Rassegna stampa 26 aprile

 

Giustizia: la paura diventa paranoia, la politica diventa polizia

di Anna Simone

 

Liberazione, 26 aprile 2008

 

Da dove nasce l’idea del braccialetto antistupro di Rutelli? Dalla paura. Che non si scatena sui problemi reali (sono insicuri il lavoro, il reddito, la casa, la coppia), o sui pericoli veri, ma sulla "percezione del rischio". Molti abitanti di quartieri frequentati da migranti si sentono insicuri pur non avendo mai patito sulla propria pelle crimine alcuno. È la fabbrica diffusa del razzismo. Che ha bisogno della "tolleranza zero".

Non è stato solo il clima pre-elettorale romano a far scatenare l’idea perversa del braccialetto elettronico anti-stupro all’aspirante sindaco Rutelli. Piero Sansonetti ha fatto bene a parlarne sulle colonne di questo giornale domenica scorsa ricordando a tutti noi i dati delle violenze che, come ormai tutti sappiamo, si consumano prevalentemente tra le mura domestiche (solo il 6,2 % delle violenze denunciate avvengono per strada).

Il quid in più da aggiungere, però, concerne due elementi ormai imprescindibili dalla retorica sulla sicurezza: la paura che diventa paranoia pubblica e privata, la crisi del lessico politico-giuridico ovverosia la crisi della politica e del diritto così come li abbiamo conosciuti sino ad un trentennio fa. La paura è un sentimento e quindi, di conseguenza, non può che essere irrazionale. Irrazionale e incancellabile dal momento che non esistono esseri umani e animali che non hanno mai paura.

Tutte le società assolutiste e monarchiche sono state attraversate dalla paura - così come dimostra la letteratura filosofico politica, da Grozio a Hobbes, da Machiavelli a Locke - ma è solo a partire da un trentennio, in pieno repubblicanesimo, che essa diventa paranoia, ossessione, paura percepita e non reale, paura della paura. Perché? La sicurezza, sino a quando è esistito il patto keynesiano, era il semplice contrario dell’insicurezza sociale.

I fautori del lavorismo ci hanno detto per anni (e talvolta continuano ossessivamente a dircelo nonostante il radicale mutamento dei sistemi di produzione) che per sentirsi "sicuri" bastava avere una casa, un lavoro, talvolta un marito. Oggi, però, di lavoro si muore perché non c’è "sicurezza", nelle case si diventa paranoici perché c’è sempre l’ipotesi di un "ladro rom" appollaiato e in agguato dietro le nostre porte e finestre, mentre talvolta si muore sotto l’ascia di un marito italiano, di un padre o di un compagno, così come accade a moltissime donne ogni giorno della settimana. Eppure la retorica politica continua a non intervenire su questo, ma solo sul capro espiatorio che puta caso è sempre un immigrato.

All’indomani dell’omicidio di Giovanna Reggiani, Veltroni propose la cacciata dei rom e dei rumeni insieme dal territorio italiano. Oggi Alemanno propone le stesse medesime cose proposte allora da Veltroni mentre Rutelli, per distinguersi dal suo contendente "fascista", ci dice che è meglio dotare di un piccolo gioiello dell’elettronica tutte le donne italiane e della capitale in particolare (magari incastonandolo di finti diamanti che raffigurano la Lupa).

Cosa sta succedendo? Come mai tanta schizofrenia e confusione sotto al cielo? Quali sono gli anelli mancanti di questo trentennio che hanno trasformato il vuoto di senso della politica contemporanea in un problema di "ordine pubblico", di sicurezza bipartisan? Come si è trasformato il controllo sociale? Come viene definita oggi la "pericolosità sociale"? Perché la logica dei decreti d’emergenza e i programmi di prevenzione hanno sostituito i diritti di libertà, compresi quelli della libertà femminile, conquistati dopo secoli e secoli di lotte?

 

La crisi dello stato sociale, come tutti sappiamo, ha invalidato l’alfabeto dei diritti conquistati per il tramite dei conflitti sociali ma ha, contemporaneamente, aperto la strada alle politiche neoliberali. Queste non reggono l’impatto violento della mano invisibile dell’economia globalizzata e producono pauperismo, disperazione, incapacità di progetto, impossibilità di arrivare a fine mese per la gran parte degli individui.

Ma produce anche innumerevoli vite di scarto che non hanno mai voluto uniformarsi alla disciplina che richiede qualsivoglia sistema di welfare basato sul lavoro e non sulla possibilità di accesso ad un reddito minimo di esistenza. E il reddito - almeno per quel che mi concerne - non lo si chiede perché si è fannulloni, ma solo perché si presume che scegliere il lavoro che si desidera svolgere senza necessariamente finire in un call center (anche se con un contratto a tempo indeterminato) debba essere appunto una libera scelta e non una costrizione sadica dei sistemi di produzione contemporanei.

Una siffatta situazione, si sa, non può che istigare al conflitto, alla messa in discussione dell’ordine costituito. Ciò che le politiche neoliberali producono non può che rivolgersi contro di loro. Di qui la paranoia sicuritaria anche quando il rischio è solo tale e non costituisce un pericolo reale. Il rischio, infatti, è una probabilità. Il pericolo è un dato di fatto. Eppure il rischio che ormai si calcola attraverso formulette matematiche rintracciabili in quasi tutti i manuali di sociologia spesso viene assunto come un pericolo reale, anche quando non è affatto così.

È la fabbrica del rischio, ci ricordano Robert Castel ma anche altri autori come Wacquant, che costruisce la logica del controllo sociale e anche della "pericolosità" nelle società contemporanee. La nozione di "rischio", inoltre, legandosi alla nozione di "prevenzione" consente di modellare le condotte per addolcirle e sussumerle al sistema politico e sociale come se, appunto, vi fosse una reale ed intrinseca "pericolosità" in tutti gli esseri umani.

Lavorare sulla percezione dei rischi e non sulla pericolosità reale che genera la nostra società, quindi, equivale ad una presa di coscienza collettiva che ancora tarda a trasformarsi in parola da parte di chi ci governa (maggioranza e opposizione insieme). Perché non spiegate ai cittadini che lo stato sociale non c’è più e al suo posto c’è lo stato sicuritario e penale?

Perché non parlate di questo, della crisi del lessico politico-giuridico anziché giocare a fare i poliziotti? La politica sicuritaria dei governi neoliberali del presente restringe moltissimo il campo dei diritti individuali e collettivi, restringe le libertà di movimento e di circolazione utilizzando pratiche poliziesche e sociali di tipo "chirurgico".

In poche parole si tende ad espellere dalla società potenziali criminali e/o criminali reali come se fossero un organo malato di un corpo sano senza mai intervenire su tutto il corpo che invece non funziona per intero e da anni, si interviene sempre sugli effetti senza mettere in discussione le cause. Non esiste un’antropologia criminale innata, di tipo lombrosiano e naturalistico, esiste invece una tendenza a delinquere generata dai sistemi politici, culturali e sociali come, tra l’altro, sostengono da anni sociologi del diritto, criminologi che preferiscono studiarsi un po’ di testi foucaultiani piuttosto che frequentare il salotto forcaiolo di Bruno Vespa. La retorica sulla sicurezza ha avuto non a caso tra i suoi padri fondatori uno statunitense liberale e forcaiolo al contempo, come da copione: Rudolph Giuliani.

Le misure di zero tolerance tendono a prevenire il crimine anche quando questo non è in agguato ma, al contempo, mettono in crisi lo stesso vocabolario del diritto penale il quale oltre a generare la logica del "sorvegliare, punire, rieducare" appoggia il suo agire sui principi della giustizia garantista e sul principio dell’Habeas corpus.

Eppure Genova ci ha dimostrato che non necessariamente la polizia è un’equivalente della sicurezza basata sui principi del diritto, mentre la persecuzione dei lavavetri messa a punto da Dominici e da Cofferati ci dimostra come la politica non si può più distinguere dalla polizia, come se, appunto, tra i due sistemi di potere non vi fosse più alcuna differenza.

Eppure, sino a prova contraria, agli elettori si chiede di votare esponenti di partiti e coalizioni e non poliziotti che aspirano a diventare questori e prefetti. Ma perché la gente ha paura al punto tale da votare in massa la Lega e in buona sostanza anche il Pd che della sicurezza ha comunque fatto uno dei suoi cavalli di battaglia?

Più volte in questi giorni, anche discutendo con amiche e colleghe, mi è stato detto che "la gente ha effettivamente paura" e su questo bisogna interrogarsi, nonché dare delle risposte. Non metto in discussione che questo possa esser vero, altrimenti non mi spiegherei molte cose, ma vorrei anche che questa paura paranoica fosse reale e non solo una "percezione" di cui in molti sono intrisi e ubriachi.

E poi vorrei anche distinguere tra la percezione del pericolo reale e il "rischio" che possa accadere loro qualcosa. Molti abitanti di quartieri frequentati da migranti si sentono minacciati pur non avendo mai vissuto sulla loro pelle crimine alcuno. Questo dato reale la dice lunga su come in questi anni i mezzi di comunicazione di massa abbiano costruito il concetto stesso di "pericolosità sociale" legandolo prevalentemente agli immigrati.

Così come un tempo si faceva con gli abitanti del Sud che per forza di cose erano tutti "terroni" punto e basta. Essere puniti, esclusi e messi alla gogna per "ciò che si è" e non per "ciò che si fa", però, è un dato di fatto ancora più pericoloso della potenziale "pericolosità sociale" precofenzionata dall’ideologia del rischio perché, come dicevamo prima, ci immette in una no man’s land della politica che ha violentemente azzerato tutti i diritti di libertà favorendo la logica della "certezza della pena" senza che vi sia la "certezza del reato".

Chiediamoci pure perché l’operaio della Mirafiori vota la Lega accusando contemporaneamente la sinistra di occuparsi solo di "froci e rom", ma facciamolo dicendoci anche che la fabbrica diffusa del nostro presente non è più quella degli anni ‘70 e del movimento operaio. È la fabbrica diffusa del razzismo, di una disperazione che facilmente diventa paranoia e di una realissima "guerra fra poveri". Ma per questo ci vuole un’analisi della crisi del presente, non un’analisi della crisi di un partito che rischia di ritornare al passato. E la ragione è ovvia: il passato non c’è più.

Giustizia: l'Anm… quando la magistratura scimmiotta la politica

di Riccardo Arena (Direttore di Radio Carcere)

 

www.radiocarcere.com, 26 aprile 2008

 

Il rinnovo della giunta dell’Anm. Sabato 19 aprile, verso le 10.30, arrivo trafelato in Cassazione. Sono in ritardo. Alle 10 è fissata una riunione dell’Associazione nazionale magistrati. L’incontro è importante. Si deciderà, forse, il nuovo assetto dell’organo di governo dell’Anm.

L’esito delle elezioni politiche impone un cambiamento. Inutile negarlo. L’avvento di Berlusconi al governo preoccupa, e non poco, molte componenti della magistratura. Soprattutto le correnti di centro sinistra. Si profilano riforme ritenute contro i magistrati. Si preannuncia una stagione di forte contrapposizione tra politica e magistratura. Da qui la necessità di rafforzare la componente di sinistra nell’esecutivo dell’Anm.

Già venerdì 18 aprile, tutte le correnti della magistratura si sono riunite separatamente, facendo le ore piccole. E ora tutto sembra deciso. Si voterà per una giunta composta da Magistratura Democratica, Movimenti e Unicost. Unica esclusa: Magistratura Indipendente, più vicina alla destra, che non vuole fare un’opposizione al governo Berlusconi. Ed ancora. Giuseppe Cascini (Md) sarà il nuovo segretario dell’Anm. Mentre salgo in ascensore per raggiungere il sesto piano della Cassazione, penso che questa previsione indica un primo dato: l’avvento di Berlusconi non unisce la magistratura, ma ne marca le divisioni interne.

Ore 10.35, si aprono le porte dell’ascensore e la mia fretta si placa. La riunione non è ancora iniziata. I magistrati, divisi in gruppi, discutono fra loro. Ogni gruppo, una corrente. La scena è questa. I magistrati dei Movimenti, discutono in terrazza. Quelli di Magistratura Democratica in una stanza, i magistrati di Magistratura Indipendente in un’altra. Nel corridoio discutono i componenti di Unicost. Tutti magistrati, tutti divisi. Divisioni incomprensibili dall’esterno. Di dubbia utilità per la Giustizia.

Ogni tanto, un magistrato si stacca da un gruppo e cerca un’intesa con un’altra corrente. Poi di nuovo ai posti di prima. È la magistratura che scimmiotta la politica. Mentre perplesso guardo la scena, il tempo passa.

Alle 12 finalmente, inizia la riunione. Seguono ore di inutili parole. Parole che ricordano le note suonate dall’orchestra del Titanic, mentre la nave affondava. Magistratura Indipendente presenta una mozione che mira a un rinvio. La proposta viene bocciata e con essa la possibilità di una giunta unitaria. Ovvero un governo dell’Anm composto da tutte le correnti della magistratura.

Alle 14 la riunione è sospesa per la pausa pranzo. In quattro ore non si è fatto ne deciso nulla. Tempo perso inutilmente. Come accade in quelle udienze interminabili di quei processi che non si decideranno mai. La battuta mi sorge spontanea: "Ora ho capito perché i processi durano tanto!" Qualche giudice sorride. Altri no.

Diversi gruppi si formano per l’uscita. Ogni gruppo di magistrati, una diversa corrente. Lo spettacolo è curioso. Ciascuno prende un ascensore diverso. Ogni corrente va in un ristorante diverso. Md prova ad invitare a pranzo i magistrati dei Movimenti, con i quali è prevista l’intesa, ma un garbato "no grazie" preannuncia quello che accadrà nel pomeriggio.

Io, escluso dai pranzi correntizi, ne approfitto per fare una passeggiata. Devo chiarirmi le idee. Sono perplesso. Non riesco a capire. Come è accaduto che tante intelligenze che compongono la magistratura siano così divise, non dai principi, ma dalle correnti? Nella mia ingenuità penso alla Giustizia, al Giudice, al processo e non alla Giustizia di Md, di Mi, dei Movimenti o a quella di Unicost. Correnti che a forza di separare, hanno diviso ciò che è unito. L’efficienza della Giustizia e della Magistratura. Ed ancora. Se L’Anm si comporta peggio dei politici, come può contribuire a una migliore politica sulla Giustizia?

Senza risposte, alle 14.30, torno in Cassazione. La riunione è ancora sospesa. Le varie correnti sono appartate per discutere. Un magistrato vede la mia faccia sbigottita e dice: "Non pensare che sia sempre così!" Un altro ribatte: "Sì, sì, è sempre così".

Alle 16 la riunione riprende. Dico: "bene, ora votano". E invece no. I magistrati dei Movimenti chiedono un rinvio per fissare le priorità che la nuova giunta dovrà affrontare. Ne nasce una bagarre. Qualche mala lingua sussurra: "È solo una questione di poltrone". Interviene Giuseppe Cascini: l’Anm non è un sindacato. Solo la Giustizia ci deve interessare. Se ci vendiamo per un piatto di lenticchie, ci tratteranno come impiegati!

Ore 17.55, la riunione è di nuovo sospesa. Molti magistrati, di diverse correnti, sono delusi. Scuotono la testa. Il senso di frustrazione è trasversale. Ore 18.35, "La giunta dell’Anm è rinviata a mercoledì 23 aprile". Quando, in serata, Giuseppe Cascini diventa il nuovo segretario dell’Anm.

Giustizia: Veltroni; problemi di sicurezza dovuti anche all’indulto

 

Apcom, 26 aprile 2008

 

I problemi della sicurezza sono dovuti anche all’indulto approvato nel 2006, un "errore" di cui però è responsabile, oltre al Centrosinistra, anche Forza Italia. Il segretario del Pd, Walter Veltroni, durante una manifestazione per le elezioni amministrative a Roma, critica l’indulto e ricorda che fu un provvedimento condiviso da gran parte del Parlamento: "I dati - spiega Veltroni - dicono che Roma ha meno reati di Milano che pure ha la metà degli abitanti di Roma. I problemi per la sicurezza iniziano nel 2006. Intanto per l’indulto, che è stato un errore e dobbiamo dirlo chiaramente. Un errore fatto dal centrosinistra, ma anche dal partito di Berlusconi e dal candidato sindaco della destra che si astenne ma disse che, se il partito glielo avesse concesso, avrebbe votato a favore".

Veltroni quindi ricorda le regolarizzazioni di clandestini compiute durante gli anni del Governo Berlusconi fra il 2001 e il 2006 e aggiunge: "La questione della sicurezza andrebbe affrontata da persone serie, ma non è un obbligo essere persone serie...". Aggiunge il segretario del Pd: "Dire espelleremo 20mila clandestini è una balla. E poi uno potrebbe replicare: tutte queste balle perché non le avete applicate nelle città dove avete governato?".

Giustizia: 18mila € per "reinserimento sociale" ex-parlamentari

di Paolo Bracalini

 

Il Giornale, 26 aprile 2008

 

Incredibile, gli ex parlamentari hanno diritto ad una "indennità di reinserimento sociale", nemmeno fossero tossicodipendenti, o detenuti che tornano alla vita civile dopo anni di reclusione: 18mila euro per i 22 mesi passati nelle Aule parlamentari. A questi si aggiunge l’immediato riscatto dei contributi versati in 22 mesi, circa altri 24mila euro. In totale quasi 8 milioni spesi per la "buonuscita" di 180 tra deputati e senatori non rieletti.

Vanno aiutati, poveretti, mettetevi nei loro panni. Da un giorno all’altro si sono trovati così, senza una poltrona, senza un portaborse, senza l’auto blu, insomma in mezzo a una strada. Erano onorevoli, senatori, ora tornano cittadini qualunque. Sai che trauma? E allora, non vogliamo dargli una mano?

Sì, è vero, hanno una bella liquidazione per quei ventidue mesi di sudore passati tra la buvette e le aule del Parlamento, impegnati in durissime votazioni, dal lunedì al giovedì, in riunioni di commissione, in impegnativi quiz di cultura generale con le Iene. Ma serviva qualcosa in più. Meno male che il Parlamento ci ha pensato, e ha fatto una leggina per questi sfortunati non rieletti dopo la prima legislatura. Ed eccolo il regalino per addolcire l’amarezza di non essere più trai banchi. Un piccolo pensiero, s’intende, ma è pur qualcosa: 24.189,78 euro in moneta contante, passare alla cassa di Montecitorio o Palazzo Madama per ritirare. In tutto qualcosa come 4,5 milioni di euro (secondo i calcoli di Panorama e del Sole 24 Ore) che peseranno sulle casse già provate delle due Camere.

La cifra corrisponde ai contributi versati dagli ex parlamentari per quella pensione che, sfortuna loro, non hanno fatto in tempo a maturare visto che la legislatura è finita prima del dovuto. Bastavano solo altri otto mesi e ce l’avrebbero fatta, invece per colpa di Mastella niente da fare. Però i contributi sì, eccoli pronti. Un gruzzolo messo da parte ogni mese, prelevato da quel modesto stipendio di 12 mila euro lordi circa mensili. Spetta a 180 ex parlamentari, 120 ex deputati e 60 ex senatori. Nessun lavoratore in Italia ha questo privilegio e per riscattare i contributi deve aspettare l’età della pensione. I parlamentari no, loro possono averli indietro subito. Chissà quanti di loro nemmeno sapevano di questo ennesimo privilegio. Lo hanno scoperto aprendola casella della posta, a casa loro.

Perché si è scomodato l’Ufficio contabile del Parlamento per informarli dell’assegno in arrivo: i non rieletti al primo mandato saranno risarciti dei contributi pensionistici versati nei mesi di attività legislativa, somma corrispondente - come detto - a oltre 24 mila euro rivalutati, si faccia attenzione, "secondo l’indice Istat di incremento annuo dei prezzi al consumo per le famiglie degli operai e degli impiegati". Difficile che siano mai andati a fare la spesa al supermercato, ma c’è il Parlamento che tiene d’occhio per loro i prezzi di latte, pane e ortaggi, non sia mai che il gruzzolo si assottigli troppo e non ce la facciano ad arrivare alla fine del mese. Basta che presentino una richiesta di rimborso e il bonifico partirà automaticamente. Anche i contributi di reversibilità, per chi li avesse versati, sono riscattabili. Tutto semplice, immediato, come è efficiente la burocrazia italiana…

Ma c’è dell’altro. L’incredibile "indennità di reinserimento sociale" per gli ex parlamentari, nemmeno fossero tossicodipendenti, o detenuti che tornano alla vita civile dopo anni di reclusione. Per "reinserire" nella società gli ex deputati e senatori è prevista una congrua somma, che equivale a circa 9mila euro per ogni anno passato nelle Aule parlamentari. I nostri sfortunati, avendo faticato 22 mesi, riceveranno comunque 18mila euro, come se avessero fatto due anni completi. Tra tutti si arriva alla ragguardevole cifra di 3,2 milioni di euro. Perché anche il tempo, dalle parti di Montecitorio, segue leggi particolari. Sei mesi più un giorno, solo per un politico, equivalgono a un anno.

Giustizia: Contrada; legale a Cassazione "scarceratelo o morirà"

 

Agi, 26 aprile 2008

 

Il legale di Bruno Contrada, l’avvocato Giuseppe Lipera, ha presentato ricorso in Cassazione contro l’ordinanza del Tribunale di Sorveglianza di Napoli, datata 3 aprile 2008, con la quale era stata nuovamente rigettata l’istanza di differimento della pena o in subordine di detenzione domiciliare per l’ex 007 del Sisde che sta scontando 10 anni per concorso esterno in associazione mafiosa nel carcere militare di Santa Maria Capua Vetere. Il difensore ricorda le difficili condizioni di salute di Contrada, "incompatibili con il carcere", e la richiesta di eutanasia avanzata dalla sorella Anna.

Nel dettaglio, si contesta che l’ordinanza impugnata si basa su una errata interpretazione della norma sul differimento della pena, secondo cui l’infermità deve manifestarsi in forma grave, esemplificata da una prognosi infausta imminente o ravvicinata ovvero dal pericolo di altre rilevanti conseguenze dannose sullo stato di salute generale del soggetto. "Alla luce degli ultimi indirizzi interpretativi - argomenta Lipera - sono proprio quei presupposti che, negati dal tribunale di sorveglianza, ricorrono invece nel caso di Bruno Contrada.

L’indirizzo espresso dalla Cassazione rappresenta in modo completo e veritiero la condizione fisica ed umana in cui versa il povero Contrada". Un quadro che si ricava, aggiunge, analizzando le numerose perizie formulate dai medici che mostrano "come le condizioni di salute dello stesso sono talmente gravi e cronicizzate da risultare incompatibili con il regime carcerario cui è attualmente sottoposto perdendo 14 chili in otto mesi. Non si può negare che il Contrada versi in una condizione di gravità dell’infermità fisica, che il suo diritto alla salute è stato violato e, che si è palesemente lesa la sua integrità fisica e la sua salute".

Il legale riporta anche il parere del servizio sanitario del carcere: "Alcune delle patologie emerse hanno una elevata percentuale di mortalità e sono, tra l’altro, correlate funzionalmente tanto da indurre un fenomeno a catena quando si verifica lo scompenso di una di esse. In definitiva il complesso nosologico che affligge il detenuto consente di affermare che quest’ultimo è incompatibile con il regime di restrizione". Conclude Lipera: "Questa difesa spera di non assistere ad un accoglimento postumo delle aspirazioni umane di Contrada dal momento che la sua volontà di porre fine alle sofferenze fisiche e morali si è materializzata di recente con una richiesta di eutanasia".

Verona: arrestato per violenze sulla nipotina, si impicca in cella

 

L’Adige, 26 aprile 2008

 

Aveva abusato della bimba che gli era stata affidata per ragioni di disagio sociale per sei anni, da quando lei aveva soli 7 anni fino a quando è arrivata a compierne 13.

Forse non ha sopportato il peso enorme della colpa. Forse rinchiuso in quella cella di isolamento del carcere di Montorio, a Verona, ha pensato alla nipote che aveva abusato quando aveva solo sette anni e - con molti anni di ritardo - ha capito per la prima volta l’enormità dei suoi gesti. Forse dietro le sbarre il pensiero è tornato alla sua stessa famiglia, ai figli e alla moglie, al loro senso di vergogna per quello che lui era stato capace di fare. Forse in carcere - questa però è solo un’ipotesi - l’indagato ha subito violenze psicologiche e fisiche. Non sapremo mai con certezza perché il pensionato sessantenne della Valsugana abbia deciso di togliersi la vita poche ore dopo essere giunto in carcere, arrestato per aver commesso atti sessuali sulla sua nipotina.

Di certo c’è che l’uomo è stato trovato all’alba, morto. Per togliersi la vita il pensionato ha utilizzato le lenzuola del letto. All’ufficio matricola, infatti, tutti i detenuti devono lasciare lacci per le scarpe, la cintura e tutti gli oggetti che potrebbero facilitare un suicidio. Ma nel letto c’erano le lenzuola, quella che nei vecchi film vengono annodate e utilizzate per calarsi lungo il muro sono servite all’indagato per togliersi la vita. L’uomo era in cella da solo perché, come sempre in questi casi, doveva rimanere in isolamento, senza leggere giornali o guardare la tv, fino all’interrogatorio di garanzia. Nella notte è andato nel piccolo bagno annesso alla cella e si è impiccato alle sbarre.

Quando gli agenti di polizia penitenziaria lo hanno trovato nel bagno, il detenuto era ormai senza vita. In mattinata il pm di turno della procura di Verona ha condotto un sopralluogo in carcere. Il magistrato ha concluso che si è trattato di suicidio, senza altri retroscena. Per questo la procura scaligera è orientata a non richiedere l’autopsia. Il procedimento giudiziario si chiude dunque per morte del reo. Sulle responsabilità penali del pensionato in verità non c’erano dubbi.

Gli uomini della Squadra mobile avevano raccolto una notevole mole di fonti di prova. Il primo passo in avanti lo avevano fatto grazie ad un’intuizione: quando la ragazza ventenne venne a denunciare di essere importunata via sms da uno sconosciuto, capirono che quello non era solo uno dei tantissimi casi di molestie telefoniche. C’era qualcosa di più. Scavarono aiutati anche dalla ragazza che, vinte paure e pudori, scrisse una sorta di memoriale in cui ripercorse le tappe delle terribili violenze sessuali subite da parte dello zio che dopo tanti anni era tornato alla carica ricattandola.

Chiedeva prestazioni sessuali altrimenti avrebbe diffuso le foto che lui le aveva scattato con una molti anni prima, durante i loro "giochi" sessuali. Quelle foto, però, alla fine si sono rivelate una trappola mortale per lo stesso vecchio zio. Quello ricostruito dagli inquirenti è un vero e proprio racconto dell’orrore, anche perché la bambina viveva già uno stato di difficoltà familiare e per questo era stata affidata allo zio dai servizi sociali.

La piccola per un anno rimase insieme al parente. Durante questo periodo la bimba sarebbe stata sottoposta a reiterate violenze sessuali, abusi che l’uomo aveva immortalato in qualche circostanza anche con la Polaroid. Quando la polizia gli è arrivata in casa, gli investigatori hanno trovato nascosta in garage una scatola dei "ricordi": foto, vibratori, mutandine e persino dei biglietti autografi scritti dalla ragazzina. Prove inequivocabili delle violenze. L’uomo è stato dunque arrestato per ordine del gip Marco La Ganga e su richiesta del pm Alessandra Liverani. Condotto nel carcere di Montorio, dove esiste un braccio riservato ai detenuti per resti sessuali, l’indagato si è ucciso durante la prima notte in cella.

Milano: 28 detenuti alle dipendenze dell’Amsa per pulire strade

 

Agi, 26 aprile 2008

 

Ventotto detenuti alle dipendenze dell’Amsa. Dopo la sperimentazione dello scorso agosto, il comune di Milano, rappresentato dall’assessore Mariolina Moioli, ha siglato un Protocollo d’Intesa con Sergio Galimberti, Presidente Amsa, e Luigi Pagano, provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria di Milano, per l’assunzione, con contratti di collaborazione continuativa a progetto, nelle fila dell’Azienda Milanese Servizi Ambientali di 28 detenuti delle carceri di Bollate, Opera e San Vittore.

I contratti avranno durata di sei mesi, eventualmente prorogabili sino ad una durata massima complessiva di dodici mesi. Il Protocollo si inserisce in un più vasto percorso di reinserimento sociale e lavorativo di detenuti ed ex detenuti intrapreso dall’assessorato alla Famiglia, Scuola e Politiche sociali che comprende, fra gli altri, il progetto di accoglienza "Un tetto per tutti", che ha come obiettivo quello di estendere le opportunità di housing sociale presenti sul territorio alle persone sottoposte a misure penali esterne e al termine della detenzione; il progetto "Punto a capo" che prevede che un educatore inizi, tre mesi prima della scarcerazione, una serie di colloqui con il detenuto per prepararne l’inserimento sociale e lavorativo.

Milano: detenuto 24enne evade ospedale con lenzuola annodate

 

Ansa, 26 aprile 2008

 

Non è ancora stato trovato l’uomo che è evaso dal reparto per detenuti dell’ospedale Fatebenefratelli. Il giovane, di 24 anni, sarebbe fuggito come in un film, forzando la finestra e calandosi dal secondo piano con l’aiuto di alcune lenzuola annodate. Alla base della fuga del rapinatore, che avrebbe dovuto scontare altri tre anni, pare ci sia l’amore: arrestato lo scorso gennaio, si era sposato solo qualche giorno prima e, forse, non si aspettava di passare la luna di miele a San Vittore. Sono state proprio le sue condizioni psicologiche instabili a portarlo, la scorsa settimana, nel reparto di psichiatria del Fatebenefratelli.

Nella Milano sonnacchiosa e semideserta del primo pomeriggio del 25 aprile, il giovane, descritto come atletico, dovrebbe aver approfittato del cambio turno degli agenti della penitenziaria per forzare la finestra e calarsi in strada, sul retro dell’ospedale, che si affaccia su via Fatebenesorelle, in zona Brera. Non si sa se qualcuno lo aspettasse in strada o meno, ma quando gli agenti sono entrati nella sua stanza, il suo letto era vuoto e le lenzuola penzolavano dalla finestra. Il comandante della polizia penitenziaria di San Vittore ha aperto un’inchiesta interna sull’evasione. L’inchiesta interna, alla quale se ne affianca una della Procura, dovrà accertare la dinamica di quanto è accaduto ed eventuali responsabilità in vista di un possibile procedimento disciplinare.

Vicenza: Provincia finanzia corso agricoltura biologica in carcere

 

Giornale di Vicenza, 26 aprile 2008

 

L’Assessore Provinciale all’Agricoltura riattiva i contatti fra il suo Dipartimento e la Casa Circondariale di Vicenza sostenendo la realizzazione del corso di "Agricoltura Biologica" organizzato dal C.I.A. all’interno della struttura di S. Pio X. "Abbiamo accolto con favore - spiega l’Assessore Vascon - la proposta del Centro Istruzione Professionale Assistenza Tecnica della Confederazione Italiana Agricoltori.

Credo che se il carcere e i luoghi di detenzione debbano essere anche luoghi di recupero sociale questo abbia ancor più senso attraverso le pratiche agricole. Perché la terra è un valore assoluto, non solo perché ci vuole fatica, sudore, forza e fede ma anche per l’amore che sa tirare fuori da ognuno di noi mano a mano che il suo ciclo - dalla semina alla crescita alla fioritura e poi ai frutti - si dispiega sotto gli occhi e le mani di chi la lavora. Come sempre dobbiamo fare i conti con la tirannia dei bilanci, ma il contributo erogato ha per me anche un grande valore morale".

L’ iniziativa fa seguito ad un altro finanziamento stanziato nel 2006 dalla Provincia e sarà utilizzato per l’acquisto di materiale necessario per improntare le coltivazioni primaverili, vale a dire concime, piantine, prodotti per la difesa fitosanitaria consentiti per questo tipo di agricoltura. "È un’occasione credo - commenta l’Assessore - anche per migliorare l’impatto visivo della stessa realtà carceraria. Al di là di questo, comunque, resta la considerazione che l’Ente Pubblico ha il dovere di provare a recuperare alla società e ai suoi valori migliori persone che hanno sicuramente sbagliato ma che sono pronte, dopo aver pagato il giusto debito con la Legge e gli Uomini, a riprovare a dare un senso alla propria esistenza".

Marsala: laboratori artigianali in carcere con Comune e imprese

 

La Sicilia, 26 aprile 2008

 

Avviato il progetto di orientamento in favore dei detenuti ospiti nella Casa Circondariale di Marsala. A darne comunicazione all’Amministrazione Carini è il direttore del penitenziario Paolo Malato che ha accolto l’iniziativa dell’Anfe regionale volta ad offrire servizi e assistenza gratuita tramite il personale qualificato della suddetta Associazione.

Il progetto sociale, rivolto anche ad ex detenuti, è stato promosso dall’assessore agli Affari generali Mimma Miceli, ed ha lo scopo di realizzare laboratori artigianali con il coinvolgimento di imprese che operano nel territorio. L’iniziativa, in questa sua prima fase sperimentale, prevede per il 2008 diverse attività settimanali da svolgersi all’interno della Casa circondariale di Marsala.

Fossano: Bruno Mellano (Radicali) in visita a Casa di Reclusione

 

Agenzia Radicale, 26 aprile 2008

 

Mellano: "Assolutamente necessario terminare i lavori di ristrutturazione previsti". Lunedì 21 aprile, Bruno Mellano, deputato Radicale uscente, ha visitato la Casa di Reclusione Santa Caterina di Fossano. Mellano è stato accolto ed accompagnato nella sua visita dal direttore del carcere, dott. Edoardo Torchio, ed ha incontrato sia il personale della polizia penitenziaria che l’equipe trattamentale, oltre che la popolazione detenuta. I detenuti presenti al "Santa Caterina" erano 115, tutti maschi, appena una trentina di nazionalità italiana, tutti gli altri stranieri ed essenzialmente extracomunitari: al di là di alcuni romeni, si tratta di persone provenienti da Marocco, Tunisia, Nigeria, Gabon e dal sud America.

Da quando l’Istituto è stato rimesso in funzione a pieno regime, nel novembre scorso, dopo una fase di ristrutturazione straordinaria, la percentuale di stranieri è stata del 70%. Mellano ha visitato, guidato dai formatori del Cfpp il corso di saldo-carpenteria e di cablatore, dove sono inseriti 14 detenuti ciascuno. Una decina di reclusi segue il corso di alfabettizzazione, mentre il corso di falegnameria, da anni proficuamente attivo presso l’Istituto, non è al momento operativo per problemi logistici: purtroppo le attrezzature sono immagazzinate e non utilizzate. La Casa di Reclusione è stata oggetto di una radicale ristrutturazione, fra il 2005 ed il 2007, con interventi in particolare sulle celle, dove sono state realizzate le docce e la pavimentazione.

I detenuti prima dell’indulto avevano superato quota 150, su una popolazione massima tollerabile di 144: ora la capienza reale tollerabile è scesa a 133; dopo il periodo dei lavori e dell’indulto che aveva fatto registrare una sostanziale chiusura dell’Istituto giunto ad avere appena 10 detenuti, ora gli sfollamenti dalle Vallette di Torino e dal circuito penitenziario piemontese ha portato la struttura alla sua piena operatività. Il personale della polizia penitenziaria però, che in organico sarebbe 130, in realtà è appena di 78 agenti di cui soltanto 5 donne.

Mellano ha dichiarato: "Occorre intervenire per assicurare la piena realizzazione di tutti i lavori originariamente previsti nel piano di ristrutturazione del carcere: l’ingresso, l’accoglienza, l’armeria, la falegnameria sono interventi previsti ma non effettuati per esaurimento dei fondi, anche se assolutamente necessari. L’Amministrazione comunale ha, giustamente, più volte sollecitato il Ministero di Giustizia ed il Ministero delle Infrastrutture per il completamento dei lavori anche sulle mura di cinta, dal punto di vista della messa in sicurezza e della necessaria manutenzione anche estetica, l’edificio era un antico convento trasformato in prigione. Io sono stato e rimango convinto della bontà di mantenere le carceri nel concentrico cittadino, anche e soprattutto per facilitare il reinserimento dei detenuti ed il prezioso lavoro dei servizi sociali: Fossano conferma ancora una volta questa impostazione."

Roma: film "Jimmy della collina" arriva in sala ed è un successo

 

Roma One, 26 aprile 2008

 

C’erano anche il regista Enrico Pau e i due protagonisti di Jimmy Della Collina, Nicola Adamo e Valentina Carnelutti, ieri sera alla proiezione del film al Nuovo Olimpia di Roma, nella giornata di debutto in sala per la pellicola tratta dal romanzo omonimo di Massimo Carlotto. Il film (distribuito da Aranciafilm in collaborazione con Lab80 Film) pronto da più da anno e mezzo e premiato in vari festival internazionali, solo ora riesce ad arrivare nei cinema. "Per noi è un traguardo importante, che arriva dopo l’uscita in Sardegna, dove stiamo ottenendo un ottimo risultato.

Ora però è fondamentale il passaparola - ha spiegato Pau -. Avevamo contattato tutte le principali distribuzioni ma ci hanno detto no. Qui non si parla di liceali o universitari innamorati e lo spazio ormai sembra esserci solo per storie come Notte prima degli esami. La nostra invece è più Notte prima della rapina". Secondo Pau "l’unica possibilità che ha il nostro cinema di andare avanti è raccontare il Paese reale.

Per questo sono molto contento che Garrone sia a Cannes con Gomorra, in cui c’é un’Italia non artificiale". Per il regista Jimmy della Collina mette in scena "un adolescente in fuga da se stesso, e da una società in cui ormai i ragazzi hanno come punto di riferimento più i centri commerciali che la famiglia. Quelle del protagonista sono scelte dure, rapidissime, inspiegabili, e possono cambiare una vita. Decisioni che i giovani di quell’età si trovano spesso repentinamente ad affrontare".

Protagonista della storia è Jimmy (il bravissimo 29enne Nicola Adamo, al suo debutto sul grande schermo, perfettamente a suo agio nei panni di un ragazzo di 10 anni più giovane) quasi diciottenne sardo che non si rassegna a una vita da operaio in fabbrica e sogna una vita diversa in Messico. Il ragazzo si fa convincere a partecipare a una rapina ma viene preso e rinchiuso nel carcere minorile di Quarticciu (dove il film è stato girato), vicino Cagliari. Qui, Jimmy, che ha l’idea fissa della fuga, entra in contatto con Claudia (Carnelutti), una volontaria con una storia durissima alle spalle, e la vera realtà de La Collina, comunità di recupero per giovani carcerati creata da Don Ettore Cannavera (interpretato da Francesco Origo).

Pau, che per la pellicola ha vinto, fra gli altri, il Premio Cicae al Festival di Locarno l’Arcagiovani a Giffoni, ha trasportato la storia, ambientata da Carlotto nel nord est, nella natia Sardegna. "Quando ho chiamato Carlotto (che appare nel film in un cameo, ndr) per parlargli del progetto, lui si è subito dimostrato disponibilissimo e ci ha aiutato con molte idee". Prima delle riprese, durate cinque settimane, "abbiamo fatto ricerche per un anno, e abbiamo parlato a lungo con i ragazzi di Quartuccio - ha aggiunto Pau, che ha voluto nel cast anche molti non professionisti tra cui vari giovani detenuti -.

Molte delle cose di cui siamo stati testimoni, o che ci hanno raccontato, sono finite nella sceneggiatura. Certi sguardi malinconici che ho visto dietro quelle sbarre mi resteranno sempre dentro". Quel contatto diretto è stato di grande aiuto anche per Nicola Adamo: "Oltre all’impatto umano profondo, ho potuto conoscere dai ragazzi i rituali della loro vita là, ed avere così una visione molto più realistica di Jimmy". Al film hanno offerto la loro piena collaborazione sia le autorità carcerarie che la comunità de La Collina: "Penso sia importante - ha concluso Pau - far conoscere realtà preziosissime di una qualità umana fondamentale come quella creata da Don Ettore".

Immigrazione: Viminale; impennata reati commessi da stranieri

di Fiorenza Sarzanini

 

Corriere della Sera, 26 aprile 2008

 

Negli ultimi dodici mesi si è verificata un’impennata dei furti e delle rapine e una crescita costante delle violenze sessuali. Nella fotografia della criminalità straniera che agisce in Italia, romeni, marocchini e albanesi confermano il proprio primato negativo.

Tra clandestini e regolari entrati nel nostro Paese negli ultimi quattro anni, sono loro a commettere il maggior numero di delitti con un’impennata che negli ultimi dodici mesi ha riguardato i furti e le rapine e una crescita costante delle violenze sessuali. Sale anche il numero dei danneggiamenti e degli incendi, così come quello delle lesioni dolose e delle estorsioni. Tra il 2004 e il 2007 alcuni illeciti sono raddoppiati, altri addirittura triplicati.

I dati del ministero dell’Interno forniscono la situazione in materia di sicurezza. E in cima alla lista collocano proprio i romeni che nel 2007 hanno compiuto 16.558 furti (4.433 in più rispetto al 2006), 1.723 rapine (407 in più) mentre le violenze sessuali sono state 397 (con un incremento di 98 denunce). Allarmante è il numero delle lesioni dolose (1.872), che nella maggior parte dei casi sono il risultato di risse e vendette compiute tra connazionali.

Nella classifica del Viminale al secondo posto per delitti commessi ci sono i marocchini con 3.333 furti (402 più dell’anno precedente), 1.254 rapine (aumento pari a 137 casi) e 262 violenze sessuali (30 in più). Per questa tipologia di illeciti gli albanesi sono al terzo posto con un andamento criminale che si mantiene costante. In questa etnia sale invece il numero delle persone arrestate e denunciate per violazione della legge sugli stupefacenti, in particolare per quanto riguarda il traffico e lo spaccio.

Cifre alte che sono comunque ben distanti da quelle che tracciano l’andamento della criminalità italiana. Per quanto riguarda i reati di maggior allarme sociale il rapporto rimane infatti di uno a dieci. Sono ancora una volta i numeri a fornire il quadro. Nell’ultimo anno i delitti compiuti da nostri connazionali sono stati 550.558 con 43.508 furti, 12.527 rapine e 2.705 violenze sessuali. Il totale delle denunce contro i romeni è di 47.425, 39.012 quello dei marocchini, 19.291 contro gli albanesi.

A preoccupare gli analisti è l’andamento della criminalità straniera, questa crescita costante che si manifesta soprattutto con un aumento della violenza e con l’efferatezza delle azioni. Un allarme sottolineato già nel rapporto sulla criminalità reso pubblico dallo stesso Viminale la scorsa estate: "La malavita romena si sta consolidando in modo sempre più preoccupante e verosimilmente tenderà via via a inserirsi sempre più incisivamente nello scenario criminale nazionale. Ciò, anche in relazione al connesso intenso flusso migratorio degli ultimi tempi, che ha contribuito ad alimentare sacche di marginalità, le quali rappresentano il primo passo verso il coinvolgimento in attività delittuose.

Tale criminalità sembrerebbe infatti ripercorrere, addirittura in modo più rapido, le tappe evolutive che hanno caratterizzato l’escalation della malavita albanese, affermandosi progressivamente sia per numero che per potenzialità criminale". E questo nella consapevolezza che proprio i gruppi albanesi "nella maggior parte dei casi continuano a rispondere ai referenti che si trovano nel Paese d’origine", quindi restano inseriti in organizzazioni perfettamente strutturate e gerarchizzate.

Nelle ultime settimane il vicecapo della polizia Nicola Cavaliere, delegato a gestire i rapporto con i colleghi di Bucarest e la task force mista creata dopo il delitto di Giovanna Reggiani avvenuto nell’ottobre dello scorso anno all’uscita di una stazione a Roma, ha intensificato contatti e disposto il raddoppio degli ufficiali di collegamento.

Le intese politiche siglate subito dopo l’omicidio prevedevano fra l’altro la possibilità di verificare, tenendo conto degli accordi presi in sede comunitaria, i flussi in uscita dalla Romania verso l’Italia. Un controllo che ora si vorrebbe potenziare disponendo accertamenti anche alle frontiere terrestri.

"I sodalizi romeni - si legge nella relazione annuale - hanno acquisito una pericolosità operativa anche a livello internazionale evolvendosi, rispetto alla tradizionale struttura organizzativa caratterizzata da piccole bande, con limitata capacità criminogena, dedite prevalentemente alla commissione di reati contro il patrimonio o a procurare ai propri connazionali la documentazione occorrente per espatriare fraudolentemente in altri Stati in gruppi organizzati capaci di portare a compimento attività illecite di tipo transnazionale".

Immigrazione: Lega Romeni d’Italia; i delinquenti vanno isolati

di Alberto D’argenio

 

La Repubblica, 26 aprile 2008

 

La nuova emergenza sicurezza legata ai cittadini romeni mette in allarme il governo di Bucarest, preoccupato perle possibili conseguenze diplomatiche o a danno dei suoi cittadini residenti in Italia. Ieri il premier Calin Tariceanu ha chiamato il presidente del Consiglio in pectore, Silvio Berlusconi, per discutere delle "recenti violenze" commesse da suoi connazionali in territorio italiano. I leader hanno concordato un incontro subito dopo l’entrata in carica del Cavaliere e si sono trovati "d’accordo sul fatto che la percezione pubblica provocata da questi reati non deve ledere i cittadini romeni o le relazioni bilaterali" tra due Paesi legati rapporti "di qualità particolare" che dovranno continuare a essere promossi, "anche tenendo presente la comunità romena in Italia".

Intanto si diffonde l’allarme tra la comunità romena nel nostro Paese. Nei giorni scorsi il presidente della Lega dei romeni d’Italia, Marian Mocanu, aveva reagito dicendo ai connazionali "ora dobbiamo abbassare la testa". E la stessa associazione ieri ha "condannato fortemente gli atti criminali commessi sui territorio italiano da cittadini romeni", chiedendo ai compatrioti "che vivono e lavorano onestamente nella Penisola di isolare gli elementi delinquenziali sostenendo il lavoro delle autorità competenti dello Stato italiano". La Lega dei romeni ha infine preso le distanze da chi "macchia la nostra integrità", richiamando i connazionali "a mantenere un comportamento regolare, civile e dignitoso nel rispetto delle leggi italiane e di continuare a dimostrare che siamo un popolo onesto, laborioso che contribuisce alla crescita economica di questo meraviglioso paese che ci ospita".

La questione degli immigrati comunitari fa discutere in Europa. Ieri la Corte suprema spagnola ha sentenziato che bulgari e romeni senza permesso di soggiorno che lavorano in Spagna non potranno più essere espulsi dal Paese. Pronuncia che non stupisce, visto che i due Paesi sono membri Ue dal 2007 e i cittadini comunitari possono essere espulsi solo per gravi problemi di sicurezza. In Germania, la Grande coalizione è intenzionata a tenere fino al 2011 le quote per i lavoratori provenienti dai nuovi paesi dell’Ue. Dunque non solo Romania e Bulgaria, ma tutti quelli dell’Europa dell’est che hanno aderito nel 2004, come la Polonia. Una decisione presa non per ragioni di sicurezza ma per non congestionare il mercato del lavoro che avrebbe potuto essere aperto già nel 2009. La misura è prevista dalle regole europee ma dovrà ottenere il via libera da Bruxelles. A Berlino il compito di "dimostrare l’esistenza di una pesante distorsione del mercato del lavoro".

Immigrazione: politica, sospetti e veleni dopo lo stupro a Roma

di Fiorenza Sarzanini

 

Corriere della Sera, 26 aprile 2008

 

Se ne è parlato riservatamente per giorni tra salotti, comitati elettorali e redazioni dei giornali. E ieri i presunti retroscena dello stupro della giovane studentessa africana avvenuto la scorsa settimana a La Storta - periferia nord di Roma - sono diventati materia di scontro tra i candidati a sindaco della capitale.

Ha iniziato Rutelli: "Alcune di queste vicende degli ultimi giorni sono state anche un po’ sospette. Ma non tocca a me parlarne, indagheranno le forze dell’ordine, indagherà la magistratura". Immediata la replica di Alemanno: "Si è toccato il fondo. Sono preoccupato di come Rutelli sta affrontando quest’ultimo scorcio di campagna elettorale". Poi ha rivelato: "Si lascia intendere chissà che cosa intorno allo stupro della studentessa del Lesotho nei pressi della stazione La Storta È una cosa talmente fantascientifica che non so se fa più ridere o piangere. Come si fa a strumentalizzare il dolore? Sottacqua dicono che è stata la destra a organizzare lo stupro della studentessa del Lesotho. Sono dei cialtroni e vanno rimandati a casa".

A mettere in pubblico alcune "stranezze" dello stupro alla Storta era stato, mercoledì scorso, il sito internet Dagospia, pubblicando una lettera siglata Md che ricalca una mail fatta circolare dall’ex assessore della giunta Veltroni, oggi consigliere regionale del Pd, Mario Di Carlo. "Ricevo e giro", avvertiva il politico per dire che non è lui la fonte primaria dell’informazione. Nel messaggio ci si chiedeva come fosse possibile che un rumeno senza fissa dimora nominasse un avvocato del calibro di Marcello Pettinari, "famoso penalista difensore del magistrato Metta indagato nell’ambito del processo Lodo Mondadori che vedeva indagati Berlusconi, Pacifico, Previti e Squillante". E faceva notare che Pettinari ebbe in gioventù un passato missino, mentre uno dei soccorritori della ragazza di colore violentata, "guarda caso, firma con Alemanno con tanto di foto sul Messaggero del 22 aprile

2008 il patto per la legalità e la sicurezza". Conclusione della lettera: "Agatha Christie faceva dire a Poirot che quando ci sono tre coincidenze diventano un indizio".

In questo caso l’indizio sarebbe quello di un concentrato un po’ sospetto di uomini di destra intorno alla vicenda. Al quale il Secolo d’Italia ha replicato ieri mattina con un articolo intitolato "Rutelliani disperati: il rumeno? Assoldato dal Pdl". E la nomina di Pettinari, che non ricorda di essere stato missino e oggi si autodefinisce "liberale convinto", era stata spiegata dall’interessato al Riformista (che aveva ripreso Dagospia) in questi termini: il rumeno aveva in tasca un biglietto da visita di un avvocato suo amico, Cesare Sansoni, risalente a un trasloco di un paio di anni fa; chiamò lui, che però è un civilista e quindi ha passato il caso al figlio Antonio e a suo zio, Marcello Pettinari.

Sempre ieri l’agenzia Ansa ha diffuso un’altra notizia che alimenterebbe l’indizio nato dalle coincidenze riassunto nella mail: una donna rumena "che lavora in un negozio di generi alimentari sulla via Cassia", dunque vicino alla Storta, avrebbe testimoniato in un interrogatorio svoltosi nei giorni scorsi in Procura, che "nella comunità rumena della capitale sarebbero circolate voci secondo le quali Joan Rus, l’uomo accusato di aver violentato la studentessa del Lesotho, potrebbe essere stato coinvolto in un gesto tendente a screditare la comunità stessa". La testimone avrebbe detto di aver "sentito queste voci tra i suoi connazionali", senza poter affermare se rispondessero alla realtà

In Procura la notizia di questa testimonianza sul rumeno mandato a violentare una ragazza di colore non trova riscontro. Anzi, viene smentita. Confermata solo la deposizione del "salvatore" della vittima, Bruno Musei, ufficialmente secretata dagli inquirenti per evitare possibili "inquinamenti" derivanti da interviste sui giornali o in tv.

Ma è una deposizione durata ben quattro ore, e di solito su un verbale si mette il segreto quando emergono novità che vanno verificate. Per esempio tempi e modalità con cui lo stesso Musei e il suo amico Massimo Crepas hanno dato l’allarme ai carabinieri. La donna avrebbe anche detto che pochi giorni prima dell’aggressione la moglie del violentatore era tornata in Romania. Per il marito, che i connazionali conoscerebbero come un tipo "violento e aggressivo", i difensori hanno chiesto la perizia psichiatrica.

Immigrazione: Unione Europea; regole comuni sulle espulsioni

 

Il Sole 24 Ore, 26 aprile 2008

 

"L’accordo raggiunto è un buon compromesso tra il principio del rimpatrio degli immigrati illegali nei loro paesi d’origine e la tutela dei diritti fondamentali delle persone" ha affermato ieri il ministro degli Interni sloveno Dragutil Mate, presidente di turno dell’Unione, al termine dei negoziati con Europarlamento e Commissione. L’intesa raggiunta è ancora informale e dovrà essere approvata a Strasburgo in giugno in prima lettura. Per poi passare all’esame dei ministri europei.

Essa prevede che nell’Unione europea il periodo massimo di detenzione prima del rimpatrio sia di 6 mesi che, in particolari circostanze, potranno arrivare anche a 18. Oggi in Europa non esistono norme comuni, il periodo varia da 40 giorni a 18 mesi, come previsto in Germania. Se i Popolari sono d’accordo su questo schema, i Socialisti, appoggiati da Verdi e Sinistra, ritenevano ragionevole la formula del 3 mesi più 3. A questo punto resta da vedere se in giugno voteranno l’intesa o se invece non proveranno a silurarla.

Il progetto di direttiva prevede anche che i motivi della detenzione siano definiti e ben circoscritti. Che i clandestini siano rimpatriati nei loro Paesi d’origine e in quelli con i quali l’Ue ha concluso accordi di rimpatrio. Viene loro riconosciuto il diritto di lasciare il paese volontariamente entro un lasso di tempo che ogni Stato membro potrà fissare tra 7 e 30 giorni. Per i minori non accompagnati è previsto il diritto all’assistenza legale.

Droghe: Cassazione; carcere anche per una piantina di cannabis

 

Asca, 26 Aprile 2008

 

È reato coltivare anche una sola piantina di cannabis in casa. La linea dura arriva dalle sezioni unite penali della Cassazione presiedute dal primo presidente Vincenzo Carbone. In particolare, le sezioni unite respingendo il ricorso di un giovane di Vigevano, Vincenzo D. S., che era stato condannato a 4 mesi di reclusione e ad una multa di 1.000 euro, hanno confermato una volta per tutte che è perseguibile penalmente la coltivazione domestica anche di una sola piantina di cannabis. Con questa decisione la Suprema Corte ha risolto un conflitto giurisprudenziale che aveva visto più volte le sezioni di piazza Cavour divise sul considerare o meno reato la coltivazione domestica di poche piantine di cannabis. Bocciata la richiesta del sostituito procuratore generale della Cassazione, Vitagliano Esposito, secondo cui la coltivazione di poche piantine deve essere considerata lecita.

La Cassazione "ha mantenuto una giurisprudenza molto negativa". Così Rita Bernardini, leader dei Radicali italiani e neo eletta alla Camera nella fila del Pd. "La nostra risposta di Radicali, non da soli speriamo - aggiunge Bernardini - la daremo nei prossimi giorni a Chianciano con l’Assemblea dei Mille lanciando l’iniziativa di una forte associazione antiproibizionista che continui a praticare l’informazione e la ricerca, in particolare sulla cannabis". In quella sede, conclude la segretaria dei Radicali, "rilanceremo la pratica della non violenza e della disobbedienza civile contro i crimini della politica e degli spacciatori".

"La Cassazione assume oggi una decisione storica sull’uso delle droghe in Italia. La Suprema Corte infatti stabilisce che anche la semplice coltivazione deve essere considerata un reato penalmente sanzionabile. Sconfessando le teorie degli antiproibizionisti del Pd, si sancisce giuridicamente che non vi è alcuna distinzione tra uso personale e spaccio ma soprattutto che drogarsi fa male e lo Stato deve combattere con ogni mezzo la diffusione degli stupefacenti in Italia". A sostenerlo è Isabella Bertolini, deputata Pdl, che aggiunge: "Nonostante la vergognosa requisitoria del Pg, gli ermellini hanno assunto una decisione giusta e ponderata. Dopo qualche pronunciamento contraddittorio la Cassazione fa definitivamente chiarezza su un tema delicatissimo che investe direttamente la vita e la salute dei nostri figli". Insomma, conclude Bertolini, "un segno ulteriore di una stagione che si chiude. La stagione della sinistra al Governo lassista, permissivista, promotrice della depenalizzazione dell’uso e dell’abuso degli stupefacenti."

La sentenza della Cassazione "rovescia il permissivismo di quasi cinque lustri, è un monito contro l’individualismo sfrenato che pretende persino il diritto di drogarsi, è un dito puntato contro l’associazione degli amici della modica quantità ed è anche un’esortazione ad intensificare i controlli". Lo ha dichiarato Luigi Camilloni, presidente dell’Osservatorio sociale, in merito alla decisione della Suprema Corte che punisce la coltivazione domestica di cannabis.

"Accogliamo con soddisfazione la sentenza con cui la Cassazione ha considerato reato la coltivazione domestica di cannabis". Lo dichiara, in una nota, il parlamentare dell’Udc Luca Volontè, che aggiunge: "Era ora che un organo giurisdizionale si esprimesse con chiarezza contro la diffusione dilagante di sostanze stupefacenti nel nostro Paese. Tutto ciò per buona pace di chi, insistendo su improbabili distinguo tra droghe pesanti e leggere, contribuisce a rovinare i giovani e a favorire l’illegalità".

 

Ferrero: "Si distingua fra consumo personale e spaccio"

 

Roma - È una sentenza che pone "alcuni interrogativi". Con queste parole Paolo Ferrero, ministro della Solidarietà sociale, commenta la sentenza della Cassazione sull’auto-coltivazione di cannabis. "È necessario - continua Ferrero - distinguere fra il consumo personale e lo spaccio per combattere le narco-mafie". Nella sentenza infatti, secondo il ministro "sembra emergere la scelta di non distinguere tra il concetto di consumo e quello di spaccio, eppure la possibilità per i consumatori di coltivare personalmente la cannabis, non alimentando così in alcun modo il mercato illegale, può invece costituire un passo avanti nella lotta alle narco-mafie che gestiscono questo mercato e alla microcriminalità che spesso ne deriva". Purtroppo in questi due anni di governo, ricorda Ferrero "i veti di una parte della maggioranza non hanno permesso di approvare in Consiglio dei ministri il testo di riforma della sciagurata legge Fini-Giovanardi che colpisce i consumatori più che la criminalità che controlla il traffico delle sostanze". Una legge che in pochi anni "ha dimostrato chiaramente come la criminalizzazione del consumo di stupefacenti, anziché produrre una riduzione del numero di persone che ne fanno uso - conclude il ministro - abbia portato ad un vertiginoso aumento sia dei consumatori che del giro di affari illegali".

 

Giovanardi: "La Cassazione ha fatto chiarezza"

 

"La Cassazione ha fatto chiarezza sulla coltivazione della cannabis, e i radicali italiani dovrebbero prenderne atto. Invito Rita Bernardini a non predicare e praticare la disobbedienza civile, ma a concorrere ad una grande campagna di prevenzione, indirizzata particolarmente ai giovani, sui rischi mortali per la salute derivanti dal consumo di droghe leggere o pesanti che siano". L’invito arriva da Carlo Giovanardi, senatore azzurro e padre della legge sulle droghe. "Repressione dello spaccio, prevenzione e recupero del tossicodipendente - afferma in una nota - dovrebbero essere per tutti gli obiettivi da raggiungere, con una alleanza tra pubblico e privato sociale. Da parte nostra - conclude - c’è piena disponibilità ad un dialogo costruttivo sugli strumenti più efficaci per cogliere risultati positivi".

 

Perduca (Pd): "Cassazione in linea con il prossimo Governo"

 

"La sentenza della Cassazione conferma l’impianto ultra-proibizionista della legge ‘Fini-Giovanardì che arriva a penalizzare anche comportamenti che non ledono libertà o prerogative di altri che non siano la morale da stato etico tradotta in legge dal governo Berlusconi nel febbraio 2006". È quanto afferma Marco Perduca, segretario della Lega internazionale antiproibizionista e eletto radicale al Senato col Partito Democratico.

"Con queste premesse - aggiunge - è chiaro che nella XVI legislatura il Popolo della Libertà non potrà che aggravare ulteriormente i fallimenti del controllo delle droghe con politiche sempre più repressive anche in onore delle necessità di promozione di leggi emergenziali per garantire la sicurezza in Italia". Questa reazione, prosegue Perduca, "va contrastata con la nonviolenza gandhiana, ma anche col ricorso alle esperienze positive di altri paesi e sulla totale mancanza di argomenti scientifici dei dogmi proibizionisti". Nei prossimi mesi, conclude, "pubblicheremo alcuni studi e analisi sui dati dei fallimenti degli ultimi decenni relativamente al controllo delle droghe".

 

Radicali: "Sentenza della Cassazione arreca danni ai malati"

 

"La sentenza di oggi, con cui la Cassazione ha fatto prevalere un’interpretazione restrittiva della legge sull’autoproduzione della cannabis, non è soltanto la conferma del clima proibizionista che regna nel nostro Paese", ma "arreca anche un grave danno a tutti i malati che potrebbero beneficiare degli effetti terapeutici della cannabis naturale, e saranno costretti a rinunciarvi, o alternativamente a rivolgersi alla criminalità organizzata". È questo il commento di Alessandro Capriccioli e Josè De Falco, membri di giunta dell’associazione Luca Coscioni, a proposito della sentenza della Cassazione che considera reato l’auto coltivazione di cannabis. "Si tratta - aggiungono - dell’ennesima conferma del fatto che il proibizionismo, specie quando applicato al campo della salute, non ha altro effetto che quello di alimentare l’illegalità, limitando nel contempo le possibilità di cura di migliaia di persone che soffrono di gravi patologie".

Su Soccorso Civile, il portale dei diritti dell’Associazione Luca Coscioni (www.soccorsocivile.it), concludono Capriccioli e De Falco, "sono disponibili tutte le informazioni sugli effetti terapeutici della cannabis, e le esperienze concrete di chi, dovendosi misurare con gravi patologie, continua ad essere penalizzato da leggi proibizioniste che ne limitano la libertà di scelta e di cura".

Droghe: repressione o inclusione?, confronto tra Italia e Olanda

 

Redattore Sociale, 26 Aprile 2008

 

In Olanda tollerata la cannabis, severamente punita la vendita delle droghe pesanti. E il governo si impegna ad allontanare i coffe-shops dalle scuole. L’esperienza romana dell’Agenzia per le Tossicodipendenze: un budget di oltre 7 milioni.

La tossicodipendenza tra repressione e inclusione sociale: questo il nodo centrale del seminario che si è svolto oggi a Roma, presso lo Cnel, sul tema "Interventi sociali per la cura dei tossicodipendenti". A confrontare dati, esperienze e soprattutto buone prassi sono intervenuti rappresentanti ed esperti dell’Italia e dell’Olanda. "Amsterdam è considerata la città di Sodoma e Gomorra - ha affermato Marjolein Verstappen, direttore del Servizio comunale della Salute (Ggd) della capitale olandese - prima fra tutte le città del paese per il numero di coffee-shop, che sono 250.

Il 15% dei ragazzi (18-24 anni) fa uso di cannabis, la cui vendita è tollerata dal governo, il quale tuttavia sta cercando di scoraggiarne il consumo allontanando i coffee-shop dalle scuole. Il consumo delle cosiddette droghe da party si sta riducendo, passando dal 20% del 2003 al 17% del 2005": merito in buona parte proprio del servizio comunale (un servizio sanitario pubblico), che interviene sulle strade e in tutti gli ambienti frequentati dalle persone tossicodipendenti. "Dopo recenti incidenti, il governo ha anche deciso di vietare i funghi allucinogeni, destando qualche perplessità". Tra le misure intraprese dal GGD per contrastare la tossicodipendenza, c’è anche la somministrazione controllata di eroina, "ma solo secondo rigidi criteri selettivi", ha precisato la Verstappen.

Per quanto riguarda più in generale l’Olanda, nella lotta contro le dipendenze il governo si è posto alcuni obiettivi a breve termine, come l’elaborazione di un programma di percorso per ciascuno dei 10.000 senzatetto entro il 2010. "Nel 2008, almeno il 70% di loro dovrà avere una casa", ha riferito Daan van der Gouwe, dell’Istituto olandese sulla salute mentale e le tossicodipendenze. Per quanto riguarda il consumo di sostanze, secondo dati risalenti al 2001 (fonte: European monitoring centre for drugs and drug addiction) il 21% delle persone tra i 15 e i 64 anni fa uso di cannabis, mentre il 3,6% ricorre a cocaina o ecstasy: un dato molto simile a quello dell’Italia dove, secondo la stessa fonte, si registrano rispettivamente il 22% per la cannabis, il 3,4% per la cocaina e l’1,8% per l’ecstasy. Il dato più basso si rileva in Portogallo, dove le percentuali scendono a 8%, 0,9% e 0,7%.

"Ci sono tre patate bollenti con cui dobbiamo fare i conti nel nostro paese - ha concluso van Der Gouwe - cioè la chiusura dei coffee-shop entro 250 metri dalle scuole, la lotta contro il Ghb, cioè quelle droghe facilmente reperibili e spesso assunte involontariamente e la messa a punto di test affidabili". Per quanto riguarda l’Italia, sono state illustrate le esperienze dell’Agenzia comunale per le tossicodipendenza di Roma e dell’Istituto San Gallicano.

"Ci sono 500 Sert in Italia, che assistono circa 160.000 persone, con una varietà di proposte e servizi", ha riferito Guglielmo Masci, direttore dell’Agenzia. "L’Agenzia dispone di un budget di 3 milioni di euro proveniente dal Comune, raddoppiato grazie al fondo sociale della legge 328 e a cui va ad aggiungersi circa 1 milione e mezzo proveniente da progetti ministeriali. Quel che registriamo è la forte divisione tra servizi sociali e sanitari, ma soprattutto la fatica di lavorare con una legislazione e in un clima nazionale non favorevoli, dominato spesso dalla reticenza e dalla paura".

La storia e le attività dell’Istituto San Gallicano e, in particolare, dell’Osservatorio sulle persone senza fissa dimora sono state infine riferite da Aldo Morrone, che ne è il direttore. "Abbiamo seguito fino a oggi circa 7.000 persone, in gran parte stranieri, alcuni dei quali richiedenti asilo. La maggioranza di queste persone non fa uso di sostanze. Ricorrono a droghe il 16% delle persone senza fissa dimora italiane, per lo più al di sotto dei 18 anni".

Stati Uniti: uccisero un giovane disarmato, assolti i tre poliziotti

di Vittorio Zucconi

 

La Repubblica, 26 aprile 2008

 

Sulla vittima 50 colpi di pistola, protesta della comunità nera. Il ragazzo fu ammazzato la sera prima di sposarsi. Città in allerta per paura di incidenti.

"Come ha detto? Non colpevoli? Il giudice ha detto davvero che non sono colpevoli?" si sente chiedere una voce di donna dai banchi del tribunale di Queens. Suo Onore Arthur Cooperman ha appena finito di annunciare a un’aula stipata e ammutolita dallo sbalordimento l’assoluzione di tre agenti di polizia processati per aver piantato 50 proiettili nel corpo di un uomo, naturalmente nero, all’uscita da un locale notturno.

Non è sordità, quella della donna che grida, è incredulità. È shock davanti alla scoperta che cinquantuno proiettili sparati contro un uomo che non aveva fatto nulla, non costituiscono omicidio e neppure "uso eccessivo" di forza. Nera è la notte e neri sono i suoi caduti.

New York anno 2008. Anno nuovo, secolo nuovo, millennio nuovo, sindaco nuovo e storia vecchia, sempre lo stesso film di guerra tra the men in blue, gli agenti di polizia che seppelliscono 140 dei loro colleghi uccisi in servizio ogni anno, due soltanto a New York, e la notte nella quale devono combattere un nemico che non esita a uccidere, come loro non esitano a uccidere. Il caso della Città di New York, della quale il borgo di Queens fa parte, e i tre detective Gescard F. Isnora, Michael Oliver e Marc Cooper incriminati e assolti per l’omicidio del ventitreenne Sean Bell all’uscita da un night club, è il perenne remake di un dramma senza mai lieto fine. "Il solo risultato certo di questa vicenda - ha commentato il sindaco Bloomberg, che senza essere un fanatico come Rudy Giuliani non è certamente un’anima tenera - è che hanno perso tutti. Un ragazzo di 23 anni ha perso la vita. Le sue due bambine hanno perso un padre. La fidanzata ha perso il futuro marito. I genitori hanno perso un figlio".

Era la sera prima del matrimonio, quel 25 novembre del 2006, quando Sean Bell uscì dallo strip club dove aveva festeggiato, con amici e povere pitonesse nude avvinghiate per i guardoni attorno alle pertiche di ottone, l’addio al celibato. Il "Kalua", locale dal nome esotico in uno dei quartieri meno esotici di Queens, chiamato Jamaica, accanto a magazzini abbandonati, finestre sventrate e scali ferroviari, è sempre sorvegliato da poliziotti in uniforme, detective in borghese, auto pattuglia e auto civetta. Quando lascia il locale, Sean è ciucco perso. Un amico gli toglie le chiavi dell’auto, lo avverte di comportarsi bene, perché fuori dal locale i "cops", i piedipiatti, sono fitti come zanzare d’estate e cercano pretesti per arrestare chiunque li guardi storto.

Sean vacilla sul marciapiedi. L’alcol lo rende bullo, invulnerabile. Si tiene una mano sotto la giacca, come se avesse una pistola che non ha, fa il gradasso. Un detective in abiti civili ne ha compassione, lo avvicina, "cammina, cammina, vai via in fretta", gli raccomanda, e il ragazzo che sette ore più tardi avrebbe dovuto sposarsi sembra dargli retta. Sale sulla utilitaria Nissan Altima dell’amico che schizza via. E va a sbattere contro un furgone bianco della polizia che incrociava lentamente nel quartiere. La Nissan tenta un marcia indietro e picchia con un’altra auto della polizia che stava sopravvenendo. Una voce grida "è armato, è armato". Accorrono altri poliziotti, altre auto in quella stradina stretta, la Liverpool Street. Sean cerca di aprire la portiera, ma dalle armi sfoderate dalla dozzina di agenti ormai attorno parte una sparatoria da "Dirty Harry", da "Bonnie and Clyde", da "Mean Streets". Una sequenza da Bagdad liberata.

Lui incasserà 50 colpi partiti dalle armi d’ordinanza di Gescard Isnora e Michael Oliver, che svuotano e riarmarono con calma i caricatori. Il suo vicino ne prenderà tredici nel fianco sinistro, sopravvivendo. Tre agenti, Gescard F. Isnora e Marc Cooper (afroamericani) e Michael Oliver sono incriminati con una mezza dozzina di imputazioni e il loro avvocato sceglie di non chiedere la giuria popolare ma di affidarsi, come la procedura gli consente, al giudizio del magistrato. Il processo dura sette mesi, fra decine di deposizioni che il giudice troverà "poco credibili" e "contraddittorie", decidendo che gli agenti avevano avuto "ragionevoli motivi" per scaricare le loro armi. Non colpevoli.

Fuori dal tribunale un gruppo di dimostranti neri grida all’infamia e all’ingiustizia, mentre l’arruffapopolo di professione, il reverendo Al Sharpton, intona sermoni contro lo stato di polizia razziale. New York è in allerta per possibili sommosse, che non accadranno. La città è dalla parte della polizia. Alla fine, lavato da tempo il sangue dalla Liverpool Street, riaperto il Kalua, tornati i clienti e le contorsioniste della pertica, non è successo nulla che non fosse accaduto mille volte e che non potrà accadere questa notte. Se fosse ancora vivo, Amadou Diallo lo potrebbe testimoniare. A 23 anni, era legalmente immigrato dalla Guinea Bissau, vendeva carabattole di giorno sui marciapiedi di Manhattan e studiava biologia alla sera. Fu abbattuto da 41 pallottole perché quattro agenti lo avevano scambiato uno stupratore ricercato. I quattro agenti furono assolti. Nella notte, e anche di giorno, tutti i neri sono neri.

Alcuni sono anche "negri di merda", come gridarono gli uomini in blu che ficcarono il manico di uno scopino da gabinetto nel sedere di Abner Louima, haitiano, sfondandogli l’intestino e la vescica e portandolo a un passo dalla morte per setticemia, infezione diffusa del sangue. Il detective Justin Volpe, del 70esimo commissariato di Brooklyn, se lo lavorò con cura, in mezzo a una dozzina di colleghi divertiti ed eccitati dalle sue urla.

Luoima, sposato e padre di due figli, sopravvisse al trattamento. I quattro agenti, compreso Justin Volpe, furono assolti in appello dall’accusa di "brutalità". Mentre torturavano l’haitiano, accusato di avere tentato di dare uno schiaffo a un agente, nel 70esimo commissariato gli ripetevano: "Fallo sapere a quegli scarafaggi dei tuoi amici, questa è la New York di Giuliani, per voi la festa è finita". È finita anche per Giuliani, la festa, ma meno dolorosamente.

 

 

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