|
Giustizia: i giovani presi nella tagliola del sorvegliare e punire di Nichi Vendola (Presidente della Regione Puglia)
Liberazione, 22 agosto 2008
La società del divieto s’interseca alla società dei consumi. Le alchimie dell’ideologia dominante sono anche fabbriche di paradossi: stimolano e poi reprimono, eccitano e poi puniscono, e con speciale accanimento (terapeutico, s’intende) precipitano sulle vite, sui corpi, sui desideri delle giovani generazioni. Tutto è plausibile nel circuito onnivoro della mercificazione, ma molto di quel tutto è localizzato oltre quella soglia che indica i fascinosi territori del proibito. Un ragazzino che varchi quel confine rischia molto, molto più del sette in condotta. Mai l’Italia repubblicana era apparsa, come in questa cupa stagione delle destre, una terra così livida, così povera di libertà, così avara di trasgressioni, così marzialmente ossequiosa ad ogni sorta di conformismo. Vedo un cerchio incantato che si chiude sulla coscienza civile di un Paese per metà bulimico e per metà anoressico, adrenalinico nelle sue pulsioni perbeniste ma indolente ad ogni richiamo di legalità, garantista con chi è già garantito e giustizialista per chi è già giustiziato (ma è solo una questione di stile, diciamo una "questione di classe"). Tutto e tutti sembrano arruolati, soldati al servizio dell’ordine costituito. Anche quel giudice che, terminale intelligente di un complesso dispositivo di legge e ordine, si occupa di un adolescente e lo scippa alle cure materne che non ne avevano interdetto la militanza in Rifondazione, quel giudice che somiglia un po’ ai versi di Fabrizio De Andrè, anche lui è un eroe del nostro tempo. Si comincia a intravedere il disegno generale di chi governa: e non solo Palazzo Chigi! Ecco la filigrana di un’egemonia culturale che affida alla paura le incombenze del riordino simbolico e materiale della nostra esistenza. All’inizio furono i poveri: scandalo per antonomasia in una società che ha fatto dell’opulenza il proprio credo e la propria legge. E siamo scivolati in questo Medioevo postmoderno in cui si combatte il povero (non la povertà), il precario (non la precarietà), il clandestino (non la clandestinità). In tutte le epoche di transizione e di crisi si preparano sventure per i border-line, per gli out-sider, per i poveri cristi di cui neanche la Chiesa ufficiale ha mai voglia né tempo di occuparsi. Ma al centro di ogni egemonia c’è la "questione giovanile" che non è banalmente la storia del conflitto tra generazioni (conflitto quasi abolito dall’assenza di relazione tra vecchi e giovani): ma è il tema persino drammatico del futuro, della sua preparazione o della sua profanazione, e di come il futuro vive il suo rapporto col passato (e col nostro presente) dentro gli apparati della formazione-informazione, dentro i gangli vitali (o mortali) della produzione di coscienza, dentro i flussi di immaginario organizzati, persino nelle loro apparenti spontaneità o nella loro irruenza scenografica, da un’industria culturale largamente televisiva e nordamericana. Come nel american way of life anche i nostri adolescenti vivranno appesi tra l’hot dog gigante e il salutismo paranoico. Negli Usa uno studente di liceo rischia la galera se beve o si fa uno spinello ma non ha molta difficoltà a comperarsi al supermercato un’intera artiglieria e a fare la sua spettacolare strage nella sua domestica scuola. Ubriachi e disidratati. Spinti a godere della velocità senza limiti della secolarizzazione, salvo restare impigliati in un autovelox, in una pattuglia, in una ronda, in una tele-predica. In Italia oggi tuo figlio può inciampare in una tagliola del "sorvegliare e punire" e rischiare la vita. Punirne uno per educarne mille. Punirli a scuola, in discoteca, per strada, punirli ora ma anche in prospettiva, precarizzati e incastrati in una lunga teoria di divieti. Tra non molto tempo dovremo occuparci - con più competenza, come chiede giustamente don Gino Rigoldi - della solitudine giovanile, dei giovani, anzi di una gioventù in oscillazione permanente tra le lusinghe del consumare tutto e subito (quello che non hai, quello che vorresti avere, quello che occulta la tua noia o il tuo dolore, quello che ti appaga, quello che ti dona una momentanea sazietà) e le forche caudine di un proibizionismo globale. Abitiamo questo tempo paradossale, appunto: siamo tutti giovanilisti, siamo tutti assassini di giovani. Non riuscendo ad essere più genitori o maestri, siamo diventati i cannibali dei nostri figli. Questa è la polpa succosa della egemonia vittoriosa della destra, che ha vinto a destra ma anche a sinistra. Giustizia: Berlusconi; metteremo in pratica le idee di Falcone
Corriere della Sera, 22 agosto 2008
Un attacco a Walter Veltroni e al Pd per la "sconcertante sudditanza psicologica e politica verso le frange giustizialiste", un richiamo a Giovanni Falcone come modello cui ispirarsi per mettere mano alla riforma della giustizia, l’intenzione di mettere in capo ulteriori misure per combattere il caro prezzi ("per esempio, il bonus bebè e l’introduzione del quoziente familiare"), e una frase su Putin ("Grazie a Dio mi ha ascoltato. Altrimenti col cavolo che i carri armati russi si sarebbero fermati a quindici chilometri da Tbilisi") poi smentita da Palazzo Chigi. È un’intervista a tutto campo quella rilasciata da Silvio Berlusconi al settimanale Tempi, che segna la ripresa dell’attività di governo dopo la pausa estiva. Quanto alla riforma della giustizia, il presidente del Consiglio annuncia l’intenzione di "mettere in pratica molte delle idee di Giovanni Falcone: separazione dell’ordine degli avvocati dell’accusa dall’ordine dei magistrati, indirizzo dell’azione penale superando l’attuale ipocrisia della finta obbligatorietà, criteri meritocratici nella valutazione del lavoro dei magistrati". Ma il richiamo al magistrato ucciso a Capaci non è piaciuto ad Antonio Di Pietro. "Berlusconi lasci stare Falcone, è come il diavolo che parla dell’acqua santa" ha detto il leader dell’Idv. "Forse il presidente Berlusconi - tuona il pm della Direzione distrettuale antimafia, Antonio Ingroia, segretario distrettuale della corrente di Md - non ha ben chiare quali fossero le idee di Falcone, visto che Falcone non ha parlato mai di avvocati dell’accusa per indicare i pm essendo anche lui un pm di riconosciuto equilibrio, né la necessità di un indirizzo dell’azione penale". Su Tempi il Cavaliere smentisce poi le voci di crisi tra il Pdl e la Lega di Umberto Bossi. "Il nostro rapporto - ha spiegato - è forte e consolidato: non è un’alleanza tattica né semplicemente numerica". "Il federalismo fiscale - ha aggiunto non è solo un tema della Lega, la riforma della giustizia non interessa solo noi". Giustizia: la sorella di Falcone; attenti a rischio autoritarismo di Felice Cavallaro
Corriere della Sera, 22 agosto 2008
Soddisfatta, sorpresa o irritata dal richiamo di Berlusconi alle "idee" di suo fratello sulla riforma della giustizia, professoressa Maria Falcone? "Mi fa piacere che si pensi a Giovanni anche come studioso attento e sensibile ai problemi giuridici e giudiziari di questo nostro Paese. Purché non gli si facciano dire cose mai dette".
Il Cavaliere avrebbe mal interpretato quelle idee? "Beh, certo Giovanni non ha mai chiamato i magistrati avvocati dell’accusa. E poi occorre delicatezza quando si richiamano le idee di chi non c’è più e non può controbattere. Ma per questo il Cavaliere ha uno strumento che gli consentirà di evitare equivoci, la raccolta degli scritti di Giovanni pubblicata dalla nostra Fondazione. Gliela regalai io qualche anno fa".
Magari dirà che l’ha letta. A cominciare dal tema della "separazione delle carriere". "Ma lui parla di separazione dell’ordine degli avvocati dell’accusa dall’ordine dei magistrati. Un termine nuovo. Meglio rileggere quei testi".
Fatto sta che suo fratello invocava la "separazione". "Non vorrei però che qualcuno pensasse di separare le carriere anche per annullare la separazione dei Poteri. È la distinzione fra potere legislativo, amministrativo e giurisdizionale a garantire la democrazia. Viceversa c’è il rischio di ritrovarci con uno Stato autoritario".
Condivide l’allarme di Giuseppe Cascini, il segretario dell’Anm sul "rischio fascismo"? "Non c’è bisogno che lo condivida. Basta che dica le cose a modo mio, con parole mie".
Vede la democrazia a rischio? "Il rischio si manifesta se manca l’equilibrio e se c’è una ingerenza della politica nella magistratura. Così come l’eccessiva politicizzazione della magistratura crea un rischio contrario. Oddio, un rischio minore, ma ugualmente grave".
Suo fratello considerava una ipocrisia l’obbligatorietà dell’azione penale? "Di obbligatorio c’è sempre stato molto poco. È evidente che una certa discrezionalità la magistratura l’ha sempre avuta".
Berlusconi suggerisce anche di introdurre "criteri meritocratici nella valutazione del lavoro dei magistrati"… "Sono d’accordo, ma chi valuta e controlla il merito? Il Csm. È quindi importante che l’organo di autogoverno non sia politicizzato".
Lo teme pure Cascini. Ma oggi il Csm appare immune? "Oggi è politicizzato. Cascini suggerisce di non fare entrare la politica, ma siamo sicuri che non ce ne sia già troppa nel Csm?".
E la "terzietà" del giudice? "Non c’è dubbio che per Giovanni nel processo accusatorio il pm dovesse essere considerato parte".
Come l’avvocato dell’altra parte, direbbe Berlusconi. "E su questo ha ragione. Ma la figura del pm va modificata senza ledere il principio dell’indipendenza della magistratura. Qualsiasi riforma si possa fare, soprattutto se si vuole fare riferimento a Falcone, bisogna avere un grande rispetto per la democrazia, per la Carta costituzionale e soprattutto per la divisione dei Poteri".
Il Cavaliere ha detto che stavolta riformerà la giustizia, anche da solo. Ma Veltroni ha replicato che si deve fare solo con il placet dei magistrati... "E io sono d’accordo con Veltroni, in questo caso. Toccando un tema tanto delicato, non può esserci nessun uomo politico di destra o sinistra che dica "la riforma la faccio io". Il pluralismo è il fondamento della democrazia. Occorre misura. Come misura era Giovanni".
Lo dice perché vede poca "misura" in Berlusconi? "Guardi che anch’io cerco di essere moderata perché con gli eccessivi personalismi si finisce per nuocere alla causa della giustizia". Giustizia: Cascini (Csm); c’è pericolo di un "modello fascista"
La Stampa, 22 agosto 2008
Silvio Berlusconi promette che nella prossima riforma della Giustizia metterà in pratica "molte delle idee di Falcone" e contemporaneamente il segretario dell’Associazione Nazionale Magistrati, Giuseppe Cascini, lancia l’ennesimo allarme: "se introduciamo la politica nel Csm al modello fascista, dove la magistratura non è indipendente dal potere politico e quindi non tutti i cittadini sono garantiti allo stesso modo". Due interviste separate, Berlusconi al settimanale Tempi e Cascini a Klaus Davi su You Tube, che diventano però un dialogo a distanza, preludio di una riforma che il Guardasigilli Alfano sta preparando e che, secondo il ministro Rotondi, "riserverà alcune sorprese". Da una parte il premier annuncia "separazione dell’ordine degli avvocati dell’accusa dall’ordine dei magistrati, indirizzo dell’azione penale superando l’attuale ipocrisia della finta obbligatorietà, criteri meritocratici nella valutazione del lavoro dei magistrati", tutte "idee di Falcone" che dovranno servire a "valorizzare i tanti magistrati seri, che svolgono il loro lavoro in modo coscienzioso, con spirito di sacrificio e spesso rischi personali". Dall’altra, il segretario del sindacato delle toghe, che lamenta "una campagna denigratoria verso la nostra categoria senza precedenti, che ci descrive come mangiapane a tradimento", avviata da "alcuni quotidiani" che "hanno avviato una vera e propria campagna di stampa denigratoria nei confronti dei magistrati italiani, talvolta descritti addirittura come fannulloni". Un’accusa, questa, che non trova sponda in Berlusconi. Per il premier, infatti, la battaglia da combattere è quella contro pochi magistrati che, per pregiudizio ideologico unito a smania di protagonismo, proiettano con comportamenti deviati un’immagine distorta della magistratura italiana offuscando, dice il presidente del Consiglio, il lavoro di tutti gli altri. E poi, "basta supplenze della magistratura alla politica": anche sui temi etici, come il caso di Eluana Englaro, "è del tutto evidente che non permetteremo mai alla magistratura di esercitare una supplenza rispetto al potere legislativo, cosa che alcuni magistrati tendono a fare su questo come su altri temi". Dal canto suo, Cascini non molla e sembra replicare direttamente al premier sul suo terreno, ovvero la comunicazione, al punto da "non escludere il possibile ricorso a spot pubblicitari televisivi per spiegare le ragioni della magistratura". "Noi abbiamo due problemi di comunicazione: il primo è il nostro rapporto sacrale con le istituzioni, dove di fronte alla violenza verbale non siamo in grado di replicare e rimaniamo basiti, soprattutto quando questa violenza è espressa a livello istituzionale. Il secondo limite è che i temi comunicativi sono più efficaci quando si discostano dalla realtà, purtroppo noi dobbiamo rimanere ben saldi alla realtà dei fatti". Insomma, nonostante il silenzio politico agostano, sotto sotto sono tutti al lavoro, soprattutto chi sta lavorando alla riforma, promessa per settembre. Antonio di Pietro invita il premier a "lasciar stare Falcone", perché "è come il diavolo che parla dell’acqua santa". Giustizia: il primo obiettivo è quello di abbreviare i processi di Carlo Federico Grosso (Ordinario di Diritto penale Università di Torino)
La Stampa, 22 agosto 2008
Nei primi cento giorni di governo Berlusconi ha dimostrato capacità di decidere e capacità di realizzare. Ciò che ha voluto ha fatto, senza tentennamenti: abolizione dell’Ici, Napoli pulita, decreto sicurezza, sua personale immunità, manovra triennale. V’è da ritenere che, se non si verificheranno crepe nella maggioranza e la crisi economica non creerà eccessive tensioni, anche dopo l’estate la macchina continuerà a funzionare. Per settembre sono state annunciate grandi riforme: giustizia, devoluzione fiscale, sistema elettorale. In materia di giustizia il Presidente del Consiglio ha dettato l’agenda: no all’obbligatorietà dell’azione penale, separazione delle carriere di giudice e pubblico ministero, riforma del Csm, se possibile ripristino dell’immunità parlamentare, nuovo regime delle intercettazioni. Una rivoluzione. Il guardasigilli Alfano, sull’onda dei primi successi, non ha esitato a dichiarare a sua volta che l’occasione è irripetibile e che il Popolo delle libertà, forte della sua maggioranza, non se la lascerà sfuggire. Che la giustizia funzioni male ed esiga riforme è sotto gli occhi di tutti. Si tratta, peraltro, di stabilire che cosa sia prioritariamente necessario per renderla efficiente: è l’efficienza, infatti, ciò che la gente si attende. A tale scopo occorre individuare le ragioni del malfunzionamento e programmare gli interventi idonei ad incidere sulle sue cause, come la complessità dei meccanismi processuali, la cattiva organizzazione del lavoro giudiziario, la carenza di personale e mezzi. Sono pertanto necessari provvedimenti che puntino a snellire i processi, consentano una migliore organizzazione dell’attività, colpiscano inettitudini ed indolenze, in controtendenza rispetto ai tagli operati dalla finanziaria fronteggino le mancanze di risorse. L’obbiettivo di fondo è la ragionevole durata dei processi. Se le priorità di una riforma della giustizia utile per i cittadini sono queste, ci si può ragionevolmente domandare che cosa c’entrino, con esse, i profili indicati da Berlusconi come pilastri del suo disegno. Poiché c’entrano sicuramente poco, viene il sospetto che essi mirino, in realtà, ad altro, a modificare cioè i rapporti di forza a favore della politica ed a scapito di una magistratura che, si sostiene, avrebbe eccessivo potere. Soltanto in questa prospettiva si giustifica, infatti, la contemporanea previsione di misure quali la pianificazione parlamentare dell’azione penale, l’ampliamento delle garanzie politiche, l’indebolimento del ruolo di autogoverno che la Costituzione riconosce al Csm. Alludere a quest’ultimo riguardo al ritorno ad un modello fascista, come ha fatto ieri in un’intervista il segretario generale dell’Anm, mi sembra francamente fuori luogo. Nulla vieta, infatti, che si cominci a pensare ex novo agli equilibri fra i poteri dello Stato e ad ipotizzare scenari diversi rispetto a quelli odierni. Nel momento in cui ci si dovesse accingere ad un cambiamento di questo tipo, occorrerebbe essere tuttavia precisi nell’indicare gli obiettivi che si perseguono: non presentare il progetto come servizio per i cittadini, come sicuramente non è, ma chiarire che si vuole ridisegnare, appunto, taluni dei rapporti di forza tra i poteri dello Stato. Senza contare che, discutendosi di materie di rilevanza costituzionale, occorrerebbe modificare la Costituzione, con i molteplici problemi che ne deriverebbero, trattandosi di incidere su alcuni dei principi cardine dell’attuale Stato di diritto. Francamente, preferirei che fosse data priorità a ciò che è davvero urgente nell’interesse dei cittadini, cioè agli interventi indispensabili per restituire efficienza al sistema giudiziario. Alle garanzie dei politici, agli assetti di potere, al contenimento dei magistrati, si potrà, eventualmente, pensare in un secondo tempo, senza eccessi nelle coperture penali, senza intenti punitivi, salvaguardando l’indipendenza dell’ordine giudiziario e con grande equilibrio, data l’incidenza di tali questioni sull’organizzazione democratica del Paese. Che dire, infine, della progettata riforma delle intercettazioni? Berlusconi, in una delle sue ultime dichiarazioni, è ritornato sulla sua vecchia idea, che sembrava superata, di circoscrivere ai reati di mafia e di terrorismo la possibilità d’intercettare, con esclusione di ogni altro delitto, in particolare della corruzione. Anche questa è un’idea stravolgente. Bisogna dare atto che, all’interno della stessa maggioranza, vi è stato chi ha subito rifiutato questa prospettiva, individuando altrimenti le priorità della materia. Precisazione saggia. Occorrerà tuttavia vedere se, ancora una volta, il decisionismo del capo prevarrà sulla ragionevolezza di singoli, pur qualificati, esponenti della sua maggioranza parlamentare. Giustizia: in carcere meno di 7 giorni 85% stranieri arrestati
Ansa, 22 agosto 2008
Le carceri sono alberghi a ore, soprattutto se gli "ospiti" sono stranieri. È quanto emerge dall’ultimo rapporto del Dap, il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, per cui, nei primi cinque mesi del 2008, l’85% degli immigrati finiti dietro le sbarre è rimasto dentro meno di una settimana. Da gennaio a fine maggio 2008, gli stranieri entrati in una struttura detentiva sono stati circa 9.000. All’inizio di giugno, quelli ancora detenuti erano appena 208. Il 2% del totale. Cifre irrisorie, che hanno spinto i responsabili del Dap a scrivere al ministro competente. "Il fenomeno - si legge nel rapporto - si presenta come realmente dirompente per l’organizzazione penitenziaria. Occorre chiedersi se una permanenza così breve per un numero così alto di detenuti soddisfi le esigenze processuali e quelle di difesa sociale sottese all’applicazione di misure cautelari, in considerazione, anche, dell’assenza di una procedura effettiva di espulsione". Le espulsioni dal carcere, che risolverebbero almeno in parte il problema del sovraffollamento, infatti, non vengono eseguite quasi mai. E la causa del non funzionamento del meccanismo previsto dal testo unico in materia di immigrazione è sempre la stessa: carenza di risorse. Rispedire gli stranieri in patria costa troppo, e così capita che dei 4.500 soggetti espellibili perché resta loro da scontare una pena inferiore a due anni, abbiano fatto rientro nel Paese d’origine appena 282 condannati nel 2007 e 158 nei primi 5 mesi del 2008. Dalle percentuali emerge che l’indulto ha una minima responsabilità nel totale delle scarcerazioni "facili". Il dato nazionale dice che appena 10 mila detenuti degli 89mila arrestati sono usciti dalla galera grazie al provvedimento di clemenza. Le scarcerazioni ordinarie avvengono per varie ragioni e poi ci sono le uscite per le misure alternative alla stessa detenzione. Misure di cui possono beneficiare anche gli stranieri che, pur espellibili dal carcere non vengono espulsi. E allora capita che l’amministrazione, come per gli italiani, trovi loro un impiego fuori dalla struttura, e a volte una casa. Scontata la pena, il lavoro e la casa, legati all’esecuzione della condanna, spariscono. Giustizia: Sappe; detenuti lavorino tutti, guadagnando meno
Vita, 22 agosto 2008
Sul problema sovrappopolamento parla Donato Capece, segretario del sindacato della polizia penitenziaria. "Usiamo il braccialetto elettronico" E, per dare un’occupazione a tutti, propone una diaria forfettaria al posto della paga. Nonostante ci sia ancora chi lo considera la causa di tutti i mali e chi il bene assoluto, l’indulto è ormai soltanto un lontano ricordo. Lo dimostrano i dati di questi giorni e, tra i tanti, preoccupano quelli del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, apparsi sul Corriere della Sera, secondo cui su 55.250 carcerati, 20.175 sono stranieri. Una cifra in crescita, visto che sui 94mila ingressi del 2007, oltre 45.000 erano cittadini di un altro paese. Il Ministro della giustizia, Angelino Alfano, ha detto di voler riformare il settore, per risolvere il problema. Le soluzioni? Alcune le sta portando avanti il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria, e, come conferma il segretario nazionale, Donato Capece, il guardasigilli sembra apprezzarle.
Capece, come si risolve la questione? Per quanto riguarda gli stranieri, noi proponiamo di aumentare gli accordi bilaterali con i paesi di provenienza. Spendiamo 250 euro al giorno per un detenuto. Se lo stato desse 100-150 euro quotidiani a questi stati potremmo mandarli nei loro carceri a scontare la pena. Così, quando usciranno, se vorranno continuare a delinquere non lo faranno in Italia.
Il Sappe ha più volte parlato anche del braccialetto elettronico… Per i reati minori sarebbe ottimo. Potremmo dare i domiciliari a queste persone e controllarle a distanza, risparmiando molto. Oppure potrebbero lavorare, svolgere attività di utilità sociali.
Beh, una parte lavora già… Sì, ma dovrebbero farlo tutti, è una tappa necessaria per il reinserimento. Ma non con la paga sindacale, con una diaria forfettaria.
Cioè? I carcerati che lavorano, sia nel carcere che fuori, hanno uno stipendio che rispetta i contratti nazionali sindacali. Invece sarebbe meglio che fosse data loro una cifra diversa, minore. Che so, dai 650 agli 850 euro.
Non c’è il rischio che le società esterne preferiscano i detenuti rispetto ai lavoratori normali, i liberi, perché spendono meno? Ora costano troppo allo Stato. Dobbiamo trovare una soluzione a questo problema.
Ma così se ne crea uno sociale, no? Se non diamo loro un’occupazione, se non insegniamo un mestiere, usciranno e continueranno a delinquere. Inoltre così avrebbero i soldi da restituire.
Cioè? Per legge dovrebbero dare una certa somma alla fine della loro detenzione, ma quando escono il giudice li riconosce nullatenenti e non pagano niente. Non va bene.
E se i soldi li mandassero fuori, magari alle famiglie? Non è possibile, ogni carcerato ha un conto corrente congelato, da cui può prendere soltanto una piccola somma per le piccole spese settimanali. Se dentro ci fosse qualcosa, perché lui se l’è guadagnato quel qualcosa, e non perché glielo hanno spedito i familiari con mille sacrifici, potremmo trattenerne una parte.
Il sindacato dice che il ministro ha apprezzato le idee. Ma si sa altro? Vi ha chiesto un incontro? No, ma noi speriamo che la riforma contenga queste misure. Teniamo conto che ogni anno lo stato paga 2 milioni di euro alla Telecom per l’affitto dei braccialetti, che sono stati usati solo in alcuni casi, come prove. Saranno 7-8 anni che questa storia va avanti. A questo punto, usiamoli! Giustizia: Osapp; cani antisommossa in sezioni ad alto rischio
Il Velino, 22 agosto 2008
"Servono misure urgenti per la sicurezza negli istituti penitenziari come ad esempio l’impiego di cani anti-sommossa nelle sezioni ad alto rischio". A lanciare la proposta è l’Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp), che per voce del suo segretario generale Leo Beneduci registra un’impennata del numero delle aggressioni da parte di detenuti all’interno di istituti come quello di Caltagirone, di Napoli-Poggioreale, di Cuneo e di Napoli-Secondigliano, dove giorni fa un agente di polizia penitenziaria è stato sfregiato con una scatoletta di tonno. "Fermo restando che non si comprende come l’amministrazione penitenziaria possa consentire le vendita ai detenuti di generi conservati in scatolame di metallo, che si trasformano facilmente in armi da taglio - spiega il segretario generale - e non disponga invece la vendita obbligatoria di derrate in contenitori di cartone o plastica facilmente reperibili sul mercato, è indubbio - lamenta Beneduci - che tali gravi episodi siano l’effetto tangibile delle tensioni e della crescente promiscuità connesse al grave sovraffollamento degli istituti, per superare il quale, fino a oggi, non risultano programmi o iniziative né in sede politica né presso la stessa amministrazione penitenziaria". Secondo L’Osapp "si stima, infatti, che ai reali tassi di crescita, i 55.250 detenuti presenti attualmente nelle carceri (in realtà più di 56 mila) raggiungano presto entro la fine dell’anno la fatidica soglia delle 62 mila presenze". Lo stesso limite che, come ricorda il sindacato, nel 2006 giustificò il provvedimento dell’indulto. "Un bilancio grave, al quale l’amministrazione non è in grado di opporre se non una capacità ricettiva ferma ai 41 mila posti letto". Il sindacato comunica che "a contrastare i problemi non solo interni di un flusso umano pressoché inarrestabile, e dinamico sono al momento agenti addetti alle sezioni degli istituti a diretto contatto con la popolazione carceraria, che suddivisi per 3 o 4 turni di servizio giornaliero risultano essere non più di 20 mila poliziotti penitenziari". "Operatori in servizio - sottolinea Benedici - che non detengono gli idonei strumenti, né dal punto di vista giuridico, né dal punto di vista delle tutele". L’Osapp, inoltre, denuncia che la loro categoria "sconta un vulnus dal punto di vista professionale, visto che almeno da 10 anni nelle scuole dell’amministrazione non si effettuano in forma concreta e utile corsi di difesa personale". Il sindacato in conclusione sollecita il ministro della Giustizia Alfano "a fornire ogni ulteriore possibilità di difesa preventiva al personale di Polizia penitenziaria, per svolgere al meglio il servizio di sicurezza nelle sezioni detentive di maggior rischio, o in cui si verificano continuamente simili episodi di violenza". Giustizia: c’è un modo diverso di affrontare i fatti di sangue?
www.ilsussidiario.net, 22 agosto 2008
La tv con i suoi telefilm ci ha abituato alla risoluzione dei delitti nell’arco di una notte o di pochi giorni. Questo lo vediamo in CSI su Italia 1 e anche nella versione italiana, Ris - Delitti Irrisolti su Canale 5. Ma tutto questo è film, anzi è finzione, la realtà è ben altra cosa. Lo abbiamo visto a Cogne, a Perugia e a Garlasco. Un anno è trascorso dal delitto di Garlasco e solo ora gli avvocati dell’unico indagato hanno tirato fuori dal cilindro una loro perizia che discolpa il loro assistito, Alberto Stasi, sostenendo la tesi che a spostare il cadavere della ragazza sono state due persone di statura più bassa e che nulla è riconducibile al Dna del ragazzo. Annunciarlo adesso, dopo un anno, è un fatto di rilevanza mediatica non indifferente. Ormai i fatti di sangue sono eventi televisivi e mediatici. Fanno parte dei nostri palinsesti televisivi. Uno su tutti: la casa di Cogne con il suo plastico in studio. Sia Porta a Porta che Matrix non hanno fatto altro che enfatizzare i vari delitti per farli diventare veri e propri talkshow con ospiti più o meno illustri, più o meno clowneschi, dove tutti danno il proprio parere. Il delitto, il fatto di sangue è uno show che fa salire gli indici di ascolto delle emittenti. Con lo stesso criterio sono stati affrontati il delitto di Garlasco, di Perugia, i fratellini di Gravina. Anche la trasmissione Amore criminale (amori finiti nel sangue) di Rai Tre ottiene più del 10% di share con 1.800.000 contatti. Ma di questo non se ne ciba solo la televisione, anche i giornali fanno la loro parte soprattutto adesso, che a parte i Tg, i programmi d’attualità tv sono in vacanza. Nelle scorse settimane sono uscite le motivazioni della condanna di Anna Maria Franzoni e la perizia di parte di Garlasco. I quotidiani si sono buttati a piedi uniti sulla notizia costruendo diverse pagine sull’accaduto, anche se in tono minore per Cogne. Forse lì ormai i mezzi di comunicazione hanno iniziato a lasciar perdere: la poveretta è stata condannata in via definitiva e ormai non c’è più niente da dire. Se la strategia degli avvocati di Stasi doveva dar risalto alla perizia, hanno sbagliato i tempi ed i modi: è dura che i giornali ne parlino per più di un giorno, in quanto bruciati dai telegiornali della sera prima. Il periodo non è dei più propizi poiché ad agosto si legge di più sotto l’ombrellone, ma è La Gazzetta dello Sport a farla da padrone e si guarda meno televisione. Vespa è in ferie e Mentana ha imbastito settimana scorsa una puntata di Matrix particolare: in studio gli scrittori-giallisti Faletti, Lucarelli e De Cataldo. Un mix tra letteratura criminale e servizi veloci puramente di cronaca sulla novità di Garlasco e sulle non novità di Perugia. Più che parlare dei delitti come di solito sono stati affrontati in altre puntate della trasmissione, vi è stata un’analisi e pareri tra la scrittura e i fatti di cronaca reali. Di buono c’è che i tre scrittori sono il massimo che in questo momento la piazza propone e che non vi erano i soliti Crepet e il super criminologo Francesco Bruno. L’ascolto è stato buono, share superiore del 14%, con più di 800.000 spettatori. É stata una trasmissione che però non ha sfrugugliato nei rivoli del sangue. E sì perché il tono di tutte le trasmissioni dell’anno si è basato su questo. I vari conduttori probabilmente hanno il polso dei telespettatori che vogliono sapere anche i dettagli più effimeri, una curiosità che è impressionante che prende il sopravvento su tutto diventando morbosità. Risposta: ma il pubblico vuole questo. Il mio è un giudizio negativo sulla spettacolarizzazione dei fatti di sangue, la tv del dolore è solo la tv dell’audience, vi garantisco che gli anchormen, la prima cosa che fanno è controllare alle ore 10.00 del mattino i dati di ascolto. È solo un lavoro. Se si lasciassero imbrigliare emotivamente da tutte le puntate sui fatti di sangue citati dovrebbero andare in analisi per ripulirsi perlomeno dall’ansia che ciò provoca. Il dolore, il vero dolore ce l’hanno le madri, i padri e gli amici a cui è capitato il fatto di sangue. Dovrebbero proibire per legge tutte queste trasmissioni che arrivano a scavare nelle pieghe più fini della vita dei malcapitati e dei loro cari. A che serve sapere i dettagli dello schizzo di sangue sul muro? Una parola allora per chi affolla l’audience televisivo: spegnete più spesso il televisore; ai vostri figli che favola raccontate prima di metterli a letto, quella di Garlasco? Giustizia: non servono più carceri, serve più risocializzazione di Vincenzo Andraous
www.osservatoriosullalegalita.org, 22 agosto 2008
Ricordo le parole di un grande Magistrato: "Il discorso sulla sicurezza è diventato un’ossessione, ma non bisogna aspettarsi la soluzione dei problemi da un maggior numero di caserme (io aggiungerei di carceri), e sebbene sia giusta e congrua l’azione delle Forze dell’ordine, non dovremmo mai perdere di vista l’essere umano, la fragilità della vita umana". Quando penso al carcere, mi viene in mente quel nobile russo dell’era zarista a nome Oblomov, di cui mi ha raccontato don Franco Tassone della comunità "Casa del Giovane": era una brava persona, non fece mai male ad alcuno, tanto meno lo si sentì mai lamentarsi. Semplicemente, non faceva nulla, sopravviveva a se stesso, nel più totale disconoscimento del fare, così tutto ciò che gli apparteneva decadeva per usura del tempo e nell’introvabilità di una scelta. Questo immobilismo è oggi denominato come la patologia dell’oblomovismo. Oblomov aveva un sacco di progetti, di architetture mentali, ma morì senza avere costruito nulla, lasciando ai posteri ruderi e miserie. Sicurezza non è un ramo staccato dal vivere civile. Sicurezza sta a significare il coraggio con cui affrontare l’insicurezza, che è anche e soprattutto solitudine e mancanza di relazioni umane. Sicurezza non può essere lo strumento con cui chiedere alla giustizia penale di risanare ogni contraddizione. Infatti per chi varca la soglia di un carcere, la pena avrà un termine, quella persona uscirà, ma tutto quello che viene prima e deve venire dopo, deve riguardare un intervento che coinvolga l’intera società. Le scelte di politica criminale non possono essere dissociate da precise politiche sociali. Se ciò non è, allora equivale ad ammettere, per tecnici del diritto ed editorialisti di fama, che reprimere e rinchiudere conviene assai di più che recuperare, rieducare, risocializzare. Conviene, perché costa meno in termini finanziari, costa meno in risorse umane specializzate, costa meno in termini di ideali cristiani e democratici. Infine, comporta meno rischi da correre, è inevitabile che sia così. Eppure la storia è vita, e la vita non è uno slogan elettorale, ci rammenta cosa eravamo, chi siamo, e cosa vorremmo essere. Un carcere a misura di uomo significa concedere la possibilità di rivedere con occhi e sguardi nuovi ciò che è stato, e soprattutto di intendere il proprio riscatto e riparazione, non come l’assunzione di un servizio statuale, che come tale rimane uno scarabocchio sulla carta, ma dovrà essere inteso come una vera e propria conquista di coscienza. Rieducare non deve essere un traguardo per pochi privilegiati, ma una realtà costante, alimentata dalla capacità di mediare i principi del vivere civile alla quotidianità. Ritengo non più dilazionabile l’urgenza di coniugare in modo autentico teoria e prassi, sicurezza e risocializzazione, in quanto entrambe le istanze sono elementi costitutivi della nostra collettività. Forse, oltre la condivisione dei principi morali, i quali sono logicamente immutabili, sarebbe più consono e umano condividere le modalità e le sfumature, che invece purtroppo cambiano sovente. Lombardia: Osapp; parole di Luigi Pagano utili per la riforma
Il Velino, 22 agosto 2008
"Le considerazioni del Provveditore degli istituti di pena della Lombardia, nell’intervista rilasciata al Corriere della Sera, confermano quelli che sono sempre stati i timori riguardo a una vicenda così complessa che riflette anche il problema del sovraffollamento. E ridimensionano, a parer nostro, iniziative di recupero sociale che hanno come unica finalità solo quella di spendere male il denaro pubblico". L’organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria (Osapp), per voce del suo segretario generale Leo Beneduci fa riferimento all’intervista di Pagano apparsa oggi sulle colonne del quotidiano di via Solferino, a due giorni dalle polemiche sull’impiego dei detenuti nella pulizia delle strade della Brianza. "Il Provveditore usa parole equilibrate quando descrive attentamente una realtà complessa e variegata come quella del carcere di San Vittore, caratterizzata da una presenza massiccia di detenuti extracomunitari, dove a malapena si riesce a garantire la cosiddetta permanenza giornaliera". "Manca dello stesso equilibrio, invece, quando loda iniziative come quella di Ferragosto, che ha visto l’impiego di 11 agenti del Gruppo operativo mobile (Nucleo esclusivamente destinato per operazioni di traduzione e sicurezza dei 41 bis), conclusasi poi con una mega grigliata sovvenzionata dall’Amministrazione Penitenziaria. Come organizzazione autorevole - continua l’Osapp - abbiamo sempre dato una lettura obiettiva dei fenomeni che avevamo davanti. Abbiamo criticato iniziative legislative che, come la Bossi-Fini, la Fini-Giovanardi, o anche la ex-Cirielli, riducevano le possibilità di recupero del detenuto. A suo tempo - nota ancora il segretario generale - avevamo espresso forti dubbi a proposito di un decreto sicurezza che non teneva nel giusto conto la misura dell’allontanamento dello straniero quale meramente alternativa a quella della detenzione, esortando a rivedere quindi il sistema delle espulsioni". "Ora, puntualmente, Pagano ci racconta una storiella interessante sull’istituto da lui diretto, e sul fatto che in questo momento 7 detenuti su 10, a Milano, sono immigrati. L’alto dirigente dice anche di più, elemento questo su cui invitiamo a riflettere: il dott. Pagano sostiene infatti che l’affollamento è dinamico, che "su 100 arresti il 50 per cento torna in libertà". Ragione questa per la quale tutto il sistema ormai, a cui tutte le risorse sono destinate, sta in piedi, e a fatica, soltanto per quella trafila che viene chiamata "accoglienza" (visita medica, visita psicologica, accompagnamento da parte del personale nelle celle assegnate, verifica del livello di ansietà). Prendiamo quindi a pretesto le parole dell’autorevole esponente dell’Amministrazione Penitenziaria quando dice che "il rischio è che l’istituto (della pena) perda le sue caratteristiche, quelle scritte dall’articolo 27 della Costituzione, che parla di rieducazione del detenuto", per sostenere che non esiste alcun rischio, perché nella maggior parte dei casi tutto questo è già realtà. Viterbo: muore detenuto di 47 anni, aveva l’Hiv e l’Epatite C
Comunicato stampa, 22 agosto 2008
Il Garante dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni: "Quest’uomo, da tempo malato, aveva chiesto al Tribunale di Sorveglianza il differimento della pena per potersi curare a casa. malattia è stata più veloce del Tribunale". E’ morto nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Civitacastellana (Vt) proprio mentre il Tribunale della Libertà di Roma gli concedeva il differimento della pena per le sue gravi condizioni di salute. Protagonista del caso - segnalato dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti Angiolo Marroni - un detenuti italiano di 47 anni, Nicola G. L’uomo, malato di epatite C ed Hiv, era da poco detenuto nel carcere di Rebibbia Penale e doveva scontare una condanna che sarebbe finita fra tre anni. A causa del peggiorare della sua malattia Nicola, attraverso i suoi avvocati, aveva presentato istanza al Tribunale della Libertà chiedendo il differimento della pena. Il 19 giugno scorso i giudici avevano chiesto alla direzione del carcere una relazione medica sullo stato di salute di Nicola fissando per il 19 settembre l’udienza per decidere sull’istanza di differimento. Il 13 agosto il detenuto peggiora e viene ricoverato nella struttura protetta dell’ospedale "Sandro Pertini"; Tre giorni dopo viene trasferito nella struttura sanitaria protetta dell’ospedale "Belcolle" di Viterbo, dove arriva già in coma. Trasferito nel reparto di rianimazione dell’ospedale di Civitacastellana, Nicola muore il 18 agosto, proprio mentre il Tribunale della Libertà di Roma, davanti al peggioramento delle sue condizioni di salute, decide per il differimento della pena. "La morale di questa triste vicenda - ha detto il Garante regionale dei detenuti Angiolo Marroni - è che una persona è morta dove non doveva stare; praticamente in carcere e lontano dai suoi cari. Sono dispiaciuto di dover constatare che, ancora una volta, i tempi tecnici della giustizia sono drammaticamente più lunghi di quelli di una malattia che mina irreparabilmente la salute di un uomo".
Il Garante dei diritti dei detenuti del Lazio Foggia: in provincia ci sono 5 carceri, edificate e mai attivate
La Gazzetta del Mezzogiorno, 22 agosto 2008
Mentre il carcere di Foggia è ormai prossimo al collasso, in Capitanata ci sono 5 istituti di pena costruiti e mai attivati: è un controsenso insopportabile, perché lesivo della dignità dei detenuti e degli interessi della comunità". Lo afferma Michele Bordo, deputato del Partito Democratico, annunciando la presentazione di un’interrogazione, alla ripresa dell’attività parlamentare, con cui sollecitare il ministro della Giustizia, Angiolino Alfano, a chiarire "se e come il Governo intenda procedere all’attivazione delle strutture" costruite in provincia di Foggia e abbandonate all’incuria ed al vandalismo. "Negli ultimi 20 anni, sono stati realizzati 5 istituti di pena - ad Accadia, Bovino, Castelnuovo della Daunia, Orsara e Volturara Appula - per una disponibilità complessiva di circa 300 posti, mai entrati in funzione". Edifici per cui "lo Stato ha sostenuto una spesa di oltre 10 milioni di euro - afferma Bordo - che non sono mai stati attivati. Eppure, proprio in provincia di Foggia, si registra uno dei più clamorosi casi di sovraffollamento. Ad aggravare il quadro - continua il deputato del Pd - la denuncia pubblica del Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria che segnala la carenza, per il solo istituto foggiano, di 100 unità. Lavorare e vivere in queste condizioni è davvero difficile; a maggior ragione sapendo che sono stati inutilmente spesi milioni di euro in opere fantasma, che avrebbero anche potuto determinare un indotto economico a vantaggio delle imprese locali. Anche per rispetto nei confronti degli agenti e dei detenuti - conclude Michele Bordo - il Governo ha il dovere di esprimersi con chiarezza e mostrare la propria capacità operativa". Rovigo: il Comune istituirà il Garante per i diritti dei detenuti
Comunicato Stampa, 22 agosto 2008
Un garante per i detenuti, perché ne tuteli i diritti e le opportunità di recupero e riabilitazione è il progetto che l’assessore alle politiche sociali Giancarlo Moschin sta portando avanti, con già in tasca l’ok della Giunta, per avere in Veneto quale assoluta novità, ma sulla scia dell’esperienza fatta a Firenze e in altre città italiane, la figura di una persona che funga da "rappresentante" della popolazione carceraria di Rovigo. "Abbiamo sentito l’esigenza, come tavolo sul carcere - spiega l’assessore - di fare quanto già adottato in altre città, ossia avere una persona che segua i problemi di chi è recluso. Faccio un solo esempio: il carcere è luogo di rieducazione, ma tanti progetti che il tavolo vorrebbe realizzare non sono possibili perché mancano gli spazi all’interno della casa circondariale, poiché i pochi esistenti sono già impegnati da altre importanti iniziative. Questa figura rappresenta un atto di attenzione e civiltà nell’aiutare a riscattarsi e a reinserirsi nella società". Moschin porterà la delibera all’attenzione della commissione consiliare il 2 settembre, mentre il 15 dello stesso mese la presenterà proprio in carcere, ad una riunione del tavolo specifico. Nel frattempo l’assessore ha inviato al direttore della Casa Circondariale il regolamento sul Garante adottato in giunta per avere suggerimenti su eventuale osservazioni. Il garante sarà scelto dal sindaco tra persone che dovranno essere di prestigio nel campo delle scienze giuridiche, dei diritti umani e delle attività sociali negli istituti di pena e delle attività sociali, ma non potrà appartenere ai settori della magistratura o forensi, né della pubblica sicurezza. Resterà in carica cinque anni, ma potrà essere revocato per gravi motivi. Le sue funzioni saranno il promuovere i diritti e le opportunità di partecipazione alla vita comune, come formazione professionale, tutela della salute e così via. Allo stesso modo il garante dovrà promuovere incontri pubblici di sensibilizzazione sugli aspetti della detenzione e se serve, lavorare insieme al difensore civico comunale. Potrà anche segnalare violazioni dei diritti dei reclusi e confrontarsi con le autorità competenti sulle condizioni nelle quali vivono, fino a rapportarsi con le associazioni interessate ai problemi penitenziari. Tutto il suo operato sarà sottoposto annualmente al giudizio del Comune e delle associazioni specifiche, fino al tavolo sul carcere. Riceverà anche un’indennità simbolica di 1.200 euro l’anno, oltre al rimborso spese.
Centro Francescano di Ascolto Sassari: Radicali; detenuti scontenti di Garante dei loro diritti
La Nuova Sardegna, 22 agosto 2008
Il carcere di San Sebastiano è in condizioni disumane: "I carcerati vivono come bestie, il Garante comunale dei diritti dei detenuti non si vede mai e si rifiuta di visitare i reclusi di religione musulmana". La denuncia arriva dalla presidente nazionale dell’Associazione Radicale, Irene Testa, dopo la visita del 15 agosto scorso. Il disagio riguarda anche "le guardie penitenziarie e i familiari dei reclusi, costretti a condividere il degrado". Nella visita ferragostana i militanti radicali sono stati accompagnati dal deputato del Pd, Guido Melis, che dalle pagine della Nuova ha denunciato a sua volta l’inadeguatezza della struttura e una condizione ai limiti della legalità. "Il grave stato di degrado di San Sebastiano - commenta la presidente radicale - non è una novità per gli addetti ai lavori, ma questo non toglie niente a una situazione drammatica e senza via d’uscita, se non quella del completamento del nuovo carcere di Bancali". La struttura, però, non sarà pronta prima del 2011 e nel frattempo le famiglie dei detenuti, che non dispongono neanche di una sala d’attesa, continueranno ad aspettare l’ingresso per le visite sotto la pioggia invernale o la canicola dell’estate. Ma la situazione più drammatica resta quella degli ospiti. "Dopo la chiusura del secondo piano nell’inverno del 2007 - aggiunge Irene Testa - i detenuti sono stati trasferiti al primo piano, causando il sovraffollamento delle celle. All’interno del carcere, poi, manca qualsiasi attività lavorativa, le persone con problemi psichici sono rinchiuse in celle di due metri per due, dove accanto ai bagni alla turca vengono allestite le cucine". Dalla visita sono emerse anche altre carenze e i detenuti hanno "manifestato il proprio scontento nei confronti di suor Maddelena Fois", la garante dei diritti delle persone private della libertà, nominata dal Comune nel 2007. Su questo fronte la denuncia dei radicali è netta: "I detenuti credevano che il Garante difendesse i loro diritti e portasse all’esterno il loro di disagio. Invece non è così: i reclusi sanno solo della sua esistenza, sanno che è una suora, ma non l’anno mai vista. Inoltre, dicono che si rifiuta di di visitare i fedeli di religione musulmana". Per questo, la presidente dell’Associazione radicale, chiede alla Garante "come intende replicare alle critiche delle persone affidate alla sua tutela da quasi due anni". Nuove critiche che piovono sul capo di suor Maddelena Fois, dopo quelle mosse dal sindaco Ganau a ottobre dell’anno scorso. Allora, davanti alla commissione Affari sociali, Ganau tuonò che a distanza di sette mesi dalla nomina "non è stata scritta una sola riga e di ciò che accade a San Sebastiano non sappiamo assolutamente nulla". Dalla seduta della commissione era emerso anche che suor Maddalena non aveva effettuato neanche una visita, perché non poteva entrare in carcere senza le autorizzazioni preventive, e che le era più facile accedere da semplice volontaria, pittosto che da Garante. San Sebastiano ha duecento anni e, al suo interno, le guardie carcerarie vivono la stessa condizione di malessere dei detenuti. Nei giorni scorsi, Guido Melis, ha denunciato il taglio dei fondi per l’edilizia carceraria. Cagliari: Ferragosto a Buoncammino per una bimba 18 mesi
La Nuova Sardegna, 22 agosto 2008
"Una bimba di appena 18 mesi ha trascorso il Ferragosto dietro le sbarre, rinchiusa nel carcere di Buoncammino dal 6 agosto, senza neppure avere la possibilità di trascorrere qualche ora fuori dalla cella con altri bambini". Lo denuncia la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris, componente della Commissione "Diritti Civili", ricordando che la legge Finanziaria 2008 ha previsto appositi fondi per la ristrutturazione ed il completamento di strutture destinate ad accogliere, tra altri soggetti deboli, anche le donne in stato di detenzione con bambini. Sulmona: 2 agenti aggrediti, sindacati protestano col governo
Agi, 22 agosto 2008
"Cambiano gli schieramenti politici al Governo, ma nulla cambia in merito alla sicurezza, anche se sbandierata per prendere voti, anzi rapirli agli onesti cittadini che chiedono Sicurezza, Protezione, Legalità. Sotto il sole d’agosto nulla cambia ed è cambiato, anzi, è peggiorato il modo di trattare gli Operatori di Pubblica Sicurezza". Questo è quanto riportato nell’introduzione del comunicato del Coisp nazionale, a firma del segretario generale, Franco Maccari, in merito all’aggressione avvenuta ad agosto a danno di due agenti del commissariato di Sulmona. "Ieri - continua Franco Maccari - è stato liberato il Rom, che, assieme al fratello, ha aggredito i due poliziotti causando al primo la frattura della mandibola e la frattura di un braccio al secondo. Mentre gli agenti girano per gli ospedali, coloro che si sono resi responsabili di reati contro chi è deputato a garantire la sicurezza di tutti i cittadini, per conto dello Stato, sono liberi e contenti. Bravi gli avvocati, impotente lo Stato, millantatore il Governo". "Mentre il Ministro Roberto Maroni parla di sicurezza e dello spot dell’esercito in piazza - prosegue Maccari - i fatti e non le divise con le stellette usate a mò di comparse dimostrano che sino a quando non ci sarà la certezza della pena non si potrà parlare di sicurezza. Il Coisp sente l’obbligo di sottolineare all’opinione pubblica ed alla classe politica che senza una maggiore attenzione ai problemi delle Forze dell’Ordine, queste dovranno lavorare d’ora in poi con molta prudenza. La paradossale beffa è che i poliziotti non pagano solo fisicamente, ma anche moralmente e di tasca propria, visti gli articoli del decreto 112, tramutato in legge. Per questi articoli Maroni e Brunetta hanno ammesso il proprio errore, ma ancora non lo riparano con la promessa dispensa alla Tassa per malattia. Ecco che i due agenti feriti dovranno vedersi decurtare lo stipendio per 25 euro circa al giorno. Fannulloni del pubblico impiego? No, poliziotti che per difendere i cittadini sono stati oggetto di lesioni!". "Non giochiamo alle interpretazioni - conclude Maccari - anche perché in questo modo si offre campo libero a chi confonde, peraltro senza averne ruolo, le competenze politiche, legislative ed esecutive. Il Questore dell’Aquila dovrebbe ripassarle in un qualunque manuale di educazione civica, dal momento che ha ritenuto di interpretare personalmente norme riguardanti gli articoli di legge del citato ex Dl 112". Bologna: accuse tra agenti alla Dozza, il pm vuole archiviare
Il Resto del Carlino, 22 agosto 2008
Il pm Antonio Rustico ha chiesto l’archiviazione per i due dirigenti del sindacato di polizia penitenziaria Sappe che avevano accusato un assistente capo della sigla rivale Ugl di avere lasciato incustoditi alcuni detenuti al lavoro alla Dozza. L’accusa, smentita dall’ispezione di un sottufficiale, era stata ribadita in una lettera del Sappe che ha portato i due a essere indagati per diffamazione e calunnia. L’operatore ingiustamente indicato come negligente, assistito dall’avvocato Stefania Sacchetti, ha fatto opposizione alla richiesta del pm: dopo tale denuncia subì infatti un procedimento disciplinare e vide "il suo nome - scrive il legale - infangato da accuse gratuite e false". Per il pm invece il fatto "si inserisce in una situazione di contrasto tra varie componenti sindacali che non lascia tranquilli sull’affidabilità delle singole dichiarazioni" e "l’unica cosa certa, confermata da più persone, è che al momento della verifica l’assistente capo era sul posto di servizio". Nonostante ciò, per il magistrato "mancano gli elementi per agire in giudizio". Da quell’episodio, del 28 febbraio 2007, scaturì una girandola di veleni sfociata nella rimozione del commissario capo Sabatino De Bellis e della direttrice della Dozza Manuela Ceresani, con provvedimenti poi bocciati dal Tar. Bologna: progetto per utilizzo di serre all’interno del carcere
Comunicato stampa, 22 agosto 2008
La Direzione della C.C. di Bologna in data 6 agosto 2008 ha firmato una convenzione con il Sig. Franco Generali, che ha dato via ad un progetto di produzione orticole e di piante aromatiche all’interno delle "serre" presenti nella struttura penitenziaria. Il progetto attualmente vede coinvolti due detenuti che dopo aver frequentato un corso di formazione gestito dall’Ente di Formazione C.E.F.A.L., sono stati ammessi al lavoro, in prima fase, tramite borsa lavoro erogata dal Comune di Bologna. Il percorso progettuale prevede l’assunzione di due detenuti dall’Azienda diretta dal Sig. Generali in lavoro intramurario e di un detenuto a tempo indeterminato all’esterno. Tale progetto intende rafforzare il percorso trattamentale dei detenuti utilizzando la formula del lavoro in carcere come ponte per il reinserimento sociale degli stessi nel tessuto cittadino. Droghe: Giovanardi contro le "smart drugs" e i "rave party"
Notiziario Aduc, 22 agosto 2008
Lotta alle cosiddette "droghe furbe", stretta sui "rave party" e disponibilità ad introdurre il test anti-droga per i parlamentari. Il sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega alla famiglia, alla lotta alla droga e al servizio civile, Carlo Giovanardi, fa un bilancio di quanto fatto dal governo nel contrasto all’uso e allo spaccio di stupefacenti e soprattutto per svelare i prossimi provvedimenti e iniziative dell’esecutivo. "Intanto abbiamo ripristinato il dipartimento anti-droga presso la presidenza del Consiglio, che era stato smantellato dal governo Prodi. In luglio poi abbiamo fatto un’assemblea con le 600 comunità di recupero italiane per rilanciare un sistema di collaborazione tra il pubblico e il privato sociale sul territorio", ricorda Giovanardi. In settembre-ottobre, inoltre, decollerà un’iniziativa sperimentale a Foggia, Verona, Cagliari e Perugia che renderà obbligatoria, in via sperimentale in quelle città, il test anti-droga per chi chiede il patentino o la patente. Con l’intenzione poi di estendere questo test in tutta Italia, certamente anche per i rinnovi della patente. Già alla fine di luglio abbiamo mandato alla conferenza Stato-Regioni il protocollo che finalmente dichiara legge i test obbligatori per tutti i lavoratori a rischio, ad esempio gli autisti di pullman e piloti di aereo". Allo studio del governo inoltre "una norma che vogliamo introdurre nel disegno di legge sulla sicurezza, che dovrebbe permettere di contrastare i negozi dove vendono le cosiddette droghe furbe e anche i rave party", annuncia Giovanardi. Una norma che "proibisce la pubblicizzazione dell’uso di sostanze illecite nascondendosi dietro il cavillo giuridico che questi negozi dicono che vendono sostanze che hanno un nome di droghe, tipo oppio liquido, ma, fatta l’analisi chimica, droghe non sono. Lo vogliamo fare anche per contrastare il fenomeno dei rave party, che provocano danni all’ambiente ma soprattutto la diffusione di droghe e tanti decessi di giovani". Quanto alla possibilità di introdurre il test anche per i parlamentari, il sottosegretario non esclude la possibilità: "Casini aveva presentato un disegno di legge durante la scorsa legislatura ma ho visto che in questa non lo ha ripresentato. Se il Parlamento votasse una norma di questo tipo non ci sarebbe nulla di male, anzi sarei favorevole. Sarebbe volontario e chi vuole lo fa. Così ognuno si assume le proprie responsabilità". Droghe: Torino; esercito al Parco Stura... lo spaccio si sposta
Notiziario Aduc, 22 agosto 2008
Una migrazione lenta, come i passi stentati che trascinano i tossicodipendenti. Dal parco Stura, dove avevano trovato una narco-sala all’aperto, oltre che una sorta di rifugio per molti di loro, gli uomini-ombra hanno iniziato a spostarsi nelle altre aree della città. Due settimane fa il massiccio arrivo dell’esercito a pattugliare, a supporto di polizia e carabinieri, l’area di sassi e arbusti che da corso Giulio Cesare si allarga lungo il torrente Stura. Da allora la zona di fronte al Novotel e al Palazzo della moda si è improvvisamente spopolata. Ancora una manciata di arresti nei primi giorni e poi un resoconto sempre più stringato. Una ventina le persone identificate al giorno, uno o nessuno straniero senza documenti accompagnato per accertamenti. Gli esponenti radicali torinesi Domenico Massano e Giulio Manfredi hanno dichiarato: "I primi risultati dell’intervento dell’esercito ci dicono che si è riusciti semplicemente a spostare un problema localizzato in un luogo, Parco Stura, su tutto il territorio cittadino. Questo rende il fenomeno meno controllabile, accrescendo i rischi per le persone tossicodipendenti e per l’intero tessuto urbano, che deve confrontarsi con una situazione inaspettata e altamente problematica. Come giustamente afferma il dott. Paolo Jarre (direttore dipartimento dipendenze Asl 5 di Rivoli) questo uso dei militari serve davvero a poco "servivano ospedali e docce" e, magari, la riapertura del discorso sulle narco-sale. Sicuramente servirebbe, quantomeno, un confronto tra i titolari dei diversi interventi (militari, sanitari, sociali e di riqualifica), per evitare di intraprendere demagogicamente azioni i cui risultati rappresentano un problema più grande e complesso di quello che si tentava di affrontare in un primo momento. Le recenti morti di cittadini tossicodipendenti rappresentano una tragedia "evitabile" che dovrebbe richiamare l’attenzione dell’intera cittadinanza, ma, soprattutto, dei rappresentanti politici (Sindaco ed Assessori in primis) sull’urgenza di avviare un confronto serio e responsabile sull’attuale situazione, coinvolgendo le diverse parti in causa (esercito, servizi sanitari, sociali, cittadinanza, …) e prendendo in considerazione tutte le misure di intervento (incluse le narco-sale), che potrebbero rientrare in una strategia di governo efficace del fenomeno." Libia: in sciopero della fame 700 eritrei, detenuti da due anni
Ansa, 22 agosto 2008
Circa 700 eritrei, tra cui 30 bambini, detenuti nel carcere libico di "Misurata" da circa due anni, stanno attuando uno sciopero della fame per sollecitare un intervento dell’Unione europea e trovare una soluzione ai loro problemi. La notizia arriva da Mussie Zerai, presidente dell’associazione eritrea Habeshia che si occupa di aiutare i connazionali in difficoltà. Gran Bretagna: persi i dati informatizzati di 30.000 detenuti
Reuters, 22 agosto 2008
I dati personali di tutti i detenuti delle carceri di Inghilterra e Galles sono andati perduti da parte di una società di consulenza del governo nell’ultimo caso di violazione della sicurezza informatica in Gran Bretagna. La polizia è stata subito contattata quando la società di consulenza che lavorava per il governo ha perso uno stick di memoria in cui erano contenuti nomi e date di nascita di 33.000 detenuti con sei o più condanne e di tossicodipendenti inseriti in programmi di riabilitazione. L’accaduto segue episodi analoghi nel Regno Unito, in cui sono andati persi documenti segreti di intelligence, informazioni riguardanti milioni di richiedenti di assegni familiari e dati su neopatentati. Lo scorso anno, il primo ministro Gordon Brown ha dovuto ordinare una revisione urgente dopo che il fisco aveva detto di aver perso i dati di 25 milioni di persone, esponendole al rischio di frode e furto d’identità. Il ministero dell’Interno ha riferito di aver criptato i dati dei prigionieri prima di consegnarli al Pa Consulting Group, azienda di consulenza manageriale di Londra, da cui non è ancora stato possibile avere un commento. Il ministero dell’Interno ha inoltre ordinato un’indagine immediata sull’accaduto. Bosnia: un piccione utilizzato per portare l'eroina in carcere
Il Velino, 22 agosto 2008
Rifornivano di droga un carcere di massima sicurezza per mezzo di un piccione viaggiatore. È successo a Zenica, città bosniaca non distante dalla capitale Sarajevo, dove la polizia si è accorta delle inusuali e frequenti visite di un piccione addestrato all’esterno. A mettere in sospetto le autorità è stato soprattutto il comportamento di quattro detenuti, in evidente stato di alterazione psichica dopo la visita del piccione, poi risultati positivi per eroina a un test antidroga. Secondo il vice capo delle guardie penitenziarie, Josip Pojavnik, gli stupefacenti (eroina e cocaina) venivano chiusi in una bustina attaccata alla zampa dell’animale, che potrebbe essere stato inviato persino dalla città di Tuzla, a ben 70 chilometri dalla struttura carceraria di Zenica. In quella località le autorità stanno indagando su un allevatore. I quattro detenuti facevano parte di un progetto rieducativo che tra le cui attività aveva proprio l’allevamento di piccioni. Quindi, sebbene il volatile "arrestato" (Pojavnic ha affermato che si trova ancora nel carcere) non fosse parte di quel progetto, si teme che il commercio di droga si sia servito anche dei piccioni "interni". Nel carcere di Zenica i detenuti scontano pene per reati particolarmente gravi, come l’omicidio, i crimini di guerra e quelli contro l’umanità. La struttura è stata anche nel mirino di Amnesty International per le disagiate condizioni dei detenuti, alcuni dei quali hanno però evidentemente trovato un modo ingegnoso di alleviare la propria pena. Russia: negata libertà condizionata a Mikhail Khodorkovsky
Apcom, 22 agosto 2008
La promessa di non occuparsi più dell’industria petrolifera e di impegnarsi in iniziative umanitarie non è bastata. Mikhail Khodorkovsky, l’ex uomo più ricco di Russia, ha visto respinto dal Tribunale siberiano Ingodinsky, a Chita, la sua istanza di libertà condizionata. Il tribunale, spiega l’agenzia di stampa Interfax, ha dato ascolto alle valutazioni espresse dal Servizio federale penitenziario, che ha dato parere negativo alla libertà sulla parola. Secondo il funzionario ascoltato, Khodorkovsky non ha dato segnali di buona condotta in carcere e per tre volte è stato confinato in cella d’isolamento per aver violato il regolamento carcerario della prigione di Krasnokamensk, dove è ristretto. Anche il procuratore ha dato parere negativo. Secondo l’accusa, Khodorkovsky avrebbe potuto tentare di ostruire le indagini, se fosse stato messo in libertà. La difesa di Khodorkovsky ha già annunciato che ricorrerà contro la decisione della corte. "Presenteremo appello, ovviamente", ha dichiarato l’avvocato Yury Shmidt. Una protesta è arrivata anche dal Gruppo di Helsinki a Mosca. "Non c’erano motivi formali per negare la libertà sulla parola a Khodrkovsky. Se la nostra giustizia fosse indipendente, a Khodorkovsky sarebbe stata accordata la libertà condizionata", ha dichiarato Lyudmila Alexeyeva, che guida l’organizzazione. Khodorkovsky ha oggi 45 anni ed è in carcere dal 2003. All’apice del suo potere era considerato il prototipo degli "oligarchi" che, con il crollo della Russia e favoriti anche dal rapporto col nuovo potere che s’era installato a Mosca, avevano scalato il mondo dell’economia. In particolare, Khodorkovsky era alla testa della Yukos, il principale gruppo petrolifero della Russia. Uomo più ricco della Federazione, sedicesimo al mondo secondo Fortune. A ottobre del 2003, però, la Yukos e il suo numero uno entrano nel mirino del fisco, che li accusano di truffa ed evasione fiscale. Secondo diversi osservatori, dietro le disavventure di Khodorkovsky ci sarebbe una vera e propria persecuzione politica nei suoi confronti e di Platon Lebedev, il suo ex socio a capo di Menatep. Entrambi sono stati condannati nel 2005 a 9 anni di carcere, poi ridotti a otto. Dal 2005, poi, la situazione di Khodorkovsky è ulteriormente peggiorata, con il trasferimento nel remoto carcere siberiano a oltre 6mila chilometri da Mosca. Inoltre, nei suoi confronti è stata aperta un’ulteriore inchiesta per un presunto riciclaggio di circa 7,5 miliardi di dollari tra il 1998 e il 2004.
|