Rassegna stampa 19 febbraio

 

Giustizia: Fini sfida Veltroni; pedofili? sì a castrazione chimica

di Francesco Grignetti

 

La Stampa, 19 febbraio 2008

 

Fini sfida Veltroni "Terapia chimica, non basta la tolleranza zero". Pd: "Incompatibile con la nostra cultura giuridica".

Gianfranco Fini non ha esitazioni: "Contro la pedofilia serve la certezza della pena, ma ancor di più la castrazione chimica". È già campagna elettorale. E inevitabilmente tornano in primo piano i temi della sicurezza. Se appena 48 ore fa, Walter Veltroni si era espresso perché lo Stato ritrovi la "mano dura" e nel caso di un pedofilo come quello di Agrigento "chi ha avuto una condanna anche al primo grado di giudizio per un reato di questo tipo dovrebbe stare almeno agli arresti domiciliari", ecco che adesso Fini polemizza.

"Mi fa piacere - dice - che anche Veltroni ora scopra la certezza della pena, la tolleranza zero. Meglio tardi che mai. Ma in questi casi non serve solo parlare di certezze della pena, occorre la castrazione chimica per togliere le tentazioni... le pulsioni dei pedofili". La pedofilia fa dunque irruzione nella scena politica. "I pedofili - sostiene Fini - il più delle volte sono dei malati. Non è sufficiente dire: aumentiamo la pena. Occorre una terapia, un trattamento, che è la castrazione chimica".

Ma Veltroni stesso non molla. "Quanto accaduto a Agrigento é una cosa assurda. Si utilizzi tutto il necessario, dai mezzi giudiziari alle cure necessarie, ma non è possibile che un uomo continui a fare del male così ai bambini, lo si tolga di mezzo".

E si torna dunque a parlare di trattamenti chimici. Nel 2004 li propose il leghista Roberto Calderoli, ma l’idea fu subito affossata da destra come da sinistra per evitare troppe polemiche. Naturalmente a sinistra c’è chi è molto cauto. Commenta Giorgio Tonini, della segreteria del Pd: "Veltroni ha avanzato una proposta precisa: se quell’uomo fosse stato agli arresti, ed era quanto prevedeva il Pacchetto Sicurezza, questo episodio non sarebbe accaduto. Bisogna inasprire le pene e impedire casi analoghi.

Altro è ipotizzare, poi, un qualche trattamento sanitario obbligatorio per i pedofili nei casi in cui sia evidente un disturbo psichico. Meglio tenere separate le due questioni. Anche perché immaginare la castrazione chimica come pena accessoria, o alternativa, come mi pare sia la proposta Fini, è impossibile per la nostra cultura giuridica. Come la mettiamo con l’habeas corpus?".

Sul tema, anche le opinioni degli esperti sono molto discordi. Silvio Garattini, noto specialista di farmacologia, ha molti dubbi: "Non è stata attuata alcuna sperimentazione scientifica". E comunque il trattamento dovrebbe essere prolungato nel tempo "poiché l’inibizione della pulsione sessuale terminerebbe una volta finito l’effetto del farmaco". Don Fortunato Di Noto, il sacerdote simbolo della battaglia contro la pedofilia on-line, a sua volta è perplesso: "La pedofilia va combattuta come la mafia. Con leggi certe e un approccio scientifico al problema, lontani da proposte come la castrazione chimica che fanno solo rumore".

 

Bruno: nessuno ha il coraggio di farla, hanno paura

 

All’opposto la pensa il criminologo Francesco Bruno: "Possono dargli anche trent’anni, ma quando uscirà farà altri danni. Perché quell’uomo è un criminale, ma è soprattutto un malato, con un impulso patologico che lui stesso non può controllare, e va curato nel suo stesso interesse". Chiesi all’allora ministro Castelli di fare una circolare per chiarire che è un metodo che va utilizzato quando possibile, e lui mi rispose "fossi matto"". Rivelazione che Castelli nega: "Il matto è lui. Mai avuto questo colloquio".

 

Brutti: una proposta truculenta, invece bisogna inasprire le pene

 

"É una proposta truculenta e ad effetto che nasconde una confessione di impotenza del sistema penale". Per il Partito democratico è Massimo Brutti a dire no alla castrazione chimica. Ma come impedire che si ripetano casi come quello di Agrigento? "Non serve aggredire le persona, basta modificare i meccanismi del nostro sistema giudiziario. Prima di tutto bisogna inasprire le pene che oggi sono troppo basse, specie quella minima".

 

Non sempre una pena severa basta come deterrente…

"È vero, anche perché purtroppo abbiamo sempre a che fare con processi troppo lunghi. Per questo reato bisogna allungare i termini della carcerazione preventiva e fare in modo che questa misura non sia più l’eccezione ma diventi la regola, il magistrato deve motivare il mancato ricorso alla carcerazione preventiva, un po’ come avviene già oggi per la criminalità organizzata. E poi anche i benefici carcerari non possono essere gli stessi".

 

Niente legge Gozzini per pedofili?

"Non dico questo. Ma i benefici non possono essere disposti sulla base di valutazioni di routine, come avviene per tutti gli altri detenuti".

 

Anche Veltroni parla di cure.

"Certo, ferma restando la possibilità di ricorrere al trattamento sanitario obbligatorio, l’assistenza psichiatrica gioca un ruolo importantissimo. Ma la castrazione chimica no, quella è un’altra cosa".

 

Della Vedova: basta tabù, castrazione chimica meglio del carcere a vita

 

"Non è un tabù, ma uno strumento che può essere utilizzato per limitare i danni alla società". Benedetto Della Vedova - ex radicale, deputato di Forza Italia - si dice d’accordo con la proposta di introdurre la castrazione chimica avanzata da Gianfranco Fini.

 

Non è una misura troppo invasiva?

"Sicuramente è molto invasiva. Ma la scienza ci dice che spesso quello dei pedofili è un riflesso incontrollabile che in qualche modo supera la responsabilità personale. Non ci sono garanzie che chi abbia commesso un reato di quel genere non torni a commetterlo appena possibile. Quindi l’alternativa è una sola".

 

Quale?

"Il carcere a vita. E io credo che la castrazione chimica, pur comportando una menomazione evidente e clamorosa, sia ancora meno invasiva perché in fin dei conti consente una vita sociale che con il carcere a vita sarebbe del rutto preclusa".

 

Resta il fatto che si tratta di intervenire, con dei farmaci, sul corpo di una persona.

"Certo. E infatti credo che andrebbe inquadrato più dal punto di vista della terapia che della pena, come invece sostiene Fini".

 

Sta dicendo che ci vorrebbe il consenso della persona?

"No, anche senza il consenso. Ma consapevoli dell’invasività della misura e quindi con tutte le garanzie sanitarie e psichiatriche necessarie".

Giustizia: don Di Noto: i pedofili aiutati, le vittime dimenticate

di Francesca Romana Massaro

 

Il Padova, 19 febbraio 2008

 

Don Fortunato Di Noto, Presidente dell’Associazione Meter Onlus "Necessari più centri di assistenza. I bambini vanno seguiti negli anni".

Paladino da anni della lotta contro la pedofilia, sconvolto dagli ultimi avvenimenti di Agrigento, Don Fortunato Di Noto non si capacita. Pensa e ripensa alla bambina di 4 anni violentata dall’orco recidivo e rivede, nella sua mente, i volti dei bimbi conosciuti in questi anni di militanza. Riaffiorano dalla memoria come coltellate quegli occhi grandi in faccini ancora piccoli, irrimediabilmente segnati dal dolore. Dalla vergogna. Dall’incomprensione.

 

A proposito del pedofilo di Agrigento, ritiene che siano stati rispettati i tempi come da norma?

Assolutamente sì. Il magistrato ha applicato la legge. E lo posso dire con tanta certezza perché noi stessi abbiamo avuto un incontro in questi giorni per verificare la situazione. Il problema è che i tempi però sono troppo brevi. Il Parlamento, nella prossima legislatura, si deve impegnare e deve garantire che l’esigenza cautelare corrisponda al genere di reato commesso. Si allunghino i termini di permanenza dentro le carceri.

 

Prevede che sia una soluzione valida la castrazione chimica?

Se ne fa un gran parlare, certo ha molta presa sulla gente. Ma in pochi sanno che la comunità scientifica non ha idee chiare al riguardo. Non esiste un protocollo unico, limpido, sereno. Ancora si stanno vagliando le conseguenze. È vero che diminuisce la libido, ma aumenta l’aggressività. E i pedofili in qualche modo si devono sfogare. Il problema è che non si fanno aiutare. Nel carcere di Macerata abbiamo un centro permanente di rieducazione, ma su 19 pedofili detenuti, solo uno ha chiesto di essere seguito.

 

È d’accordo con la tesi che i pedofili sono nella maggior parte recidivi? Che si tratti di una peculiarità della patologia?

È così. Però bisogna fare un distinguo. Questi soggetti fanno delle scelte consapevoli, non sono malati. E posso testimoniarlo con molti documenti, la pedofilia culturale sta diventando talmente diffusa che è sempre più difficile contrastarla. Spuntano forum, siti, innumerevoli tentativi di normalizzare il fenomeno.

 

La cosa dipende questo aumento esponenziale di casi di abusi sui minori?

È una misura antropologica. Oggi ogni volta che succede un fatto grave alla fine si tenta di ridimensionarlo. Ci si domanda "Ma in fondo che male c’è?". Si pensa che sia un fenomeno sparuto, ma i bambini vittime di violenze sessuali, nel mondo, sono 150 milioni.

 

Spesso capita che gli orchi siano dei professionisti, anche in vista.

È una casualità? Sicuramente maggiori possibilità economiche e culturali aiutano a nascondere e mimetizzare meglio fatti osceni ed ottenere più facilmente l’impunibilità. D’altronde il mondo pedo-criminale è una lobby ben strutturata. Sappiamo tutti che dai video, dalle foto e dai siti si ha un lucro enorme.

 

Quantifichiamo?

Un sito guadagna circa 40mila euro al mese. Ma si tratta di manovre talmente ampie che non si riesce a fare una stima totale. È impossibile. Mi creda.

 

Si parla tanto dei carnefici, ma le vittime? Chi le segue?

Non c’è nulla da fare, spenti i fari sul caso del giorno, questi bambini vengono improvvisamente abbandonati a se stessi. È una drammatica verità. Da anni seguiamo, con l’Associazione Meter Onlus, i piccoli abusati. Abbiamo dei centri di ascolto e prima accoglienza nei quali assistiamo anche i parenti delle vittime. Ma non bastano. Perché non si parla mai delle famiglie intere che sono costrette a cambiare casa perché additate da tutti come "diversi"? Perché non si parla dei meno abbienti che si trovano costretti a vendere i pochi beni per difendere i propri figli? Ora le faccio io una domanda. Ha mai assistito ad un incidente probatorio con minori? Non le auguro di farlo. Più volte ho visto avvocati ridacchiare durante le strazianti dichiarazioni dei piccoli e i carnefici prendersi gioco dei bambini.

 

Vuole lanciare un appello?

Sì. Tutte quelle donne e quegli uomini che in passato abbiano subito molestie, non si vergognino di parlare. La nostra Associazione Meter Onlus ha un numero verde gratuito da tutta Italia, 800455270 e un sito www.associazionemeter.org. Siamo qui per aiutare le persone in difficoltà. Cercateci: perché la vergogna passa se non ci si sente soli.

Giustizia: famigliari delle vittime; basta ex terroristi in cattedra

 

La Nazione, 19 febbraio 2008

 

Gli ultimi due episodi in ordine di tempo: il brigatista rosso Vittorio Antonini (sequestro Dozier, ergastolo, mai pentito) invitato a Bologna a un dibattito con lo scrittore Erri De Luca; il terrorista nero Pierluigi Concutelli (killer del giudice Occorsio) invitato a presentare la sua autobiografia in una libreria romana.

Soltanto gli ultimi due episodi di una lunga serie che vede terroristi vari, più o meno pentiti, orgogliosi o dissociati, presenziare a incontri o presentare autobiografie. E da Benedetta Tobagi, figlia di Walter, il giornalista uccisa a Milano nell’80, a Bruno Berardi, figlio di un poliziotto ammazzato 30 anni fa dalle Br, a Giovanni Ricci, figlio di un carabiniere massacrato in via Fani, è stato un coro di "basta". Per rispetto alle vittime, per rispetto verso i familiari, per rispetto a chi, dai terroristi, è stato "solo" ferito e oggi magari vive su una carrozzella.

Nel caso di Antonini e Concutelli le due serate sono state disdette; e a Bologna, contro il brigatista mai pentito e semilibero da anni, s’era mosso anche il sindaco Cofferati. Ma l’elenco dei terroristi in carriera non comprende unicamente scrittori. È di poco tempo fa, per esempio, la polemica esplosa attorno a Sergio D’Elia, ex Prima Linea, 12 anni di carcere, divenuto segretario alla Presidenza della Camera. "Non è più lo stesso uomo - hanno detto di lui - ora è cambiato". Una possibilità che i terroristi di vari colori non hanno mai concesso alle vittime.

 

Benedetta Tobagi: e c’è chi li definisce "sognatori invincibili"

 

Suo padre Walter Tobagi venne freddato in strada nel maggio 1980, a Milano. Lei aveva tre anni, e oggi Benedetta Tobagi dice di essere "presa da un rigurgito di rabbia e di amarezza". Lo dice in una lettera a un quotidiano riferendosi ai casi Antonini e Concutelli, il brigatista e il terrorista nero che avrebbero dovuto presenziare a due dibattiti, ma la cui presenza all’ultimo è saltata proprio in virtù di tanti altri rigurgiti di rabbia e di amarezza.

"Telefono al Teatro Ridotto di Bologna - scrive Tobagi - per avere conferma dell’iniziativa. Un signore anziano mi comunica data e ore, la conferenza avrà luogo prima dello spettacolo Chisciotte e gli invincibili di Erri De Luca. Chiedo se può confermare che interverrà l’ex brigatista Antonini. Ce lo auguriamo, risponde l’anziano signore. Mi si gela il sangue".

Poi Benedetta legge un comunicato stampa sullo spettacolo e impara che gli "invincibili" di Erri De Luca "sono tutti coloro che non si arrendono e che non smettono mai di combattere; questo Chisciotte è un omaggio ai sognatori che non si arrendono, a quei seguaci delle cause perse che proprio in quanto tali sono in fin dei conti invincibili".

Antonini, dunque, già capo della colonna romana delle Br, già sequestratore del generale americano Dozier, già condannato all’ergastolo e oggi semilibero, sarebbe un "sognatore", un Chisciotte, un "invincibile". Misuriamo le parole, continua Benedetta Tobagi. "Stiamo parlando di persone che hanno scelto la violenza e l’omicidio come strumento di lotta politica, riducendo gli esseri umani a simboli da abbattere".

Invincibili? "A questo punto viene da domandarsi se una qualche invincibilità dei terroristi non sia da cercare proprio nella terribile persistenza di questi relitti culturali, di una rete di ambiguità, simpatie, idealizzazioni romantiche basate sull’ignoranza e, più spesso, sulla cattiva coscienza di alcuni".

 

Bruno Berardi: ex terroristi trattati quasi come eroi del Risorgimento

 

Il paradosso italiano è Sergio D’Elia che firma la moratoria per la pena di morte: ma vi rendete conto? Quando era terrorista di Prima Linea fu condannato a 25 anni per l’omicidio dell’agente Fausto Dionisi. Ne trascorse meno della metà in carcere, beneficiando di sconti e quant’altro. Nel 2006 è diventato deputato e l’hanno pure nominato segretario alla presidenza della Camera. È un Paese normale questo?".

Bruno Berardi, figlio del maresciallo Rosario e presidente dell’Associazione "Domus Civitas, vittime del terrorismo e della mafia", non ha parole. Suo padre venne assassinato per strada a Torino il 10 marzo 1978 dalle Br poco prima dell’inizio del primo processo contro l’organizzazione. Fu trucidato con tre proiettili alla schiena e il colpo di grazia alla nuca con la stessa pistola, una Nagant 7,62 di fabbricazione cecoslovacca, con cui sono stati assassinati Fulvio Croce e Carlo Casalegno. Rosario Berardi lasciò moglie e cinque orfani.

"La nostra vita - racconta Bruno, uno dei cinque figli - è stata per sempre segnata. I terroristi sono stati trattati con un occhio di riguardo da politici, intellettuali, magistrati; i familiari delle vittime, invece, hanno avuto solo un po’ di pietismo di convenienza e tanto silenzio".

Si è fatto una ragione, gli chiediamo. "È una domanda che va rivolta a una certa parte politica, che sotto sotto li ha sempre giustificati e protetti. Quello che posso dire è che gli ex Br li vedi in televisione, nei salotti chic, invitati a conferenze e simposi, scrivono libri e la loro verità sugli anni di piombo. Li trattano quasi come eroi del Risorgimento".

Berardi è un fiume in piena: "Curcio, Franceschini, Antonini, Sofri, la Baraldini... le mie prigioni. Ma andiamo: per noi la ferita è sempre aperta. Non c’è rispetto per il dolore, per il male fatto ai rappresentanti dello Stato che con disprezzo chiamavano servi, mentre molto spesso erano solo lavoratori entrati in polizia o nei carabinieri per portare a casa un pezzo di pane. Aver sdoganato i carnefici è come chiedere ai parenti delle vittime della Shoah di fare la pace coi nazisti".

Uno degli assassini di Rosario Berardi fu Cristoforo Piancone, condannato all’ergastolo per concorso in sei omicidi e due tentati omicidi, imputato per la strage di via Fani. È stato arrestato lo scorso ottobre per alcune rapine. Aveva bisogno di soldi, si giustificò.

"Era in semilibertà, faceva il bidello e già poteva uscire dal carcere solo 17 anni dopo l’arresto. È sempre la stessa storia: quando li prendono fanno un grande clamore per lasciar intendere che lo Stato funziona, dopo interviene la magistratura, per fortuna non tutta, e si finisce a tarallucci e vino. E quando escono di prigione gli trovano pure il posto di lavoro, mentre ai familiari delle vittime con la legge 206 è assegnato un vitalizio da fame. I ruoli si sono invertiti".

Giustizia: medici penitenziari sono pronti a scendere in piazza

 

Apcom, 19 febbraio 2008

 

Medici penitenziari messi alla porta. Con un documento di fuoco l’Amapi, l’associazione che raggruppa i medici carcerari, scrive ai ministri Scotti e Turco chiedodo garanzie sul mantenimento del loro posto di lavoro e preannunciano iniziative di piazza. Sotto accusa la Riforma che prevede il passaggio di medici e infermieri penitenziari alle Asl territoriali con la possibilità che se prima erano i medici ad andare nei penitenziari per visitare i detenuti ammalati, ora saranno i detenuti malati ad andare negli ospedali.

Un vero e proprio paradosso lo ha definito il segretario nazionale della Ugl Ministeri, Paola Saraceni che punta l’indice sull’assurdo valzer delle traduzioni dei carcerati che, ovviamente, hanno un costo ed andranno a gravare sui compiti della polizia penitenziaria che già deve provvedere ai trasferimenti dalle carcere ai tribunali ed ora - continua Saraceni - anche agli ospedali. "Ma gli effetti della riforma - continua la sindacalista - si sentiranno anche sugli stessi carcerati che oltre a dover fare i conti con la patologia dell’emarginazione dovranno anche fare a meno di quei professionisti medici e infermieri che conoscono bene le loro patologie particolari che frequentemente proprio per l’effetto dello status di recluso, danno luogo a quadri clinici particolari e abnormi e, soprattutto, non riscontrabili tra i normali pazienti di un ospedale".

"Dunque - conclude - la Ugl Ministeri starà al fianco dei medici penitenziari contro una riforma passata in silenzio e, soprattutto, senza tutelare né i detenuti, né medici e infermieri e neanche la polizia penitenziaria".

Giustizia: aumenta numero di minori stranieri detenuti negli Ipm

 

Ansa, 19 febbraio 2008

 

Cresce la popolazione straniera nelle carceri riservate ai minori di 18 anni. Istituti di pena dove i minori che hanno commesso reati dovrebbero espiare la pena ma, soprattutto, trovare aiuto per un reinserimento nella società. I dati elaborati dalla Funzione Pubblica della Cgil e dal Ministero della Giustizia rilevano che la percentuale di detenuti stranieri minori negli Ipm supera il 51% della popolazione carceraria: 658 ingressi e 393 presenze. Di questi 341 giovani in custodia cautelare e 52 in espiazione di pena, il 55% dei quali di età compresa tra i 16 e i 17 anni.

"La percentuale di presenze nelle carceri segue questo trend - spiega Gianfranco Macigno, responsabile del settore minori per la Funzione Pubblica della Cgil - cresce la presenza di stranieri anche per reati minimi e diminuisce quella degli italiani".

Una costante che in alcuni centri dell’Italia settentrionale raggiunge percentuali elevate. "In alcune strutture - spiega ancora il rappresentante sindacale - si arriva anche al 90% di minori stranieri - aggiunge ancora il rappresentante sindacale". Una situazione che tende a mutare invece come ci si sposta dal centro al sud Italia.

"In molti posti i minori italiani che sono in carcere devono scontare pene per reati gravi - aggiunge - a differenza degli stranieri che, nella maggior parte dei casi scontano pene più basse".

Una situazione che, come spiega Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, viene motivata anche dalla questione delle cosiddette opportunità. "Per gli italiani ci sono le famiglie, le case di accoglienza e la possibilità della cosiddetta messa alla prova - spiega - situazioni e possibilità che molto spesso non valgono per gli stranieri". "Perché magari in qualche caso non ci si fida, oppure perché molto spesso il minore straniero non ha una famiglia e non trova neppure un supporto che posa dargli la possibilità di iniziare un percorso di recupero e rieducazione".

Quanto ai programmi di recupero, non tutte le strutture funzionano allo stesso modo. "È vero che in queste carceri non esiste il sovraffollamento e che quindi si potrebbero fare dei programmi di intervento seri e concreti - dice - ma è altrettanto vero però che non tutte le strutture funzionano allo stesso modo, e in ogni caso non è sempre possibile completare i corsi". Il perché è presto spiegato. "Se pensiamo agli stranieri, questi giovani, dopo un periodo breve vengono rimessi in libertà e quindi non possono completare i corsi di istruzione o alfabetizzazione". Per il rappresentante di Antigone, invece, sarebbe opportuno "realizzare dei centri di orientamento per i minori, soprattutto stranieri, che una volta espiata la pena non sanno come muoversi".

Catania: un gioielliere rapinato reagisce e uccide due banditi

di Alfio Sciacca

 

Corriere della Sera, 19 febbraio 2008

 

Nelle intenzioni dei rapinatori doveva essere un colpo facile. L’obiettivo era un piccolo laboratorio di preziosi sulla via principale di Nicolosi, ai piedi dell’Etna. Prima dell’assalto, i tre rapinatori si erano calati sul viso passamontagna scuri. Erano armati di una pistola giocattolo, ma questo lo si è scoperto solo dopo il fallimento della loro azione.

Hanno agito con violenza, ed è stata proprio la brutalità ad innescare la reazione che ha trasformato la rapina in un bagno di sangue. Pesante il bilancio: due rapinatori morti, Sebastiano Catania e Davide Laudani, entrambi di 21 anni, mentre Fabio Pappalardo, 30, è in prognosi riservata all’ospedale Garibaldi di Catania.

A sparare è stato Guido Gianni, 48 anni, marito della titolare della gioielleria, Mariangela Di Stefano, di 51 anni: l’uomo non è riuscito a trattenersi quando ha visto i banditi prendere a calci e pugni la moglie. Ha prima esploso due colpi in aria, sperando di convincere gli aggressori a fuggire. Ma per tutta risposta i tre rapinatori gli sono piombati addosso. Ne è nata una violenta colluttazione nel corso della quale sono partiti altri tre colpi di pistola. Uno dei rapinatori è stato raggiunto al petto ed è morto all’istante. Gli altri due invece sono rimasti feriti, ma uno è poi deceduto durante il trasporto in ospedale.

n gioielliere era convinto di fronteggiare delle persone non solo violente, ma anche annate. La pistola giocattolo era infatti priva del tappo rosso e perfettamente somigliante ad un’arma vera. Ad aprire ai rapinatori, intorno alle 19, è stata la donna, mentre il gioielliere era nel retrobottega.

Quando ha visto la moglie con quell’arma puntata alla gola, quindi strattonata e presa calci ha impugnato la sua pistola regolarmente detenuta ed ha cercato di mettere in fuga i rapinatori. "Quella pistola sembrava vera-ha continuato a ripetere durante il primo interrogatorio davanti al pubblico ministero Antonella Barbera - ho sparato prima in aria, poi ho. dovuto per forza difendere me e mia moglie".

I tre rapinatori sono tutti originari di Acicatena, a poca distanza da Nicolosi, e due di loro erano incensurati. Nonostante fossero armati solo di una pistola giocattolo, secondo i carabinieri della compagnia di Paterno che coordinano le indagini si tratta di persone prive di scrupoli. "Quella pistola giocattolo non deve trarre in inganno - avvertono i militari - a vederla sembrava proprio vera. Oltre a non avere il tappo rosso era dotata di caricatore che durante la colluttazione è caduto. Agiscono così perché contano sulla loro capacità di intimidazione e perché non mettono nel conto che ci possa essere una persona armata. Tutto lascia pensare che il gioielliere abbia agito per legittima difesa, comunque sarà il magistrato a valutare meglio come sono andati i fatti".

Alle 20 sull’asfalto di Via Etnea, a due passi dalla sede del Parco, e lungo quella strada che porta dritto alle sciovie e agli impianti turistici del Rifugio Sapienza, c’è ancora il cadavere di uno dei rapinatori ricoperto da un lenzuolo bianco. L’unica vetrina del piccolo laboratorio di preziosi è ancora illuminata. Qualche collana, delle cornici in argento, una marca di orologi "Pierre Bonnet" che fa da insegna della gioielleria. Il negozio già nel ‘99 era stato preso di mira dai rapinatori. Ma in quel caso erano stati messi in fuga dall’intervento dei carabinieri.

Napoli: agente uccide rapinatore, era scarcerato con l’indulto

 

Il Mattino, 19 febbraio 2008

 

Era andato in banca per prelevare una somma di denaro, ma all’uscita è stato aggredito da due ladri. Una guardia giurata in borghese ha reagito alla rapina a Giugliano, nel Napoletano, e ha ucciso uno dei due banditi. L’altro sarebbe ferito. Il rapinatore ucciso si chiamava Francesco Primicerio, di 30 anni, e risiedeva a Napoli nel rione "Case Nuove".

Il ferito è Ciro Merolla, di 44 anni, residente a Napoli nel rione "Sanità". Merolla è ricoverato all’ospedale San Giuliano di Giugliano. Secondo una prima ricostruzione la vittima designata della rapina aveva prelevato contanti nell’agenzia dell’Istituto San Paolo in via Vittorio Veneto, una zona centrale di Giugliano. I due rapinatori lo hanno seguito a bordo di un motorino con la targa coperta e poi sono entrati in azione quando l’uomo è entrato in una traversa.

L’aggressione è avvenuta sotto casa sua. I rapinatori, secondo quanto ricostruito dai carabinieri di Giugliano, lo hanno seguito dalla banca fino alla sua abitazione, a corso Campano. L’agente penitenziario aveva prelevato 3 mila euro e a bordo di un ciclomotore aveva fatto ritorno a casa.

Nel percorso, però era stato seguito dai rapinatori, che erano a bordo di una Honda 125, con la targa coperta da nastro adesivo. Sotto l’abitazione dell’agente i due sono entrati in azione e lo hanno minacciato con una pistola, poi rivelatasi un’arma giocattolo priva del tappo rosso.

La guardia penitenziaria ha reagito estraendo la pistola di ordinanza, con la quale avrebbe esploso 3-4 colpi. I due rapinatori, Primicerio e Merolla hanno una lunga serie di precedenti penali per diversi reati. Le condizioni di Merolla sono ritenute gravi, ma l’uomo non sarebbe in pericolo di vita. I due avevano beneficiato dell’indulto per uscire dal carcere.

Bologna: l’Agenzia "Hera" fa smontare le TV e i PC ai detenuti

 

Apcom, 19 febbraio 2008

 

Cinquanta tonnellate di televisori e computer vecchi smontati e smaltiti in modo ecologico in due mesi dai detenuti del carcere della Dozza di Bologna. È questo il bilancio del progetto dell’Agenzia "Hera", che porterà nelle carceri della regione mille tonnellate di apparecchiature elettriche di cui verranno recuperate l’80 per cento delle componenti. Il resoconto del progetto è descritto dalle pagine locali del quotidiano La Repubblica. In base al progetto della ex municipalizzata bolognese, dieci detenuti hanno potuto - al momento - lavorare con un contratto di 36 ore settimanali, con tanto di retribuzione.

Bologna: Osapp; altri due agenti aggrediti, è allarme nazionale

 

Agi, 19 febbraio 2008

 

Ennesima aggressione da parte di un detenuto nei confronti di due agenti di Polizia Penitenziaria. L’episodio, rileva il sindacato Osapp, è avvenuto presso la Casa Circondariale di Bologna qualche giorno fa, e "in questa ultima settimana - spiega Leo Beneduci, leader del sindacato - siamo al terzo episodio di violenza, che si va ad aggiungere ad altri due, sempre commessi ai danni di agenti di Polizia Penitenziaria".

Per questo, l’Osapp sta raccogliendo un dossier sullo stato delle carceri da presentare al nuovo Governo che "dovrà affrontare l’emergenza": è da tempo che "su Bologna - osserva Beneduci - ma questo potremmo estenderlo a tutto il Paese, ci pervengono segnalazioni di carenze cui il personale di polizia è costretto". L’istituto bolognese, secondo quanto afferma l’Osapp, "è ormai al limite del collasso e la percentuale di scopertura cui è tenuta l’Emilia Romagna, pari al 60%, non esorta a leggere diversamente la crisi del maggiore istituto emiliano.

Infatti, da una capienza massima di circa 600 detenuti, oggi ne sono presenti circa 1.100, con un organico che non va oltre le 350 unità effettive". In più, rileva ancora Beneduci, "si aggiunge la completa assenza del Direttore, e la totale "latitanza" di una figura di riferimento per la sicurezza": una "totale disorganizzazione che porta gli Ispettori a decidere a loro piacimento i turni di servizio e la presenza presso le Unità Operative di appartenenza". Il caso del capoluogo emiliano, "è solo uno dei tanti esempi - conclude Beneduci - che l’attuale Amministrazione ci obbliga a tollerare ogni giorno, e che si può benissimo leggere come male esteso per l’intero Paese.

Potenza: il progetto "Basilicata donna" entra dentro il carcere

 

Asca, 19 febbraio 2008

 

Con il Protocollo d’Intesa stipulato tra Regione Basilicata e Ministero di Giustizia, la Regione si è impegnata ad assicurare l’assistenza sanitaria anche ai soggetti sottoposti a misure penali. "Nel rispetto degli impegni assunti, anche quest’anno - afferma l’Assessore regionale alla Sanità, Antonio Potenza - il Dipartimento Salute ha programmato una serie di attività tese ad assicurare alle donne detenute presso la Casa Circondariale di Potenza gli stessi livelli di assistenza previsti per soggetti liberi".

In particolare il prossimo 20 febbraio il Direttore Generale del Dipartimento Salute accompagnerà, presso l’istituto penitenziario di Potenza, il personale sanitario individuato per dare attuazione anche in carcere al progetto "Basilicata Donna", un programma di screening gratuito per la prevenzione del cancro della mammella e del tumore del collo utero.

"L’anno 2008 - specifica Potenza - è un anno particolarmente importante per la medicina penitenziaria, in quanto dovrebbe concludersi l’iter del Decreto Legislativo che regola il trasferimento delle competenze sanitarie in carcere dal Ministero della Giustizia al Servizio Sanitario Nazionale quindi alle Regioni e alle Asl.

Proprio in previsione - conclude l’assessore Potenza - del passaggio della medicina penitenziaria dal compartimento del Ministero della Giustizia a quello della Salute, il Dipartimento Sanità ha provveduto alla stesura di un disciplinare tecnico per la regolamentazione dell’assistenza sanitaria penitenziaria in Basilicata, che verrà presentato durante il seminario che si terrà presso la Casa Circondariale di Potenza il giorno 8 marzo 2008". .

Benevento: con un progetto Acli i detenuti... arbitri e calciatori 

 

www.ilquaderno.it, 19 febbraio 2008

 

È partito ufficialmente oggi e terminerà a maggio il progetto "Zona Cesarini" che prevede lo svolgimento di attività ludico-sociali-sportive per l’integrazione dei detenuti della Casa Circondariale di Benevento. L’iniziativa è stata promossa dall’Unione Sportiva delle Acli di Benevento, in collaborazione con il Coni, la Pastorale Tempo Libero, Turismo e Sport della Curia e la sezione provinciale dell’Associazione italiana arbitri, con il patrocinio di Provincia e Comune.

La presentazione questa mattina nel corso di una conferenza stampa presso la Casa Circondariale di Benevento. Ha moderato Antonio Meola, presidente regionale US Acli. Presenti il direttore del carcere Maria Luisa Palma, gli assessori comunali Luigi Scarinzi e Luigi Boccalone, il presidente del Consiglio Comunale Giovanni Izzo, il delegato allo Sport della Provincia Giuseppe Lamparelli, il presidente provinciale Coni Mario Collarile, il presidente nazionale US Acli Alfredo Cucciniello, oltre a rappresentanti della sezione provinciale dell’Aia (Associazione Italiana Arbitri) e della Pastorale Tempo Libero della Curia.

Il progetto prevede un corso per arbitri di calcio, la costituzione e l’allenamento di una squadra formata da detenuti e un corso di Social Dance, rivolto alle detenute con relativo saggio finale. A maggio si svolgerà una quadrangolare calcistico dove la squadra di detenuti incontrerà altre formazioni provenienti dall’esterno, composte, tra l’altro, da amministratori locali ed esponenti del Coni Provinciale.

In particolare, il progetto si sviluppa con un allenamento calcistico a settimana; 2 giorni settimanali del corso per arbitri e un giorno a settimana del corso Social Dance. Il coordinatore generale è Alessandro Simeone; allenatore della squadra di calcio Leonildo Bocchino (Luigi Panella aiuto allenatore); fisioterapista Giovanni Pucino; istruttrice fitness Tiziana Zollo e 3 relatori del corso per arbitri (Sezione Aia Benevento): Vincenzo Caldora, Daniele Mazzulla e Paolo Formato.

Catanzaro: il 21 un incontro sul tema dei minori e l’aggressività

 

Asca, 19 febbraio 2008

 

Si terrà il 21 febbraio, alle ore 16, a Catanzaro, nell’Auditorium del Centro Giustizia Minorile per la Calabria e la Basilicata, in Via Francesco Paglia, il quarto incontro sul tema "Minori prevaricatori e aggressivi: strategie di modificazione del comportamento".

Il seminario rientra negli appuntamenti mensili, promossi dal Tribunale per i Minorenni di Catanzaro, dal Centro Giustizia Minorile per la Calabria e la Basilicata e dall’Anpe - Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani, col patrocinio della Regione Calabria - Dipartimento n° 10 - Settore politiche sociali. Presiede l’incontro Domenico Blasco, presidente del Tribunale per i Minorenni, a cui seguiranno i saluti di Angelo Meli, direttore del Centro Giustizia Minorile, e di Gianfranco De Lorenzo, presidente nazionale Anpe.

Interverranno Pina Filippello, docente di psicologia clinica dello sviluppo presso l’Università degli studi di Messina; Mariateresa Camastra, avvocato, specializzato in diritto minorile; Giuseppe Rulli, pedagogista e componente dell’Osservatorio nazionale della famiglia e dell’adolescenza; Giuseppe Rizzitano, dirigente dell’Istituto tecnico agrario "Vittorio Emanuele II" di Catanzaro, Carlo Caruso, giudice presso il Tribunale per i Minorenni di Catanzaro.

I lavori saranno moderati da Massimo Martelli, giudice onorario presso il Tribunale per i Minorenni. Il seminario è rivolto a funzionari, educatori, operatori, assistenti sociali dei Servizi Minorili della Giustizia e dei Gruppi Appartamento della Regione Calabria, agenti di Polizia Penitenziaria e rappresentanti delle Forze dell’Ordine, avvocati, assistenti sociali degli Enti Locali e delle Aziende Sanitarie, dirigenti e funzionari della Pubblica Amministrazione, pedagogisti, psicologi, docenti delle scuole di ogni ordine e grado, studenti universitari, tirocinanti, operatori di servizio civile e volontari. Al termine dell’incontro sarà rilasciato attestato di partecipazione. Le ore di frequenza saranno riconosciute ai soci Anpe fra i requisiti di accesso alla prova attitudinale per l’iscrizione all’Albo Interno dell’Anpe - Associazione Nazionale dei Pedagogisti Italiani.

Roma: teatro; la "Divina Commedia" per i detenuti di Rebibbia

 

Apcom, 19 febbraio 2008

 

"La Divina Commedia. L’opera", il kolossal musicale che ha incantato oltre 120.000 spettatori solo nella Capitale, mercoledì 20 febbraio (alle 16,30) sarà di scena al carcere di Rebibbia, dove gli artisti si esibiranno in uno medley dei momenti più suggestivi ed emozionanti dello spettacolo: dall’aria di Dante al sensuale tango di Caronte, dalla romantica aria di Paolo e Francesca alle musicalità rock della Città di Dite, dall’eroico brano di Ulisse allo struggente addio di Virgilio fino al concertato finale.

Ad introdurre la performance - informa una nota - don Gianmario Pagano, autore del libretto dell’opera, che, insieme alla produzione Nova Ars Musica Arte Cultura, ha da sempre abbracciato finalità sociali considerando lo spettacolo come mezzo per diffondere la cultura e l’amore per la conoscenza. Un momento importante per trasmettere gioia e solidarietà anche a chi è costretto a vivere in situazioni disagiate che hanno poche occasioni di condividere le emozioni". "È un progetto che porteremo in altre strutture penitenziarie nelle altre città del tour italiano - sottolinea Gabriele Gravina, Presidente di Nova Ars Musica Arte Cultura - compatibilmente con le disponibilità istituzionali sul territorio e che ci vede impegnati nella diffusione della cultura, oltre ogni barriera sociale".

Roma: "Muralex", l’arte arriva sul muro di cinta di un carcere

 

Apcom, 19 febbraio 2008

 

Muralex. Arte sul muro di cinta. Venerdì 22 Febbraio 2008 Ore 15. Casa Circondariale Rebibbia Nuovo Complesso, Via Raffaele Majetti, Roma.

L’Associazione Ora D’Aria, impegnata da anni nel sociale con progetti nelle carceri romane, in collaborazione con l’associazione Artwo e la Direzione della Casa Circondariale Nuovo Complesso, presenta venerdì 22 febbraio la prima fase di un progetto che coniuga arte e impegno sociale, portando i writer romani a dipingere in prigione a seguito di un confronto avuto con chi il carcere lo vive: detenuti e agenti di polizia penitenziaria. La realizzazione dei 200 metri di muro di cinta sono stati il frutto di un workshop di due mesi in cui i writer hanno insegnato l’uso degli spray agli uomini detenuti che l’hanno applicato alle rispettive tecniche artistiche.

Siamo nella Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso, in una zona urbana periferica della città di Roma, centinaia di migliaia di abitanti, abituati a convivere con il carcere anche se a volte poco sanno di quanto accade oltre il muro di cinta. Sarà proprio il muro di cinta, quasi un chilometro e mezzo di lunghezza, a rappresentare idee, riflessioni, immaginari, pregiudizi, percorrendo un viaggio visivo nell’anima del concetto di pena.

Un muro, per l’universo carcerario, rimane l’emblema della separazione di un dentro e di un fuori, due mondi. Gli artisti cambieranno la forma e l’immagine del carcere con incursioni in uno spazio altro. Il muro sarà per un anno un laboratorio aperto ad artisti, writer e non, e persone detenute, per lasciare alla collettività reclusa e libera una riflessione sui vissuti dell’uomo.

Saranno presenti all’evento l’Assessore alle Politiche Culturali Silvio di Francia e del Sottosegretario al Ministero di Giustizia Manconi. Per informazioni sulla partecipazione all’evento: Ass. Ora d’Aria. Tel 06.69924595. Fax 06.69291708. mail oradaria@mclink.it

Immigrazione: comunitari espulsi, non sono state deportazioni

di Enrico Gregori

 

Il Messaggero, 19 febbraio 2008

 

"Espulsioni? A Roma siamo a quota 60, ma non ci sono state deportazioni". Improta: "Novanta giorni per un permesso, dobbiamo accelerare".

Immigrati. Se non è un pianeta, poco ci manca. Ed è un pianeta coni satelliti, nel senso che le problematiche sono tante e diverse. La normativa che regola, per esempio, un extracomunitario non si adatta al comunitario. Così come non ci può essere disciplina univoca per chi è incensurato e per chi ha commesso reati. Proprio sotto quest’ultimo aspetto, all’indomani del delitto Reggiani, ci fu una sorta di giro di vite per consentire allontanamenti di comunitari con "elevata pericolosità sociale".

Da quei giorni fino a oggi sono stati espulsi 60 cittadini che fanno parte dell’Unione Europea. Altri 70 sono monitorati in quanto verranno a breve scarcerati. È probabile che per molti di loro partirà l’istruttoria per l’allontanamento. Uno degli uffici-cardine di tutta la problematica è l’Ufficio Immigrazione della Questura a capo del quale c’è il primo dirigente Maurizio Improta.

 

Dottor Improta, forse il cittadino facendo un rapporto tra reati ed espulsioni, potrebbe dire che 60 allontanamenti sono pochi.

"Le forze di Polizia e la Prefettura parlano appunto di allontanamenti, non di deportazioni. Questo provvedimento deve riguardare le persone davvero pericolose".

 

Un esempio?

"Non proporremo mai l’espulsione di uno straniero trovato per una volta ubriaco per strada o mentre commette l’unico furto della sua vita. Ma anche chi commette reati gravi come la rapina può avere un trattamento diverso".

 

Faccia un altro esempio…

"Purtroppo nei reparti di Oncologia pediatrica ci sono molti bambini stranieri gravemente malati. In questi casi a nessuno verrebbe mai in mente di allontanare il padre, sebbene pregiudicato o autore di un reato".

 

Ma, in generale, dopo alcuni mesi di rodaggio la macchina burocratica per effettuare gli allontanamenti funziona oppure no?

"Bisogna tenere presente che l’istruttoria deve essere estremamente capillare. Polizia, Carabinieri, Vigili Urbani e Prefettura lavorano in sinergia per arrivare al risultato ottimale. Non si può privilegiare la rapidità rispetto alla regolarità. Per questo siamo anche in stretta collaborazione con la polizia romena".

 

Uscendo dalla criminalità, qual è la situazione dei permessi di soggiorno?

"A Roma e provincia ci sono circa 300.000 stranieri interessati al permesso. I motivi sono vari: lavoro, studio, religione".

 

Tecnicamente oggi cosa succede?

"Innanzitutto bisogna attendere l’apertura dei cosiddetti flussi migratori. Ipotizziamo, poi, che un romano abbia bisogno di una collaboratrice domestica pakistana. Il cittadino inoltra la domanda presso lo sportello unico per l’immigrazione della Prefettura. Contemporaneamente la straniera si reca presso l’ambasciata italiana del suo paese per ottenere il visto di ingresso. Una vota a Roma, entro 8 giorni, deve fare la richiesta del permesso di soggiorno".

 

E quando lo avrà?

"Entro novanta giorni".

 

Non sono troppi?

"Novanta giorni è il limite massimo, però ovviamente va abbattuto perché la stragrande maggioranza degli stranieri ha urgenza di mettersi in regola per poter lavorare. Esistono, e lo sappiamo, situazioni pregresse di stranieri che attendono il permesso da tanto tempo. E su questo pregresso stiamo lavorando per smaltire le pratiche".

Brasile: la storia di Simone, un italiano condannato a 12 anni

di Giampaolo Chavan

 

L’Arena di Verona, 19 febbraio 2008

 

L’hanno arrestato il 2 novembre 2005 a Natal, la capitale del Rio Grande do Norte, uno degli stati della regione del nord-est del Brasile. Con un’accusa che stona parecchio per chi è nato ed è vissuto a Verona: mafia. E oltre a questo, sostiene la polizia brasiliana, spacciava droga e sfruttava le lucciole. In tutto fa una condanna a 12 anni di carcere. Un incubo per Simone De Rossi, 31 anni, veronese di borgo Roma ora nel carcere di di Alcacuz.

Un’angoscia insostenibile per mamma e papà Renato, carrozziere. Nella loro casa di via Fiordiligi a Verona, masticano amaro, imprecano e sperano. "L’hanno condannato sulla base di carte false", sostiene il padre. E ancora: "Sta pagando per colpe non sue". E Simone sta male: "Voleva uccidersi", conferma. Non vede futuro, il giovane coinvolto in un’inchiesta a Verona sul Veneto Front Skinhead dalla quale è stato prosciolto.

La sua brutta avventura inizia nel 2004. Arriva a Natal dopo esserci stato nel 1999. Conosce alcuni italiani che gli chiedono di gestire un bar, il "Forro Cafè". Il due novembre 2005, però, gli crolla il mondo addosso. La polizia lo arresta insieme ad altre 15 persone tra i quali sei italiani.

L’operazione si chiama "Corona", scrive il settimanale "Donne" di Repubblica, la polizia parla di legami tra la Sacra Corona Unita e quel gruppo di italiani che gestiva anche un night club. Vita d’inferno nel carcere di Natal per Simone.

"Gli portano da mangiare degli amici brasiliani altrimenti rimarrebbe a digiuno" racconta il padre. Che si è recato tre volte in Brasile a perorare la causa del figlio. Inutilmente. "Mi avevano detto che lo liberavano ma non era vero" spiega. Ha parlato con il console italiano e con il giudice. Tante promesse, tutte finite solo ad aumentare rabbia e angoscia.

"Dovrebbe scontare altri 100 giorni perché non era in regola con i documenti e dovrebbero fargli un altro processo", dice il padre. Simone riceve tutte le settimane la visita in carcere della fidanzata brasiliana Sabrina. L’ha conosciuto prima di finire in cella. In carcere a Natal, i detenuti sono spesso sottoposti a controlli. "Perquisiscono le celle e ci mandano nudi in cortile sotto il sole torrido", ha raccontato Simone, "e ci lasciano lì per ore".

 

 

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