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Giustizia: quanto è lenta, ha fatto danni per tre Finanziarie di Graziella Mascia (Deputato del Partito di Rifondazione Comunista)
Liberazione, 20 febbraio 2008
"Fine pena mai", un saggio di Luigi Ferrarella, cronista giudiziario del Corriere della sera. Un viaggio attraverso aule e corridoi dei tribunali, da nord a sud. Inefficienze, ritardi, sprechi e ripercussioni sugli individui meno garantiti. Giuliano Pisapia, dopo l’insediamento del governo Prodi, ha presieduto la commissione per la riforma del codice penale che la fine anticipata della legislatura non ha consentito di votare. In quel programma c’è scritto che "una macchina della giustizia improduttiva ed inefficace, per quanto riguarda la materia penale, danneggia i cittadini meno protetti, ed in quella civile, data la quasi paralisi della giurisdizione, favorisce i soggetti anche economicamente più forti". Non se ne avrà a male Luigi Ferrarella, cronista giudiziario del Corriere della Sera , e autore del libro: "Fine pena mai", (il Saggiatore, euro 15), se partiamo da qui per presentare il suo libro. Perché l’ergastolo cui fa riferimento non è, infatti, quello comminato a diversi detenuti, ma quello inflitto ai diritti dei cittadini, a causa dell’inefficienza del sistema giudiziario. E il suo paziente lavoro è, come egli stesso sottolinea, una visita guidata in un sistema crollato. Così Ferrarella ci introduce nelle aule giudiziarie e nei corridoi dei tribunali, dal sud al nord del paese, fornendoci dati, tempi e costi della giustizia italiana, attraverso una ragnatela burocratica di inefficienze, che portano l’Italia a guadagnare il record europeo di condanne inflitte dalla Corte dei diritti dell’uomo di Strasburgo, per violazione del principio della ragionevole durata dei processi. Il libro si apre con una battuta del presidente della Cassazione, Gaetano Nicastro: "Se lo Stato italiano dovesse risarcire tutti i danneggiati dalla irragionevole durata dei processi, non basterebbero tre leggi finanziarie". Ma ogni operatore di questa perversa organizzazione, appare allo stesso tempo responsabile e vittima. Una procedura che sembra far perdere tempo, rappresenta in realtà un punto di garanzia per l’imputato. Un avvocato può contribuire a mandare in tilt il sistema delle notificazioni, fino a stroncare numerosi processi. Ma in realtà sono la carenza di organico e le disfunzioni organizzative di uffici privi di controllo, a far grippare la macchina. E se l’azione disciplinare del Csm chiama in causa la negligenza di taluni magistrati, le esperienze concrete di taluni tribunali raccontano di magistrati che devono risolvere, in proprio, problemi organizzativi che non dovrebbero competere loro. È la carenza di cancellieri, segretari, assistenti dei giudici la ragione che fa interrompere alle ore 14 lo svolgimento delle udienze. E quindi la non ragionevole durata dei processi arriva poi a procurare la scarcerazione per decorrenza dei termini per imputati detenuti. Omogenei sono invece i tagli ai bilanci delle finanziarie, la quasi impossibilità di recuperare i crediti e la difficoltà di spendere i beni confiscati, che, diversamente, porterebbero all’autofinanziamento della giustizia. Non mancano esperienze virtuose, di Procure che provano a inventare soluzioni organizzative, con le poche risorse a disposizione, e facendo appello alla collaborazione di funzionari e avvocati di buona volontà. Ma non mancano neppure i casi di magistrati e impiegati amministrativi fannulloni, che approfittano delle carenze della macchina per coprire la propria negligenza. In ogni caso, la malagiustizia costa, e a farne le spese sono i cittadini e l’economia del paese nel suo insieme. "Quanto valgono per un operaio due mani perse sul lavoro? - scrive Ferrarella - A Milano in media quasi 200 mila euro meno che a Roma… Perché accendere un mutuo costa più che in Germania? Anche per il fatto che in Italia un imprenditore (e quindi anche una banca) per recuperare in tribunale un credito impiega il triplo del tempo, e per riuscirci spende l’8% in più. Quanto perde il sistema dei sei milioni di imprese artigiane per colpa delle procedure fallimentari? Poco meno di 400 mila euro all’anno per impresa". Intanto, le spese per le intercettazioni passano da 165 milioni di euro spesi nel 2001, a 224 milioni di euro nel 2006. Solo Russia, Turchia e Spagna hanno più tribunali di primo grado dell’Italia. Ma, se tanti posti in organico risultano scoperti, è anche perché 270 magistrati fuori ruolo sono andati a ricoprire temporalmente funzioni amministrative presso numerosi ministeri, consulenze di commissioni parlamentari e di autorità garanti, incarichi in organismi internazionali. Questa colossale macchina giudiziaria consuma più di 7,7 miliardi di euro l’anno, eppure nei tribunali mancano le penne, la carta, i computer, l’inchiostro per le stampanti, le fotocopiatrici. "L’ipertrofia legislativa e la contraddittorietà delle spinte politico-culturali dell’ordinamento hanno prodotto una situazione insostenibile. Il processo penale sembra concepito da un lato per consentire che un uso spregiudicato delle garanzie difensive possa interdire l’esercizio della giurisdizione; e, dall’altro lato, per stritolare i soggetti più deboli, insensibile com’è ai diritti delle vittime dei reati e alle esigenze di efficienza del sistema processuale". Così, se la ex Cirielli ha trasformato la prescrizione, da garanzia per l’imputato a strumento per un ulteriore intasamento dei tribunali, l’indulto non ha potuto evitare che le carceri, a causa di leggi come la Bossi-Fini sull’immigrazione e la Fini-Giovanardi sulla droga, siano già tornate sopra la capienza massima stimata in 43.140 posti. E ancora, su 100 incriminati, 54 sono prosciolti alla fine dei procedimenti, e di tutte le circa 220 mila sentenze di condanna emesse in media ogni anno, un terzo si collocano tra 3 e 6 mesi. Insomma, non c’è da meravigliarsi se i cittadini italiani non hanno fiducia nella giustizia italiana e se "il crac della giustizia insegue tutti i cittadini fin dentro casa e invade la loro vita quotidiana". Un libro che, in ogni caso, chiama in causa la politica, perché, se c’è un problema di finanziamenti, c’è anche il problema di finalizzare le spese in una macchina organizzativa che può essere riformata. A patto che si abbia il coraggio di assegnare ruoli e responsabilità precise ai diversi protagonisti del sistema, chiedendone conto, e anche di mettere in discussione interessi particolari o locali, in nome di un vantaggio collettivo e nazionale. Per questo, è necessario ricostruire un clima politico e un’idea di bene comune. Giustizia: Manconi; il carcere da solo? non può e non vuole di Danilo Calabrese
www.barilive.it, 20 febbraio 2008
Il Sottosegretario alla Giustizia in Puglia per il protocollo d’intesa con la Regione sul recupero e il reinserimento sociale del detenuto. Istruzione, formazione professionale, assistenza sanitaria, attività ricreative, sport e religione e, soprattutto, accompagnamento durante tutto il percorso di rieducazione. "Il carcere non può e non vuole farcela da solo". Concetto chiaro e appello inascoltato per troppi anni. Così il sottosegretario alla giustizia, Luigi Manconi, ha presentato a Bari il protocollo d’intesa, siglato oggi tra Ministero e Regione Puglia, sugli interventi a contrasto delle problematiche riguardanti l’esecuzione penale e i rischi di esclusione sociale dei detenuti. Un’intesa che mira alla concreta riqualificazione nella comunità dei soggetti sottoposti a misure restrittive della libertà personale, così come sancito dalla nostra Carta costituzionale. Il documento, che deriva dalla riforma sanitaria nazionale di nove anni fa, mira al trasferimento all’amministrazione regionale di una serie di interventi a sostegno del progressivo reinserimento in società del detenuto, attraverso un percorso che comincia all’interno della casa circondariale e continua al di fuori. Istruzione, formazione professionale, assistenza sanitaria, attività ricreative, sport e religione al centro dell’attenzione del legislatore. Senza alcuna distinzione tra minorenni, adulti e stranieri, che costituiscono il 40% della popolazione reclusa. Oltre la Regione, verranno coinvolti anche enti locali e Asl. "Il carcere è uno degli argomenti più manipolati", ha esordito il presidente Vendola, che ha firmato il documento assieme a Manconi, "ed oggetto di gossip generale. Nel nostro protocollo c’è un’idea di sicurezza composta su più piani". Come ad esempio l’informatizzazione degli uffici della Procura, che dovrebbe consentire di dimezzare i tempi di un processo. Ma la questione sicurezza riguarda soprattutto "la sottrazione di tante persone alla subcultura criminale". Si punta essenzialmente, come dovrebbe essere da sempre da quando esistono i penitenziari, alla non recidiva del fatto criminoso. Infatti, in Italia la ricaduta dei pregiudicati nel reato avviene in media tra il 60 e il 70% dei casi. Ma, paradossalmente, solo il 16% dei beneficiari dell’ultimo indulto sono "ricaduti in errore". Come se per molti di loro attraverso la liberazione c’è stata una nuova possibilità. "C’è bisogno di interlocutori attivi nelle carceri", ha affermato il sottosegretario Manconi, "protocolli come questo, firmati in altre 17 regioni, consentono una dichiarazione del sistema penitenziario: custodia e reinserimento finalmente si aprono all’esterno". "Il principale attentato alla sicurezza collettiva", ha concluso Manconi, "è rappresentato da un carcere in cui non siano rispettati i diritti dei detenuti". Concetto interpretabile anche dal verso opposto, ossia laddove è la stessa società che si sente più insicura, proprio quando considera il carcere una discarica sociale. Giustizia: Fini; niente benefici per plurirecidivi e per i reati gravi di Mattia Feltri
La Stampa, 20 febbraio 2008
Dopo un’ora trascorsa a ragionare sui temi della sicurezza e della giustizia, durante la quale il presidente di An, Gianfranco Fini, ha usato espressioni come "giro di vite" e "tolleranza zero" ("e non mi vergogno di usarle"), era inevitabile chiedergli se non c’è contraddizione nell’invocare rigore e fermezza quando, nel Popolo della Libertà, stanno per entrare candidati sotto indagine o condannati, anche in via definitiva. "I diritti civili, e cioè la facoltà di votare ed essere votati, li regolano i codici. Mi rendo conto che il politico deve essere al di sopra di ogni sospetto, e vale per Giulio Cesare e per la moglie di Giulio Cesare. Ma bisogna fare attenzione, perché spesso i reati contestati sono di piccola portata o addirittura reati di opinione...".
Nel Pdl saranno in lista indagati o condannati per delitti di altra natura… "Credo che se uno è indagato o, a maggior ragione, condannato per reati particolarmente odiosi, come la corruzione, o che abbiano a che fare con l’associazione mafiosa, opportunità vorrebbe che nella composizione delle liste ci fosse più rigore e più scrupolo. Parlo anche solo di opportunità: in attesa di sentenza definitiva, si può anche saltare un giro".
Propone di rivedere le liste? "Dico semplicemente che possiamo ragionare insieme se metterli in lista oppure no. Credo di poter chiedere rigore perché, in venticinque anni di Parlamento e in venti di leadership nel mio partito, i magistrati che conosco li ho conosciuti in occasione dell’inaugurazione dell’anno giudiziario". Questa è la conclusione. Si era partiti dalla proposta di castrazione chimica dei pedofili.
Un po’ truculenta, no? "Per niente. Il pedofilo è un malato che necessita di interventi terapeutici. So che il termine castrazione è respingente, ma si tratta di una cura a cui sottoporre chi la accettasse. Non penso che l’inasprimento delle pene, proposto da altri, sia utile per bloccare chi delinque obbedendo a una pulsione, a una libido. E quando il pedofilo esce dal carcere, quattro o cinque anni dopo, non è ancora tale? Senza contare che per i detenuti esistono ancora troppi benefici".
Troppi? Li volete ridurre? "Per esempio quelli previsti dalla legge Gozzini (che accorcia i tempi di detenzione). È una legge che va rivista in senso restrittivo".
Per tutti? "Non sono un giurista. Si vedrà nel dettaglio. Ma i benefici vanno tolti, per esempio, ai plurirecidivi, a chi non dà segni di ravvedimento, a chi ha commesso reati particolarmente gravi. Chi viene condannato a dieci anni, si faccia dieci anni".
Le carceri scoppiano. I carcerati vivono condizioni disumane. "Sì, ma è un’assurdità fare l’indulto perché mancano carceri. Si costruiscano carceri nuove. Si continua a prestare attenzione ai diritti dei colpevoli e non a quelli delle vittime".
Le carceri non si costruiscono in due giorni. "D’accordo, ma la strada è un’altra. Ritengo che le pene non debbano essere per forza detentive. Tanti possiamo mandarli a lavorare. I condannati per piccoli reati puliscano le strade, i giardini pubblici. Insomma, a me preme che ci si ficchi in testa una cosa: la responsabilità penale è personale. Chi sbaglia paghi, senza che si tirino in ballo gli aspetti sociologici, tanto cari alla sinistra, su dove uno è cresciuto e che sfortuna ha avuto...".
Rutelli non ha torto quando propone di levare la patria potestà ai genitori che mandano i bambini all’accattonaggio o alla delinquenza… "Sono cose che diciamo anche noi, da anni. Ma piuttosto la sinistra dovrebbe avere il coraggio di riconoscere che esistono gruppi etnici i cui costumi rendono per la gran parte impossibile l’integrazione".
La sinistra, a partire da Veltroni, sulla sicurezza non sembra tanto lassista… "Adesso ci sono arrivati. Finalmente hanno capito che la sicurezza è un’esigenza sentita soprattutto nelle classi più economicamente disagiate. La criminalità diffusa colpisce specialmente loro. Però rimane distanza fra quello che si dice e quello che si fa. Il pacchetto sicurezza si è rivelato più un pacco che un pacchetto".
A Roma sono state rase al suolo le baraccopoli. Faceva male vedere vecchi e bambini in fila sotto la pioggia… "Fa molto male. Per questo dobbiamo essere implacabili nella gestione dell’immigrazione e nel rispedire ai paesi d’origine i comunitari, come i romeni, che vengono qui senza lavoro, e vivono di criminalità o di espedienti".
Però non pare che ci siano proposte concrete, ma solo enunciazione di propositi… "Noi, a differenza di Veltroni, di questi temi ci occupiamo da sempre. Non abbiamo bisogno di proclami. Io sono felice di aver fatto leggi come quella sull’immigrazione, con Bossi, o sulle droghe, con Giovanardi. Io sulle droghe sono inflessibile, ma non un mostro. So qual è il dramma dei ragazzi e delle loro famiglie. Per questo, e non lo si dice mai, nella mia legge è contemplata la possibilità - siccome lo spacciatore è spesso tossicodipendente - di scontare la pena in comunità. E nella prossima legislatura vogliamo ridurre i tempi della giustizia".
Come? "Troveremo il modo. Noi aiuteremo i magistrati ma i magistrati devono aiutare noi, non ammettendo la sciatteria e il lassismo che albergano anche nella loro categoria".
È dell’idea di abolire uno dei tre gradi di giudizio? "No. Non sono giustizialista. Il giustizialismo è la caricatura della giustizia. Sono garantista e per la giustizia. Ma quella vera e non piagnona". Giustizia: castrazione chimica per i pedofili, è scontro politico di Caterina Pasolini
La Repubblica, 20 febbraio 2008
Castrazione chimica per i pedofili: è scontro tra partiti, tra maggioranza e opposizione, col centrodestra a favore e il centrosinistra nettamente contrario. Mentre c’è chi sottolinea come "la pratica è comunque incostituzionale se il diretto interessato non è d’accordo". "È una cura non una pena", specifica il leader di An Gianfranco Fini che ha lanciato la proposta - raccogliendo consensi tra Forza Italia e diversi medici - dopo l’arresto in Sicilia di un uomo che ha stuprato una bambina di quattro anni, appena uscito dal carcere dove era stato rinchiuso per aver violentato tre ragazzine. Commenti contrari arrivano invece da sinistra: Bertinotti "alla castrazione che molti medici giudicano inefficace" preferisce la certezza della pena e processi rapidi. Ferrero giudica la proposta un mezzo per avere titoli sui giornali e ricorda che "la violenza sui minori e le donne nell’85% dei casi avviene tra persone che si conoscono. È quindi un problema di educazione e civiltà, di come si interviene e se si interviene preventivamente". Dubbi anche nel Sindacato autonomo degli agenti di Polizia Penitenziaria Osapp che si domanda se non sia meglio "prevenire piuttosto che castrare. Lavorando in famiglia, nella società e considerando il carcere un luogo di recupero". Di tutt’altro avviso i giudizi dalla Casa delle Libertà: "Ci vuole la certezza della pena e anche la castrazione chimica nei casi irrecuperabili", dice Isabella Bertolini, vicepresidente dei deputati di Forza Italia. Sulla stessa linea la collega di partito Casellari "convinta che la castrazione chimica è una via da seguire perché non è un’imposizione violenta su chi ha compiuto reati aberranti, ma una somministrazione di farmaci che abbassa gli impulsi sessuali". E se la Mussolini di Azione Sociale rivendica la primogenitura della proposta, l’idea piace anche a medici e neuropsichiatri. Secondo Leo Parisi, docente di malattie del sistema nervoso all’università di Roma La Sapienza, "essendo la pedofilia una alterazione psichica, non è aumentando le pene ma con un trattamento farmacologico che si risolve il problema". Concorda il presidente della società italiana di urologia Vincenzo Mirone: "La castrazione chimica è già usata in molti paesi, abbassa il desiderio e come lato negativo si ha solo un rischio di obesità e osteoporosi". A bloccare gli entusiasmi dei fautori della castrazione - già in vigore in Francia, America e Danimarca, interviene il presidente della Commissione Giustizia della Camera Pino Pisicchio, Italia dei Valori. "Non è praticabile se non è volontaria, la Costituzione vieta i trattamenti sanitari obbligatori". Giustizia: il pedofilo... e la legge imperfetta, di Vittorio Grevi
Corriere della Sera, 20 febbraio 2008
Nella sconcertante vicenda dell’uomo di Agrigento fermato per violenza sessuale nei confronti di una bimba di 4 anni, dopo essere stato da poco condannato a oltre sei anni di reclusione per una precedente analoga violenza ai danni di altre tre bambine, gli interrogativi si affollano. Viene spontaneo domandarsi, per esempio, come mai i carabinieri - ai quali l’uomo si era presentato insieme alla bimba di cui, secondo l’accusa, avrebbe poco dopo abusato - essendo consapevoli della natura dei delitti per cui era già stato condannato, non abbiamo adottato qualche precauzione al riguardo. Si consideri, poi, che durante la fase preliminare del processo per i precedenti delitti di violenza, l’uomo era rimasto in carcerazione preventiva per un anno. Dopodiché, essendo scaduto il termine massimo di custodia relativo a tale fase, era stato scarcerato, e sottoposto soltanto (non essendo consentita l’applicazione di altra misura detentiva) all’obbligo di firma presso un ufficio di polizia. Naturalmente sarà utile verificare come mai un anno di indagini non fosse bastato per giungere alla fase del giudizio, e si potrà anche discutere sulla congruità di un simile termine massimo di custodia, peraltro prorogabile, in processi del genere. Sta di fatto, tuttavia, che, sia pure con l’imputato in libertà, una sentenza di condanna per stupro era stata poi pronunciata, e anche a una pena piuttosto pesante (nonostante la diminuzione prevista per il giudizio abbreviato). Sennonché, anche dopo la pronuncia di tale sentenza, l’imputato non era tornato in carcere ma aveva continuato a soggiacere, in attesa dell’appello, alla sola misura cautelare dell’obbligo di presentazione periodica alla polizia. E qui è difficile non registrare una lacuna (o un eccesso di garantismo) del sistema processuale. In via generale il codice prevede, infatti, che quando un imputato venga condannato a una pena detentiva (soprattutto se grave) in primo grado, senza essere già sottoposto a custodia in carcere, il giudice possa senza dubbio applicargli anche tale misura, e anzi debba tener conto, allo scopo, della condanna e di ogni altro elemento da cui possa emergere il pericolo di fuga, ovvero il pericolo di altri gravi delitti. Quando, però, la sentenza di condanna venga pronunciata (come nel nostro caso) nei confronti di un imputato già scarcerato per decorrenza dei termini, la misura della custodia in carcere potrà essergli di nuovo applicata solo in presenza del pericolo di fuga, e non anche del pericolo di altri delitti. Ed è questa, a quanto pare, la ragione per cui il giudice di Agrigento, nel pronunciare la suddetta condanna, non ravvisando pericolo di fuga, non aveva adottato nessuna misura detentiva a carico dell’imputato condannato per stupro. Al di là dell’inevitabile ritocco di una così evidente lacuna legislativa, il problema è, comunque, più ampio, riguardando in genere le misure restrittive da adottarsi nei confronti delle persone condannate con sentenza non definitiva, soprattutto per certe categorie di reati. Escluso che possa farsi luogo (perché lo vieta la presunzione costituzionale di non colpevolezza) all’esecuzione provvisoria di tale sentenza, occorre invece puntare - almeno nei casi più gravi - su meccanismi di rigorosa applicazione della custodia carceraria anche al soggetto condannato in primo grado, salvo che il giudice non accerti specifici elementi per escluderne la necessità. Questa era la linea già segnata nel "pacchetto sicurezza" del governo Prodi e questo rimane un serio obiettivo da conseguire al più presto. Giustizia: Osapp; pedofilia, meglio prevenire che… castrare
Asca, 20 febbraio 2008
"È doveroso chiedersi se la chimica può esserci di aiuto per risolvere questo problema oppure se sia preferibile prevenire piuttosto che castrare". È il commento del segretario generale dell’Osapp, Leo Beneduci, sulla proposta lanciata ieri da Gianfranco Fini di fronteggiare il problema della pedofilia con la castrazione chimica. Ci dimentichiamo sempre del fatto che la società - aggiunge Beneduci - non deve vivere in perenne necessità qualsiasi evento la caratterizzi, benché utile per giustificare una misura che a nostro giudizio vuole e deve essere sempre in extrema ratio. La pedofilia al momento non ha cure efficaci che possano garantire una reale guarigione e la percentuale di recupero dei pedofili tentata sia in Europa, che nel mondo, è bassissima, pari al 3-5%. A nostro avviso - spiega il segretario generale - gli unici tentativi di contenimento del fenomeno oggi disponibili sono la conoscenza e la prevenzione. Ed in questo la famiglia e la scuola sono le più importanti sedi di formazione. Alle quali si dovrebbe aggiungere l’istituzione del carcere come luogo di recupero. Sicuramente sarebbe più comodo, per molti, aderire a teorie suggestive - sostiene l’Osapp - perché a effetto immediato, e di facile riscontro elettorale, ma certamente non risolutive. Mentre risulta molto più impegnativo e coinvolgente un’azione formativa e preventiva che, a lungo termine risulterebbe molto più incisiva. Ci sorprende infatti, che, volendo accennare ancora al caso di Agrigento, il più delle volte questi fatti gravi, come tutti quelli di violenza verso i soggetti più deboli, si inseriscono in contesti ben delineati come quelli familiari. La società ha sicuramente il dovere di tutelarsi dai criminali pericolosi - sottolinea l’Osapp -. Considerando anche che, secondo vari studi ed esperienze, è assodato che il fenomeno della pedofilia sia dannosissimo due volte per i bambini coinvolti; che subiscono la violenza e che hanno, tra l’altro, rispetto alla media della popolazione, una probabilità più alta del 500% di ammalarsi di depressione in età adulta, e del 400% di tentare il suicidio. Anche se la proposta di castrazione chimica fosse accettata - aggiunge Beneduci - superando quelle limitazioni che attengono più da vicino il rispetto della dignità del detenuto nella somministrazione del trattamento, metteremmo in atto una strategia comunque tardiva ed inconcludente per due ordini di motivi. Perché l’intervento arriverebbe a danno già causato, e perché - conclude il segretario generale - la condizione di castrazione chimica è mantenuta soltanto se si continua con la somministrazione dei farmaci. Giustizia: pedofilia; a Scotti relazione sul caso di Agrigento
Ansa, 20 febbraio 2008
È stata spedita al ministero della Giustizia, dall’avvocato generale di Palermo Vittorio Aliquò, la relazione riguardante il caso di Vincenzo Iacono, il pizzaiolo di Agrigento rimesso in libertà nonostante fosse indagato con l’accusa di pedofilia e che la settimana scorsa è tornato a commettere un reato dello stesso tipo su una bambina di 4 anni. Aliquò ha risposto alle richieste di chiarimenti del ministero della Giustizia: nella nota, che è di cinque pagine, è inglobata anche la relazione presentata dal procuratore di Agrigento Ignazio De Francisci. I magistrati fanno presente che la complessità del caso e gli esami svolti dal Ris di Messina su elementi di tipo biologico hanno portato a un ritardo di alcuni mesi e dunque alla scadenza della custodia cautelare. Ciò nonostante, dopo la scarcerazione di Iacono, avvenuta in anticipo rispetto alla decorrenza dei termini, i Pm agrigentini avevano chiesto e ottenuto un nuovo arresto dell’uomo, poi tornato definitivamente in libertà per l’esaurimento totale del periodo di custodia cautelare entro il quale si devono concludere le indagini. La sentenza che ha condannato Iacono è stata pronunciata il mese scorso. Cosi, mentre la prima commissione del Csm ha aperto una pratica, sollecitata da alcuni consiglieri di Palazzo dei Marescialli, la relazione partita da Palermo sarà adesso vagliata dal ministero della Giustizia e il guardasigilli Luigi Scotti dovrà decidere se inviare o meno un’ispezione ad Agrigento, che già due anni fa era stata al centro dell’attenzione di via Arenula per la questione del piccolo Tommy. In quel caso infatti uno degli indagati, Mario Alessi, di Aragona, era anch’egli libero sebbene sotto processo per reati di violenza sessuale. Giustizia: credito imposta di 3.000 € per gli impianti antifurto di Sergio Mazzei
Italia Oggi, 20 febbraio 2008
Due decreti del ministero dell’economia danno attuazione alla legge finanziaria per il 2008. Credito d’imposta per la sicurezza Ai negozianti e ai tabaccai 3 mila euro per antifurto e Pos. Negozianti e tabaccai, parte il credito di imposta per la sicurezza. Tra le spese che danno diritto allo sconto fiscale pari all’80% dei costi sostenuti rientrano anche i sistemi Pos (bancomat). Il limite massimo non può comunque mai superare i mille euro annui su tre periodi di imposta per un totale di 3 mila euro da utilizzare in compensazione. Il beneficio, quindi, è utilizzabile solo con deleghe di pagamento F24 e non può essere richiesto a rimborso ma traslato nei periodi di imposta successivi attraverso l’indicazione nel modello Unico che è sempre obbligatoria. Per ciò che riguarda l’accesso all’agevolazione la stessa avviene attraverso un’apposita istanza da presentare all’Agenzia delle entrate con un provvedimento ancora in fase di emanazione. L’assegnazione seguirà l’ordine cronologico delle istanze e nei limiti degli importi disponibili. Sono queste le informazioni desumibili dai decreti del ministero dell’economia e delle finanze con i quali è stata data attuazione alla disciplina dei crediti d’imposta introdotta dalla legge finanziaria 2008 (commi da 228 a 237 dell’articolo 1). Soggetti ammessi. L’articolo 1 della legge 24 dicembre 2007, numero 244 (la legge finanziaria per il 2008), ai commi da 228 a 232, ha previsto un credito d’imposta in favore delle piccole e medie imprese commerciali che svolgono attività di vendita al dettaglio e all’ingrosso e di somministrazione di alimenti e bevande, finalizzato all’adozione di misure volte a prevenire il rischio di forti, rapine e altri atti illeciti. In particolare, l’articolo 1 individua i soggetti beneficiari rinviando, per la definizione di piccole e medie imprese, al decreto del ministro delle attività produttive del 18 aprile 2005, che fa rientrare nella predetta categoria le imprese che hanno meno di 250 occupati, e hanno un fatturato annuo non superiore a 50 milioni di euro, oppure un totale di bilancio annuo non superiore a 43 milioni di euro. Credito di imposta per i tabaccai. Il credito d’imposta previsto dall’articolo 1, comma 233, della legge 24 dicembre 2007, numero 244, si applica ai soggetti esercenti esclusivamente attività di rivendita di generi di monopolio, operanti in base a concessione amministrativa. Si intendono rivendite di generi monopolio quelle autorizzate in base alla legge 22 dicembre 1957, numero 1293, e successive modificazioni, e al relativo regolamento di esecuzione, approvato con decreto del presidente della repubblica 14 ottobre 1958, n. 1074, e successive modificazioni. Peraltro, qualora i soggetti esercenti attività di rivendita di generi di monopolio svolgano anche altre attività commerciali e sostengano le spese agevolabili negli anni 2008-2010, accedono al beneficio disciplinato dai citati commi da 228 a 232, qualora sia prevalente l’esercizio dell’attività diversa da quella di rivendita di generi di monopolio. Spese agevolabili. Sono agevolabili le spese effettuate nel 2008,2009 e 2010, per la prima installazione, nel luogo di esercizio dell’attività, di impianti e attrezzature di sicurezza, con la finalità di prevenire furti, rapine e altri atti illeciti. Tra le spese agevolabili sono comprese anche quelle sostenute per installare sistemi di pagamento con moneta elettronica. Il credito di imposta è riconosciuto per un importo pari all’80% delle spese sostenute e, comunque, non superiore complessivamente a 1.000 euro per ciascun beneficiario in ciascun periodo d’imposta. In caso di acquisizione mediante contratto di locazione finanziaria, ai fini della determinazione delle spese agevolabili, rileva il costo dei beni sostenuto dal concedente. Presentazione dell’istanza. I soggetti che intendono avvalersi del credito d’imposta devono presentare apposita istanza all’Agenzia delle entrate. Le modalità, i termini di presentazione e il contenuto dell’istanza sono stabiliti con provvedimento del direttore dell’Agenzia medesima, da emanarsi entro trenta giorni dalla data di pubblicazione in Gazzetta Ufficiale dei decreti. Le istanze verranno esaminate secondo l’ordine cronologico di presentazione. L’Agenzia delle entrate verifica, sulla base dei dati indicati nell’istanza, l’ammissibilità delle stesse in ordine al rispetto dei requisiti soggettivi ed oggettivi e ai requisiti formali e concede il credito d’imposta, nei limiti dello stanziamento disponibile per ciascun anno, con espressa comunicazione telematica al soggetto interessato. espressa comunicazione telematica al soggetto interessato. Giustizia: medici penitenziari; no passaggio ad Asl territoriali
Agi, 20 febbraio 2008
"Medici penitenziari messi alla porta". È la denuncia dell’Amapi, l’associazione che raggruppa i medici carcerari, che scrive ai ministri Scotti e Turco chiedendo garanzie sul mantenimento del loro posto di lavoro e preannunciando iniziative di piazza. Sotto accusa la Riforma "che prevede il passaggio di medici e infermieri penitenziari alle Asl territoriali, con la possibilità che se prima erano i medici ad andare nei penitenziari per visitare i detenuti ammalati, ora saranno i detenuti malati ad andare negli ospedali". Un "vero e proprio paradosso", lo ha definito il Segretario Nazionale della Ugl Ministeri, Paola Saraceni, che punta l’indice "sull’assurdo valzer delle traduzioni dei carcerati che, ovviamente, hanno un costo ed andranno a gravare sui compiti della polizia penitenziaria che già deve provvedere ai trasferimenti dalle carcere ai tribunali ed ora - continua la Saraceni - anche agli ospedali. Ma gli effetti della riforma - continua la sindacalista - si sentiranno anche sugli stessi carcerati che oltre a dover fare i conti con la patologia dell’emarginazione dovranno anche fare a meno di quei professionisti medici e infermieri che conoscono bene le loro patologie particolari che frequentemente proprio per l’effetto dello status di recluso, danno luogo a quadri clinici particolari e abnormi e, soprattutto, non riscontrabili tra i normali pazienti di un ospedale. Dunque - conclude la Saraceni - la Ugl Ministeri starà al fianco dei medici penitenziari contro una riforma passata in silenzio e, soprattutto, senza tutelare né i detenuti, né medici e infermieri e neanche la polizia penitenziaria". Giustizia: la Cgil replica alla circolare del Dap sui "distacchi"
Comunicato stampa, 20 febbraio 2008
Al Direttore della Direzione Generale del Personale e della Formazione Dr. Massimo De Pascalis
Egregio Direttore, abbiamo ricevuto la lettera circolare diramata lo scorso 15 febbraio sul tema in oggetto e, pur nutrendo qualche perplessità sulle procedure che si intendono realizzare per perseguire gli obiettivi declinati, che legittimano la contestuale richiesta di apertura di tavolo di confronto, ne abbiamo colto il significato sostanziale. Tuttavia, pur considerando tangibile l’esigenza manifestata da codesta Amministrazione di ricondurre a normalità entro i termini stabiliti una situazione che allo stato attuale evidenzia un numero eccessivo di distacchi temporanei disposti dalle regioni del nord a quelle del centro sud del Paese, Le chiediamo di garantirci che analogo impegno venga assunto anche sui distacchi disposti d’ufficio dal Dap in questi ultimi anni, la cui percentuale risulta essere di molto superiore a quella rilevata per i provvedimenti disposti ex art. 7 D.P.R. 254/99, e sulla cui legittimità abbiamo più volte sollevato forti dubbi. A partire, ovviamente, dal recupero immediato alle sedi di provenienza delle numerose posizioni di distacco temporaneo dei poliziotti penitenziari attualmente impegnati per le esigenze di tutela dell’ex Ministro in Campania, circa 40, di quelli distaccati al Ministero della Giustizia, al Dipartimento A.P., Scuola di Formazione di via di Brava, Gom, Uspev e servizi centrali, nel complesso circa 700. La credibilità di una Amministrazione che intende operare con trasparenza, e nel pieno rispetto delle regole stabilite, si giudica anche dagli atti che realizza nell’interesse di tutti i propri dipendenti, non solo di parte di essi.
Il Coordinatore Nazionale Fp Cgil Polizia Penitenziaria Francesco Quinti Cassazione: sì a procreazione assistita per detenuti del 41-bis
Adnkronos, 20 febbraio 2008
Accolto il ricorso del boss Salvatore Madonia, recluso nella casa circondariale di L’Aquila. Il Dap gli aveva negato la richiesta di accedere al programma visti i problemi della moglie, affetta da anovolarietà cronica. Via libera alla procreazione assistita per i detenuti in regime di carcere duro. Lo ha deciso la Cassazione accogliendo il ricorso del boss Salvatore Madonia, detenuto nella casa circondariale di L’Aquila in regime di 41 bis, che si era visto negare dal Dap la richiesta di accedere al programma di procreazione assistita visti i problemi di procreazione della moglie affetta da anovolarietà cronica. Per la Suprema Corte, che ha accolto il ricorso di Madonia, "il trattamento penitenziario deve essere conforme ad umanità e deve assicurare il rispetto della dignità della persona". Tanto più, rimarca la prima sezione penale nella sentenza 7791 depositata oggi, se si considera che "risulta medicalmente accertata la patologia giustificativa del trattamento invocato della quale risulta affetta la moglie" del boss recluso in regime di carcere duro. Il no al programma di procreazione assistita, a Madonia, era stato intimato dal giudice di sorveglianza dell’Aquila, a maggio 2007, sulla base del no del Dipartimento di amministrazione penitenziaria secondo il quale la legge 40/04 che garantisce la massima tutela del nascituro non sarebbe stata realizzabile vista "la situazione di detenzione del genitore". Contro il no alla procreazione assistita il boss Madonia ha fatto ricorso con successo in Cassazione, sostenendo tra l’altro che l’inserimento del programma di procreazione assistita non avrebbe implicato alcuna uscita dal carcere, e neanche dalla propria cella". Gli "ermellini" hanno giudicato fondato il ricorso e ha sottolineato che "il principio da applicare in simile fattispecie non può che essere quello di contemperare interesse personale e detenzione (lo scopo della detenzione) e il giudizio relativo non può che ispirarsi al criterio della proporzione tra le esigenze di sicurezza sociale e penitenziaria ed interesse della singola persona". Da ciò consegue che "il sacrificio imposto al singolo - sottolinea il relatore Francesco Bonito - non deve eccedere quello minimo necessario, e non deve ledere posizioni non sacrificabili in assoluto". In definitiva, sottolinea ancora la Cassazione, "non possono essere adottate restrizioni non giustificabili con le esigenze predette di rispetto della dignità e dell’umanità della persona o, nei confronti degli imputati, non indispensabili a fini giudiziari". Sarà ora il magistrato di sorveglianza dell’Aquila, sulla base delle indicazioni della Cassazione, a consentire al boss Salvatore Madonia di accedere al programma di procreazione assistita. Cassazione: l’omosessualità è "disonorevole", come l’incesto
La Repubblica, 20 febbraio 2008
Un rapporto omosessuale giudicato al pari di un rapporto incestuoso. "Fatti disonorevoli", entrambi. Fatti che un testimone può decidere di tacere, per non dover spiegare che cosa faceva in un determinato giorno, in un certo posto e a una certa ora. Fa discutere una sentenza delle sezioni unite della Cassazione, la n° 7208 del 14 febbraio scorso. Nel dispositivo i giudici stabiliscono che è punibile chi non si avvale della astensione dal testimoniare che gli è concessa in base all’articolo 384 del codice penale e commette false dichiarazioni "per salvare il prossimo congiunto da un grave e inevitabile nocumento". La polemica coinvolge le motivazioni usate nella sentenza per argomentare la decisione, che riguardano la tutela accordata dal primo comma dell’articolo 384. I "casi di non punibilità", scrivono i giudici, riguardano non soltanto le dichiarazioni indizianti (il testimone sarebbe altrimenti costretto ad autoaccusarsi) "ma anche tutte le altre dichiarazioni dalle quali potrebbero emergere fatti disonorevoli (un rapporto incestuoso, un rapporto omosessuale) per il testimone". Quanto scritto è "un fatto gravissimo" e "inaccettabile" per il presidente nazionale di Arcigay. Aurelio Mancuso chiarisce che "è gravissimo che un organismo istituzionale come le Sezioni Unite della Cassazione definiscano "fatto disonorevole" un rapporto omosessuale mettendolo nero su bianco in una sentenza". E poi punta l’indice contro il dispositivo che, mentre ragiona sui diritti del testimone e la tutela della testimonianza, offre "una definizione di omosessualità come fatto disonorevole" e la mette a confronto con un rapporto incestuoso. Al centro della polemica finiscono i giudici della Cassazione ma anche il clima omofobo degli ultimi mesi che solo due giorni fa ha "prodotto" l’incendio dello storico locale gay vicino al Colosseo, il "Coming out", e prima ancora il rifiuto di un tassista di prendere a bordo nella capitale un giovane gay. "L’omosessualità non può essere un fatto esposto come stigma sociale", contesta Mancuso. "E l’omofobia dei giudici e anche della classe politica è prodotta dal clima di omofobia dilagante nel nostro paese". E ribadisce: "Ci consideriamo assolutamente orgogliosi dei nostri amori e dei nostri rapporti. Disonorevole è il pregiudizio sociale". Nei mesi scorsi un’altra sentenza della Cassazione prendeva posizione in difesa delle unioni omosessuali. A luglio 2007, chiamati ad esprimersi sul caso di un immigrato senegalese che aveva fatto ricorso contro l’ordinanza di espulsione in Senegal, spiegando di essere gay e di non poter tornare nel suo paese dove l’omosessualità viene perseguita come reato, i giudici della prima sezione civile avevano stabilito che è giusto proteggerlo davanti a prove certe. E motivato: "La libertà sessuale va intesa come libertà di vivere senza condizionamenti e restrizioni le proprie preferenze sessuali". Cassazione: il Rabbino può visitare un detenuto di fede ebraica
Ansa, 20 febbraio 2008
Via libera, dalla Cassazione, alla richiesta inoltrata dal Console dell’Ambasciata di Israele a Roma affinché un detenuto di fede ebraica, Mikail P. (1931), recluso nel carcere milanese di San Vittore, riceva in carcere la visita settimanale del rabbino Aba Adno, ministro del culto della Comunità ebraica. Per competenza la Prima sezione della Suprema Corte - che ha esaminato l’istanza presentata dal diplomatico nella sentenza 6878 depositata oggi - ha disposto la trasmissione della pratica al direttore di San Vittore affinché, materialmente, provveda al rilascio del permesso di entrata settimanale al rabbino. Ad avviso della Suprema Corte "nulla osta", dal punto di vista dell’autorità giudiziaria, alla richiesta avanzata dal Console israeliano. Emilia: nella nuova legge sanità, formazione e reinserimento
Romagna Oggi, 20 febbraio 2008
Tutela della salute, attività socio educative, sostegno alle donne, istruzione e formazione professionale dei detenuti e degli operatori penitenziari, attività lavorative, percorsi di inserimento sociale. Il tutto attraverso interventi messi in campo da organi statali e locali in collaborazione con le associazioni di volontariato. È quanto prevede il progetto di legge "Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della Regione Emilia-Romagna", approvato dall’Assemblea legislativa. Undici articoli presentati dai consiglieri Borghi (primo firmatario), Piva, Mezzetti, Bortolazzi, Nanni, Zanca e Masella per riorganizzare alcuni settori, come recita l’articolo 2 che impegna la Regione, d’intesa con il provveditorato dell’Amministrazione penitenziaria e il Centro per la giustizia minorile, a promuovere interventi nell’ambito della pianificazione sociale integrata, in particolare attraverso i Piani sociali di zona. A regolare la tutela della salute dei detenuti ci pensa l’articolo 3: come previsto dalla Finanziaria, la sanità all’interno degli istituti penitenziari passa alla competenza regionale. In particolare, spetta viale Aldo Moro garantire l’assistenza farmaceutica e specialistica (tramite accordi con le Ausl e le Aziende ospedaliere) e interventi di prevenzione sanitaria, compresa la profilassi delle malattie infettive. Nell’ambito della tossicodipendenza l’Emilia-Romagna sostiene, nelle Aziende Usl sedi di istituti penitenziari, équipe integrate per assicurare le prestazioni di assistenza a detenuti e internati, mentre nei confronti dei soggetti in area penale esterna promuove l’intervento dei servizi territoriali per le dipendenze delle Aziende Usl. Inedito anche l’impegno regionale a supporto dei percorsi formativi e nel coordinamento degli interventi per il reinserimento sociale dei detenuti all’interno della programmazione dei Piani sociali di zona - articolo 4 - rafforzando i legami con la famiglia di origine anche per gli stranieri, con la collaborazione di mediatori culturali. Va sotto l’articolo 5 il sostegno a favore delle donne detenute, in applicazione della legge 40/2001 sulle misure alternative a tutela del rapporto tra detenute e figli minori. A seguire, indicazioni sull’organizzazione di percorsi di istruzione e formazione professionale in base alle esigenze del mercato del lavoro (articolo 6), e corsi di aggiornamento interdisciplinari rivolti sia agli operatori dell’amministrazione penitenziaria sia agli operatori delle associazioni di volontariato. Strumenti di sostegno all’attività lavorativa dei detenuti sono quelli previsti dall’articolo 8, che cita attività di orientamento, consulenza e motivazione al lavoro, per favorire la partecipazione all’imprenditorialità sociale. In chiusura l’istituzione - da articolo 10 - del Garante regionale dei detenuti, una figura in grado di verificare il rispetto dei diritti all’interno delle strutture penitenziarie e di rilevare eventuali errori e omissioni delle amministrazioni nell’esecuzione della pena. Funzioni che in attesa dell’insediamento sono assolte dal difensore civico regionale. "Sono molto soddisfatto - afferma Gianluca Borghi - abbiamo concluso un lungo percorso con l’approvazione di una legge importante che attribuisce una nuova responsabilità all’istituzione regionale. Si tratta di un provvedimento necessario, in un momento in cui la situazione delle carceri è tornata ad essere quella prima dell’indulto anche in Emilia-Romagna (3613 detenuti presenti a fronte di una capienza regolamentare di 2263)". "La legge - conclude - intende rafforzare la tutela della dignità dei detenuti tramite azioni volte a favorire il minor ricorso possibile alle misure privative della libertà, nonché il recupero e il reinserimento nella società dei detenuti stessi". Puglia: protocollo con il Ministero per l'assistenza ai detenuti
Agi, 20 febbraio 2008
Un Protocollo d’Intesa tra Regione Puglia e Ministero della Giustizia sulle problematiche connesse all’esecuzione penale e ai rischi di esclusione sociale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale è stato sottoscritto presso l’ex Sala Giunta della sede di Via Capruzzi a Bari. A porre la firma al documento il presidente della Regione Puglia Nichi Vendola e il Sottosegretario di Stato alla Giustizia, Luigi Manconi. Presenti il Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria Ettore Ferrara, il Provveditore Regionale della Puglia Gaspare Sparacia, il Direttore Generale per l’attuazione dei provvedimenti giudiziari del Dipartimento della Giustizia Minorile Rosalia Di Chiara e il Direttore del Centro Giustizia Minorile della Puglia Francesca Perrini. Il Protocollo d’Intesa prevede in primo luogo lo sviluppo di sistemi informatici e telematici interconnessi e interattivi per una migliore e ottimale funzionalità della giustizia in Puglia; inoltre sono previsti interventi nel campo dell’assistenza sanitaria e tutela della salute, del trattamento dei tossico e alcool-dipendenti, del trattamento del disagio psichico e delle patologie infettive, dell’istruzione, della formazione professionale e lavoro dei detenuti, attività culturali, ricreative e sportive, miglioramento dei rapporti con le famiglie.
Vendola: il carcere deve garantire diritti
"Il carcere è un luogo del territorio con i suoi dolori e le sue speranze, che deve sì garantire sicurezza ma anche i diritti umani". Lo ha detto il presidente della Regione Puglia, Nichi Vendola, nella cerimonia per la firma del protocollo d’intesa con il sottosegretario alla giustizia Luigi Manconi sulla informatizzazione del sistema giudiziario in Puglia, sulle problematiche connesse con l’esecuzione della pena e sui rischi di esclusione sociale delle persone sottoposte a misure restrittive della libertà personale. "I diritti di cittadinanza delle persone carcerate - ha sottolineato il presidente della Regione - sono il precetto fondamentale per le politiche di sicurezza". Per Vendola, "il carcere oggi è un argomento tra i più manipolati, un oggetto di gossip generale e non di una discussione approfondita. Se il carcere è considerato solo una discarica sociale, vuol dire che la società è più insicura. L’idea che esista solo la custodia e non il trattamento e la rieducazione è una fabbrica di insicurezza". Il protocollo d’intesa contiene - ha rilevato Vendola - "un’idea di sicurezza che fugge da qualunque isteria, perché ai detenuti non bisogna dare solo manette e celle, ma una mano per accompagnarli nel processo di recupero". "Questo protocollo - ha concluso - è una sfida per tutti noi, ci responsabilizza ma contemporaneamente ci esorta ad andare avanti su questa strada". Toscana: il Forum per salute detenuti in Commissione Sanità
www.parlamento.toscana.it
Audizione in commissione Sanità dei rappresentanti del Forum per i diritti alla salute dei detenuti. Al centro dell’attenzione la riforma della sanità penitenziaria, con passaggio dei fondi dal ministero della Giustizia a quello della Sanità, con le Regioni che diventano parte integrante del sistema. "Occasione importante per rilanciare e riqualificare le strutture", hanno sottolineato i rappresentanti del Forum per i diritti alla salute di detenuti e detenute, della sezione toscana, costituitasi nel gennaio scorso e formata da soggetti istituzionali, del terzo settore, del volontariato e del sindacato. Pieno appoggio da parte della Commissione, che ha auspicato il trasferimento delle competenze in tempi brevi ed ha assicurato un intervento specifico sul tema della popolazione carceraria all’interno del Piano sanitario regionale. Toscana: più reati di droga, prostituzione e contraffazione
In Toscana, 20 febbraio 2008
Più reati commessi ma anche più delitti scoperti in materia di droga, prostituzione e contraffazione in Toscana nel 2007: sono stati presentati oggi a Firenze dal prefetto Andrea De Martino, dal questore Francesco Tagliente e dai comandanti regionali di Carabinieri e Guardia di Finanza, Ugo Zottin e Giorgio Toschi, i dati salienti dell’attività svolta dalle forze dell’ordine nella regione durante il periodo aprile-dicembre 2007. Riguardo alle tre tipologie di reato che, secondo la Prefettura, incidono maggiormente sulla percezione di sicurezza, in materia di prostituzione è stato scoperto l’81,08% dei delitti commessi ed è stato registrato il 17,60% in più delle persone denunciate, arrestate o fermate. Sul fronte del traffico di droga, si è verificato un aumento del 50,41% dei reati, mentre arresti e denunce sono cresciuti del 52,63%. Il contrasto alla contraffazione ha permesso di sequestrare, nel periodo esaminato, 2.238.520 pezzi, il 34,58% in più rispetto agli stessi mesi del 2006: fra i prodotti più contraffatti portafogli, borse e cinture. I controlli sono stati accurati anche sotto il profilo della sicurezza per i consumatori, con 8.411.375 articoli non a norma sequestrati. Per il 2008, De Martino ha confermato che la lotta alla droga, alla prostituzione e alla contraffazione resta il cardine dell’attività, ma che una specifica attenzione sarà rivolta anche a furti e rapine, fenomeni che hanno fatto registrare un aumento complessivo nella regione. "I dati presentati oggi sono il frutto di un grande sforzo corale delle forze dell’ordine - ha commentato, ringraziando il personale per il suo impegno quotidiano - ma nessun trionfalismo, la partita da giocare è ancora lunga perché la domanda è forte. Ci darà una mano anche la capacità dei cittadini di prendere le distanze da questi fenomeni". Genova: i detenuti conservano i "tesori" dell’orto Botanico
Secolo XIX, 20 febbraio 2008
Nell’Orto Botanico, a corto di personale continua a lavorare l’ultimo giardiniere dipendente e un gruppo di detenuti di Pontedecimo, se pur ridotto rispetto alla scorsa estate, che, coordinato da un botanico, sta sollevando le sorti dell’Orto. Ora si stanno occupando delle cycadacee, piante antiche, ancor più delle palme, cui assomigliano, apparentemente. Ma biologicamente simili ai pini e alle conifere. Si tratta di un tesoro dell’Orto Botanico, perché sono piante di valore che formavano una ricca collezione già nell’Ottocento. Ora va intensificata la coltivazione anche con scambi culturali con altre istituzioni. Viterbo: sezione Eiv; gli agenti, contrari, boicottano la mensa
www.tusciaweb.it, 20 febbraio 2008
Ieri, durante l’incontro con il direttore della casa circondariale di Viterbo è emerso che i lavori relativi alla sistemazione della sezione Eiv (Elevato indice di Vigilanza) volgono ormai al termine e che quindi la sua apertura da parte del ministero della Giustizia è ormai imminente, ma senza che da parte dell’amministrazione penitenziaria sia arrivata una risposta alla grave carenza di organico della polizia penitenziaria del carcere di Viterbo, che non può far fronte anche a questa nuova ulteriore incombenza. Si tratta di una sezione in cui vengono custoditi detenuti assai pericolosi (in gran parte ex 41 bis), e dove è necessario un impiego doppio di personale. In considerazione di ciò le organizzazioni sindacali intensificano lo stato di agitazione proclamato durante l’assemblea del personale tenutasi lo scorso 15 febbraio, e si preparano ad organizzare una manifestazione all’esterno del carcere di "Mammagialla" per sensibilizzare tutte le autorità e la cittadinanza sulla grave situazione in cui versa la struttura. Intanto come prima iniziativa si partirà immediatamente con l’astensione del personale dal consumo dei pasti della mensa di servizio. Le organizzazioni sindacali dichiarano che l’irresponsabilità perdurante del Dap (Dipartimento amministrazione penitenziaria presso il ministero della Giustizia) sulla questione dell’istituto viterbese produrrà forme di protesta eclatanti, destinate a durare ad oltranza, fino al raggiungimento degli obiettivi necessari alla risoluzione dell’annosa problematica della carenza di personale, ormai giunta al livello insostenibile di circa 200 unità. Carenza che pesa sempre più sulle spalle delle donne e degli uomini della polizia penitenziaria di Viterbo, che finora hanno garantito, pur tra mille difficoltà e sacrifici, la gestione di un istituto grande, complesso e pericoloso. Per le organizzazioni sindacali l’informazione che i giornali possono dare alla cittadinanza su quanto avviene a "Mammagialla" è di fondamentale importanza, perché è evidente che a soffrire di un tale stato di cose non è soltanto la sicurezza dell’istituto ma anche quella della città e dell’intero nostro territorio. Il ministero è stato diffidato con fermezza e decisione a non aprire la nuova sezione detentiva senza un’adeguata previsione di personale. L’unica alternativa possibile passa per la riduzione dei servizi, primi tra tutti quelli non strettamente legati alla sicurezza come quelli trattamentali e le varie attività interne per i detenuti, questo, però, svuoterebbe la stessa finalità rieducativa della pena e sarebbe comunque una sconfitta per tutti.
Sappe - Osapp - Cisl - Sinappe Cgil - Uil - Uspp - Fsa / Cnpp Alessandria: e Maurizio Costanzo collabora con "Altrove" di Bianca Ferrigni
Il Piccolo, 20 febbraio 2008
"Altrove", il periodico della Casa di Reclusione di San Michele, dal prossimo numero avrà un nuovo redattore. Un redattore speciale, che ha apprezzato il lavoro fin qui fatto dai detenuti e dalla redazione esterna e che ora ha espresso il desiderio di scrivere per il giornale. È Maurizio Costanzo, che già dal numero in distribuzione ad aprile avrà una sua rubrica fissa. Una bella soddisfazione per i redattori "ristretti", che hanno fatto crescere il loro periodico con l’aiuto dei volontari e dei giornalisti esterni, e un canestro niente male per il direttore Giovanni Rizzo. "Maurizio Costanzo - racconta Rizzo - ha dimostrato una sensibilità particolare per la condizione dei detenuti e i problemi delle carceri italiane. Lo scorso anno, su Canale 5, aveva condotto una serie di trasmissioni dedicate al tema della detenzione, con interventi eccellenti e servizi filmati. Uno di questi era stato girato proprio ad Alessandria, nella redazione di "Altrove" a San Michele". Una giornalista della trasmissione era venuta ad Alessandria e aveva seguito il lavoro dei redattori del periodico in una lunga e intensa giornata trascorsa dentro le mura del carcere. I contatti tra il direttore di "Altrove" e Costanzo non si sono interrotti, e il giornalista romano aveva continuato a ricevere le copie del giornale. Ora questa richiesta di collaborazione, raccolta con piacere e soprattutto come segnale dell’interesse e dalla crescita del periodico. Lucca: è morto il Presidente del Gruppo Volontari Carcere
Comunicato stampa, 20 febbraio 2008
Dal 2003 Giuseppe Bicocchi era presidente del Gruppo Volontari Carcere di Lucca. "Lo ricordiamo con profondo affetto. In questi ultimi anni, con la sua gestione, Bicocchi ha sempre puntato sulla diffusione di un’idea diversa del mondo penitenziario e su nuovi concetti dell’area penale. Si è fatto promotore di convegni e incontri in cui si potesse parlare e discutere di un carcere diverso da come lo interpreta o lo vuole l’opinione comune. Il nostro presidente era infatti molto interessato alle nuove forme di giustizia, a partire dalla mediazione penale. Il Gruppo Volontari Carcere di Lucca lo ringrazia per il suo grande impegno".
Dal GVC Lucca Droghe: i Radicali portano canapa al Parlamento europeo
Agenzia Radicale, 20 febbraio 2008
Ieri al Parlamento europeo, durante la sessione plenaria di Strasburgo, Marco Cappato ha inaugurato la mostra "Canapa in Europa: storia, cultura e prospettive dell’utilizzo industriale della canapa". L’esposizione è dedicata al radicale Plinio De Toffol, morto nel 2002 dopo essere stato condannato a un anno e sette mesi per aver coltivato canapa. Plinio era un militante antiproibizionista e nonviolento, impegnato per la legalizzazione della cannabis per uso terapeutico. All’inaugurazione erano presenti molti eurodeputati tra cui Vittorio Agnoletto, Luisa Morgantini, Pasqualina Napoletano, Francesco Ferrari, Patrizia Toia, Carlo Fatuzzo, Donato Veraldi, Alessandro Battilocchio, Istvan Szent Ivany, Marios Matsakis, Eva Lichtenberger. L’esibizione vuole dimostrare come la canapa sia una delle piante più ecologiche, resistenti e versatili, di cui è possibile impiegare ogni parte per ottenere tessuti, carta, cosmetici, prodotti alimentari, farmaci, con oltre 50.000 differenti usi. Fino all’inizio del Novecento l’Italia era la seconda produttrice al mondo di canapa e leader europeo di produzione con 400.000 ettari coltivati e ancora oggi l’unione europea sovvenziona la sua coltivazione. Nonostante tutto ciò la canapa è vittima di un pregiudizio e di una vera e propria persecuzione, causata dalla disinformazione e dalla morale proibizionista. In Italia, anche se nessuna legge vieta la sua coltivazione per fini industriali, molte interpretazioni fanno sì che un produttore incorra quasi certamente nel sequestro della coltivazione e in numerosi problemi legali. Cappato, ribadendo il fallimento delle politiche proibizioniste, ha ricordato l’importante utilizzo della canapa in medicina e l’assurdità del suo divieto di impiego nella terapia del dolore, che costringe i malati alla sofferenza. Durante la presentazione i radicali hanno indossato magliette con una foglia di marijuana, simbolo censurato dai questori del Parlamento europeo, che hanno imposto numerose altre limitazioni all’esibizione, già richiesta, ma non autorizzata, durante la scorsa legislatura. La mostra è stata organizzata in collaborazione con il "Canapaio Ducale" di Parma, il museo della vita contadina in Romagna e diverse aziende fornitrici che hanno fornito prodotti a base di canapa come alimenti bio, soia e seitan, prodotti di panetteria, salse, birra, cosmetici, tessuti, materiali isolanti, carta e colori. Tra i pannelli espositivi, che esponevano le proprietà della pianta, la sua storia, e le iniziative antiproibizioniste del Partito radicale, sono stati mostrati anche i quadri di Nicola Natale, pittore e scultore che lavora con la canapa. Usa: ma Guantanamo è sempre più "l’isola dell’ingiustizia"… di Luca Ferrari
www.ilreporter.com, 20 febbraio 2008
Medioevo. È tornato fra noi da tempo immemore ormai. Forse non è mai finito. E anche l’America, quella che dovrebbe essere la paladina della democrazia e della giustizia (per voce del suo presidente), ostenta, come tante alter nazioni, i vessilli della più bieca violenza. Il Pentagono l’ha comunicato. I sei mandanti dell’attacco alle Torri Gemelle sono stati incriminati. Il governo statunitense ne ha chiesto la condanna a morte. Ma come avranno vissuto gli imputati fino ad oggi? Cinque di loro, dopo aver "soggiornato" per più di tre anni in esclusivi centri di detenzione segreta (e situati in luoghi sconosciuti) della Cia, dal settembre del 2006, sono stati trasferiti nella prigione cubana di Guantánamo. Non solo. Queste persone sono state vittime di sparizione forzata (dicasi crimine di diritto internazionale), e la stessa Intelligence statunitense ha confermato che almeno uno di essi, Khalid Sheikh Mohammed, è stato sottoposto alla tecnica waterboarding, una forma di tortura che corrisponde al semiannegamento. Il sesto uomo incriminato, Mohamed al-Qahtani ha subito torture. È stato tenuto incappucciato, nudo, sottoposto a umiliazioni sessuali e di altro genere (come la deprivazione sensoriale), a temperature estreme, a musica assordante e rumore bianco. Tutto ciò non è considerato dal Pentagono un trattamento inumano. "Che l’Amministrazione statunitense abbia sistematicamente agito in una direzione opposta a quella del rispetto dei diritti umani" ha detto Rob Freer, ricercatore di AI sugli Usa "è dimostrato non solo dal trattamento inflitto ai sei detenuti per cinque e più anni, ma anche dalle commissioni militari di fronte alle quali dovranno comparire". Da tempo Amnesty International ha lanciato una campagna on-line (www.chiudereguantanamo.it) per chiudere Guantánamo e porre fine a tutte le detenzioni illegali nel contesto della guerra al terrore. Forse un giorno porteremo i nostri figli (o nipoti) a visitare la prigione abbandonata di Guantánamo, come succede al giorno d’oggi per Alcatraz. Per il momento, laggiù, la gente viene torturata con l’avvallo delle più alte sfere. Iran: impiccati dieci detenuti, nel 2008 già 48 le esecuzioni
Agenzia Fars, 20 febbraio 2008
Sei di queste condanne sono state eseguite nel carcere di Zanjan, nel nord ovest iraniano. I sei uomini erano stati giudicati colpevoli per aver commesso diverse rapine nelle gioiellerie del bazar locale. Gli altri quattro uomini, invece, hanno trovato la morte nel carcere di Evin a Teheran, perché condannati per omicidio. Con le pene di oggi sale a 48 il numero ufficiale delle esecuzioni capitali dall’inizio del 2008. Solo il 29 gennaio aveva subito la stessa sorte un impiegato doganale dell’aeroporto internazionale della capitale, perché ritenuto colpevole di corruzione insieme ad altri suoi tre colleghi. Amnesty International lancia l’allarme. Secondo il rapporto pubblicato dall’organizzazione internazionale è preoccupante il significativo aumento del ricorso alla pena capitale. Se nel 2006 si erano registrate "solamente" 177 esecuzioni, nel 2007 il numero sarebbe cresciuto a 298. Mentre l’Onu ha da poco approvato la moratoria sulla pena di morte, proposta dall’Italia, in Iran si rischia ancora la vita per reati come l’omicidio, la rapina a mano armata, il traffico di droga, la violenza carnale, l’apostasia, l’adulterio e la "sodomia" (per sodomia non si intende altro che "omosessualità"). L’opinione pubblica mondiale inizia ad infastidire molto Teheran che lo scorso 30 gennaio, con una decisione presa dal capo dell’apparato giudiziario, l’ayatollah Mahmud Hashemi Shahrudi, ha imposto di eseguire le impiccagioni all’interno delle mura carcerarie, riservando quelle "su pubblica piazza" a casi specifici, e comunque espressamente autorizzati da lui stesso. Cosa sta succedendo nella Repubblica islamica dell’Iran? La sensazione che si ha è di un enorme passo indietro rispetto alla tutela dei diritti umani, prima ancora che civili.
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