Rassegna stampa 11 settembre

 

Giustizia: Veltroni; pena certa e carceri adatte al recupero

 

Apcom, 11 settembre 2007

 

Serve "un sistema giudiziario che restituisca certezza alla pena e ai tempi nei quali essa viene erogata. Questa della giustizia è una vera emergenza nazionale". Lo dice Walter Veltroni in un’intervista a "Micromega", nella quale risponde a una domanda sulla politica della giustizia che il centrosinistra intende promuovere.

"Da quindici anni il paese assiste sgomento ad un dibattito sulla giustizia concentrato esclusivamente sul rapporto tra magistratura e politica - osserva il sindaco di Roma -. Non sarò io a negare l’importanza di questo aspetto e la necessità democratica di difendere l’autonomia della magistratura dai tentativi di una parte della politica di creare nuove impunità. E ho già detto che le leggi-vergogna vanno semplicemente cancellate. Ma agli occhi dei cittadini di cui parlavo prima il problema principale della giustizia non è questo: è la durata dei processi, che è oggi tre, cinque, dieci volte superiore alla media europea e a ciò che sarebbe ragionevole. Processi che durano anni rendono aleatoria una pena che dovrebbe essere certa contro chi commette un crimine. E rendono praticamente impossibile avere giustizia in caso di controversia civile, con costi economici immensi".

"Penso che il Pd dovrà mettere intorno ad un tavolo magistrati, avvocati, giuristi, esperti in cultura dell’organizzazione e porre loro una semplice domanda: come possiamo, insieme, lavorare per dare all’Italia, nel più rigoroso rispetto delle garanzie costituzionali, una giustizia che abbia finalmente tempi europei?", chiede il candidato leader del Pd. E aggiunge: "per un’efficace politica della sicurezza: dobbiamo occuparci delle carceri, non solo quando scoppiano. Le nostre carceri non possono essere discariche di umanità dolente.

Devono essere quello che la Costituzione vuole che siano: luoghi di recupero, attraverso l’espiazione certo, ma anche attraverso un percorso di reinserimento, soprattutto per i più giovani e per chi si è macchiato di reati minori. Questi percorsi oggi mancano quasi del tutto, per le gravi carenze di strutture e di personale. Ma se i detenuti non riescono né a studiare né a lavorare, il carcere finisce per essere un’università del crimine, dunque un’istituzione più dannosa che utile, ai fini della sicurezza. Anche su questo è necessaria una svolta, se non vogliamo ritrovarci, tra qualche mese, a ridiscutere di amnistie o indulti a causa del sovraffollamento delle carceri".

Giustizia: la Cassazione; il carcere per i minori che rubano

 

Corriere della Sera, 11 settembre 2007

 

La Suprema Corte ha annullato una sentenza con cui non veniva convalidato l’arresto di una nomade sorpresa in una casa a rubare. Nessuna scusante d’ora in poi per i minorenni trovati a scippare o a rubare. La Cassazione dà il via libera alla custodia cautelare nei confronti di ragazzini accusati di furto in appartamento o scippi per strada. La Suprema Corte ha infatti annullato l’ordinanza con la quale il Tribunale per i minorenni di Roma aveva disatteso la richiesta di convalida dell’arresto di un’adolescente nomade, sorpresa a rubare in una casa, sostenendo che la misura cautelare non era applicabile per questo genere di reati. La Suprema Corte è stata di diverso avviso e ha annullato con rinvio al Tribunale per i minorenni di Roma che dovrà adottare la "linea dura" nei confronti dei giovanissimi ladri d’appartamento e scippatori.

Doppia interpretazione - Sull’applicabilità, o meno, del carcere preventivo ai minori accusati di furto nelle abitazioni o scippo, la Cassazione ha prodotto due filoni giurisprudenziali in netto contrasto tra loro e mai risolti, finora, dalle Sezioni Unite cui la questione era stata sottoposta ma che - per motivi di sopravvenuta mancanza d’interesse - non è stata risolta.

In base a un primo orientamento, la custodia cautelare non sarebbe applicabile nei confronti dei minorenni che rubano e scippano in quanto il carcere preventivo per tali reati non sarebbe espressamente richiamato dal Dpr 448 del 1988 che disciplina i casi in cui può essere applicata la custodia nei confronti di imputati minorenni e che non sarebbe stato coordinato con la legge 128 del 2001 che ha definito il furto in appartamenti e gli scippi come autonome e specifiche fattispecie di reato.

Un secondo orientamento - condiviso dalla sentenza 34216 della quarta sezione penale della Suprema Corte, depositata oggi, sostiene che è invece possibile applicare ai minori la custodia cautelare anche nel caso di "illeciti puniti con la reclusione non inferiore a nove anni" ed anche nel caso di "specifiche fattispecie" come quelle del furto "ridisegnate" dalla legge 128 del 2001. In pratica, per gli ermellini "i reati di furto, aggravati perché commessi in abitazione o con strappo" fanno scattare la custodia cautelare in quanto hanno "l’aggravante incorporata" dalla modalità stessa di commissione del reato e non importa se, per i furti in appartamento e gli scippi, il nuovo articolo 624 bis del Codice Penale prevede la reclusione massima fino a 6 anni. Per effetto di questa decisione il Tribunale dei minori di Roma dovrà rivedere la decisione con la quale, lo scorso 23 gennaio, ha rimesso in libertà Romina N., un’adolescente sorpresa a rubare in un appartamento della capitale. La convalida dell’arresto era stata chiesta dal pm.

Giustizia: oggi transita in carcere il 30% dei minori fermati

 

Il Mattino, 11 settembre 2007

 

Sono 3.031 i minori che nel 2006 hanno fatto ingresso in uno dei 25 centri di prima accoglienza dopo essere stati arrestati, fermati o accompagnati per reati che nel 72,5% dei casi sono contro il patrimonio (soprattutto furto o rapina). Il 58% sono stranieri, provenienti per lo più dell’Est europeo (Romania e Paesi dell’ex Jugoslavia) o dall’Africa del Nord (Marocco e Tunisia).

La custodia cautelare in carcere. Contrariamente a quanto indicato ieri dalla Cassazione sulla necessità della custodia cautelare nei confronti di ragazzini minorenni accusati di furto in appartamento o scippi per strada, i dati del Dipartimento della giustizia minorile indicano che solo al 30% (726 casi nel 2006) viene applicata la misura della detenzione negli istituti penali per minori. Per il resto, invece, i giudici minorili, chiamati a decidere durante l’udienza di convalida, optano per le misure cautelari non detentive, in particolare il collocamento in comunità (29%), la permanenza in casa (27%) o le prescrizioni (14%). Le misure cautelari, poi, vengono applicate più frequentemente ai ragazzini italiani (84%) rispetto agli stranieri (57%): tra questi ultimi, infatti, molti vengono rimessi in libertà perché hanno meno di 14 anni e quindi non sono imputabili (268 casi lo scorso anno, per lo più ragazzine nomadi).

Furti e rapine, 81% dei reati commessi da minori stranieri. Su un totale di 3.900 reati contestati ai minori transitati nel 2006 nei centri di prima accoglienza, la maggior parte (il 72,5%) è contro il patrimonio, commessi con una maggiore incidenza dagli stranieri (81%) rispetto agli italiani (62%). In particolare, per furto sono stati fermati o arrestati 1.862 ragazzini, di cui 1.335 stranieri; 802 per rapina (di cui 367 stranieri); 47 per estorsione; 69 per ricettazione. Istituti per minori, 1.362 ingressi in carcere. Ogni anni sono 20mila (per l’esattezza 19.920 nel 2006) i minori che vengono segnalati dall’autorità giudiziaria agli uffici di servizio sociale per i minorenni per aver commesso un reato.

I servizi sociali se ne sono fatti carico per il 66% (13.066 casi). A conoscere la realtà restrittiva di uno dei 18 istituti penali per minorenni sono in pochi: gli ingressi sono stati 1.362, il 57% dei quali di minori stranieri. Mediamente, nel 2006, la presenza giornaliera negli istituti minorili è stata pari a 418, in diminuzione del 12% rispetto all’anno precedente per effetto dell’indulto varato dal Parlamento la scorsa estate. Comunità, +128% in 8 anni. Le misure cautelari non detentive si risolvono, nella maggior parte dei casi, nell’invio dei minori in comunità, pubbliche o private. Il numero dei collocamenti in comunità ha registrato un vertiginoso aumento negli ultimi anni, passando da 834 nel 1998 a 1.899 nel 2006 (+128%). In comunità vanno soprattutto gli italiani (56%), ma anche per gli stranieri il trend è in aumento. Dalle comunità, però, è facile fuggire, come è stato per uno dei giovani accusati dell’aggressione al regista Giuseppe Tornatore. Nel 2006 gli "allontanamenti arbitrari" sono stati 648, ma di questi 131 hanno fatto ritorno. Il tasso di "fuga" dalla comunità è più alto per i nomadi (58 ogni 100), rispetto a quello degli stranieri (46).

Giustizia: il giudice; pensare prima al recupero dei minori

 

La Stampa, , 11 settembre 2007

 

Ogni caso deve essere valutato per se stesso, non può essere generalizzato. È pur vero che la Corte di Cassazione stabilisce un principio di diritto, ma lo stabilisce su un fatto specifico. Giulia De Marco, presidente per anni del Tribunale per i Minorenni di Torino, non vede la "tolleranza zero" a tappeto contro la piccola criminalità minorile.

 

Dottoressa De Marco, la punizione, il carcere al primo reato del ragazzino non serve?

"Può anche servire. Ma se la giustizia va sempre applicata caso per caso, ancor di più questo discorso vale per i reati di cui sono colpevoli i minorenni".

 

Non si rischia il "buonismo" che cancella le regole?

"Assolutamente no. Ci sono casi in cui condanna e pena sono necessari, non c’è dubbio. Ma ognuno deve essere valutato per la sua storia, le sue esigenze. Stanno crescendo, magari in modo sbagliato e la magistratura deve cogliere la via migliore per portarli sulla strada corretta".

 

Ragazzini, adolescenti, gente ancora in divenire…

"Appunto. Qualcuno può addirittura aspettarsi la punizione, altri invece hanno sbagliato e se ne rendono conto, vogliono aiuto. Non è buonismo: è cercare la soluzione migliore per loro e per la società che li dovrà prima o poi accogliere".

 

Ricostruire anziché punire e basta?

"Questo è il dettato, questo è lo scopo della legge. Una giustizia riparativa anziché punitiva è la migliore per tutti. Anche se, ripeto, valutando caso per caso, si può benissimo veder necessaria una linea dura".

 

Qualcuno teme che a forza di distinguo si finisca per giustificare tutto, anche i reati peggiori commessi però da minorenni.

"Non è assolutamente così. Anzi, è il contrario. Pensi soltanto al contesto familiare. Può essere devastante per il minore, può essere condizionante dei comportamenti. Allora è meglio il carcere che in famiglia è visto come un riconoscimento e una crescita o è meglio l’allontanamento da quel contesto?".

 

Ma i ragazzi spesso delinquono in piena coscienza.

"Non si tratta di dire: poverini. Si tratta di pensare guardando il futuro. Non conviene a tutti un recupero? L’importante è che il recupero sia ipotizzabile, visibile o intuibile. La magistratura minorile non dà pacche sulle spalle. Dà percorsi precisi e mirati".

Giustizia: il pm; nessuna novità, io chiedo sempre l’arresto

 

La Stampa, 11 settembre 2007

 

Il pm Simonetta Matone, che lavora da anni al tribunale minorile di Roma, e che quotidianamente ha a che fare con torme di zingarelli arrestati mentre s’intrufolano nelle case o mettono le mani in tasca ai passeggeri della metropolitana, quasi sempre pluri-pregiudicati, con un fascicolo alto così già a sedici anni, è scettica e non vede grandi novità di giornata.

 

Dottoressa Matone, cambia tutto nella giustizia minorile?

"Guardi, la Cassazione non ha fatto altro che ribadire un principio già noto. E sacrosanto, aggiungo, data la gravità delle situazioni dei minori coinvolti. Da sempre è possibile l’arresto di minori per furti in appartamento o per scippi".

 

Eppure il caso non è così chiaro se si è dovuta scomodare la Cassazione.

"Non entro nel merito della sentenza, perché non l’ho ancora letta e poi perché riguarda il mio ufficio. Dico solo che io, da pubblico ministero, ho regolarmente chiesto la convalida dell’arresto quando si è di fronte alla flagranza e l’ho quasi sempre ottenuta".

 

Certo, davanti al gip, un pm a volte la vince, a volte la perde. Ma qui si discute di rovesciare un orientamento della giurisprudenza sui minori. Prima tutti fuori, ora tutti dentro?

"Diciamo subito che il carcere, sotto i diciotto anni, è davvero l’extrema ratio. Si preferisce di gran lunga il collocamento in comunità oppure mandarli ai domiciliari".

 

Con i giovanissimi nomadi, però, che non hanno fissa dimora, e che risultano nullatenenti e quindi non temono neppure le multe...

"Aggiungiamoci che a quindici anni dimostrano una maturità, ahimè, ben maggiore di un quindicenne italiano...".

 

Chiaro il suo sottinteso: a volte non resta che il carcere. Insomma lei non vede una gran rivoluzione. Anche perché lei, minori o non minori, è nota per essere un magistrato severo.

"Ricordiamoci sempre, però, che la misura dell’arresto per minorenni è facoltativa e non obbligatoria per i magistrati. È quanto prevede la legge sulla giustizia minorile. Ed è giusto che sia così: perché bisogna sempre valutare la personalità del minore. E prima di prendere una decisione così grave come la restrizione della libertà, occorre pensarci su".

Giustizia: l’avvocato; una sentenza tecnicamente corretta

 

www.radiocarcere.com, 11 settembre 2007

 

Il penalista Franco Coppi plaude alla sentenza della Cassazione che dispone il carcere preventivo per i minorenni sorpresi a compiere furti in appartamento o in uno scippo.

"La Cassazione si è trovata di fronte ad un problema di coordinamento tra la vecchia e la nuova norma sul furto, ritenendo, giustamente, che c’è una continuità tra la precedente e la attuale. Perciò - afferma il noto penalista - è auspicabile ritenere che anche le Sezioni Unite appoggeranno questa interpretazione".

Insomma, come afferma Coppi, la sentenza della Quarta sezione penale della Cassazione è destinata a fare scuola. "Anche perché - annota ancora il penalista - creando una figura autonoma del reato di furto, il legislatore non intendeva certamente alleggerire il tipo di reato. Se poi consideriamo che spessissimo i furti in appartamento o gli scippi sono commessi da ragazzini...".

A questo punto, osserva ancora Coppi, "sarebbe auspicabile che il legislatore intervenisse sulla normativa per chiarire il coordinamento". Come infatti spiega ancora, in origine, era sancita esplicitamente la custodia cautelare per furto commesso anche da minori. "Successivamente la normativa è stata rimaneggiata - ripercorre ancora Coppi l’iter legislativo - e da furto aggravato ne è stata fatta un’ipotesi a se stante, facendo venire meno il riferimento esplicito al furto aggravato. La Cassazione oggi ha detto che siamo di fronte alla stessa figura di reato perché tra le due norme c’è continuità. Del resto, sarebbe paradossale dare una importanza maggiore al reato senza possibilità di infliggere la custodia cautelare. Anche se a commettere il furto è un minore"

Giustizia: il volontario; sono meglio le misure alternative

 

Redattore Sociale, 11 settembre 2007

 

Fra Beppe Prioli, cappellano del carcere di Verona e membro del Seac, critica la sentenza della Cassazione sul caso della ragazza Rom sorpresa a rubare in un appartamento.

Il carcere per i minori che commettono reati? La sentenza della Cassazione che annulla la precedente sentenza del Tribunale dei minori sul caso della ragazza Rom sorpresa a rubare in un appartamento? "La Cassazione sbaglia - ci risponde fra Beppe Prioli, gruppo Cappellani del carcere di Verona e membro del consiglio nazionale del volontariato in carcere (Seac) - io lavoro da 40 anni con i carcerati, sia minori, sia adulti e so che cosa vuol dire il carcere e che cosa produce sulle persone. Noi siamo contrari al carcere per i minori e siamo invece a favore di misure alternative".

Chiediamo a fra Beppe Prioli se considera il carcere negativo per i suoi effetti e se ci può indicare una strada diversa. "È chiaro - risponde - che a questi ragazzi che commettono reati bisogna dare delle regole e degli obblighi ed è chiaro che bisogna garantire la sicurezza. Ma non è certo il carcere la soluzione. Basta guardare all’interno dei carceri minorili. Io conosco molto bene quello di Treviso. È una struttura completamente inadatta per i minori, una struttura con locali molto vecchi e senza nessuno spazio per la socializzazione. Per il riscatto e il reinserimento di questi ragazzi ci vogliono spazi in cui farli stare, la sala musica, la sala incontri. A Treviso non c’è nulla di tutto ciò, esiste solo una sala comune dove si svolgono tutte le attività. In più l’amministrazione ha mostrato sempre grandi difficoltà nel trasferire questi ragazzi".

Fra Beppe, commentando la sentenza della Cassazione, allarga il suo ragionamento: il carcere, dice, non va bene per i minori, ma non va bene neppure per gli adulti. Ci vogliono misure alternative. "Lasciatemelo dire a me che frequento i carcerati da 40 anni, compresi quelli che hanno commesso omicidi". Per i minori il carcere è sbagliato sempre, sia in caso di piccoli reati come il furto, anche in appartamento come quello per cui è stata condannata la ragazza oggetto della sentenza della Cassazione, sia in caso di reati anche più gravi.

Salute: l’inferno degli Opg; serve subito una nuova legge

 

Redattore Sociale, 11 settembre 2007

 

Sono circa 1.200 gli internati nelle sei strutture esistenti. Vivono in condizioni disumane, il personale è insufficiente e la presenza di medici e psichiatri ridotta all’essenziale.

Scatta l’emergenza Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari, vero ibrido del sistema: non sono ospedali, non sono carceri, non sono manicomi. È un’area grigia dove si consumano vere e proprie tragedie di persone bollate per sempre come malati di mente e condannate il più delle volte per piccoli reati. La stragrande maggioranza dei malati internati negli Opg non sono pericolosi socialmente, eppure sono completamente abbandonati al loro destino.

In questi giorni il tema è tornato alla ribalta della cronaca per la denuncia di alcune associazioni e per la decisione di alcuni parlamentari (vedi il lancio successivo) di riavviare un verifica. I detenuti-malati di mente degli Opg vivono il più delle volte in condizioni disumane, in celle da due persone, riorganizzate per contenerne cinque. Il personale è insufficiente e la presenza dei medici e degli psichiatri ridotta all’essenziale.

Nell’Opg di Barcellona (Messina), per esempio, il rapporto tra medici e pazienti permette una sola visita all’anno per ogni malato mentale. Condizioni di sovraffollamento e carenza di personale anche in tutti gli altri Opg italiani. In tutto le strutture sul territorio nazionale sono oggi 6, con circa 1200 internati, che molto spesso vengono trasferiti da una struttura all’altra. Dopo le parziali aperture degli anni passati sono tornate le vecchie celle e i letti a castello perché lo spazio dei locali è sempre insufficiente. Con la ristrutturazione (in peggio) dei locali tornano anche i vecchi metodi di "cura".

Gli Opg sono una contraddizione in sé anche dal punto di vista amministrativo: sono in carico all’amministrazione della Giustizia, ma sono ospedali; sono ospedali psichiatrici che ricoverano persone con disturbi psichici, ma sono gli unici ad essere rimasti aperti dopo la Legge 180. Strutture edificate con altre finalità (spesso antichi conventi parzialmente ristrutturati), dove però la concentrazione degli internati supera da tempo limiti ragionevoli. Negli Opg si continua a registrare una cronica carenza di personale di tutte le aree interessate. I medici non ce la fanno a stare dietro ai pazienti che vengono quasi sempre affidati esclusivamente (o quasi) alla polizia penitenziaria.

Negli Opg, è la denuncia di molte associazioni, sono tornati i letti di contenzione, mentre gli interventi specialistici consistono nella somministrazione di dosi massicce di psicofarmaci. Le associazioni che in questi giorni protestano per le condizioni in cui versano i malati internati negli Opg, puntano il dito proprio sulla contraddizione più palese: è vero - dicono - i 1.200 pazienti "ospitati" negli Opg hanno commesso reati, ma delle due l’una: o si tratta di persone che devono scontare una pena detentiva, e allora non si capisce perché debbano "godere" di un trattamento diverso da chi, autore di reato, è affetto da una patologia neoplastica o cardiocircolatoria, o si tratta di persone che prosciolte per infermità mentale necessitano di appropriati interventi psichiatrici, psicologici, sociali, che certamente non possono essere erogati in una struttura manicomiale. Inutili anche alcune sentenze della Corte Costituzionale (253/2003 e 367/2004), finalizzate a trovare alternative all’uso degli Opg. Negli ultimi due anni si è registrato un aumento di oltre 200 internati

E visto che sulla salute mentale si rischia di tornare indietro, nonostante la vittoria di una canzone sui matti al Festival di Sanremo, diventa necessaria un’indagine sulla situazione effettiva del settore in Italia, come aveva detto il ministro della Salute Livia Turco qualche mese fa. Il ministro aveva anche annunciato un provvedimento legislativo per il superamento dei 6 ospedali psichiatrici giudiziari, dove sono ancora ricoverate più di 1.000 persone". Successivamente era stata istituita una Commissione presso il ministero della Salute (tra i componenti: Marco D’Alema e Raffaele Barone) La Commissione ha visitato gli Opg e oggi sta attuando, la chiusura di alcuni Opg in Italia (Napoli - Montelupo Fiorentino).

Salute: Lumia (Ds); l’Opg distrugge la vita di tante persone

 

Redattore Sociale, 11 settembre 2007

 

Oggi la visita di una delegazione di parlamentari guidata da Giuseppe Lumia, dopo la richiesta di alcune associazioni che da mesi protestano per le condizioni della struttura.

"Dobbiamo ascoltare tutte le associazioni che in questi giorni ci stanno ponendo il problema degli Opg e cercare una soluzione insieme. Sono certo che il ministro della Salute, Livia Turco avrà la sensibilità e le proposte adatte".

Lo ha dichiarato l’onorevole Giuseppe Lumia, membro della Commissione parlamentare antimafia, impegnato da anni sui problemi del carcere e della salute mentale, che oggi pomeriggio ha guidato una delegazione parlamentare in visita all’Opg (Ospedale psichiatrico giudiziario) di Barcellona in provincia di Messina. La visita è stata il frutto di una richiesta dell’Associazione Casa di solidarietà e accoglienza di G. Insana e del Circolo Arci Città Futura che da mesi stanno protestando per le condizioni di invivibilità della struttura. L’Opg di Barcellona era stato pensato per una capienza di 200 detenuti, mentre attualmente nei suoi locali ci sono 250 persone.

L’onorevole Lumia (gruppo dell’Ulivo), ha ricordato i progressi che sono stati fatti negli ultimi anni nel campo della salute mentale. In particolare sui manicomi, ci ha detto Lumia, è stata fatta una scelta matura con la chiusura definitiva della strutture e l’apertura di nuovi servizi. Secondo Lumia è ormai chiaro il fallimento di due delle soluzioni che erano praticate: i problemi della salute mentale - spiega il parlamentare - non si possono affrontare né con la chiusura dei malati nei manicomi, né con la scelta di abbandonare queste persone alla loro disperazione e alla solitudine.

Con queste due "ricette" sono state distrutte le vite di tante persone malate che avrebbero potuto essere aiutate e salvate. "Poi, però - dice ancora Lumia - abbiamo deciso di voltare pagina. Ora dobbiamo fare la stessa cosa per gli Opg, gli ospedali psichiatrici giudiziari". Il parlamentare mette però in guardia dalle facili soluzioni. "Il problema degli Opg - spiega - è molto più complesso di quello dei manicomi. Il lavoro da fare è più profondo e non dobbiamo rischiare di invocare strade senza uscita".

Nel merito, Lumia dice che per trovare una soluzione corretta del problema è necessario prima di tutto rivedere il concetto di "imputabilità". Si tratta infatti di evitare che si possa utilizzare strumentalmente la definizione di infermità mentale per evitare le responsabilità penali e quindi ottenere una sorta di irresponsabilità. Ogni caso di presunta o reale malattia mentale va affrontato con il massimo del rigore.

Ma una volta accertata la malattia mentale si deve approntare una cura di qualità. Per questo - dice ancora il parlamentare - si tratta prima di tutto di recuperare tutto quello che di buono è stato fatto anche negli Opg. "Nessuno è contro di loro a prescindere - afferma Lumia - si tratta di fare un percorso insieme per garantire al tempo stesso la sicurezza e la cura di queste persone. Il governo e il parlamento devo fare presto il punto su questo problema e sono certo che il ministro Livia Turco saprà fare bene".

Polizia Penitenziaria-Uepe: comunicato Assistenti Sociali Casg

 

Blog di Solidarietà, 11 settembre 2007

 

Si terrà il 13 settembre, dopo diversi rinvii, un nuovo incontro tra il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e i sindacati, in merito alla proposta di inserire la polizia penitenziaria negli uffici per l’esecuzione penale esterna (Uepe).

Proposta che da tempo suscita forti reazioni e allarme, per il futuro del Servizio Sociale di tale settore, da parte di assistenti sociali degli Uepe, del mondo del volontariato penitenziario, dell’associazionismo, della Magistratura e di diverse organizzazioni sindacali.

Nella nuova bozza di decreto permangono alcuni nodi critici che continuano a destare preoccupazione, quali:

la scelta di istituire i nuclei di polizia penitenziaria presso gli Uepe;

la possibilità di impiegare la polizia penitenziaria per i controlli sui soggetti affidati in prova al servizio sociale (anche se solo su specifica richiesta del Tribunale o del Magistrato di Sorveglianza);

il configurare un ruolo dei Direttori degli Uepe, sempre più vicino a quello di funzionari di Polizia, piuttosto che di Dirigenti con una necessaria e specifica connotazione tecnico-professionale;

il rafforzamento dell’immagine del servizio Uepe come parte integrante degli Organismi di Ordine Pubblico e Sicurezza a scapito della sua natura di Servizio Sociale;

l’assenza di qualsiasi riferimento ai costi complessivi della sperimentazione e a dove saranno reperiti i finanziamenti.

Oggi si sono aggiunte nuove criticità, in quanto sono aumentati gli elementi di confusione: da un lato il Ministro Mastella giustifica la scelta di attribuire alla polizia penitenziaria compiti di controllo sulle misure alternative per poter ampliare l’uso di tali misure, dall’altro le decisioni attuali del governo sono di segno opposto e tendono a diminuire l’accesso alle stesse misure alternative e ad aumentare di conseguenza il ruolo del carcere.

Invece di eliminare tutte quelli leggi, approvate dal precedente governo (ex Cirielli, Bossi-Fini, Fini-Giovanardi), come dichiarato nel programma elettorale e nelle linee programmatiche emanate dal Ministro Mastella all’atto del suo insediamento, leggi che hanno portato negli ultimi anni il sovraffollamento degli istituti penitenziari a livelli mai raggiunti in precedenza, tanto da rendere necessario l’indulto, si sta pensando a soluzioni ancora più restrittive.

L’emanando "pacchetto sicurezza" proposto dal Ministro dell’Interno Amato non farà altro che aumentare i detenuti, innalzando considerevolmente i numeri, al di sopra di ogni immaginazione, soprattutto di quella che in questi anni è stata chiamata "detenzione sociale", estendendola anche a soggetti e a fenomeni sociali e comportamentali che nulla hanno a che fare con la delinquenza, ma sono solo fenomeni di marginalità sociale.

Quindi dove è la coerenza? si portano i poliziotti penitenziari fuori dal carcere per controllare i sottoposti a misure alternative, che saranno sempre di meno, e si approntano misure che porteranno un numero sempre maggiore di "poveracci" dentro il carcere. Nel frattempo non è stato fatto nulla per accelerare i processi, per adeguare e migliorare le strutture penitenziarie, per finanziare adeguati percorsi di reinserimento.

La speranza è che si alzi un urlo di indignazione da parte di chi (magistrati, avvocati, operatori penitenziari tutti, volontari, tutti i cittadini di buon senso) conosce quali sono i veri problemi: Chiediamo a chi ha il potere di definire le politiche sociali e della sicurezza del nostro Paese se è proprio sicuro che le politiche della cosiddetta "tolleranza zero"che si vorrebbero attuare, siano quelle giuste, quelle che servano realmente a migliorare la vivibilità del territorio, senza cadere nella illusione di rincorrere facili consensi, cavalcando e rafforzando le più diverse paure sociali.

 

Per il Consiglio Nazionale Casg

Anna Muschitiello (segretaria nazionale)

Roma: si è chiuso il Congresso per la Pastorale carceraria

 

Radio Vaticana, 11 settembre 2007

 

In molti Paesi i diritti umani "non vengono garantiti, la libertà religiosa non viene assicurata e non viene permesso alla Chiesa di provvedere alle necessità spirituali e materiali dei prigionieri". È quanto scrivono cappellani, religiosi, religiose e laici impegnati nella pastorale penitenziaria in 56 Paesi del mondo nella dichiarazione conclusiva del XII Congresso della Commissione internazionale per la pastorale cattolica nelle prigioni (Iccppc), che si è chiuso oggi a Roma.

In troppe prigioni di tutto il pianeta - è scritto nella dichiarazione - "continuano ad essere frequenti affollamento, disattenzione, e i bisogni primari dei prigionieri non vengono soddisfatti. In molte legislazioni tuttavia esiste la pena di morte, l’ergastolo e forme di esecuzione penitenziaria incompatibili con il diritto e la perfettibilità umana". Queste manifestazioni "inumane di crudeltà istituzionale devono essere corrette abolendo la pena di morte e la tortura e applicando rigorosamente le norme minime delle Nazioni Unite nell’ambito della prevenzione del crimine e in quello del sistema di giustizia criminale".

Secondo i membri della Commissione, "l’attuale sistema di giustizia criminale in molti Paesi non risponde ai bisogni dei bambini e dei gruppi più vulnerabili: gli infermi mentali, i tossicodipendenti, gli stranieri e gli anziani": da qui la richiesta che vengano "sviluppati programmi, leggi e sistemi per provvedere alle necessità di questi gruppi". I partecipanti al convegno di Roma chiedono e si impegnano a lavorare per "una giustizia che ripari e protegga", che "provveda alla compensazione delle vittime e di coloro che sono dimenticati dall’attuale sistema giudiziario", che "coinvolga la comunità nel processo di riabilitazione, attraverso la reintegrazione della vittima e dell’offensore nella comunità".

La Commissione riconosce e ringrazia i ministri della pastorale penitenziaria in molti Paesi che, "nonostante le limitazioni e gli innumerevoli problemi, sono capaci di lavorare per una giustizia autentica, per la libertà, la pietà, la riconciliazione e la speranza, rendendo l’amore di Dio visibile. Tutti loro offrono supporto spirituale - si legge nella dichiarazione finale - nutrono la fede dei prigionieri nel Vangelo e nei sacramenti della Chiesa, rispondendo ai loro bisogni materiali e provvedendo all’assistenza legale per la salvaguardia dei loro diritti fondamentali mentre trasformano il tempo in prigione come tempo di Dio".

Dopo aver citato gli interventi di Giovanni Paolo II e le parole di Benedetto XVI, la Commissione per la pastorale nelle carceri sottolinea che il "ministero nelle prigioni è una parte essenziale del ministero della pastorale della Chiesa fino dai suoi esordi": "Noi siamo consapevoli del fatto che visitare e liberare i prigionieri è una espressione dell’amore di Dio e una chiara manifestazione della sua stessa essenza".

Roma: Mons. Caniato; puntiamo al recupero della persona

 

Radio Vaticana, 11 settembre 2007

 

Un ministero che richiede "pazienza e perseveranza", costellato sovente da "delusioni e frustrazioni" quella dei cappellani e dei loro collaboratori religiosi e laici che operano nelle prigioni di tutto il mondo, come ha sottolineato Benedetto XVI, ricevendo in udienza la scorsa settimana i delegati del XII Congresso mondiale della Commissione internazionale della pastorale cattolica nelle carceri (Iccppc), che ha chiuso ieri i suoi lavori a Roma. Tante le sfide da affrontate per conferire nuovo slancio all’assistenza materiale e spirituale dei detenuti come emerge dal documento finale Congresso, che dice "no" alla pena di morte, "no" alle torture e chiede maggiore impegno per migliorare le condizioni degli Istituti di pena e per la prevenzione del crimine nelle società. Roberta Gisotti ha intervistato mons. Giorgio Caniato, ispettore in Italia dei cappellani delle carceri.

 

Mons. Caniato, anzitutto si sta progredendo o si sta arretrando? Il testo conclusivo dei lavori denuncia la mancanza di diritti umani fondamentali in numerose carceri di molti Paesi. Quali sono le principali sfide per migliorare le condizioni dei detenuti?

Il carcere è sempre una struttura repressiva. Quindi, molto dipende dalla cultura che sta sotto alla gestione della Giustizia. Se nel modo di pensare non si riconosce all’uomo la sua dignità di uomo ... naturalmente le leggi sono totalmente repressive, com’era da noi prima del nuovo regolamento penitenziale del 1975, che era basato su una concezione positivistica. Quando siamo riusciti a mettere alla base della nuova norma la filosofia cristiana, nella nostra legislazione, il detenuto è riconosciuto come persona e quindi diventa soggetto, mai oggetto, di diritti e di doveri. Inoltre, i suoi diritti fondamentali - la vita, il lavoro, il cibo, la salute ed anche la pratica religiosa - devono essere rispettati, perché sono diritti inalienabili, come ad esempio, la libertà di pensiero e la libertà di coscienza. Quindi, c’è sotto una concezione tale da cui scaturisce che una detenzione non può oltrepassare certi limiti e quindi da noi, con una concezione simile, non sarebbe possibile la pena di morte, perché sarebbe distruttiva. E, infatti, in Italia è stata tolta. Purtroppo, abbiamo ancora l’ergastolo, ma anche l’ergastolo dovrebbe essere ridimensionato, perché è la distruzione di ogni speranza dell’uomo e sia la Costituzione, sia la Legge, prevedono il trattamento del detenuto. Quindi, si pensa alla rieducazione del detenuto. Questo è richiesto anche sul piano internazionale.

 

Come anche il Papa ha sottolineato, i cappellani carcerari svolgono davvero una "missione vitale" nella Chiesa e nella società. Ma c’è consapevolezza nella Chiesa e nella società dell’importanza del vostro lavoro, per recuperare l’uomo e il cittadino alla sua dignità?

Senta, in molte civiltà e Nazioni, non è che siamo sopravalutati, ma ci rispettano e ci sentono. Se non altro la nostra presenza è pungente, è stimolante, richiama ai diritti, come del resto fa il Papa che richiama ai diritti. Ma non tutti gli Stati, non tutte le filosofie, non tutte le culture accettano l’invito del Papa a rispettare quella che è la dignità dell’uomo e la persona umana.

 

Mons. Caniato, nel testo finale del Congresso, si dice pure che l’attuale sistema di giustizia criminale, in molti Paesi, non risponde ai bisogni dei più deboli, come ad esempio i minori. Allora, come commentare la sentenza della Cassazione in Italia, che ribadisce la possibilità della custodia cautelare per i minori imputati di scippi e furti in casa?

Questo è determinato dalla situazione concreta. In Italia la detenzione minorile ha un suo Codice, una sua procedura, per cui si tende a non mettere in prigione chi fa i reati. Lei pensi che in Italia ci sono detenuti - in una ventina di carceri - soltanto 500, 600 minori, non di più. Tutto il resto, tutti quei ragazzi presi a rubare e via di seguito, che sono in attesa di processo, sono circa 30 mila. Questa non è una cosa bella, sotto tanti punti di vista. Ad un certo punto, la gente è stufa di vedere questi ragazzini che rubano entrare un giorno ed uscire subito dopo. È tutto da rivedere. Il che non vuol dire che la giustizia nei confronti dei minori debba essere una giustizia punitiva. Ma è vero che qui entra in gioco tutta la società, perché ormai siamo in una società dove tutto sembra lecito, dove la misura della propria azione è solo nella propria coscienza, dove non si riconosce più una legge morale oggettiva, come del resto ha detto il Papa. Naturalmente ne scaturisce nella giustizia quello che ne scaturisce.

Roma: detenuto 67enne "vive" da 8 anni bloccato nel letto 

 

La Repubblica, 11 settembre 2007

 

Da 8 anni vive su un letto del centro clinico del carcere romano di Regina Coeli ed è condannato a stare in quella posizione 24 ore su 24. La storia di F., 67 anni uscirà domani sulla pagina di "Radio carcere", in edicola ogni mercoledì con il Riformista.

"Da 8 anni - racconta il detenuto - vivo su un letto del centro clinico del carcere di Regina Coeli. Sono romano, e ho tanti anni ancora da scontare. Ma non sono condannato solo alla galera. Sono condannato a stare sempre a letto. Ventiquattro ore su ventiquattro dipendo da un detenuto, che mi aiuta a mangiare, a lavarmi e a cambiarmi il pannolone".

"Da 8 anni - prosegue F. - aspetto di essere operato. Non so da quanto tempo non mi faccio una doccia, non mi ricordo più l’ultima volta che mi sono messo un paio di scarpe e da 8 anni non faccio neanche l’ora d’aria. In attesa dell’operazione, avrei bisogno di un letto ortopedico e invece qui sto su una vecchia branda con un materasso di gomma piuma. Le piaghe da decubito mi massacrano il corpo e, quando devo cambiare posizione, mi aiuto con delle buste di plastica attaccate alla branda che uso come cinghie".

"Sono circa 80 i detenuti rinchiusi nel centro clinico del carcere di Regina Coeli - spiega Riccardo Arena, curatore del servizio - centro che è stato ristrutturato solo al terzo piano dove c’è una moderna sala operatoria, mentre il secondo e il primo piano restano vecchi e inadeguati. La direzione e il personale fanno di tutto per aiutare i detenuti malati, ma cosa possono fare in un carcere dell’800 che è nato come convento?". "Occorre - propone Arena - chiudere Regina Coeli, che vale sul mercato milioni di euro, e investire quei soldi per una nuova struttura".

Reggio Calabria: un "premio" per chi visita detenuto disabile

 

Ansa, 11 settembre 2007

 

"Un premio in denaro. Una sorta di "taglia". Un assegno di mille euro (due milioni delle vecchie lire) a qualsiasi parlamentare che si recherà a far visita nel carcere di Reggio Calabria al giovane detenuto, Andrea B., 25 anni, della provincia di Foggia, disabile al cento per cento e costretto su una sedia a rotelle".

È questa la proposta provocatoria che il leader di "Diritti civili", Franco Corbelli, lancia, in un comunicato, per richiamare l’attenzione sul detenuto "da quattro mesi paralizzato nel lettino di una cella della casa circondariale reggina, che chiede di essere curato per non continuare a soffrire e che da sette mesi aspetta di essere sottoposto ad un esame di risonanza magnetica".

"Da due settimane - è scritto nella nota - Corbelli denuncia, nel silenzio e nell’indifferenza delle Istituzioni, dei politici e della società civile, questo caso di ingiustizia e disumanità e si batte per la scarcerazione e il ricovero in una struttura sanitaria adeguata di questo ragazzo disabile". "Il leader di Diritti Civili - prosegue il comunicato - ha recapitato, nei giorni scorsi, un appello al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, e al papa Benedetto XVI (dopo l’intervento dello stesso Pontefice sui diritti di detenuti); ha manifestato, giovedì 30 agosto, davanti al carcere di Reggio e subito dopo ha incontrato la direttrice(facente funzione) della casa circondariale reggina".

"Mentre dalla Puglia - afferma Corbelli - continuano le prese di posizione a sostegno della battaglia di Diritti Civili a favore di questo ragazzo disabile (sono già intervenuti il Comune e la Provincia di Foggia, la segreteria provinciale foggiana dell’Udeur e il deputato pugliese dell’Ulivo Michele Bordo) in Calabria nessuno, sino ad oggi, ha speso una sola parola a favore di questo giovane paraplegico".

"Da qui la protesta odierna. - dichiara il leader di Diritti Civili - La "taglia", il premio in denaro (l’assegno di mille euro) al parlamentare (calabrese e non) che andrà a far visita in carcere a Reggio al disabile Foggiano. La somma vuole essere un rimborso spese per quel deputato o senatore che dovrà raggiungere Reggio, magari da una città lontana". "Corbelli - conclude il comunicato - non risparmia nessuno in Calabria, centrodestra e centrosinistra, assenti e latitanti su questo drammatico caso umano e giudiziario, iper-garantisti con se stessi e con i loro amici e colleghi indagati, silenti sul dramma di questo ragazzo disabile. Se ne infischiano dei diritti (calpestati!) della povera gente, lottano solo per restare aggrappati al potere e alle poltrone, mentre la Calabria affossa, sprofonda letteralmente".

Cosenza: al via un corso di giornalismo per venti detenuti

 

Ansa, 11 settembre 2007

 

Al via un corso di giornalismo per venti detenuti presso la casa circondariale di Castrovillari (Cosenza). L’assessorato alle Politiche sociali del Comune di Castrovillari ha siglato un protocollo d’intesa con la direzione della casa circondariale per dare vita al corso di formazione, "volto a promuovere le capacità di coloro che desiderano realizzare prodotti editoriali nell’istituto di pena". Lo rende noto, in un comunicato, l’assessore Pierpaolo Nucerito.

Spoleto: Uisp; boxe in carcere è strumento di aggregazione

 

Redattore Sociale, 11 settembre 2007

 

Parla Giuliano Bellezza, dirigente Uisp e autore di un libro sulle esperienze sportive nelle carceri. L’esperienza positiva di Genova. Sì o no alla boxe dietro le sbarre? La proposta di promuovere un corso di pugilato rivolto ai detenuti reclusi nel carcere di massima sicurezza di Spoleto, promosso dall’associazione sportiva dilettantistica boxe Spoleto e dal direttore del carcere fa ancora discutere. "Credo che in situazioni al limite la boxe possa trovare spazio, purché sia intesa come elemento di aggregazione, rottura di una routine spesso asfissiante e, al pari di altre pratiche sportive, utile elemento per migliorare la qualità di vita dei detenuti. Ciò ovviamente a patto che la finalità non sia violenta e che l’istruttore si ponga come un educatore, dedito a valorizzare il lato umano e sociale di questa pratica", spiega a Giuliano Bellezza, dirigente Uisp e autore del libro "I voli dell’Ape" (Antigone Edizioni 2007) sulle esperienze sportive nelle carceri, intervistato nell’ultimo numero di Uispnet.

"È proprio da un’esperienza che ho compiuto nell’ambito di un progetto che traggo questa convinzione - prosegue -. Si trattava dell’apertura di una palestra a Genova destinata a ragazzi con situazioni difficili, tra cui molti ex-detenuti. Sono stati proprio loro a chiederci di poter fare pugilato, ma anche alcuni tipi di arti marziali come la capoeira e devo dire che il risultato è stato davvero positivo.

Questo perché è stata esclusa qualsiasi finalità violenta e sono state proposte attività fisiche e sportive intese come momenti di socialità. Anche in base a ciò sono convinto che in alcuni contesti sarebbe utile e costruttivo rivedere la posizione ideologica assunta dall’Uisp, che è presente in molte carceri italiane con le proprie proposte di sport per tutti".

E sulle contestazioni che hanno accompagnato la proposta, Bellezza aggiunge: "Credo che le contestazioni siano inevitabili in un sistema penitenziario come quello del nostro Paese, non attrezzato a livello di spazi e di esperienze umane per offrire in modo significativo attività trattamentali diverse da quelle tradizionali, come corsi di cucina o di musica. Sarebbe necessario destinare alle strutture carcerarie più risorse per creare spazi idonei a promuovere altre esperienze atte a migliorare la qualità della vita dei detenuti".

Firenze: lavavetri; la Procura blocca l’Ordinanza comunale

 

Ansa, 11 settembre 2007

 

La Procura di Firenze chiede l’archiviazione delle denunce a carico dei lavavetri fermati nei giorni scorsi a seguito della specifica ordinanza emessa dal Comune di Firenze. A depositare la richiesta di archiviazione al gip del tribunale del capoluogo toscano, è stato il procuratore capo di Firenze, Ubaldo Nannucci.

La richiesta, ha spiegato Nannucci, deriva dal fatto che "il mestiere girovago di lavavetri è previsto dalla legge come illecito amministrativo e per il principio di specialità non può essere oggetto di illecito penale". L’ordinanza di Palazzo Vecchio, che scade il 31 ottobre, prevede per i lavavetri colti in flagranza di reato, un’ammenda fino a 206 euro o l’arresto fino a tre mesi.

Il Comune lavora a un nuova Ordinanza - Il Comune di Firenze sta mettendo a punto una nuova ordinanza sui lavavetri tenendo conto delle osservazioni con cui il procuratore capo Ubaldo Nannucci ha chiesto l’ archiviazione del provvedimento del 25 agosto scorso. Lo ha comunicato, in una nota, il sindaco Leonardo Domenici che ha espresso "doverosa attenzione e rispetto" per l’atto del procuratore capo di Firenze relativo "all’ordinanza dello scorso 25 agosto di cui molto si è discusso". "Stiamo riflettendo - aggiunge Domenici - sulle osservazioni contenute nell’atto di Nannucci e stiamo mettendo a punto una nuova ordinanza. Il nostro obiettivo è quello di tenere conto delle considerazioni del procuratore, mantenendo la finalità di tutela della incolumità dei cittadini, senza attenuare l’efficacia applicativa del provvedimento".

Modena: Cpt; quattro agenti pestano un detenuto marocchino

 

Melting Pot, 11 settembre 2007

 

È accusato di resistenza a pubblico ufficiale il migrante marocchino che ha tentato di evadere dal centro di detenzione Sant’Anna di Modena tra il 2 e il 3 settembre, ma stranamente è lui che riporta gravi contusioni sulle gambe e sul torace, un occhio pesto ed ematomi su tutto il corpo. Ancora una volta le forze dell’ordine adibite alla sorveglianza dei Cpt hanno messo in atto una rappresaglia feroce contro un detenuto, fatto scendere dal tetto della struttura e poi condotto in una stanza chiusa dove ha ricevuto botte e percosse da quattro agenti, tre dei quali fuori servizio.

Nell’udienza di lunedì 9 in cui veniva chiesto l’arresto e la custodia cautelare in carcere per il cittadino straniero, gli agenti hanno ricostruito la propria versione della vicenda, riportata a Melting Pot dall’avvocato Vainer Burani: "Gli agenti dicono che una volta portato nella sala di accettazione il detenuto si sarebbe messo a colpire a testate la parete e un oggetto in ferro lì presente, riportando così le contusioni". Ma, prosegue l’avvocato Burani, il migrante interrogato nega che si sia trattato di autolesionismo e spiega invece come si è svolto il pestaggio: "Il ragazzo è stato preso dal tetto di peso, portato in una stanza e poi pestato.

Ha ricevuto un calcio in faccia all’altezza dell’occhio, come si vede dalla ferita e dal viso tutto gonfio e poi è stato calciato sul braccio dove c’è il segno di uno scarpone, picchiato con i manganelli sulle cosce e con calci sugli stinchi dove ha una serie di contusioni". I referti medici in seguito al ricovero al Pronto Soccorso riportano "trauma policontusivo per ferite e percosse, dolore in sede cervicale, lombare, toracica ed ascellare, dolore su gomito sinistro, anca sinistra e gamba sinistra", confermando il racconto del ragazzo. Di fronte a simili prove di violenza il Giudice ha sì convalidato l’arresto ma non la custodia cautelare in carcere ritenendo che le versioni presentate siano discordanti e che sia quindi necessario approfondire ogni elemento.

La prossima udienza si terrà il 30 ottobre, ma, segnala l’avvocato Burani, ci sono ragioni di temere che la sua espulsione possa avvenire prima di quella data. Più volte è accaduto - a Bologna, a Milano, a Torino - che i migranti che hanno sporto denuncia per percosse e violenze all’interno di un Cpt fossero presto espulsi dall’Italia prima del processo, vedendosi negata la possibilità di ottenere giustizia.

È evidente che questi episodi non sono più casi isolati, ma consuetudini pressoché quotidiane nei Cpt italiani che il Governo di centro sinistra ha voluto riformare con l’obiettivo di renderli "più compatibili con il rispetto dei diritti umani". Dimostrando il fallimento della teoria dell’umanizzazione dei centri di detenzione, questo ultimo episodio ci riporta l’immagine di Cpt a tutti gli effetti assimilati a campi di prigionia dove i migranti che manifestano una qualsiasi contrarietà alla propria reclusione sono trattati come prigionieri di guerra senza diritti e dignità e quindi ridotti a corpi cui infliggere punizioni, ampiamente ispirate dall’immagine colpevole del migrante irregolare.

Droghe: don Gelmini; in 50 lo accusano per abusi sessuali

 

Corriere della Sera, 11 settembre 2007

 

È come se avessero preso coraggio all’improvviso, trovando la forza di rivelare segreti fino ad allora apparsi inconfessabili. Sono una cinquantina le persone che durante l’estate hanno presentato formale denuncia contro don Pierino Gelmini. Si sono unite al coro di chi lo accusa di averli molestati, insidiati, a volte violentati.

La maggior parte si è presentata spontaneamente davanti al pubblico ministero di Terni. Ha ripercorso episodi di tanti anni fa che, hanno detto in molti, "mi hanno cambiato la vita". Due di loro hanno raccontato di aver subito abusi dal fondatore della comunità "Incontro" - che assiste i tossicodipendenti in programmi di recupero - quando erano minorenni. Non c’è ancora una nuova contestazione formale, ma se queste dichiarazioni trovassero conferma, la posizione del prete già indagato per violenza sessuale, potrebbe aggravarsi. Perché si tratterebbe di episodi di pedofilia e dunque un reato diverso da quello finora ipotizzato nei suoi confronti.

Le indagini - I magistrati procedono con cautela, sanno bene che in casi del genere ci può essere una sorta di suggestione, talvolta anche un desiderio di rivalsa. Ma sanno anche che i collaboratori più stretti di don Gelmini si sono attivati per convincere alcuni giovani a ritrattare. In almeno due casi avrebbero cercato di incontrare chi aveva presentato la denuncia, avrebbero offerto soldi e favori per tentare di mettere tutto a tacere. E questo ha naturalmente contribuito a confermare il quadro accusatorio già delineato dai pubblici ministeri. Al fascicolo gli investigatori della squadra mobile di Terni hanno allegato decine e decine di intercettazioni telefoniche che mostrerebbero questa volontà di alcuni operatori della comunità di favorire don Gelmini. La voce del prete si sente raramente nei colloqui. Ad ascoltare le registrazioni sembra che ad occuparsi della vicenda siano i responsabili della sua segreteria. Sono loro a tenere i contatti con chi accusa, a tentare di far cambiare idea a chi ha fatto riaffiorare i ricordi. I magistrati hanno già verificato una trasferta a Torino di uno di loro che sarebbe stata organizzata per incontrare in carcere due giovani detenuti che erano stati tra i primi a presentare denuncia. Ora si va avanti. Il primo accertamento da svolgere per verificare i nuovi verbali riempiti nelle ultime settimane riguarda il periodo di permanenza di ogni giovane all’interno della comunità. Poi bisogna verificare che tipo di legami avessero con il fondatore, se ci siano stati problemi, quali siano stati i rapporti successivi. Sembra che in alcuni casi gli episodi raccontati siano molto circostanziati, che alcuni abbiano anche indicato testimoni in grado di confermare le proprie dichiarazioni. Soltanto al termine dei nuovi controlli, il magistrato deciderà eventuali provvedimenti. A metà agosto era circolata voce che potesse essere richiesta al giudice per le indagini preliminari una misura interdettiva per impedire un eventuale inquinamento delle prove. In realtà erano in corso altri riscontri e proprio in questi giorni si starebbe rivalutando la possibilità di sollecitare un pronunciamento del gip.

La difesa - Inizialmente erano sei le persone che avevano raccontato le violenze. Uno ha narrato fatti risalenti al 1993, ha detto di essersi anche confidato con don Mazzi quando si è trasferito nella sua comunità. Il sacerdote ha confermato di aver ricevuto quelle confidenze, di aver consigliato al giovane di rivolgersi ad uno psicologo, di aver continuato ad aiutarlo prima di perdere le sue tracce. "Mi accusano - si era difeso don Gelmini - perché li ho allontanati dalla comunità. Alcuni di loro erano stati scoperti a compiere reati e sono stati cacciati. È la loro vendetta. Sono innocente e dunque resto assolutamente tranquillo. Porto la croce e prego per loro". Aveva anche attaccato la lobby ebraica e la massoneria come ispiratrici "di questa campagna diffamatoria contro di me" e ciò aveva spinto il suo avvocato Franco Coppi ad abbandonare la difesa. Ma poi la lista si è allungata, altri tre ragazzi sono usciti allo scoperto dopo aver saputo che era stata avviata un’inchiesta. E con il trascorrere delle settimane le denunce sono diventate decine. Adesso è possibile che don Gelmini decida di farsi nuovamente interrogare per continuare a respingere quelle che ha sempre definito "fantasie".

Droghe: pdl per punire chi acquista "dose" da minorenni

 

Notiziario Aduc, 11 settembre 2007

 

"La Cassazione conferma il carcere per i minori che commettono furti? Per i baby-spacciatori invece interverremo con una proposta di legge che colpisca chi approfitta dello spaccio compiuto da queste persone non imputabili". Il parlamentare di Forza Italia, Enrico Costa, a margine della recente sentenza della Suprema Corte sull’arresto dei minorenni che commettono furti, annuncia di aver presentato, una proposta di legge per arginare un’altra tipologia di delinquenza minorile.

"L’allarme sociale determinato da furti in abitazione e scippi commessi da minori non imputabili è analogo a quello dei cosiddetti baby pusher; per questo ho redatto una proposta di legge che consta di un unico articolo, il quale introduce il nuovo reato di acquisto di sostanze stupefacenti da persona minorenne. Si colma così un vuoto normativo, che da più parti, è stato evidenziato in relazione al fenomeno dei cosiddetti baby-spacciatori, divenuti ormai una vera emergenza su tutto il territorio nazionale".

"La nostra proposta non intende elevare a fattispecie di rilevanza penale l’acquisto di droga tout court, bensì sanzionare penalmente l’acquisto, o comunque la ricezione, di droga da un minorenne. Sempre più spesso, infatti, le organizzazioni criminali che gestiscono lo smercio utilizzano come venditori di strada giovani minorenni o addirittura infra-quattordicenni che non sono punibili per la legge italiana. Si tratta, soprattutto, di minori extracomunitari, vittime di sfruttamento che arriva anche alla riduzione in schiavitù".

Belgio: cappellani carcerari anche per i detenuti islamici

 

Redattore Sociale, 11 settembre 2007

 

Alla vigilia dell’inizio del mese di Ramadan, le autorità belghe hanno deciso di assumere alle proprie dipendenze 24 cappellani musulmani, tra cui tre donne. Renderanno visita ai detenuti muniti di datteri: un chilo a testa.

Religiosamente corretti. In Belgio arrivano i cappellani del carcere anche per i detenuti musulmani. Alla vigilia dell’inizio del mese di Ramadan, le autorità belghe hanno infatti deciso di assumere alle proprie dipendenze 24 cappellani musulmani, tra cui tre donne. Saranno retribuiti per un lavoro a tempo pieno, tra i 1.200 e i 1.400 euro al mese.

Le prigioni belghe contano tra i 3.000 e i 4.000 detenuti musulmani. Un numero irrisorio per Brahim Bouhna, presidente dell’Assemblea generale dei musulmani in Belgio e da poco cappellano in carcere. "24 cappellani per 4.000 persone sono troppo poco. I cattolici ne hanno 25, ma sono molto meno richiesti. Paradossalmente, molti musulmani ritrovano la strada di dio in prigione. Perlomeno durante il ramadan i cappellani sono sostenuti dagli imam delle nostre moschee", ha spiegato Bouhna.

I cappellani renderanno visita ai detenuti muniti di datteri: un chilo a testa. Il digiuno del ramadan infatti si interrompe con una colazione, Iftar, al tramonto del sole, a base di datteri. "Abbiamo ordinato 4 tonnellate di datteri", ha aggiunto Bouhna. In realtà l’assemblea dei musulmani porta i datteri ai detenuti dagli anni Ottanta. La sola differenza è che allora lo faceva gratuitamente, oggi è un servizio pubblico.

La nomina dei cappellani è controllata dall’Assemblea dei musulmani in Belgio. Ricevono una formazione e sono seguiti durante il lavoro. Tra i cappellani vi sono cittadini belgi di origine turca o marocchina, e anche tre donne.

A parte la distribuzione di datteri, durante il ramadan sarà garantita ai detenuti la possibilità di recitare la preghiera quotidiana insieme. Cosa eccezionale, dato che durante l’anno l’autorizzazione è concessa soltanto una volta a settimana nelle prigioni.

 

 

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