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Giustizia: dopo-indulto, carceri e pene, serve politica nuova di Riccardo Arena
www.radiocarcere.com, 21 febbraio 2008
50.220. È il numero delle persone detenute nelle 205 carcere italiane. Carceri costruite per ospitare solo 42.213 detenuti. 8 mila. È il numero del sovraffollamento. Un numero destinato a crescere, visto che nelle carceri entrano una media di 1.000 detenuti al mese. Un dato, questo, che consente una facile quanto infausta previsione per il futuro. Senza concreti interventi della politica, nel giro di qualche mese sarà di nuovo emergenza negli istituti di pena. 50.220. È anche il numero dell’indulto fallito. O meglio, è il numero di una politica che ha fallito sull’indulto. Una politica che, dopo aver votato l’atto di clemenza, doveva approvare le riforme necessarie per rendere più funzionale e giusto sia il sistema delle pene che il sistema carcerario. Riforme che non sono state fatte. 50.220 sono i detenuti in Italia. Eppure: "Il condannato è merce rara in carcere". La frase, detta dal direttore di un penitenziario, coglie nel segno. Individua un’altra grave disfunzione delle carceri italiane. L’abnorme numero di detenuti in attesa di un primo giudizio. 17 mila, sono i detenuti sottoposti a misura cautelare che attendono un primo processo. Mentre solo 18 mila sono i detenuti condannati in via definitiva. La causa: il cattivo funzionamento del processo penale, la sua durata irragionevole. 17 mila presunti non colpevoli che scontano il carcere come i colpevoli. Se non peggio. Spesso, infatti, le persone detenute in attesa di giudizio vengono rinchiuse nelle carceri delle grandi città. Carceri vecchie e degradate. Luoghi inidonei alla detenzione. Carceri sovraffollate proprio a causa dell’eccessiva presenza di persone in misura cautelare. È quanto si registra nel carcere Ucciardone di Palermo, a Poggioreale di Napoli, a Regina Coeli di Roma, al Buon Cammino di Cagliari, nel carcere San Vittore di Milano. Per citare solo alcuni esempi. Numeri sul carcere. Numeri che parlano. Che dicono l’occasione persa con l’indulto. Numeri che ripropongono con urgenza la questione carcere e sistema delle pene. Una questione che la politica sembra non voler affrontare. Una questione che, invece, deve essere affrontata con un progetto sul carcere e sulle pene. Un progetto politico nuovo che ridia effettività alla pena e funzionalità alle carceri, seguendo criteri di giustizia e di economia. L’edilizia penitenziaria. Occorre chiudere le carceri vecchie e costose. Le città italiane sono disseminate da carceri dell’800. Carceri spesso situate nei centri storici delle città. Strutture che hanno un enorme valore sul mercato immobiliare. Bisogna vendere queste carceri e, con i soldi ricavati, realizzare nuove strutture. Strutture diverse a seconda della tipologia dei detenuti. Per i detenuti condannati, carceri sicure già esistono. Quelle che mancano sono carceri utili alla pena. Strutture dove, per esempio, il detenuto possa imparare un lavoro, dove si possa realizzare sul serio un percorso rieducativo incentrato sull’individuo. Per chi è in misura cautelare, servono strutture detentive diverse e meno afflittive del carcere. La custodia del presunto non colpevole deve per sua natura essere improntata a criteri differenti rispetto a quelli del condannato. Il pericolo di fuga della persona indagata, dovrebbe essere il parametro di riferimento per la realizzazione di queste nuove strutture. Più sicure per il mafioso, meno per il tossicodipendente o per chi è indagato per certi reati. La realizzazioni di strutture diverse dal carcere per chi è in misura cautelare, non solo risponderebbe a criteri di giustizia, ma consentirebbe una forte riduzione dei costi. Infine, occorre investire ancora sulla ristrutturazione delle carceri esistenti. Qualche intervento è stato fatto, ma non è sufficiente. Basta pensare che su 28.800 celle, che compongono le carceri italiane, solo 4.700 sono a norma. Ovvero rispettano quanto previsto dal regolamento penitenziario del 2000. Il sistema delle pene. Serve una politica nuova che intervenga sul sistema sanzionatorio. Una politica che depenalizzi alcune ipotesi di reato, ma che soprattutto introduca pene diverse dal carcere e dall’ammenda. Due sanzioni che oggi appaiono inadeguate per la punizione di determinati reati o determinati soggetti. Occorre pensare a nuove tipologie di pene per far sì che tutti siano puniti, se pur in modo diverso. Sanzioni diversificate ma efficaci e certe per il rapinatore come per il corruttore. In molti casi, la rimessa in pristino, i lavori socialmente utili, ma anche pesanti sanzioni patrimoniali, sarebbero pene più efficaci e avrebbero una maggiore portata deterrente rispetto a quelle esistenti. Nuove tipologie di pene che consentirebbero al giudice di applicare la sanzione più idonea al caso concreto, alla persona che la deve scontare. Giustizia: l’Europa condanna il sovraffollamento delle carceri
Asca, 21 febbraio 2008
Giornata europea contro il sovraffollamento delle carceri. Roma 28 Febbraio 2008 - ore 12.00 - Conferenza stampa sulla condizione carceraria italiana (sala stampa Camera dei Deputati) "Un’Europa sociale, non l’Europa delle prigioni". Interverranno: Fabrizio Rossetti, Funzione Pubblica Cgil Nazionale; Patrizio Gonnella, Presidente di Antigone; Mauro Palma, Presidente del Comitato europeo per la prevenzione della tortura e dei trattamenti inumani e degradanti del Consiglio d’Europa. Contemporaneamente ci sarà una manifestazione europea dei Sindacati aderenti alla Fsesp in tutte le capitali europee e a Bruxelles - in occasione della riunione del Consiglio dei Ministri Europeo per la Giustizia e gli Affari Interni sui servizi carcerari - "...migliorare le condizioni di lavoro e di vita nelle prigioni e ridurre il numero dei detenuti migliorando ed investendo nella prevenzione, in alternative al carcere e nella riabilitazione" dal documento programmatico della Fsesp per una urgente riforma dei sistemi giudiziari.
Sovraffollamento carceri europee: condizioni brutali danno pessimi risultati
Il 14 settembre 2007, a Bruxelles, i delegati sindacali dei servizi penitenziari di otto paesi europei hanno concordato una giornata di lotta contro il sovraffollamento delle carceri e il deterioramento delle condizioni di vita. Questa giornata è parte integrante del piano d’azione della Federazione sindacale europea dei servizi pubblici (Fsesp) sui servizi penitenziari come adottato dal suo Comitato esecutivo il 4 giugno 2007. La data scelta è quella del 28 febbraio 2008, in modo da farla coincidere con il Consiglio Ministri UE Giustizia e Affari Interni. La maggioranza delle carceri nell’UE si trova ad affrontare un problema di sovraffollamento, con una media di oltre il 25% in più di detenuti per cui quelle carceri sono state progettate. Ciò significa un grave peso sulla salute e sicurezza del personale e dei detenuti, come pure sui sistemi operativi e di sicurezza. Il sovraffollamento riguarda il diritto umano fondamentale, di una buona parte dei 300.000 lavoratori penitenziari, a lavorare in un ambiente sicuro. Questo è in contrasto con le Nuove regole penitenziarie europee del Consiglio d’Europa che riconoscono il diritto dei detenuti al diritto dei detenuti alla dignità umana e alla privacy. La cronica riduzione del personale in molte carceri è collegata alla questione della prevenzione per un’adeguata sorveglianza e per la riabilitazione dei prigionieri. Lo stanziamento insufficiente di fondi per i sistemi di giustizia penale e sociale e la crescente popolazione carceraria nell’Unione europea - che attualmente ammonta a più di 600.000 persone sono le principali cause del sovraffollamento. La soluzione non è quella di costruire nuove prigioni o fare ricorso ai privati. Invece, l’obbiettivo deve essere quello di migliorare il funzionamento e le condizioni di vita nelle carceri e ridurre il numero dei carcerati migliorando e investendo nella prevenzione, nella protezione legale, nelle alternative alla detenzione e nella riabilitazione. Nella giornata di lotta del 28 febbraio 2008 si terranno simultaneamente una dimostrazione europea a Bruxelles ed altre attività in tutta Europa delle affiliate Fsesp con i seguenti obiettivi: far prendere coscienza del costo umano e finanziario del sovraffollamento delle carceri, sottolineandone il carattere europeo (e mondiale) sotto angolazione dei diritti umani; promuovere delle rivendicazioni sindacali comuni; sottolineare l’importanza del dialogo sociale e i diritti sindacali per il miglioramento delle condizioni di vita nelle carceri; difendere i diritti alla libertà e alla presunzione d’innocenza, la parità di trattamento di tutti i cittadini europei in uno spazio comune di libertà, sicurezza, e giustizia nell’ambito della campagna Fsesp per una normativa quadro europea sui servizi pubblici. Durante la giornata di lotta, sarà ricordato ai responsabili politici europei la necessità di rispettare e promuovere i diritti sindacali, come riconosciuto dalla Carta europea dei diritti fondamentali che dovrà diventare vincolante alla fine dell’anno. Queste azioni saranno guidate dalla Fsesp e dalle sue affiliate, rappresentanti delle lavoratrici e dei lavoratori dei servizi penitenziari nei seguenti paesi: Belgio, Danimarca, Estonia, Francia, Italia, Paesi Bassi, Norvegia, Spagna, Svezia, Regno Unito. Giustizia: dopo il caso di Agrigento; della pedofilia e delle pene di Luigi Cancrini (Psichiatra)
L’Unità, 21 febbraio 2008
Le sentenze di condanna di primo grado emesse nei confronti di persone che hanno commesso, a qualunque titolo, reati che comportano l’abuso sessuale, lo sfruttamento nei confronti di minore, violenze sessuali individuali o di gruppo e altri reati contro la persona, debbono essere accompagnate da una valutazione peritale relativa alla pericolosità sociale dell’autore del reato. La valutazione peritale deve essere affidata a professionisti iscritti all’albo degli psicoterapeuti dotati di una preparazione specifica nel campo dei disturbi della personalità...". E ancora: "Un elenco dei professionisti abilitati è istituito presso gli Ordini provinciali dei medici e presso gli ordini regionali e provinciali degli psicologi. La relazione peritale deve contenere una chiara e precisa indicazione del progetto terapeutico ritenuto più opportuno per il soggetto analizzato. Il Ministro di Giustizia di concerto con il Ministro della Salute provvede, con decreto congiunto, entro sei mesi dalla pubblicazione della presente legge, alla individuazione e accreditamento delle strutture pubbliche e del privato sociale presso cui andranno istituiti i processi terapeutici indicati come necessari nell’ambito delle misure di sicurezza. Il magistrato o il tribunale di sorveglianza valuterà la partecipazione e l’efficacia del programma di riabilitazione anche ai fini della concessione dei benefici ai detenuti e agli internati". Non è un libro dei sogni. È il testo, approvato dai rappresentanti di tutte le forze politiche rappresentate nella Commissione Bicamerale, per l’Infanzia, di un progetto di legge che è stato scritto tenendo conto dei suggerimenti, fra i tanti, dell’On. Buongiorno di An, dell’On. Merloni del Pd e dell’avvocato Giostra, rappresentante della Commissione per la revisione del codice di procedura penale del Ministero di Giustizia. Un progetto che innoverebbe profondamente nel settore della lotta alla pedofilia. Mettendo in opera un processo di cambiamento necessario per un paese sbigottito di fronte al poveretto che, ad Agrigento, cede ancora una volta alla violenza della sua malattia. Abusando della bambina a lui incautamente affidata: dalla madre, dai giudici, dalla pedofilia. Dispiace particolarmente a me, in quanto coordinatore del gruppo di lavoro che ha preparato quel testo, lineare e fattibile, il modo in cui la vicenda di Agrigento è stata utilizzata, senza far riferimento a questi lavori, dai leader della "battaglia" politica in corso per la campagna elettorale. Parlando della necessità di "castrazioni chimiche" ("occorre una terapia, un trattamento, quella che è volgarmente chiamata la castrazione chimica"), Fini sembra non preoccuparsi della necessità di modificare il quadro di riferimento legislativo: proponendo quasi, ad un immaginario collettivo disorientato e confuso, l’idea di una autorità che direttamente castra, senza la mediazione dei processi, il presunto colpevole. Quello che gli fa èco dall’altra parte, tuttavia, Walter Veltroni ha solo parlato di risposte basate soltanto sull’aumento delle pene e sull’allungamento della detenzione preventiva. Facile, per L’Unione Camere Penali Italiane fargli rilevare che "il punto non è allungare i termini di custodia cautelare per far scontare ad un presunto innocente una pena non ancora comminata, quanto piuttosto eliminare i tempi morti del processo e giungere velocemente ad un pronunciamento definitivo. Se il processo si fosse celebrato all’interno della durata dei termini di custodia cautelare, già lunghissimi, il pizzaiolo di Agrigento non sarebbe stato scarcerato". Facile ugualmente per chi in questo campo lavora, fargli rilevare che a poco servirebbe aumentare gli anni di pena lasciando immutato un regime carcerario del tutto inadatto a persone che stanno male: gli anni di carcere finiscono, infatti, la malattia no se non si fa qualcosa per curarla. La storia di Raoul che ho incontrato qualche anno fa in una Comunità Terapeutica potrebbe essere utile, forse, per spiegare meglio quello che sto tentando di dire. Più volte ricoverato in luoghi psichiatrici, più volte condannato per le conseguenze violente delle sue crisi di nervi, Raoul ha trovato il coraggio (la forza) di raccontare, in Comunità, la violenza sessuale di cui è stato oggetto da bambino e il continuo affiorare, spaventoso e terrorizzante prima di tutto per lui, degli istinti pedofili che lo hanno portato, in alcune situazioni, a vendicarsi su altri innocenti, di quello che lui stesso aveva subito. Sta male, mentre lo racconta, come se le emozioni legate al ricordo di ciò che ha fatto e che ha subito avessero la forza di fargli "perdere il senno". Quello che viene fuori nel tempo, tuttavia, è il recupero di un equilibrio, senza più sintomi psichiatrici e senza più violenze: dolorosamente segnato solo dal rimorso per il male che anche lui comunque ha fatto ed a cui non sa, ora, come porre riparo. Bisognerebbe partire da esperienze come questa, mi dico, nel momento in cui si progetta il futuro. Per farlo, tuttavia, è necessaria una capacità di ascolto e di rispetto per l’altro sempre più rara nel dibattito che si sviluppa fra quelli cui è affidato il compito di governare e di scrivere delle leggi. Per quello che mi riguarda ho passato una vita a pensare che il compito degli "intellettuali organici" di Gramsci non è solo quello di orientare le masse ma di dare suggerimenti utili a chi ha la responsabilità di decidere. È per questo motivo che ho voluto qui presentare ancora una volta le idee maturate nella Commissione e una storia come quella di Raoul. Senza aspettarmi molto da Fini ovviamente che sicuramente insisterà su un’idea di castrazione chimica che sicuramente piace al suo elettorato di destra. E molto sperando, invece, nella possibilità di aprire una discussione seria su questi problemi con Veltroni: convinto come sono del fatto per cui su temi come questi il divaricarsi delle posizioni fra persone che vengono da una storia e da una esperienza culturale comune è legato, in una fase concitata come questa, soprattutto alla carenza delle reciproche informazioni. Alla mancanza di una discussione pacata che invece abbiamo tutto il tempo di fare: anche in campagna elettorale. Giustizia: la Uil-Penitenziari; nasce il Comitato dei Funzionari
Ansa, 21 febbraio 2008
È stato costituito il Comitato dei Funzionari di Polizia Penitenziaria (Cofupp), "uno strumento che consentirà agli agenti delle carceri di far valere le loro ragioni in sede di confronto con l’Amministrazione e con il Governo". Ad annunciarlo è Eugenio Sarno, segretario generale del Comitato Direttivo Nazionale della Uil-Penitenziari. Designato come portavoce del Cofupp Antonio Sgambati, all’Ufficio Presidenza invece i Vice Commissari Riccardo Secci, Augusto Zaccariello, Pio Mancini e Gaetano Manganelli. Primo nodo da sciogliere l’istituzione della figura del direttore dell’area sicurezza presso gli istituti e servizi dell’Amministrazione Penitenziaria. A tale proposito il neoportavoce Sgambati fa sapere che l’intenzione del Cofupp di inviare "una nota di sollecito per riprendere la discussione al Guardasigilli Scotti e al Capo del Dap Ferrara". Giustizia: legale Contrada; riaprire il carcere militare di Roma
Adnkronos, 21 febbraio 2008
La riapertura "urgente" del carcere militare di Forte Boccea a Roma è stata chiesta, con una lettera al ministro della Difesa, Arturo Parisi, dal legale di Bruno Contrada, Giuseppe Lipera. "La prego, Signor Ministro - si legge nella lettera - di valutare la possibilità (sentendo magari il parere delle alte gerarchie militari) di riaprire urgentemente il carcere militare Forte Boccea di Roma tenuto conto del grave disagio che hanno le famiglie, e quindi i detenuti, rinchiusi nell’unico penitenziario militare oggi in Italia che mi risulta essere quello di Santa Maria Capua Vetere, che si trova in provincia di Caserta". Secondo Lipera, "Roma, infatti, è più facile da raggiungere rispetto a qualsiasi altro posto per ogni persona d’Italia e quindi faciliterebbe anche i rapporti tra i detenuti e gli avvocati che provengono da ogni Foro. Nel contempo si avrebbe un altro vantaggio: l’Ufficio del Magistrato di Sorveglianza di Roma è composto ovviamente da tanti magistrati anziché da uno solo (come a Santa Maria Capua Vetere) e ciò consentirebbe un più ampio rapporto dialettico giuridico forense e magari una più completa e diversificata cultura della giurisdizione". Lettere: detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena
www.radiocarcere.com, 21 febbraio 2008
Monica, dalla libertà Caro Arena, le scrivo mentre cerco di capire come mai un mio carissimo amico sia in custodia cautelare in carcere. Lo hanno arrestato il 22 gennaio, accusandolo di concorso in bancarotta fraudolenta per essere stato amministratore di una società nel 1999, per soli 8 mesi, da marzo ad ottobre. Pare che questa società sia stata poi dichiarata fallita nel 2005. 6 anni dopo che lui ha ricoperto quella carica e oltretutto senza nemmeno aver firmato ne uno straccio di bilancio ne una dichiarazione fiscale. Quello che mi chiedo è come si possa tenere una persona per 20 giorni in carcere, in attesa che un giudice si decida ad ascoltarlo e soprattutto quando è chiaro e lampante, anche agli occhi di chi non è ne giudice ne avvocato, che la sua responsabilità sia del tutto marginale in questa storia. Nessuno ha tenuto conto del fatto che siano passati 6 anni prima che la società fosse dichiarata fallita, nessuno ha tenuto conto del fatto che una persona che finisce in carcere, anche se solamente in via provvisoria, nella maggior parte dei casi perde il lavoro. Nessuno è andato a scavare nella vita di questo mio amico per capire se effettivamente lui potesse aver tratto profitto da questa situazione. Il mio amico era, e dico era perché con quello che è accaduto non credo potrà più farlo, un procuratore di banca. E i soldi per pagare la parcella del penalista che lo difende chi glieli darà? Per non parlare del fatto che è stato messo nel carcere di Regina Coeli, prima in mezzo a persone con problemi di tossicodipendenza e adesso si trova in mezzo ad individui condannati per omicidio volontario. Io mi auguro che questo non sia uno dei tantissimi altri casi di amministrazione schifosa della giustizia. Grazie per avermi letto.
Cristian, dal carcere di Vibo Valentia Cara Radio Carcere, mi chiamo Cristian ho 34 anni e sono recluso nel carcere di Vibo Valentia. Vi scrivo per chiedervi un aiuto. L’aiuto di poter essere trasferito in un carcere vicino Roma, dove risieda la mia famiglia. Ho una figlia di 9 anni che già ha tanto sofferto per le mie colpe. Ora sono morti anche i nonni, unico punto di riferimento per lei. Resta solo mia madre che è anziana e la mia compagna. Io, in carcere e lontano dalla mia famiglia, senza poter fare regolari colloqui, ho cercato in questo tempo di fare autocritica e di cercare, nonostante tutto, di trarre esperienza dalla detenzione. Ma vi assicuro che ora sono al limite dell’esaurimento. Ogni giorno penso alla pena che i mie famigliari scontano con me. Ed è tempo che io faccia di tutto per riportare sulle loro facce almeno un piccolo sorriso. Per questo vi chiedo aiuto per farmi trasferire in un carcere vicino Roma. Un carcere che può essere quello di Rebibbia, ma anche quello di Civitavecchia o Velletri. Scontare la mia pena in un carcere vicino alla mia famiglia è per me un sogno. Un vero sogno. Con stima.
Massimo, dal carcere di Cassino Caro Arena, ci siamo conosciuti a Rebibbia e spero che lei si ricordi di me. Ora mi hanno trasferito nel carcere di Cassino, ma quando ci siano conosciuti lei mi disse che potevo scriverle per raccontarle i problemi della detenzione. Ecco, le scrivo ora. Ma non per dirle di me, che tutto sommato sono ben trattato qui a Cassino. Le scrivo per dirle della mia donna che è detenuta nel carcere Rebibbia di Roma. La mia donna si chiama Tiziana e io non molto preoccupato per la sua salute. Infatti soffre di epilessia e dovrebbe assumere ogni giorno i farmaci. Dico dovrebbe perché sono ormai molti giorni che non li prende, perché dicono che quei farmaci nel carcere di Rebibbia non ci sono. Ovviamente senza le sue medicine, la mia ragazza ha spesso delle crisi epilettiche in carcere, e può immaginare le conseguenze. Quando stavo a Rebibbia, noi del maschile pensavamo che a noi le medicine non ce le davano perché favorivano le donne del femminile. Ora so che non è così. Sa darmi una risposta o sa dirmi a chi rivolgermi? È assurdo che io debba scrivere a Radio Carcere per queste cose. Rebibbia è il carcere della capitale, eppure anche lì il detenuto è trattato come un animale. Caro Arena, la prego dia voce anche a questa ingiustizia". Napoli: sei arrestati su dieci… hanno beneficiato dell’indulto di Leandro Del Gaudio
Il Mattino, 21 febbraio 2008
Sei su dieci hanno beneficiato dell’indulto. Parliamo di ladri, rapinatori, borseggiatori, topi d’appartamento arrestati in un anno e mezzo dopo il provvedimento di clemenza votato a larghissima maggioranza in Parlamento, il dato napoletano diventa preoccupante. Un esercito di malviventi, più o meno professionali, torna in strada. Oppure - è l’altra faccia della medaglia - in carcere non entra neppure, in attesa di processi destinati finire con il classico colpo di spugna. Dopo la drammatica rapina di Giugliano (un rapinatore ucciso, ferito il suo complice) il caso Napoli torna a far discutere. Ad attirare l’attenzione sull’effetto indulto è stata la più alta carica giudiziaria del distretto, il presidente di Corte d’Appello Raffaele Numeroso: "Nell’ultimo anno, le rapine aumentano da 14.946 a 16.560 (in pratica 43 al giorno), i furti da 97.358 a 106.806 (trecento al giorno). Nel penale - si legge poi nella relazione di Numeroso - i tempi non possono essere accorciati dal recente indulto, che non è stato accompagnato da un’amnistia che avrebbe consentito, con l’estinzione dei reati, la rapida definizione di moltissimi procedimenti per reati minori, con sicuri effetti deflattivi sulla durata media dei processi". Un caso che ha anche risvolti nel sociale: ieri in una manifestazione di senza lavoro a Napoli, sfilava anche una lista di ex detenuti scarcerati con l’indulto. Poco rassicurante anche lo scenario nel futuro immediato, secondo il presidente Numeroso: "Con grande dispendio di lavoro e di energie bisognerà trattare e definire centinaia di migliaia di processi e parecchi di questi si concluderanno con condanne a pene coperte dall’indulto che non saranno espiate". A rischio l’effettività della pena. Specie per i reati da strada: scippi e rapine in testa. L’indulto ha cancellato migliaia di condanne, rendendole inefficaci sotto il profilo della permanenza in cella. Ancora un dato numerico: lo scorso 15 settembre erano rientrati in cella 877 detenuti sui 2.000 che avevano beneficiato del condono, portando a quota 5.900 il tetto della popolazione carceraria in Campania. Soffrono il capoluogo partenopeo e soprattutto la sua provincia. È nell’hinterland che si è spostato il raggio d’azione di malviventi di piccolo e medio calibro. Il salto di qualità riguarda il livello di specializzazione. Dalle rapine di strada, ai colpi in banca. Dall’azione singola e individuale, all’inserimento in gang specializzate. Vere e proprie associazioni per delinquere fluide sul territorio, capaci di entrare in azione anche due volte al giorno o di studiare colpi a tavolino prendendo di mira città dell’alta Italia, lontane da Napoli e dall’esercito di indultati in attesa di una riabilitazione solo annunciata.
Intervista al giudice Pierluigi Picardi
Giudice Pierluigi Picardi qual è il suo giudizio sull’indulto a Napoli? "Da giudice di Corte d’Appello la mia visione è negativa. Nel definire il provvedimento di clemenza non è stato valutato il ruolo della condotta recidiva nel profilo individuale, né si è lavorato sulla riabilitazione e l’inserimento sociale una volta rimessi in libertà un certo numero di ex detenuti".
Qual è il risultato stando ai dati ufficiali? "Nel 2007 i reati nel distretto napoletano sono aumentati del dieci per cento, stando alle denunce. Senza considerare i reati sommersi, che non vengono immagazzinati nei fascicoli giudiziari".
L’allarme del presidente di Corte d’Appello Numeroso è di un mese fa: eppure l’indulto risale al tre agosto 2006. Come commenta questo lasso di tempo? "Non mi meraviglia affatto. Per molti, media compresi, il provvedimento di clemenza approvato dal Parlamento era un fatto da circoscrivere a un anno e mezzo fa. Invece, noi addetti ai lavori stiamo registrando oggi gli effetti di questa legge, anche su una serie di misure che in genere contribuivano ad assicurare l’effetto deterrenza di una pena".
A cosa si riferisce? "L’indulto non ha soltanto impedito che molti imputati condannati non entrassero in cella, ma ha spazzato via anche tanti strumenti come la semilibertà, gli arresti domiciliari o l’affidamento in prova ai servizi sociali che potevano rappresentare una forma di controllo e di rieducazione dell’ex detenuto".
Eppure l’indulto non è rivolto a tutti: chi è stato condannato per reati di mafia, ad esempio, non può beneficiare della clemenza. "Non è esattamente così. La legge prevede infatti un meccanismo di scorporo di tre anni da una condanna che può contemplare più reati, oltre a quelli mafiosi. Esempio: se sei condannato a 5 anni per mafia e armi, ottieni comunque l’indulto per la parte della pena che riguarda il reato singolo di armi".
Da cosa bisogna ripartire? Come è possibile scongiurare un nuovo caso Giugliano? "Puntare su progetti di formazione, attivare sistemi di riabilitazione e di inserimento in meccanismi produttivi. Creare un sistema virtuoso capace di sostituirsi alla strada e alle logiche delinquenziali agli occhi di chi lascia il carcere".
Il presidente Numeroso parla anche di tantissimi processi celebrati e da celebrare inutilmente. Qual è la sua posizione? "Il processo è comunque utile a stabilire la condotta recidiva, quindi credo che il processo non perda completamente efficacia anche nei casi d’indulto". Bologna: l’emergenza del carcere ha bisogno di scelte rapide di Desi Bruno (Garante dei detenuti del Comune di Bologna)
La Repubblica, 21 febbraio 2008
In questi giorni la media delle presenze al carcere di Bologna è di circa 1.080 persone (circa 50 le donne), in crescita costante, di cui il 66% di stranieri e il 30% di tossicodipendenti. Meno di 200 i condannati in via definitiva, tutti gli altri ancora in custodia cautelare. Coesistono varie tipologie di detenuti, da chi è quasi di passaggio, con periodi inutili e dannosi di brevissime carcerazioni, con un turn-over di migliaia di persone all’anno che impone uno sforzo di accoglienza oltre ogni possibilità, e di cui è difficile capire il senso, alla presenza di ergastolani, ai ristetti in alta sicurezza, che vivono in regime differenziato, alla sezione dei protetti e degli autori di violenza sessuale. Un mondo articolato e complesso, con poche risorse, al limite della sopportazione numerica, a cui non è più possibile far fronte, è bene dirlo con chiarezza. Nonostante i molti sforzi e i risultati raggiunti per migliorare le condizioni di vita, la struttura resta fatiscente, bisognosa di interventi strutturali, a cui solo in parte potrà porre rimedio l’ordinanza sindacale in tema di igiene e sanità, la cui attuazione andrà attentamente monitorata, e che ha fotografato una realtà non certo edificante. Le persone sono per lo più di una povertà inaccettabile, a cui il volontariato e i servizi sul territorio rispondono come possono. Scarso il lavoro per i detenuti rispetto alle richieste, nonostante alcune "nicchie" di eccellenza e uno sforzo collettivo imponente. La Polizia Penitenziaria appare stanca e demotivata, chiamata a responsabilità eccessive e a turni usuranti. Eppure in questa situazione difficile il carcere di Bologna ha conosciuto e mantiene risorse inesauribili per la sensibilità dei volontari, degli enti pubblici, della magistratura di sorveglianza, del personale dell’amministrazione penitenziaria. La recente e preannunciata tempesta, che ha dimezzato i vertici della direzione della casa circondariale, e che ha coinciso anche con la partenza di importanti dirigenti dell’area pedagogica, impone oggi, di effettuare delle scelte chiare, di aprire una stagione di trasparenza, di valorizzare il patrimonio di energie che a disposizione, comprese quelle dei detenuti, laddove possibile, di dare un segnale di responsabilità. Oggi tutti coloro che continuano a lavorare in carcere e per il carcere aspettano che l’amministrazione penitenziaria, ai suoi livelli più alti, si occupi del carcere di Bologna. La mancata approvazione delle riforme legislative non può diventare 1 alibi per sfuggire alla responsabilità che una moderna amministrazione della giustizia impone, soprattutto laddove, come a Bologna, la gestione dell’esistente non appare più una soluzione praticabile. Bologna: assicurare il diritto di voto ai detenuti della Dozza di Desi Bruno (Garante dei detenuti del Comune di Bologna)
Il Domani, 21 febbraio 2008
Con l’avvicinarsi della scadenza delle elezioni politiche che si terranno il 13 e 14 aprile si pone il problema di assicurare il diritto di voto alle persone detenute, sia in esecuzione pena che in custodia cautelare, che sono in condizione giuridica di esercitarlo, e non sono poche. Per fare questo è necessario che le autorità competenti, prefettura, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria, la direzione della Casa Circondariale ed il sindaco di Bologna, ognuno per la parte organizzativa che gli compete, predispongano un sistema capillare di comunicazione alle persone detenute, esteso anche a quelle che faranno successivamente ingresso, con le informazioni e le operazioni indispensabili all’esercizio del diritto di voto. Le persone ristrette al momento della consultazione elettorale possono esercitare il diritto di voto nel luogo di reclusione, ai sensi degli artt. 8 e 9 legge 23 aprile 1976, tramite la costituzione di un seggio elettorale speciale. L’esercizio di tale diritto è però subordinato ad alcuni adempimenti, che richiedono tempo e che non possono essere utilmente espletati se non attraverso una anticipata conoscenza degli stessi. Mi riferisco alla necessità per il detenuto di far pervenire al sindaco del Comune nelle cui liste elettorali è iscritto una dichiarazione della propria volontà di esprimere il voto nel luogo in cui si trova, con in calce l’attestazione del direttore dell’Istituto comprovante la sua detenzione, al fine di consentire al sindaco l’iscrizione del richiedente nell’apposito elenco e di essere altresì munito della propria tessera elettorale. Se è vero che tale richiesta può pervenire al sindaco non oltre il terzo giorno antecedente la votazione, è necessario informare i detenuti della necessità di questi adempimenti, in modo che possano attivarsi. E questo anche in considerazione della presenza di molti detenuti non residenti, provenienti da altre parti del paese, non essendo certo ancora realizzato il cosiddetto principio di territorialità della pena, fissato dall’ordinamento penitenziario, secondo il quale le persone recluse dovrebbero rimanere il più possibile vicino al luogo dove risiede la famiglia o dove svolgono attività di studio e di lavoro. La tempestiva informazione può favorire l’esercizio di un diritto fondamentale per la partecipazione alla vita politica del nostro paese delle persone detenute che, mai come in questo momento, hanno bisogno di sentire riconosciuto il loro diritto di cittadinanza. La privazione della libertà, come sanzione, non comporta solo la impossibilità di una libera circolazione, ma comprende in sé una serie di privazioni ulteriori, dalla mancanza di una vita affettiva alla impossibilità di avere una compiuta comunicazione con l’esterno, alla necessità di filtrare ogni richiesta, anche la più banale, attraverso una procedura complessa di richieste e autorizzazioni. Spesso le persone recluse non sentono più di essere cittadini, e vivono con frustrazione una impotenza a cui bisogna dare risposta. L’esercizio del diritto di voto, per coloro che non sono esclusi per effetto di sentenza di condanna, è una occasione di partecipazione attiva, di corresponsabilità nelle scelte politiche del paese, è un modo per aumentare la consapevolezza del proprio essere all’interno della collettività, a cui faranno prima o poi ritorno, per non sentirsi sudditi, ma persone capaci di esprimere un punto di vista che vale come quello di tutti gli altri. Alle elezioni politiche del 2006 nel carcere della Dozza questo meccanismo di previa conoscenza ha in parte funzionato, e chi ha votato lo ha fatto con una solennità che chi è fuori ha forse dimenticato. Dunque, assicurare in concreto l’esercizio di uno strumento fondamentale di democrazia richiede poco impegno, ma la comprensione profonda di quanto poco aiuti la segregazione fine a stessa e di come sia importante che nessuno possa sentirsi escluso dal partecipare. Lecce: con il Progetto "Asilo" più possibilità di reinserimento
Gazzetta del Mezzogiorno, 21 febbraio 2008
Al via a Lecce il Progetto "Asilo". La finalità è "ricostruire l’uomo devastato dall’esperienza della detenzione e realizzare uno spazio di socializzazione che possa aiutare gradualmente". Si chiama "Asilo" un progetto che prevede la possibilità per i detenuti appena liberati di trascorrere brevi periodi di adattamento nella struttura Villa Adriana, che si trova a borgo San Nicola, e che è stata messa a disposizione dal Comune di Lecce. Ne dà notizia con un comunicato l’associazione di volontariato carcerario "Comunità Speranza" che ha realizzato il progetto. A Villa Adriana - precisa la nota - potranno trovare accoglienza non solo i detenuti appena scarcerati che non hanno immediatamente una dimora ma anche quelli che usufruiscono di un permesso e che così possono farsi raggiungere dai parenti. Nella struttura potranno anche essere ospitati i loro parenti. La finalità del progetto - continua la nota - è "ricostruire l’uomo devastato dall’esperienza della detenzione e realizzare uno spazio di socializzazione che possa aiutare gradualmente al reinserimento superando lo scollamento tra dentro e fuori". L’associazione "Comunità Speranza" - conclude la nota - invita a supportare il progetto "Asilo" con contributi in danaro ma anche donando asciugamani, coperte, lenzuola, stoviglie e tovaglie. In futuro il progetto si prefigge anche di fornire servizi di consulenza. Napoli: premiato il miglior progetto per un nuovo carcere
Ansa, 21 febbraio 2008
"Abbiamo con noi la società civile. Ora abbiamo bisogno della politica e dei finanziamenti ad hoc per la penitenziaria". È l’appello lanciato da Riccardo Polidoro, coordinatore della Onlus "Il Carcere Possibile", nel corso della cerimonia di consegna a Napoli del premio istituito dall’Associazione dei costruttori partenopei al miglior progetto architettonico per un carcere nuovo. Al bando di concorso hanno partecipato sei validi progetti, ha spiegato Guido De Maio, presidente della commissione giudicatrice, "tutti orientati a coniugare insieme strutture carcerarie innovative e azioni formative interne volte all’inserimento in meccanismi produttivi". Il riconoscimento è andato al gruppo Crea, acronimo per "carcere reale economicamente auto-sostenibile" con una struttura pensata da sei giovani professionisti napoletani a forma di un cristallo di ghiaccio che intesse relazioni con le strutture produttive situate subito fuori la cinta cittadina. Il nuovo carcere "trasparente" è localizzato a Casoria, comune a nord di Napoli, e ha attività produttive legate ai settori tradizionali di quell’area, cioè tipografico e pronto moda. "Recuperare la discussione ormai abbandonata su temi come la tipologia delle carceri è un fatto, oggi, estremamente importante", sottolinea Edoardo Cosenza, preside della facoltà di Ingegneria dell’ateneo "Federico II". "Anche perché - aggiunge Michele Cerabona, presidente della Camera Penale di Napoli - il problema carcerario è diventato esplosivo, un problema destinato a scoppiare per l’aumento dei detenuti e la mancanza di azioni preventive". Presente all’incontro anche il provveditore regionale alle carceri Tommaso Contestabile, a cui i giovani Ance e Acen hanno chiesto l’istituzione di un tavolo di dialogo per cercare di realizzare il progetto oggi premiato. "Lo presenterò ufficialmente - ha assicurato Contestabile - affinché trovi una sua concreta realizzazione". Palermo: all’Ucciardone attivata Sezione del Liceo Scientifico
Redattore Sociale, 21 febbraio 2008
Il prossimo anno il liceo Benedetto Croce aprirà una sezione presso la casa circondariale. Richiesta accettata dall’assessore regionale all’Istruzione dopo una lunga trattativa. Merito anche degli studenti coinvolti nel progetto. A partire dal prossimo anno scolastico presso il carcere Ucciardone di Palermo sarà possibile prendere la maturità scientifica. Il liceo Benedetto Croce avrà infatti una sua sezione presso la casa circondariale. Questo risultato è stato raggiunto dopo una lunga fase di incontri. L’assessore regionale ai Beni culturali e ambientali e alla Pubblica Istruzione Lino Lenza, dopo avere esaminato tutta la documentazione, ha accettato la richiesta dell’istituto Benedetto Croce, a partire dall’anno scolastico 2008/09. La creazione di questa sezione è anche il risultato del progetto "Il carcere va a scuola" realizzato dagli studenti e finalizzato ad avvicinare maggiormente il mondo della scuola a quello del carcere. "Non credevamo si potesse arrivare fino a questo punto, quando abbiamo iniziato il progetto Il carcere va a scuola - dice Salvatore Cappello che frequenta la quinta F del liceo - . I quattro incontri che si sono svolti lo scorso anno scolastico programmati e coordinati dal preside Giovanni Battista Puglisi e dal docente di storia e filosofia Carmelo Botta ci hanno dato la possibilità di unire questi due mondi". Presso la casa circondariale Pagliarelli è presente, già da qualche tempo, invece, una sezione dell’istituto professionale alberghiero Paolo Borsellino. Nel marzo scorso una delegazione di studenti del liceo, per la prima volta si è recata nella casa circondariale del Pagliarelli per partecipare alla manifestazione "Legalità senza frontiere, nelle scuole… nelle carceri… nelle città". In quella occasione, si è esibita l’orchestra "Rosa Parks" diretta dal maestro Francesco Marfia degli ex alunni del liceo Croce. L’ingresso dei ragazzi al Pagliarelli pur essendo stato di grande impatto emotivo - raccontano i giovani - non è stato paragonabile a quello avvenuto quasi un mese dopo all’Ucciardone. La casa circondariale dell’Ucciardone è, infatti un complesso storico molto antico di origine borbonica, completamente diverso da quello moderno del Pagliarelli. Dal momento in cui al liceo è giunta la notizia che presto si sarebbe formata una sezione della loro scuola, fra i ragazzi è nato lo slogan "La scuola va in carcere e non più il carcere va a scuola". "Questa notizia dell’assessorato è il coronamento ideale per ciò in cui abbiamo creduto - scrive Salvatore Cappello in una lettera scritta al giornale di Sicilia - e crediamo da un anno a questa parte: un processo di integrazione tra società civile e dimensione carceraria che si snodi attraverso attività culturali ( laboratori di lettura, scrittura, teatro e musica) che si riempiano di senso e servano a riscrivere le esistenze dei detenuti". Napoli: partita di rugby dei ragazzi di Nisida va sul satellite di Lucio C. Pomicino
Il Mattino, 21 febbraio 2008
L’istituto penitenziario minorile di Nisida sotto i riflettori delle telecamere di "Total Rugby", programma televisivo ufficiale della Federazione Internazionale di Rugby (IRB) che va in onda in oltre 100 paesi nel mondo. La redazione di "Total Rugby", che è realizzata a Londra, venuta a conoscenza del progetto "la palla storta, il rugby contro il degrado giovanile di Napoli", iniziativa condotta dall’Amatori Rugby Napoli e patrocinata dalla Federugby e dalla Fondazione Laureus, ha deciso di riprendere una partita giocata tra i detenuti del carcere di Nisida e la stessa Amatori rugby raccontando questa magnifica storia di sport tesa a trasmettere i valori educativi ed etici del rugby. Sono già quattro anni che Enzo Iorio, tecnico ed anima dell’Amatori Rugby Napoli con l’accordo raggiunto con il direttore dell’Istituto minorile Gianluca Guida, porta il rugby a Nisida e insegna a questi ragazzi le regole, la disciplina e il rispetto dell’avversario che sono i fondamenti del rugby. "Sono io che alleno i ragazzi a Nisida - afferma Enzo Iorio - ed è inimmaginabile con quale velocità questi ragazzi apprendano le regole. Per il secondo anno uno di loro, Rascind Calib, ormai libero, è tesserato per la nostra under 19. La nostra collaborazione è estesa anche alla Comunità di Nisida, direttore Andrea Triola, dove giungono i ragazzi in semilibertà. Tre di loro stanno giocando regolarmente con la nostra under 17 e under 19". Il grado di preparazione di questi giovani ospiti di Nisida mostrato in occasione della partita di "rugby a 7" ripresa dalla televisione inglese è eccezionale e tutti potranno rendersene conto sintonizzandosi il prossimo 28 febbraio alle 21 su Sport Italia canale 225 di Sky. Immigrazione: "decreto espulsioni" decade... la seconda volta di Antonio De Florio
Il Messaggero, 21 febbraio 2008
Il decreto-legge sulle espulsioni dei cittadini neocomunitari pericolosi, approvato a dicembre dopo l’uccisione a Roma di Giovanna Reggiani da parte del romeno Mailat, ha subito un secondo stop, questa volta definitivo. Il governo ieri ha rinunciato alla conversione del provvedimento in materia di sicurezza. La decisione è stata comunicata ieri nell’aula di Montecitorio dal sottosegretario Gianpaolo D’Andrea. Il viceministro ha spiegato che "una parte consistente del contenuto sarà assorbita in un decreto legislativo. Sul resto del contenuto manca il consenso unanime dei gruppi perché si possa esaminare. Per questo il governo segnala l’esigenza di non procedere". È la seconda volta che il governo rinuncia alla conversione del decreto-legge: la prima volta, in Senato, era stato introdotto un emendamento sull’omofobia con un riferimento errato a un trattato internazionale. Da qui la decisione di ricorrere a un secondo provvedimento. I primi a protestare ieri sono stati i parlamentari del Carroccio. "È la seconda volta - ha attaccato il leghista Roberto Cota - che il governo non insiste per la conversione di un decreto sbandierato da Veltroni dopo la morte della signora Reggiani. Una conversione che non avviene perché, sui contenuti del decreto la maggioranza non trova unità. Questo la dice lunga sull’affidabilità del candidato premier Walter Veltroni". Al ministero dell’Interno non drammatizzano. La rinuncia alla conversione del decreto sulla sicurezza, annunciata in aula alla Camera dal Sottosegretario Giampaolo D’Andrea, "non significa la rinuncia alle norme del pacchetto sicurezza - è scritto in una nota - che verranno trasferite per intero in un decreto legislativo che sarà approvato la prossima settimana in Consiglio dei Ministri". Il Viminale aggiunge: "Lo strumento del decreto legislativo permetterà l’immediata entrata in vigore delle norme, senza la necessità di un ulteriore passaggio parlamentare". E ancora: "Già a dicembre, in effetti, l’originario decreto-legge era stato diviso in due provvedimenti: una parte delle norme erano confluite in un decreto legislativo, le altre erano state rinnovate nel nuovo decreto legge. Con la decisione di oggi tutte le norme passano nel decreto legislativo". Droghe: oggi è il 2° compleanno della legge "Fini-Giovanardi" di Vincenzo Donvito (Presidente Associazione per Diritti Utenti e Consumatori)
Notiziario Aduc, 21 febbraio 2008
Buon compleanno dal governo Prodi alla legge Fini-Giovanardi! Oggi è il secondo compleanno della legge Fini-Giovanardi sulle droghe, una delle leggi più repressive nel mondo occidentale. Era il 21 febbraio 2006 quando il Parlamento approvò la legge di riforma sulle tossicodipendenze, modificando in fase di conversione un decreto legge per assicurare il corretto svolgimento delle Olimpiadi invernali di Torino. L’opposizione di centro-sinistra in Parlamento mostrò tutto il proprio disappunto, sconcerto, rabbia e annunciò dura battaglia che, nella legislatura in chiusura, ha solo significato conferma di una legge che ha visto i suoi maggiori oppositori trasformati nei suoi esecutori per eccellenza. Abbiamo visto il travagliato tentativo di alcuni deputati e forze politiche per cercare di tener fede agli impegni elettorali in materia delle elezioni che avevano visto il centrosinistra prevalere, ma, piuttosto, abbiamo registrato l’immobilismo, l’incapacità e la complicità di fatto di quei ministri (Salute e Affari Sociali soprattutto) che avrebbero dovuto porre le basi per una modifica. Ora c’è il rinnovo del Parlamento e, ad oggi, non sembra che la riforma di questa legge sia nei programmi di qualche forza politica. Certamente c’è da aspettare che i vari tentativi di alleanza (soprattutto nel centrosinistra, ufficialmente più disponibile in merito) si concludano, ma non ci sembra che si discuta anche di droga che, ormai, sembra essere divenuto un tema cosiddetto sensibile, cioè di cui è meglio non parlarne perché ci si spacca in tante parti. Eppure a noi sembrava essenzialmente un problema di sicurezza, ordine pubblico e sanità… ma bisogna ricordarsi che occorre pur sempre fare i conti con chi crede di affrontare questi problemi con un taglio ideologico, piuttosto che razionale e pragmatico. Proprio come si è fatto fino ad oggi, con i disastrosi risultati tangibili da ognuno in ogni angolo della vita sociale, civica ed economica. Congo: Onu; 16 detenuti sono morti di fame in carcere Kasai
Ansa, 21 febbraio 2008
Dall’inizio del 2008, 16 detenuti sono morti di fame, di stenti o per la mancanza di cure nella prigione centrale di Mbuji-Mayi, capitale del Kasai orientale, nel centro della Repubblica Democratica del Congo (Rdc, ex Zaire). Ad annunciarlo è stata la Missione dell’Onu in Rdc (Monuc). "La situazione nel penitenziario di Mbuji-Mayi è ormai catastrofica. Dall’1 gennaio al 19 febbraio 2008, 16 detenuti (nove condannati e sette in attesa di giudizio) sono morti in questo istituto penitenziario a causa di malnutrizione, fame e mancanza di cure mediche", ha detto il portavoce della Monuc Kemal Saiki in una conferenza stampa a Kinshasa. "Questa nuova ondata di decessi", ha aggiunto il portavoce, è stata registrata dopo la partenza di un Consigliere Internazionale della Sezione "Stato di diritto" della Monuc, che invece aveva contribuito a migliorare la situazione nel carcere nel periodo in cui era sul posto, dall’estate 2006 all’inizio 2008. Nonostante gli sforzi profusi dal consigliere della Monuc, le condizioni attuali dei prigionieri sono "esecrabili": di fronte a una capienza di un centinaio di detenuti, la prigione ne ospita oggi 398.
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