei temi affrontati nel corso del dibattito che si è svolto giovedì 20 novembre a Cassano Magnano. L’appuntamento si inserisce all’interno di una ciclo di serate culturali proposte dal Partito Democratico cassanese. Filo conduttore dei tre incontri - uno già avvenuto il 6 novembre e il terzo in programma il 2 dicembre - è il tema dell’accoglienza, legalità e recupero della dignità della persona. Giovedì quindi, nella la Biblioteca comunale di via Ungaretti, si è parlato di carcere con Sergio Preite e Sabrina Gaiera (Agenti di rete della Casa Circondariale di Busto Arsizio) e Paola Saporiti (responsabile del progetto Cineforum nel carcere di Bollate) e il portavoce del Circolo Pd di Cassano Magnago, Mauro Zaffaroni. I relatori hanno affrontato i temi della riabilitazione, ma anche della sicurezza e della transizione dal carcere alla società. "Quando parliamo di riabilitazione, un termine che però non mi piace molto, - spiega Sergio Preite di Enaip e Agente di rete-Consorzio solco Varese - ci riferiamo al lavoro, alla scuola, alla casa. Ma queste cose da sole non risolvono i problemi. Per chi esce c’è una grande solitudine, un isolamento sociale che si costruisce nel tempo". Secondo Preite, c’è poi una mancanza ancora più evidente. "Si parla tanto di un problema di sicurezza nella nostra società. Ma perché allora quando si fanno i "piani sicurezza" non si inseriscono anche le carceri? Un intervento riabilitativo ben riuscito durante la detenzione è un risultato già molto importante in questo senso. La repressione va bene, ma non basta". Ma qualcosa sta migliorando nel sistema penitenziario? "Si, stiamo andando a piccoli passi. Si fa fatica però a capire il percorso su cui si lavora: manca una coesione seria sulla iniziative a livello territoriale. Invece è necessaria la coerenza, solo così si può raggiungere il successo in questo campo. E il successo non ha nessun colore politico". Milano: Bollate; calcio tra squadre dei sacerdoti e dei detenuti
Comunicato stampa, 21 novembre 2008
Mercoledì 26 Novembre ore 14.00. Campo di calcio della II Casa di Reclusione Milano-Bollate: Seleçao Sacerdoti Calcio VS Rappresentativa detenuti Bollate seconda Casa di Reclusione partecipante al campionato di terza categoria F.I.G.C. Giorgio faceva il difensore nelle giovanili della Ternana. Roccioso ma corretto, uno di quelli che non ti lascia spazio, ma alla fine ti stringe la mano. Su di lui scommettevano in tanti, anche l’allenatore della nazionale Under 17 che lo aveva convocato più di una volta. A fermare la sua carriera non è stato un incidente, ma una scelta: quella di togliere maglia e calzoncini e di vestire l’abito talare. Oggi è parroco a Trieste. Fabio - chiamiamolo così ma è un nome di fantasia - era uno di quelli nati per giocare a calcio, piedi buoni, fisico potente, genio ma anche sregolatezza. Su di lui avevano messo gli occhi in molti, anche osservatori di squadre importanti, di quelle che si giocano lo scudetto. Anche lui fermato da una scelta: quella di mandare giù una volta- una volta sola pensava, qualche pasticca. Per provare, perché molti nel suo giro lo facevano. Ora sta in carcere a Bollate. Giorgio e Fabio sono tra i protagonisti delle due squadre, la Selecao dei sacerdoti e la formazione della "Seconda casa di reclusione Milano Bollate" che si sfideranno, mercoledì 26 novembre alle 14,30 sul campo del penitenziario milanese. Partita amichevole, ma anche partita vera perché se da una parte si gioca da Dio - il vicepresidente della squadra don Paolo De Grandi, uno dei pilastri, era nei ranghi dell’Hellas Verona, quello dello scudetto - dall’altra c’è l’allenamento e l’affiatamento di una formazione che disputa, con qualche ambizione, il campionato di terza categoria. La "Selecao dei sacerdoti Calcio", fondata nel 2005, con oltre 100 sacerdoti provenienti da tutt’Italia che si alternano anche per esigenze "apostoliche" ha già disputato una settantina di incontri a titolo di solidarietà, mentre la squadra di Bollate, conta 40 elementi , selezionati dopo un torneo interno che ha visto oltre 400 partecipanti. Nata nel 2003, dopo un rodaggio nei campionati Uisp la formazione dei detenuti si iscrive, nel 2004, alla Figc, campionato di terza categoria. Si arriva secondi e si vicono i play off - insieme alla Coppa disciplina - e si ha il diritto di partecipare alla seconda categoria. Grandi speranze, ma l’indulto mette letteralmente fuori squadra gran parte dei giocatori, e l’avventura finisce subito. Si ritorna a giocare in terza categoria con un progetto unico nel quale vengono coinvolti i detenuti che giocano le partite interne e gli agenti di polizia penitenziaria che giocano le partite esterne. Quest’anno la squadra è iscritta al campionato di terza categoria girone C, e fino ad ora ha conseguito risultati più che soddisfacenti tanto da essere ai vertici della classifica. Per la nazionale dei Don, insomma, un pomeriggio che si profila "infernale", sperando nei "miracoli" del portiere e nei calci di punizione "a parabola". Enna: cantautore incontra i detenuti e regala un centinaio Cd
Vivi Enna, 21 novembre 2008
Nobile gesto del cantautore Mario Incudine, ha donato un centinaio di cd ai detenuti della Casa circondariale ennese. Così scrive nella lettera Mario Incudine: "È stato proprio durante una delle mie esibizioni all’interno del teatrino della Casa circondariale che ho fatto una promessa ai detenuti: far loro avere qualche copia del mio cd Terra in omaggio. Si tratta del mio primo lavoro musicale, frutto di una ricerca di tradizioni ennesi e della voglia di sperimentare il mio personale taglio musicale con le cadenze della lingua siciliana. So che i carcerati si sono ricordati di quella promessa e non mi sembra giusto lasciarli attendere oltre. Vorrei perciò inoltrare loro il mio dono in questi giorni, come un regalo di Natale anticipato". Nella sua lettera, indirizzata al direttore del carcere, Letizia Bellelli, Incudine fa presente che da artista più volte è stato accolto dentro il penitenziario, perché potessi con la sua musica e la sua recitazione allietare qualche ora degli ospiti reclusi. Si è trattato di incontri che lo hanno profondamente toccato e ai quali ritorna spesso con il ricordo. Incudine conclude la sua missiva con la forte esperienza ricevuta durante le sue esibizioni: "Trovarmi di fronte a uomini e donne sul cui viso si legge chiara l’impronta della sofferenza, e vederli sorridere, battere le mani, a volte persino tirare giù una lacrima di commozione e infine cantare (sì, perché alcuni dei carcerati sono anche bravi cantanti ed è capitato che volessero intervenire all’interno dei miei spettacoli in modo del tutto spontaneo, trascinati dalla commozione) è stata per me una soddisfazione tra le più grandi della mia carriera. Non è questa d’altra parte, la funzione della musica e dell’arte in generale? Elevare l’uomo al di sopra della propria misera condizione e lasciargli aperto uno spiragli verso l’infinito". Immigrazione: Berlusconi; sì alle "classi ponte" per stranieri di Silvio Buzzanca
La Repubblica, 21 novembre 2008
Creare le "classi ponte" è "una cosa assolutamente logica, direi doverosa e a loro vantaggio". Silvio Berlusconi non vede "nessuna discriminazione" nella mozione proposta dalla Lega e approvata alla Camera dal Pdl per far nascere aule ad hoc dove far studiare gli studenti immigrati. "Non sanno l’italiano, non possono seguire le lezioni del maestro" spiega il presidente del Consiglio. Per questo, spiega il Cavaliere, hanno una percentuale di insuccesso tripla rispetto a quella degli alunni italiani. "Per porvi rimedio - continua - insieme al decreto Gelmini abbiamo messo questa disposizione. Di fianco al decreto Gelmini cioè è stata approvata una mozione sull’esempio di quanto avviene negli altri paesi europei, tesa a introdurre corsi e classi che non sono separate, ma semplicemente tese a dedicare molto tempo all’insegnamento della nostra lingua agli alunni stranieri". Il Cavaliere è arrivato in ritardo nella Sala della Lupa dove si celebra la Giornata dei diritti dell’infanzia. Dunque si è perso tutti gli interventi. E molti non andavano certo nella direzione che il premier decide di imboccare. Totale copertura al decreto Gelmini e accuse alla sinistra di travisare i fatti e la realtà. Il suo è tutto un elogio del ritorno al passato. Dal grembiulino che fa tutti uguali coprendo i vestitini di Dolce e Gabbana al voto in condotta che piegherà i bulli. Non è vero che ci saranno tagli e licenziamenti. È bello tornare al maestro unico. Che poi non è unico, perché ci sarà l’insegnante di religione e quello di inglese. Forse anche un altro maestro. Che si occuperà di quello che un tempo si chiamava dopo-scuola. E i genitori potranno scegliere cosa vogliono far fare ai figli. Magari studiare pianoforte. Ma quello che più conta è che Berlusconi sposa in pieno le tesi leghiste. Mentre Gianfranco Fini riceve, invece, nella biblioteca della presidenza i bambini della scuola multietnica Daniele Manin di Roma e si fa fotografare con in braccio una bimba cinese. Naturalmente i colonnelli della Lega passano subito all’incasso. "Anche alla luce di quanto dichiarato dal presidente Berlusconi - attacca il capogruppo Roberto Cota - siamo certi che il ministro Gelmini darà attuazione alla nostra proposta che esprime la volontà di tutta la maggioranza". I leghisti vogliono insomma che la mozione sia trasformata in disegno di legge. O che si discuta subito la proposta di legge che hanno depositato al Senato. L’opposizione contesta il premier. "Ricordo a Berlusconi che le "classi ponte" non sono contenute nel decreto Gelmini, ma in una mozione" dice Maria Pia Garavaglia. Secondo il ministro ombra dell’Istruzione, "anche per questa vistosa inesattezza c’è da ritenere che il premier non sappia bene di cosa parla". "Almeno in quella sede, il premier si poteva risparmiare l’elogio delle classi-ponte, uno strumento che discrimina i bambini" aggiunge Silvana Mura, dell’Italia dei valori. Giudizio negativo anche dall’Udc. "Le classi-ponte sono estranee alle cultura e alla tradizione italiana" dice Luisa Capitanio Santolini. Un no arriva anche dal mondo sindacale. Quella dichiarazione "è inaccettabile" dice Mimmo Pantaleo, segretario generale della Flc - Cgil. "Se si discrimina nella scuola sarà così nella società". Contrarietà "radicale" alle classi-ponte anche dalle Acli: "È un no di fatto e di principio - dice il presidente Andrea Olivero - . Ricordo che le classi-ponte vennero sperimentate in Germania dai nostri connazionali, che ancora ne vivono l’onta nella loro memoria". Immigrazione: nella classe senza ponte l’integrazione funziona di Lubna Ammoune
Vita, 21 novembre 2008
Dopo l’uscita del premier che apre alle classi ponti Lubna Ammoune, redattrice di Yalla Italia racconta la sua esperienza scolastica nel nostro Paese. Come risolvere la questione dell’inserimento dei bambini? Questione problematica o grande chance? Nella mia classe c’erano quattro studenti stranieri, di cui due arrivati in Italia a metà percorso scolastico. Mai separati o spostati in altre classi, mai percepiti come peso o causa del rallentamento nei programmi da seguire. Meriti? Dei professori che ci hanno guidato e insegnato ad apprendere un metodo da applicare alla vita e allo studio, per prepararci prima come cittadini, poi come studenti, a capire che prima vengono i valori, poi le nozioni e i concetti e a percepire la scuola come punto di partenza e non d’arrivo. Non era un allarme o un ostacolo, ma una sfida e nella mia classe, grazie alla grande ricchezza d’intelletto e di passione che è stata trasmessa, abbiamo saputo valorizzare presenze di persone portatrici di due culture. I professori e i compagni tra loro si sono impegnati ad accelerare il perfezionamento della conoscenza della lingua italiana e all’inizio di ogni anno scolastico venivano delineate modifiche ai programmi delle varie discipline: non riduzioni ma arricchimenti e temi interculturali e interdisciplinari. E le domande immediate e incalzanti che venivano poste, più che sui paesi d’origine che riguardano radici e passato, vertevano sul futuro: "cosa possiamo fare insieme?" e "verso quale futuro possiamo muoverci?". I miei compagni di scuola hanno avuto aggiunte alla mole di studio e non sempre ne erano felici, eppure usciti dal liceo si sono resi conto della ricchezza di queste conoscenze che non avrebbero avuto in una classe monoculturale. Sono già pronti alla "società multicolor" in continua trasformazione ed evoluzione e hanno categorie di pensiero che abbracciano e interpretano con più punti di vista il reale. Non ci sono state ricette preconfezionate, eravamo un caso tanto particolare quanto nuovo eppure con serietà, impegno, pazienza e molto lavoro a vantaggio di tutti è stata investita energia in un atteggiamento propositivo e lungimirante, portatore di ricchezza e benessere. Dopo la lingua, che è il primo ostacolo ma superabile con corsi pomeridiani e non in classi segregate, sono le percezioni dell’altro a dover essere approfondite e accompagnate da una condivisione di un patrimonio culturale comune, senza sminuire l’unicità e la bellezza di ogni "parte del mondo". È stata proposta una ridefinizione in cui ciascuno ha avuto qualcosa da offrire, con disponibilità ad imparare, anche se lo sforzo era talora maggiore rispetto alla consuetudine. È stata una ricchezza per ciascuno di noi, perché attraverso ricerche e inviti a proporre letture ognuno ha affrontato aspetti della cultura d’origine dei propri avi che non sarebbero state accostate altrimenti, trasmettendo anche una sensibilità di approccio al testo diversa e per questo preziosa da capire e scoprire. Tutti hanno contribuito all’inserimento e alla preparazione di una società nuova, valorizzando le diverse ricchezze, attraverso un lavoro di pazienza, saggezza, lungimiranza, tenacia e coraggio. I nostri sono stati cinque meravigliosi anni, con tante ambizioni iniziali che si sono rivelate sfide e conquiste, piccole vittorie che hanno portato alla crescita umana e alla consapevolezza intellettuale, che sono risultati ma soprattutto punti di partenza. La scuola, che deve comunque saper gestire il flusso in termini numerici e avviare sempre corsi di italiano, è il laboratorio principale dove l’integrazione vera viene fatta insieme e dove insegnare significa assumere la diversità come valore fondante. Si apprende che le classi plurali sono opportunità privilegiate di conoscenza tra le diversità e si ha un’occasione d’incontro per imparare che la qualità della vita sta nella qualità delle relazioni con compagni e insegnanti. E questa è stata la nostra normalità. Immigrazione: i rumeni e la crisi; in 500mila costretti al ritorno di Diana Caloianu (dal Jurnalul National)
Liberazione, 21 novembre 2008
Colpiti al cuore dalla crisi economica internazionale, quanti lavoratori rumeni saranno costretti a rientrare nel loro paese? È la domanda che si pongono in molti e che dovrebbe provocare dei sudori freddi al ministero del lavoro rumeno. Per i sindacati saranno almeno mezzo milione i romeni che torneranno in patria. Tra questi, i più esposti sono i 200mila che attualmente lavorano in nero. Tanto più che, nel momento in cui i rumeni all’estero riprendono il cammino di casa, molte imprese multinazionali impiantate in Romania hanno annunciato la chiusura delle fabbriche. Nel 2008 il governo di Calin Tariceanu ha organizzato in Spagna e Italia delle vere e proprie "borse del lavoro" incoraggiare gli emigranti a tornare a casa. Le domande sono state pochissime e molti di loro oggi si mordono le dita. Secondo uno studio spagnolo, sono circa 500mila i lavoratori rumeni che lavorano nella penisola iberica. Tra loro un po’ meno della metà è in nero. Sempre secondo lo studio, in 130mila diventeranno disoccupati entro la fine dell’anno. Eppure la comunità rumena contribuisce all’economia spagnola per 8 miliardi di euro (lo 0,71 del Pil); e nel 2008 i rumeni sono diventati la comunità straniera più presente in Spagna, intorno al 17% degli immigrati. Alcuni sono già rientrati nel loro paese, ma non si conoscono le cifre ufficiali. "Un rumeno disoccupato ha molte più possibilità di trovare lavoro se riesce a montare un affare in Romania con i soldi messi da parte e l’esperienza acquisita in Spagna", spiega una rappresentante dell’associazione "Danubius", situata nei Paesi baschi spagnoli. Nel primo semestre del 2008 il numero complessivo dei disoccupati in Spagna è aumentato di 500mila unità: "Rumeni e marocchini sono le comunità più colpite poiché lavorano in larga parte nel settore dell’edilizia, il più sinistrato dalla crisi economica", spiega Miguel Pajares, professore all’Università di Barcellona ed esperto di flussi migratori. Identica situazione in Italia, dove vive un milione di cittadini rumeni. Si tratta di un’immigrazione molto giovane, per una buona metà tra i 25 e i 39 anni. La maggioranza dei maschi lavora nei cantieri edili, le donne come colf e badanti, o persino nell’agricoltura nonostante abbiano in media un livello di studi superiore rispetti agli altri immigrati. Però, per quel che riguarda i matrimoni misti, i rumeni sono i più integrati tra gli immigrati. L’istruzione dei bambini rasenta infatti percentuali vicine al 100%. Quanto alla pratica della lingua sono tra gli stranieri che la apprendono più in fretta grazie alla parentela linguistica latina comune sia con la Spagna che con l’Italia. Ciononostante, malgrado questa buona integrazione, la comunità rumena sembra tra le più esposte in assoluto alla crisi economica e oggi in molti non hanno altra alternativa che rientrare in patria. Il quotidiano spagnolo El Pais, si dispiace di questa situazione e parla apertamente di "una grave perdita per l’economia nazionale". Intanto in Romania le domande di riconoscimento dei diplomi conseguiti all’estero sono molto aumentate negli ultimi mesi, a dimostrazione del massiccio rientro delle famiglie andate a cercare fortuna in altri paesi. Il centro nazionale di riconoscimento dei diplomi spiega che si tratta quasi esclusivamente di cittadini che ritornano dalla Spagna e dall’Italia. Ma al ministero del lavoro i funzionari non hanno ancora emanato dispositivi particolari per organizzare l’accoglienza di questi rientri. E dire che appena qualche mese fa, quando la crisi non era ancora visibile, Bucarest lanciava campagne per incentivare il ritorno dei concittadini all’estero provando a convincerli delle opportunità di lavoro che avrebbero trovato in Romania. Ora il governo e la varie autorità comunali sono presi alla sprovvista: "Ufficialmente non possiamo prendere dei provvedimenti, non possediamo dati ufficiali sui flussi di rientro. Al di fuori di alcune persone che hanno fatto domanda per ottenere le borse di lavoro, non abbiamo avuto altre sollecitazioni", prova a spiegare la ministra del lavoro Mariana Campeanu. Grecia: governo accetta richieste, stop sciopero fame detenuti
Ansa, 21 novembre 2008
Le migliaia di detenuti da oltre due settimane in sciopero della fame in Grecia sospendono da oggi la loro protesta. Lo annunciano gli stessi detenuti dopo che il governo ha accettato parte delle loro richieste. Ma la lotta continuerà con altri mezzi fino all’ottenimento totale delle 16 domande degli scioperanti. La decisione è presa anche in vista del voto in Parlamento sul progetto di legge sulle riforme presentato ieri dal ministro della Giustizia che prevede qualche miglioramento. Stati Uniti: giudice ordina rilascio 5 detenuti da Guantanamo
Ansa, 21 novembre 2008
Il giudice, Richard Leon, ha ordinato al governo americano di percorrere tutti i passi diplomatici necessari ad agevolare il loro "immediato rilascio" poiché non in possesso di alcuna prova contro di loro. I cinque sono detenuti da 7 anni. La Casa Bianca ha espresso disappunto. Un giudice federale di Washington ha ordinato il rilascio di cinque algerini imprigionati da 7 anni nel carcere di Guantanamo, valutando "illegale" la loro detenzione. Dopo il loro arresto in Bosnia nell’ottobre del 2001 e il trasferimento l’anno successivo a Guantanamo come "nemici combattenti", il presidente americano, George W. Bush sostenne che i 5 insieme a un altro algerino, stessero progettando un attacco all’ambasciata americana di Sarajevo. Il giudice, Richard Leon, ha ordinato al governo americano di percorrere tutti i passi diplomatici necessari ad agevolare il loro "immediato rilascio" poiché non in possesso di alcuna prova contro di loro. Leon ha tuttavia respinto la richiesta del sesto cittadino algerino poiché il governo ha provveduto a fornire alcune prove circa il suo progetto di procurarsi armi in Afghanistan da usare contro l’esercito statunitense. Secondo la Fox News, il Dipartimento di giustizia ha tuttavia in programma di fare ricorso alla sentenza della Corte federale di Washington. Ci sono attualmente 255 detenuti nel carcere di Guantanamo, istituito dall’amministrazione Bush dopo l’11 settembre per detenere i sospettati di terrorismo: molti di loro sono stati lì per anni senza aver subito alcun processo e denunciando abusi e maltrattamenti. Il presidente eletto, Barack Obama, ne ha promesso la chiusura dopo il suo insediamento alla Casa Bianca. La Casa Bianca ha espresso disappunto per la sentenza del tribunale federale di Washington. "Siamo in disaccordo con la decisione della corte, secondo cui non abbiamo prodotto sufficienti prove" che giustifichino la detenzione, ha affermato il portavoce, Tony Fratto, il quale ha annunciato che il dipartimento di Giustizia farà ricorso alla Corte suprema. Fratto si è detto soddisfatto dalla decisione del tribunale di respingere l’appello di un sesto algerino, di cui esistono le prove di legami con al Qaeda.
|