|
Giustizia: Mastella; rivoterei l’indulto; no ai sindaci-sceriffi
Il Gazzettino, 10 settembre 2007
Il tema della sicurezza continua ad alimentare il dibattito politico. Il ministro della Giustizia Clemente Mastella, intervistato dal Gazzettino, torna sull’indulto ("lo rivoterei") e boccia la richiesta dei sindaci di avere anche poteri di ordine pubblico. I sindaci-sceriffi? "Appunto, roba da film western".
Non teme che la rabbia della gente vi metta in conto i troppi criminali in circolazione? "Il collegamento all’indulto del caso di Treviso è meccanico e sbagliato. Dei tre stranieri coinvolti due non hanno nulla a che fare con questo provvedimento, il terzo ha beneficiato dell’indulto dopo aver scontato la sua pena per violenza sessuale ed è stato accompagnato all’ufficio immigrazione della Questura di Palermo per essere espulso. Se poi il provvedimento non è stato eseguito, non dipende certo dall’indulto. C’è un modo sicuro per misurare gli effetti dell’indulto, e cioè il tasso di recidiva. Ora, il tasso di recidiva dopo la legge del luglio 2006 è inferiore a quello di chi è uscito dal carcere per la scadenza naturale della pena. Vuol dire che per una parte della popolazione carceraria è stata un’opportunità positiva, l’indulto è servito da deterrente. Poi, certo, c’è il delinquente abituale...".
Intanto le carceri sono tornate alla capienza naturale... "Ha fatto ritorno in carcere il 18-20 per cento degli indultati. Ma è chiaro che, se non si rivedono le norme vigenti, a cominciare dalla Bossi-Fini, è tutto un prender e metter dentro".
E come la mettiamo con le Procure che lavorano a vuoto, perché l’indulto estingue la pena ma non il reato, e si raccolgono prove a carico di persone già certe di farla franca? "Conosco le osservazioni del Procuratore di Treviso, peraltro comuni a molti suoi colleghi. Forse non sa che nel disegno di legge sull’accelerazione del processo penale, attualmente all’esame della Camera, ho inserito norme per risolvere il problema. Faccio presente, inoltre, che i capi di alcuni uffici giudiziari, per esempio il Procuratore di Torino Maddalena, hanno dato opportune direttive perché le forze disponibili siano concentrate su altri obiettivi".
A più di un anno di distanza, conoscendo effetti e cifre, rivoterebbe l’indulto? "Aspetti. Va spiegato e ripetuto che, come ministro, non sono l’autore dell’indulto, non ho attivato il procedimento. L’indulto non è un atto di governo e solo con un impeto di imbecillità costituzionale si può pensare, come dice Beppe Grillo, di mandare gli avvocati al ministero della Giustizia. L’indulto è un atto del Parlamento, votato a maggioranza qualificata. Eccetto Lega, Di Pietro e parte di An lo hanno approvato tutti".
Apposta le chiedevo: Mastella segretario politico, dopo aver votato e fatto votare l’indulto, non ha oggi qualche dubbio? "Pur con qualche dubbio, lo rivoterei. Non dovevo difendere o favorire nessuno, per me ha avuto molto peso l’appello del Papa. E poi, immagini che cosa sarebbe successo, se, come qualcuno ipotizzava, fosse esplosa la rivolta nelle carceri. Aver compiuto un atto di misericordia laica non significa comunque essere sempre indulgenti".
Quali dubbi le sono venuti? "Beh, i dubbi vengono quando si verificano casi drammatici. Però l’indulto è diventato, indebitamente, una sorta di attaccapanni, al quale si attaccano tutti i delitti più efferati".
Come fare in modo che resti in carcere chi deve starci? "Con la legge Simeone, deputato di An, si è stabilito che è sospesa la pena se la condanna è inferiore ai tre anni. Io invece, se la mia maggioranza consentirà, ha presentato proposte per il pacchetto sicurezza con un’altra logica. Se un ladro, uno scippatore o un piromane, per esempio, vengono arrestati e gli elementi a carico sono probanti, il pm si rivolgerà ad un collegio giudicante, non ad un giudice monocratico, per ottenere il dibattimento entro 90 giorni. La pena comminata sarà effettiva. Se sono due anni, saranno due anni. Così superiamo la legge Simeone. Mi permetta di insistere..."
Prego. "Se la polizia arresta un criminale, e poi il magistrato lo lascia andare, questo avviene in applicazione di leggi vigenti. Leggi che non abbiamo fatto noi, ma che c’erano già. Non vedo quindi come esponenti del centrodestra possano atteggiarsi a difensori e garanti della legge e dell’ordine. Avevano cento deputati in più e potevano cambiare tutte le leggi che volevano".
A proposito, lei darebbe ai sindaci poteri da sceriffi? "Ma no, è roba da film western. Ognuno faccia il suo mestiere, i sindaci facciano i sindaci e chi deve fare lo sceriffo faccia lo sceriffo. E poi, chieda ai sindaci dei piccoli Comuni dove trovano gli sceriffi per cacciare i malfattori: mancano le risorse economiche".
Che chance c’è di trovare l’intesa con la sinistra radicale sul pacchetto sicurezza? "Se eliminiamo le incrostazioni ideologiche, saremo d’accordo a considerare debole e da difendere la vecchietta scippata e non il "povero scippatore".
I voti dell’opposizione sarebbero benvenuti anche se fossero decisivi? "Per quanto mi riguarda cito Mao-Tze Tung: "Non importa di che colore è il gatto, purché prenda i topi". Mi auguro che quei voti arrivino, senza contrattazione, per buon senso". Giustizia: Mastella; la fantasia non basta più, servono i soldi
La Repubblica, 10 settembre 2007
"Qua non basta la fantasia al potere, ci vogliono soldi". Il Guardasigilli Clemente Mastella racconta di aver aperto il tribunale di Giugliano mettendosi d’accordo con la Regione Campania e usando un edificio sequestrato alla camorra. Ma sui tagli è restio: "Dopo i cinque anni di cura dimagrante con Berlusconi ci starei attento, altrimenti per la gente non c’è più giustizia".
Qualche giorno fa ha risposto "quest’estate mi hanno già tagliato le cime della barca". Ora è più possibilista? Ai miei direttori ho detto "diamo il buon esempio e partecipiamo al risparmio anche con un euro in meno". La buona volontà c’è tutta, tant’è che oltre 50 milioni di euro in meno per il 2008 cercheremo di garantirli, ma stiamo attenti perché il mio ministero è già stato vittima di un salasso. Se la sanguisuga dell’Economia mi salassa ulteriormente la Giustizia resta un organismo privo di sangue. Francamente non posso permetterlo.
È un cattivo segnale annunciare tagli mentre si parla di sicurezza? Devo evitare "inconvenienti" come quelli che mi hanno segnalato i magistrati di Reggio, quelli che indagano sulla strage di Duisburg, che non hanno benzina per le auto. Intendiamoci: le auto blu sono state ridotte, l’anno scorso dei 27% e quest’anno contiamo di arrivare al 30. Ma sforbiciare a via Arenula diventa una prassi aritmetica piuttosto difficile.
Si dice così, ma a guardar bene si può sempre tirar via… Non per risorse che sotto Berlusconi all’insegna del "tanto la giustizia non funziona lo stesso", sono state ridotte del 53 per cento. Io non so più come andare avanti. Siamo indebitati fino al collo per la legge Pinto (risarcisce le vittime dei processi lenti, ndr.) e per adeguare carceri e tribunali alle norme antincendio servono 600 milioni di euro. Non navigo nell’oro, altro che libretto... rosso di Mao che parla di un aumento di spese del 190%, ma dal ‘90. E che c’entro io se alla Giustizia ci sto da un anno?
Nel fabbisogno 2008, i 250-300 milioni stimati a che servono? Per iniziative fondamentali come la revisione del casellario e l’avvio del processo civile telematico. Un casellario efficiente fa trovare subito i dati di chi delinque. È una garanzia di sicurezza. Un processo civile rapido fa tornare in Italia gli investitori stranieri che hanno paura della giustizia lenta. Poi ci vogliono nuove carceri.
Ha fatto l’indulto per smaltire il sovraffollamento e ora, come il leghista Castelli, chiede nuovi penitenziari? Che c’entra l’indulto? Mica se ne può fare uno ogni tre anni. In questi mesi ho messo alcune "prime pietre", come a Trento, ma non basta. Anche per rispondere a chi, da sinistra, chiede celle più vivibili. E per dare un segno visibile di sicurezza alla gente.
Dove pensa di risparmiare? Razionalizzando il meccanismo delle intercettazioni. Se il Senato approva il mio ddl, il sistema dovrà essere centralizzato per mettere fine alle diverse tariffa tra una procura e l’altra. Se il Parlamento ci dà una mano e vara l’accelerazione del processo possiamo risparmiare l’1,5% del Pil.
E tagliare i piccoli tribunali come dice il libro verde del Tesoro? Tra i primi atti da ministro proposi di eliminarne 38. Si scatenò il finimondo. Sono stato impiccato nelle cronache locali di centro, destra o sinistra. Non facevo che ricevere amministratori locali. La mia idea adesso è di non chiuderli, ma chiedere ai Comuni di partecipare al mantenimento.
Gli aumenti di stipendio alle toghe? Riguarda solo una parte e non mi pare una cifra così considerevole. I magistrati vanno tenuti al di fuori di qualunque tentazione. Poi, certo, ci vuole produttività. Per questo il 17 vado al Csm a discutere di efficienza e ordinamento giudiziario.
Viaggiando in Italia si è imbattuto in sprechi evitabili? Vedo benzina che non arriva e auto del 1990... sì auto da museo. Giustizia: Cnca; una nuova politica locale per creare sicurezza
Fuoriluogo, 10 settembre 2007
Veder discutere, per settimane, la classe politica italiana - soprattutto quella di centrosinistra - e una schiera di mass media nazionali sull’opportunità e i contenuti di un "piano nazionale contro i lavavetri" lascia stupefatti prima ancora che indignati. Che in un Paese che si vorrebbe moderno e avanzato la questione della convivenza nelle grandi aree urbane sia ridotta alla semplificazione inquietante del pericolo provocato da lavavetri, writers e mendicanti, che la strage di Duisburg abbia minor appeal per i media di un poveraccio al semaforo invita tutti coloro che hanno a cuore la qualità della vita nelle nostre città a intervenire con forza per apportare almeno un poco di buon senso in un dibattito tanto convulso e infuocato quanto privo di qualunque spessore argomentativo. Come Coordinamento Nazionale Comunità di Accoglienza (Cnca) siamo presenti da venticinque anni nei luoghi del disagio e dell’emarginazione, nei quartieri più difficili delle città piccole e grandi, a contatto con persone gravate da differenti difficoltà. Questa lunga esperienza di lavoro sui territori, nelle strade e nei luoghi dei più diversi contesti urbani, ci mette ogni giorno in contatto con il tema che più di ogni altro dovrebbe interessare la classe politica e i differenti attori sociali: la grave crisi in cui versano le nostre città in conseguenza di un tessuto sociale che si va disgregando, disarticolando in più punti, privando le persone di quella cornice di senso e di agire condiviso che sola è in grado di dare "sicurezza" a chi abita un territorio. Le nostre città, in particolare quelle più grandi, non riescono più a garantire, a seguito di spinte globali e fattori locali, quella sostanziale integrazione che per secoli i nostri centri piccoli e grandi hanno saputo offrire. Si tratta di un processo gravissimo, che riguarda non solo le aree meno "pregiate" delle città, i veri e propri angoli da terzo mondo che troviamo a Roma come a Milano - insomma le famose, famigerate "periferie" - ma l’intero contesto urbano. Una crisi che, se non affrontata per tempo e con una vera e propria mobilitazione politica a livello nazionale e locale, potrebbe aprire in futuro scenari degni di Los Angeles o delle banlieues parigine. Il "degrado urbano", è bene ricordarlo, non lo hanno provocato i writers, ma un ampio numero di amministrazioni locali - quelle imperniate sulla Dc come quelle imperniate sul Pci - che a Napoli come a Roma, a Catania come a Genova, a Torino come a Bari, a Firenze come a Palermo hanno realizzato interi quartieri-dormitorio a volte senza dotarli nemmeno dell’infrastrutturazione primaria e, sempre, senza la necessaria infrastrutturazione secondaria, privi in partenza di qualsiasi servizio, negozi e luoghi di socialità, ammassando - e confinando - un altissimo numero di persone in zone per le quali le amministrazioni ben poco hanno fatto anche solo per curarne l’arredo urbano. Il problema non sono i lavavetri, ma uno sviluppo economico e sociale che non crea, ma distrugge tessuto sociale. Il senso di insicurezza diffuso nasce dal fatto che le persone sono sempre più sole, non hanno punti di riferimento neppure nel luogo stesso dove vivono, non si riconoscono in esso, non hanno legami significativi con gli altri abitanti, oltre al fatto che - frequentemente - sperimentano precarietà di vita, di lavoro, di abitazione. Il problema non sono i mendicanti, ma un modo di gestire le città - soprattutto le grandi città - da parte degli amministratori che è del tutto inadeguato proprio rispetto alle paure presenti nel corpo sociale. Una gestione dominata dai principi del "city marketing", della competizione globale tra le grandi aree metropolitane del pianeta, tutta tesa ad attrarre investimenti che - chissà perché - si ritiene porteranno, automaticamente, benefici all’intera città. Una gestione in cui appare assai più marcato, nel decidere priorità e indirizzi, il ruolo dei grandi gruppi economici che quello degli eletti dal popolo. Ma, sfortunatamente, con l’organizzazione delle Olimpiadi invernali si può forse rinfrescare l’immagine della città e far girare molti quattrini, ma non si ricostruisce il tessuto sociale. Il problema non sono le prostitute, ma la quantità e la qualità della spesa sociale nel nostro Paese, che negli studi internazionali in materia viene definito a "rudimentary assistance", perché copre solo una parte minima delle persone che ne avrebbero bisogno (soprattutto gli anziani) e si limita alle erogazioni monetarie che, anch’esse, da sole, non possono certo creare le condizioni di una migliore convivenza. Un welfare fortemente sbilanciato su pensioni e sanità e che - dimenticando completamente lo stesso dettato costituzionale che all’art. 2 ci impegna collettivamente nei doveri di solidarietà - lascia meno delle briciole per le prestazioni socio-assistenziali, cioè per quei servizi, interventi e progetti che potrebbero occuparsi non solo di una o due categorie di persone, ma del benessere individuale di tutti e, in particolare, della cura del contesto territoriale nella sua interezza. Investiamo poco, pochissimo, sulla sicurezza che nasce dalla costruzione di relazioni personali e sociali che diano un senso all’abitare, al condividere, al partecipare. Il problema non sono gli immigrati, clandestini o meno, ma una normativa che - sino ad oggi - ha impedito loro di entrare nel nostro Paese in modo legale e, aspetto non meno rilevante, l’entità pressoché risibile che lo Stato, le Regioni e i Comuni destinano alla categoria degli immigrati, con quella cecità tipica di chi pensa che "tanto questi non votano" (e gli "italiani" poi non gradirebbero), quando è evidente a tutti che la convivenza tra nazionalità, culture e religioni differenti è, già oggi, il tema cruciale con cui dovranno confrontarsi la nostra come le altre democrazie occidentali. È difficile coltivare un aplomb anglosassone agli angoli delle strade quando si è clandestini, si lotta per la sopravvivenza e si vive nei quartieri più "degradati". Dinanzi a questa mole di questioni - che il ministro dell’Interno ha definito qualche giorno fa, spregiativamente, come mera "filosofia", abdicando così, come sempre sui temi della sicurezza, alla sua celebre reputazione di pensatore "sottile" - i nostri amministratori e, parrebbe, il Governo hanno deciso di reagire dando la caccia ai poveri cristi. Deviando su alcuni capri espiatori assolutamente marginali, in tutti i sensi, responsabilità che i nostri amministratori condividono con gli altri soggetti economici e sociali. Ricorrendo a questo presunto discrimine della "legalità" che fa sorridere in un Paese in cui l’illegalità è la norma quasi ovunque, senza generare poi troppe reazioni - quando addirittura non viene esaltata come nel caso dei bagni di folla di Fiorani e di Corona, di Moggi e di Lele Mora. Una mossa che sconcerta prima di tutto perché - è bene ricordarlo - sono proprio quelle persone che vengono indicate come un pericolo per la sicurezza personale e sociale ad essere oggetto, più di ogni altra, di atti di illegalità e violenza, di vessazione e sfruttamento (e non solo da parte dei "racket"). Una strategia che appare sbagliata anche dal punto di vista degli effetti che provocherà: invocare le sanzioni penali e civili per i comportamenti più diversi e contro i soggetti più disparati non diminuirà le paure sociali, ma anzi le accrescerà perché saranno proprio questi provvedimenti a rafforzare ulteriormente il numero e la forza del "nemico" - c’è la sanzione a dimostrarlo tale - coinvolgendo persone e figure che, generalmente, si presentano al massimo come moleste. Inoltre, il ricorso alle sanzioni tende ad autoalimentarsi: è il caso per esempio della mendicità, che la Corte costituzionale e l’umana pietà vietano di condannare e che - per questo - ha già partorito la nuova figura del "mendicante molesto", esso sì degno di essere perseguito. A quando pene contro i bambini che ci colpiscono con le bolle di sapone? Per tutte queste ragioni diciamo alla politica che l’intero discorso pubblico sulla sicurezza è ipocrita, inconsistente e fuorviante. E che ci sembra davvero incomprensibile voler varare un piano sulla sicurezza, come sta facendo il nostro Governo, senza l’intervento del ministro della Solidarietà sociale e degli altri ministeri competenti per le materie sociali, con l’eccezione del ministero per le Pari Opportunità. Ci rendiamo ben conto, d’altra parte, che le dichiarazioni rese e i provvedimenti presi o annunciati in queste settimane sono - al contrario di quanto potrebbe sembrare - una chiara dichiarazione di impotenza da parte degli amministratori. Le questioni che ci permettiamo di porre in questa lettera sono a loro ben note, ma affrontarle richiederebbe un cambiamento radicale negli orientamenti politici, nelle scelte di governo, nei modi in cui tali scelte vengono decise e attuate, nelle destinazioni di bilancio. Una volta la politica coltivava grandi progetti di cambiamento sociale, oggi si fa dettare l’agenda dalla pancia della società, opportunamente indirizzata. Noi diciamo alla politica che siamo pronti a prendere sul serio il sentimento di insicurezza così diffuso tra i cittadini: dobbiamo stare dalla parte dell’anziano che ha paura quando va a prendere la pensione e della mamma che ha paura di mandare suo figlio a giocare in strada. Ma essere dalla loro parte non significa creare e colpire dei capri espiatori, ma costruire contesti sociali ed economici in cui tutte le persone che ne fanno parte siano protagoniste, partecipino, coltivino relazioni positive, abbiano una buona qualità della vita, vedano i propri diritti fondamentali garantiti. È per questo che proponiamo agli amministratori, alle istituzioni, alle imprese, ai sindacati, al terzo settore e al volontariato la formazione di tavoli locali in cui pensare, finalmente, insieme, un progetto di città che si proponga realmente di mettere al primo posto il benessere e la sicurezza delle persone. Sarebbe una rivoluzione, perché ben altre sono le priorità che muovono oggi gli attori principali a livello nazionale e locale. Abbiamo bisogno di un nuovo patto sociale che richiede a sua volta una nuova politica locale, fatta di partecipazione diffusa e dell’integrazione delle politiche economiche, urbanistiche, ambientali, sociali, sanitarie, del lavoro e dell’istruzione. Nell’affrontare, poi, le situazioni sociali più dure non partiamo certo da zero. In questi anni abbiamo sperimentato numerosi interventi nei settori delle diverse marginalità che non si sono limitati a fare assistenza, ma hanno garantito crescita di sicurezza sociale, mediazione dei conflitti, integrazione. E questo proprio nelle città i cui sindaci sono oggi, con le loro dichiarazioni, sulle prime pagine dei giornali. Forse, un confronto con gli autori di queste esperienze di intervento sociale, con coloro - operatori pubblici o privati - che più di ogni altro conoscono le realtà di sfruttamento e marginalità sarebbe stato opportuno prima di lanciarsi in proclami sulla sicurezza. Tra queste pratiche - alternative a quelle "securitarie", benché a nostro avviso capaci di creare sicurezza in modo realmente efficace - vi sono proprio quelle che in questi anni si sono opposte alla tratta e allo sfruttamento grave delle persone. La lezione che ci viene da esse è che, invece di colpire la persona sfruttata o vittima di racket - che diventa così due volte vittima - dovremmo piuttosto favorire la rottura di quel patto criminale in cui l’illegalità e il bisogno costringono parte delle persone divenute, loro malgrado, protagoniste sui media: perché non applicare in maniera estensiva le opportunità di legalizzazione e reinserimento previste dall’applicazione dell’art. 18 della legge 40 sull’immigrazione per chi denunci o dichiari la disponibilità ad uscire da situazioni di illegalità e sfruttamento? Sarebbe - questo sì - un segnale forte di disponibilità all’accoglienza per chi lo accetta e di repressione mirata per coloro che su povertà e bisogni costruiscono illecite ricchezze. Ci permettiamo, infine, di rivolgere un appello anche al mondo dei mass media, che sta giocando un ruolo formidabile e, a nostro avviso, scriteriato in questo dibattito così fondamentale per la qualità della nostra democrazia. Non chiediamo certo alla stampa di rappresentare le cose secondo la nostra visione, ma - più semplicemente - di fare fino in fondo il proprio lavoro. E il ruolo della stampa non è quello di limitarsi a registrare le dichiarazioni di questo o quel politico e di riprendere, sic et simpliciter, le paure diffuse nel corpo sociale, amplificandole. Il primo compito dei mass media dovrebbe essere quello di interrogarsi su queste paure andando a vedere con i propri occhi e a sentire con le proprie orecchie cosa sta accadendo nelle città italiane, come vengono amministrate, perché questa paura è nata, come si vive nei quartieri e come questi ultimi cambiano in funzione di modificazioni sociali e scelte politiche e del mondo economico. E invece, nessuna inchiesta - stiamo parlando di lavoro sul campo, approfondito e che richiede tempo -, nessun reportage troviamo normalmente nelle pagine di cronaca nazionali e locali. Siamo convinti che questo lavoro di conoscenza cambierebbe radicalmente il contenuto e forse il senso dei servizi pubblicati sui giornali e messi in onda sui Tg. Anche ai media facciamo, perciò, una proposta: ragioniamo insieme su cosa sono oggi le città italiane e proviamo a raccontarlo. Insomma, le questioni che questa incredibile - e pericolosa - disputa sui lavavetri richiama sono davvero rilevanti, decisive per il futuro della nostra convivenza. Chi ci sta a farsene carico e a "cambiare politica"? Salute: Amapi; liberiamoci "dall'abbraccio mortale" dell’A.P.
Comunicato Amapi, 10 settembre 2007
È sempre più necessario che i bisogni di salute in carcere debbano trovare una risposta sanitaria adeguata. È questo un concetto-guida con il quale si deve misurare la professionalità del Medico e dell’Infermiere Penitenziario. Per il Medico Penitenziario si delinea l’esigenza di aderire ai valori, alle aspettative e alla disponibilità del malato, un malato particolare che ha già perso quel bene prezioso che è la libertà. Bisogna tenere presente per tutte le sue implicazioni che il rapporto medico-paziente in carcere nasce forzato, in quanto manca la libera scelta del paziente. È un rapporto difficile, inizialmente in salita, perché il paziente è diffidente. In questo contesto il ruolo di una corretta comunicazione bidirezionale tra Medico e paziente diventa sempre più importante. La buona Medicina Penitenziaria è infatti quella che rispetta il malato nei suoi valori e nell’autonomia delle scelte,laddove l’autorevolezza del medico è chiamata ad essere condivisa con il paziente nell’ambito di una relazione comunicativa chiara, completa e condivisa. La malattia in carcere non può essere definita soltanto in termini biologici, ma si manifesta come alterazione anche a livello psicologico e a livello sociale, del contesto del malato in cui vive. La Medicina Penitenziaria è una Medicina della persona con disponibilità ad accogliere il bisogno, il disagio. Accogliere il disagio, il dolore, la sofferenza e restituirli in termini di diagnosi, cura, ma anche comprensione. La Medicina Penitenziaria vive e soffoca di questo paradosso: dover curare malattie particolari e gravi dentro una malattia comune e deliberata che è la reclusione corporale nelle celle. La questione sanitaria è ai primissimi posti nella lista del dolore carcerario, quel dolore supplementare che si innesta rigoglioso sulla pena senza esservi previsto. La salute non è una tassa. Non è un lusso, una dilapidazione, una spesa inutile. È invece un insopprimibile diritto prioritario e anche un importante investimento sul piano della salute. Quanti ragazzi extracomunitari vengono visitati per la prima volta da un Medico nella loro vita. Per lo Stato è un dovere costituzionale tutelare la salute in carcere. Ecco perché bisogna porre particolare attenzione. Qui stiamo parlando e trattando del nostro posto di lavoro, della nostra professione. È interesse comune che sul tavolo delle trattative acquisiscano un forte significato la nostra esperienza specifica, la nostra competenza. Del resto non chiediamo mica la luna. Siamo troppo seri per essere catturati dalle facili illusioni. Abbiamo i piedi ben piantati per terra e abbiamo l’abitudine di saperci confrontare con la realtà. Se la riforma è zavorrata da un rigido costo zero, allora in termini molto chiari vuol dire prendere in giro i Medici, gli Infermieri e soprattutto i detenuti. Occorrono adeguate risorse. Occorrono importanti investimenti. Non ci si venga a dire che la riforma deve essere fatta per risparmiare sulla pelle dei detenuti. Sfatiamo una volta per tutte il mito della razionalizzazione, perché è stato abbondantemente raschiato il fondo del barile e ci troviamo abbondantemente con l’acqua alla gola. Una riforma per essere seria e credibile implica necessariamente degli investimenti nei servizi, nella definizione delle strutture, nella definizione dei compiti e dei ruoli, nella valorizzazione delle conoscenze, nel bisogno della ricerca scientifica, nella sicurezza dei posti di lavoro, nel rinnovo della tecnologia, nell’adeguamento degli organici del personale e delle strutture, nella formazione e nella carriera. Vogliamo parlare seriamente di Riforma della Medicina Penitenziaria? Bene, realizziamola con i Medici Penitenziari, per i Medici Penitenziari. E non contro i Medici Penitenziari. Realizziamola migliorando i servizi. Realizziamola migliorando le strutture. Realizziamola mettendo al fianco dei detenuti Medici ed Infermieri motivati professionalmente ed economicamente. La dobbiamo realizzare con i Medici Penitenziari anche perché tanto meglio funzionerà la Riforma, quanto più sarà condivisa con i destinatari. Non sono i Medici e gli Infermieri che ostacoleranno la Riforma. Senza incertezze. Senza equivoci. Dobbiamo avere il coraggio di dire basta e ricominciare. Noi vogliamo liberarci al più presto da questo abbraccio mortale della Amministrazione Penitenziaria, un abbraccio che ci ha portati in un vicolo cieco. Siamo stati solo degli strumenti per assicurare la loro tanta agognata sicurezza. Questo sembra il loro obiettivo istituzionale primario. Il resto non interessa. È solo immagine. È solo forma. Non siamo stati messi nella condizione di essere valorizzati in alcun modo. Non si è potuto mai parlare di miglioramenti normativi e giuridici. Non si è potuto parlare mai di avanzamento di carriera. Medicina Penitenziaria alle Asl non sarà la panacea di tutti i mali, ebbene dircelo subito e senza fraintendimenti, ma a questo punto è una strada obbligata. Nessuno di noi è così ingenuo da illudersi tanto. Portiamo sulle nostre spalle un immenso patrimonio di conoscenze scientifiche e di esperienze umane. Abbiamo il diritto di passare attraverso la porta principale con il riconoscimento e la valorizzazione della nostra specifica professionalità. Non possiamo sottacere che la Medicina Preventiva transitata alle Asl dal 1° gennaio 2000 è rimasta desolatamente lettera morta. Nessuno dico nessuno ha avvertito il dovere morale di muovere una virgola, eppure attraverso la Medicina Preventiva avrebbero potuto presentare un significativo biglietto da visita, rivitalizzando e gestendo lo stesso progetto di Medicina Penitenziaria. Che dire poi dell’approvvigionamento dei farmaci? Ogni Regione si è mossa non in aderenza e nello spirito della legge, ma secondo precisi tornaconti. Ognuno ha fatto quello che ha voluto. Penso alla Regione Sicilia, dove l’organizzazione dei Servizi Sanitari Penitenziari è stata duramente condizionata da quanto sopra. È indubbio che inevitabilmente sulla Medicina Penitenziaria graverà sempre un forte, inestinguibile pregiudizio, una sorta di cappa di piombo, per quanto riguarda l’immagine e soprattutto per quanto riguarderà la funzionalità operativa. I soggetti detenuti si esprimeranno sempre negativamente. Bisogna avere il coraggio di riconoscere che l’attuale, costante denigrazione dei Servizi Sanitari Penitenziari derivi anche dall’interesse umanamente fin troppo comprensibile di chi pur di recuperare quel dono bellissimo che è la libertà, utilizza in modo cosciente e strumentale il proprio corpo al fine di evidenziare gravi stati patologici. Se la Medicina Penitenziaria non funziona e non è in grado di erogare prestazioni adeguate, si aprono più prospettive per acquisire i vari benefici di legge. La Medicina Penitenziaria, pur tra mille difficoltà di ogni tipo, si è saputa rendere artefice di un rinnovato clima di tolleranza, di solidarietà, di umanità, garantendo importanti risultati nello stile di vita, nei rapporti interpersonali, nel migliorare le condizioni di vivibilità. Attualmente i detenuti riscuotono profondo rispetto ed attenzione. La Medicina Penitenziaria non ha creato problemi, piuttosto ha risolto sempre i problemi. La Medicina Penitenziaria è una risorsa importante su cui bisogna investire se non altro per rafforzare i criteri di difesa sociale. Il carcere rappresenta oggi un serbatoio di persone che vivono spesso in condizioni di salute residua. Ecco perché la Medicina Penitenziaria non è un lusso. Ecco perché non deve essere vissuta come un inutile fattore di spesa su cui calare la scure alla prima circostanza. Noi pretendiamo con tutte le nostre forze la valorizzazione della nostra specifica professionalità. Guai a disperdere questo immenso patrimonio di arte professionale. Rivendichiamo ovunque la nostra autonomia che è il nostro valore diritti aggiunto. Nessuno si illuda che solo perché lavoriamo in carcere siamo anche noi dimezzati o forse sotto tutela. Il diritto all’opzione e il riconoscimento di un ruolo a termine nel Ssn sono elementi irrinunciabili. Se quanto sopra non verrà previsto in analogia per esempio con i medici condotti, l’Amapi è pronta a scendere in piazza per rivendicare i propri diritti. Del resto chi va a lavorare in carcere deve essere premiato se non altro per il suo coraggio. O forse c’è qualcuno che viene attraversato dal dubbio che chi lavora in carcere deve essere penalizzato? La Regione Sardegna nella sua legge regionale prefigura il diritto alla opzione e il ruolo ad esaurimento. Ci sembrano delle buone prospettive. Autonomia non deve significare isolamento, separatezza. Autonomia deve significare specificità di materia e di ambienti,specializzazioni di funzioni professionali integrate nella potenzialità e nella funzionalità del Servizio Sanitario Nazionale. Il Medico Penitenziario deve poter salvaguardare quell’autonomia di giudizio che costituisce l’unico, vero argine di credibilità agli occhi dei detenuti. Il Medico, pur nel rispetto dell’Ordinamento penitenziario, deve essere vissuto dal detenuto come Medico curante ed è in questa ottica che diventa prerogativa indispensabile che egli possa valorizzare la sua capacità decisionale, la sicurezza ed il coraggio, la preparazione che può maturare attraverso il lavoro universitario, ospedaliero e nel territorio. Isolandolo nel carcere, il Medico si rinchiuderà nel suo guscio personale, divenendo ermetico ad ogni sollecitazione professionale ed estraneo ad ogni aggiornamento. Di un Medico così strutturato non ha bisogno nessuno, tanto meno i detenuti. La Medicina Penitenziaria è in forte debito di ossigeno. Occorre cambiare la rotta, perché ora ci sentiamo come un’imbarcazione infranta tra gli scogli. Occorrono progetti seri. Occorre una seria presa in carico delle varie problematiche. Vogliamo sentir parlare di Medicina Preventiva e di screening in carcere. Vogliamo sentir parlare di igiene degli ambienti, di igiene dell’alimentazione, di igiene del comportamento. Vogliamo sentir parlare di verifica di qualità. Vogliamo sentir parlare di informatizzazione della cartella clinica. Vogliamo sentir parlare di epidemiologia e di ricerca scientifica. Vogliamo sentir parlare di sviluppo di carriera. Vogliamo finalmente prendere in considerazione seria l’operatività dei Centri Clinici, dove il concetto-guida deve essere il binomio costi-benefici? Vogliamo ottimizzare l’operatività delle sale operatorie. Vogliamo convertire qualche Centro Clinico in presidio da lungo-degenza. Vogliamo rivisitare le strutture per minorati fisici. Vogliamo rivisitare l’organizzazione e la funzionalità degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari. Ci siamo accorti che esiste in carcere una emergenza psichiatrica? Da tempo noi sosteniamo una presa in carico dei servizi territoriali al fine di salvaguardare il criterio di continuità assistenziale e terapeutica. Particolare cura va posta per i cardiopatici, anche perché l’infarto del miocardio è la prima causa di morte in carcere. Vogliamo criteri di medicina legale più garantisti per la tutela della salute. Bene! Se il Servizio Sanitario Nazionale si sente in grado di rispondere a queste aspettative, faccia pure un passo avanti con serietà e responsabilità, investendo intanto risorse adeguate nella valorizzazione della professionalità degli Operatori Sanitari Penitenziari. Ci siamo accorti che esiste un problema della sessualità in carcere? Ci siamo accorti che esiste un problema dell’organizzazione del lavoro in carcere? Intorno alla promozione dell’affettività in carcere e intorno alla programmazione e all’organizzazione del lavoro in carcere si gioca una partita importante, da cui può trarre beneficio la stessa Medicina Penitenziaria. La sfida cruciale della Medicina Penitenziaria nei prossimi anni sarà proprio quella di riuscire a sviluppare una propria cultura scientifica privilegiando o recuperando quelle caratteristiche tradizionali di vicinanza ai propri pazienti. La sfida che ci attende è dunque quella di perseguire una Medicina Penitenziaria sostenibile, al passo con i tempi, sia mediante una decisa accentuazione dei momenti di prevenzione, non solo sanitaria, ma anche sociale ed ambientale, sia mediante un forte investimento sulla professionalità specifica dei Medici Penitenziari. Impegno e qualificazione professionale devono essere le direttive precise attraverso cui si deve estrinsecare la funzione del Medico e dell’Infermiere Penitenziario. I Medici e gli Infermieri Penitenziari hanno scritto una pagina importante per la storia e la civiltà del nostro Paese. Una storia fatta di impegno ,di spirito di sacrificio, di dedizione e di amore per il nostro lavoro. Una storia di rispetto e di comprensione per i nostri pazienti.
Il Presidente Amapi, Francesco Ceraudo Salute: Opg; essere portatori di diritti non è solo un’opinione
Lettera a Ristretti Orizzonti, 10 settembre 2007
"Il diritto alla salute ed alla cura sono dei diritti fondamentali di ogni essere umano, senza distinzione di razza, religione, credo politico, condizioni economiche e sociali". La definizione di salute della Organizzazione Mondiale per la Sanità include "il benessere fisico, sociale e mentale". La salute mentale per l’uomo rappresenta la prima condizione necessaria per l’equilibrio personale e nella società. A tal proposito… Nel 1978 avviene l’approvazione della legge 180 per la chiusura dei manicomi e presa in carico dei pazienti psichiatrici in strutture di cura alternative. Nel 98-2000 è emanato il secondo progetto obiettivo "per la tutela della salute mentale" e presa in carico da parte dei Dipartimenti di Salute Mentale dei vari territori dei propri pazienti. Nel 2003 la sentenza 253 della Corte Costituzionale prevede per l’infermo di mente misure alternative al ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario. Nel 2004 la sentenza 367 della Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale dell’applicazione provvisoria della misura di sicurezza. Nel 2006 arriva al Governo la proposta di modifica del codice penale in riferimento alla "non imputabilità" del malato mentale. Nel 2006 una commissione interministeriale giustizia-salute propone una riduzione del numero degli ospedali psichiatrici giudiziari e degli internati in essi rinchiusi e la creazione di istituti specializzati idonei alla cura del malato mentale a basso regime detentivo per reati minori. Nel 2007 il ministero della salute avvia un percorso di "ricerca promozione e tutela della salute mentale". Nel 2007 a seguito di numerose inchieste giornalistiche apparse sulla stampa nazionale in merito alle condizioni di invivibilità nei 6 ospedali psichiatrici giudiziari e all’alto numero di suicidi e di tentati suicidi avvenuti negli ultimi 2 anni, Il dott. Marco d’Alema consigliere del ministro della salute Livia Turco afferma che "..il Ministero della Salute ha previsto misure per il superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari". Nel 2007 i ministri della giustizia Clemente Mastella e della salute Livia Turco affermano che "il problema della condizione e del ruoli degli ospedali psichiatrici giudiziari necessità di iniziative adeguate ad affrontare una situazione che è grave ormai da molto tempo". Nel maggio 2007 arriva al Governo l’interpellanza parlamentare da parte del deputato Caruso a seguito di una ispezione conoscitiva nei 6 Opg d’Italia. Inoltre nonostante le numerose dichiarazioni dei Direttori degli Opg favorevoli al superamento degli Opg stessi; le tante battaglie portate avanti dalle associazioni, dai familiari, dal forum nazionale salute mentale, dalla società civile, per bloccare drasticamente gli ingressi in Opg impedire l’apertura di nuovi Istituti in Sardegna e in Calabria e nuovi reparti come il femminile a Barcellona p.g., per il superamento e la chiusura degli Opg… a tutt’oggi dobbiamo amaramente constatare: che le sentenze della corte costituzionale sono state meramente disattese; le misure di sicurezza provvisorie si traducono nella quasi totalità dei casi in ricoveri presso gli Opg con tempi indefiniti e lunghi prima della definizione della posizione giuridica dei soggetti; piuttosto che l’affidamento ai Dipartimenti di Salute Mentale di provenienza si preferisce la scorciatoia del ricovero in Ospedale Psichiatrico giudiziario direttamente dai territori; alla dichiarata volontà espressa dalla Commissione interministeriale giustizia-salute e la messa in atto di azioni volte al superamento degli Opg, ci ritroviamo invece con un pericoloso ed esplosivo stato di sovraffollamento degli Istituti. L’Opg di Barcellona P.G. con una capienza dichiarata di 216 posti oggi detiene 237 persone (nonostante un reparto sia chiuso perché dichiarato inagibile), questo comporta un aumento di aggressioni, di tentati suicidi, dell’uso del letto di contenzione! In queste condizioni diventa utopico pensare che per i singoli ricoverati sia possibile mettere in atto progetti personalizzati in sinergia con i Dsm, anzi cresce la percentuale dei ricoverati che vedono prorogata la misura di sicurezza rendendo la restrizione in Opg senza prospettive di fine. Allo stato attuale quanto dichiarato dagli esponenti politici, dai tecnici, dai Magistrati appare scandalosamente contraddetto dai fatti, che vanno del tutto nella direzione opposta. Facciamo appello che si proceda con priorità assoluta alla modifica del Codice Penale al titolo IV (già consegnata al guarda sigilli) che dà risposte concrete per il superamento degli Opg, che prevede l’applicazione di misure alternative al ricovero in Opg per i soggetti ritenuti non imputabili per infermità o altre gravi anomalie. Chiediamo che vengano garantiti diritti, dignità, libertà e cura della persona… solo su questo terreno si gioca la qualità della democrazia! Per avviare un reale processo di mobilitazione delle Istituzioni, dei soggetti politici, delle associazioni e dei cittadini tutti Lunedì 10.09.2007 nel pomeriggio l’onorevole G. Lumia (commissione parlamentare antimafia) accompagnato da una delegazione parlamentare visita l’Opg di Barcellona P.G. per un’ispezione parlamentare. Giovedì 13.09.2007 nel pomeriggio l’europarlamentare G. Fava visita l’Istituto.
Associazione Casa di solidarietà e accoglienza di G. Insana Via Garibaldi 704 - Barcellona P.G. (ME) 090.9761183 - g.insana@tiscali.it Circolo Arci "Città Futura" Via Kennedy 74 - Barcellona P.G. (ME) 349.1065476 - 347.8885263 - arcicittafutura@tiscali.it Palmi: protestano i detenuti E.I.V.; basta vivere come bestie
Lettera a Ristretti Orizzonti, 10 settembre 2007
Dal prossimo 10 settembre i detenuti della sezione a Elevato Indice di Vigilanza del carcere di Palmi avvieranno una protesta pacifica ma ad oltranza. Hanno esposto le loro ragioni in una lettera aperta indirizzata a tutti gli organi competenti, Dap, Prap Calabria, Direzione del carcere, associazioni e Magistratura di Sorveglianza. Nonostante numerosi solleciti e ben due interrogazioni parlamentari (rimaste senza alcuna risposta da parte del Ministro) presentate dai Senatori Maria Luisa Boccia e Fosco Giannini dove, oltre all’incostituzionalità di questa specie di gironi danteschi che sono le sezioni EIV in cui vengono arbitrariamente sospesi i diritti dei detenuti (motivo per cui l’Italia è stata più volte richiamata sia dalla Corte Costituzionale che dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ed invitata a colmare il vuoto normativo creatosi) si evidenziava la totale assenza di percorsi trattamentali e culturali, riducendo gli uomini lì reclusi simili a vegetali costretti a trascinarsi dalla cella al passeggio e viceversa. Niente scuola, niente corsi di formazione, nessuna attività lavorativa, nessun laboratorio culturale. Per la Direzione gli adeguamenti previsti nel Dpr 230/2000 sono consistiti solo nella pitturazione (esterna) delle mura perimetrali del carcere e qualche altro ritocco al "trucco". Ma l’aspetto che più affligge i detenuti è la costrizione, inumana, del divisorio della sala colloqui che estende la pena anche ai familiari, ai bambini che, a volte, non arrivano neanche a "guardare" oltre quel muro. Forse ci illudiamo che questi argomenti possano suscitare "emozioni mediatiche", non tenendo conto che si sta tornando indietro di almeno 200 anni, visti gli ultimi provvedimenti atti a punire e criminalizzare chi (soprav)vive ai margini della società, ma vorremmo richiamare la Società (non solo i nostri rappresentanti al Governo) sul mandato Costituzionale dell’Istituto carcerario che è la Rieducazione e il Recupero del condannato. Ma, ormai, è quasi senso comune che gli unici compiti del carcere siano Punire, Recludere e Affliggere, nella migliore delle ipotesi è un luogo dove isolare una parte dal resto della Società come una "cameriera che spazza il pavimento e nasconde la polvere sotto i tappeti". Dovremmo ricordarci, tutti noi, che le Persone recluse (già, perché di questo si tratta) sono uomini e donne che pur avendo commesso un reato un giorno dovranno essere restituiti alla Libertà (e alla Società) e se in carcere le teniamo come bestie, e mi perdonino gli animali che hanno pure i loro diritti, avremo uomini e donne che hanno espiato la loro Pena sì, ma forse saranno peggiori di quando sono entrati, sicuramente non migliori. Invitiamo l’Onorevole Ministro della Giustizia a rispondere alle interrogazioni che i Rappresentanti dei cittadini italiani pongono e a mandare nella Casa Circondariale di Palmi una ispezione ministeriale, scoprirà che, oltre la targa d’ottone che recita "Ministero della Giustizia - Casa Circondariale di Palmi" e oltre la facciata ridipinta, c’è uno zoo.
Sandra Berardi, Associazione Yairaiha Onlus - Cosenza Bologna: Garante; più controlli su situazione igienico-sanitaria
Comunicato stampa, 10 settembre 2007
A seguito di numerose segnalazioni pervenute alla Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, avv. Desi Bruno, fatte da numerosi detenuti singoli ed in forma collettiva, in merito alla situazione del vitto e sopravvitto, della situazione igienica dei locali comuni, docce, barberia ecc. dei locali cucina e della esigenza di disinfestazione delle aree cortilive e dei camminamenti, la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale ha più volte sollecitato, agli assessorati alla Salute del Comune e della Provincia di Bologna un intervento per verificare la veridicità delle situazioni segnalate. Se le segnalazioni sono rispondenti alla realtà e, attualmente le verifiche semestrali dell’azienda Usl di Bologna sembrano confermarle, si è giunti al punto in cui la pubblica amministrazione deve emettere provvedimenti per ottenere azioni di messa in sicurezza delle situazioni pericolose, sia strutturali che igieniche, e chiedere che l’amministrazione centrale impegni le risorse necessarie per adeguare la vita all’interno del carcere a quanto previsto dal regolamento penitenziario, che dal 2000 attende di essere pienamente attuato. Per questi motivi oggi alla ore 14.30 presso la Sala Notai di via de’ Pignattari, la Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna, avv. Desi Bruno e i funzionari del Comune di Bologna e della Azienda USL si incontrano per verificare la fattibilità di un progetto di gestione del rischio sanitario da condurre in collaborazione con il personale del carcere e per concordare un piano di interventi rispetto alla situazione igienica e strutturale più volte segnalata sostenendo la direzione del carcere nelle funzioni di erogazione dell’assistenza sanitaria e sociale a favore delle persone detenute.
Avv. Desi Bruno, Garante dei diritti delle persone private della libertà personale del Comune di Bologna Teatro: Benigni porta Dante nelle carceri di Opera e Sulmona
Comunicato stampa, 10 settembre 2007
Sabato 15 e lunedì 24 settembre Roberto Benigni terrà il suo spettacolo all’interno, rispettivamente, del carcere milanese di Opera e di quello di Sulmona. "Sin da quando, mesi fa, gli ho parlato del progetto - dice il sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi. Benigni ha accolto con grande convinzione la proposta, si è reso immediatamente disponibile e ha elaborato un progetto di spettacolo che, partendo dal suo "Tutto Dante", offrirà ai detenuti delle due carceri la possibilità di godere di un’esperienza così straordinaria". Ha detto Benigni: "sono felice di portare tra i carcerati una cosa così bella come la Divina Commedia. Spero che ci si diverta e ci si commuova insieme". Dentro le carceri italiane, ha aggiunto Manconi, si svolge una grande attività culturale, che vede protagonisti innanzitutto i detenuti, attraverso esperienze narrative, poetiche, teatrali, televisive, cinematografiche e di arti visive; e attraverso la partecipazione di decine e decine di artisti, che dedicano - spesso con assiduità e continuità nel tempo - molte energie e risorse al lavoro culturale all’interno del carcere. Dunque, gli spettacoli di Benigni potranno costituire un importante incentivo perché questa attività si rafforzi e si stabilizzi.
Luigi Manconi, Sottosegretario alla Giustizia Immigrazione: la Bossi-Fini consegna immigrati alla malavita
Notiziario Aduc, 10 settembre 2007
"La Bossi Fini non ha arginato i fenomeni di criminalità, ha prodotto una forma gigantesca di immigrazione clandestina". Lo ha affermato il ministro della Solidarietà sociale, Paolo Ferrero, a margine del Forum di Sbilanciamoci. Ferrero ha ricordato che la ‘Bossi-Fini’ rende ‘quasi impossibile l’immigrazione legale, ha consegnato nelle mani della malavita organizzata la gestione dell’immigrazione in Italia". Secondo Ferrero, "è una legge che produce illegalità: inizio a pensare che questo sia stato fatto volutamente, perché così si mettono gli immigrati in condizione di clandestinità e, quindi, si produce manodopera a basso costo, evasione fiscale e contributiva, e dall’altra parte si permette di cavalcare il tema della sicurezza". Per Ferrero, la Bossi-Fini, "di fatto obbliga la gente a entrare clandestinamente". Droghe: Foggia; Polizia e Carabinieri nelle scuole "a rischio"
Notiziario Aduc, 10 settembre 2007
Per prevenire il crescente fenomeno del bullismo e la diffusione dello spaccio di sostanze stupefacenti nelle scuole, a Foggia e in provincia le forze di polizia e la polizia municipale svolgeranno servizi di vigilanza in tutti gli istituti scolastici. La decisione è stata presa nel corso del tavolo tecnico svoltosi ieri nella questura di Foggia a cui hanno partecipato i vertici provinciali delle Forze di polizia e del comando di polizia municipale. In particolare, si è deciso che i servizi di vigilanza per le scuole elementari e in alcune scuole medie saranno svolti dalla polizia municipale. La polizia di Stato e i Carabinieri vigileranno su tutti gli istituti superiori e le scuole medie maggiormente "a rischio", con particolare riguardo a quelle che l’anno scorso hanno evidenziato maggiori problematiche. In provincia, invece, i servizi verranno svolti dalla polizia nei Comuni sedi di commissariati e dall’Arma nei restanti Comuni. In entrambi i casi vi sarà la collaborazione della polizia municipale. La Guardia di Finanza concorrerà, soprattutto per i servizi antidroga, in tutti gli istituti della provincia. Mondo: i "Grand Hotel Prigione", ecco l’ultima mania del design
Affari & Finanza, 10 settembre 2007
Dormire in una cella, ma a cinque stelle e senza condanne, da sfizio per turisti ricchi è trasformato in un business per tour operator e architetti. E mentre in Italia sorge "Ucciard-home", con tanto di vista sul carcere, all’estero l’offerta si fa più ampia e ricercata. Chissà l’effetto che fa dormire in una prigione a 5 stelle. O meglio in un ex carcere trasformato in hotel. Naturalmente con tutti i comfort. All’estero, a quanto pare, la moda spopola. Ma anche in Italia ultimamente è arrivata la mania di dormire in una prigione a pagamento. Si dà il caso, però, che le carceri siano affollate di detenuti. Anche troppi, per la verità. Non potendoli sfrattare il rinomato ingegno italiano ha colpito ancora una volta. E a Palermo un albergo lo hanno costruito proprio di fronte al carcere chiamandolo, naturalmente, hotel Ucciard-home. Chic e di design ha, come punto di forza, l’affaccio sulla prigione preferita dai mafiosi. Durante l’estate invece ha aperto i battenti, trasformato in Liberty Hotel, un autentico ex penitenziario di Boston. L’istituto di pena che ospitò, fra gli altri, Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti. Il carcere, sulle sponde del Charles River in pieno centro della città, è chiuso dal 1971. Accanto alla struttura originaria è stata ultimata l’ala moderna con 280 stanze. L’investimento complessivo, riferisce il New York Times che per primo aveva dato la notizia della riconversione, è stimato in 110 milioni di dollari e il punto di forza sarà (almeno nei pensieri degli investitori della Carpenter & Company) l’atrio centrale. Esattamente quello dove, circa un secolo fa, ai detenuti era concessa l’ora d’aria quotidiana e dove si svolgeva la ginnastica settimanale. Ma quello del Liberty Hotel non è certo un caso isolato. Anzi. Ad Istanbul il Four Season Hotel sorge nella vecchia prigione turca. Era un penitenziario "chic" riservato agli scrittori, agli artisti e agli aristocratici, ed è persino stato immortalato da Graham Greene in Stamboul Train. Adesso è il trionfo del lusso: con personale disposto a soddisfare ogni capriccio ed elicottero privato. Sempre in Turchia, ma nel cuore della Cappadocia, c’è il Gamirasu hotel. Un antico monastero bizantino per lungo tempo usato come prigione. Le celle sono scavate nella roccia. Non è da meno, come atmosfera misteriosa, il Malmaison hotel di Oxford. Qui, a dispetto delle sbarre alle finestre e le porte originali, ogni dettaglio è di design. E ancora. Nel 2004, la Confort Inn (una delle catene più popolari negli Usa) ha convertito in hotel l’ex penitenziario della contea di Bexar. Così, a Sant Antonio in Texas, rivive la costruzione storica del 1878. Il più simile al passato è sicuramente "The Jail house" nel sud dell’Australia. L’unica novità sono le serrature che hanno sostituito i lucchetti. Per il resto tutto è come allora: sistemazione in celle, docce comuni e, per i più spartani, dormitori di gruppo. Più confortevole è invece l’hotel Langholmen, prigione di Stoccolma sino al 1975. Trasformato in hotel negli anni ‘90, soddisfa ogni esigenza dei novelli Silvio Pellico. Ci sono camere con letti a castello, pareti spesse due metri, inferiate alle finestrelle e una pesantissima porta blindata. Ha recentemente aperto i battenti come ostello, a Lubiana, lo Youth Hostel Celica. Carcere militare sino a dieci anni fa, conserva sbarre a porte e finestre. Con l’aggiunta di un tocco artistico: ogni cella è stata dipinta in modo diverso e si presenta come un capolavoro d’arte contemporanea. E anche in Sud Africa c’è spazio per chi sogna di dormire in un penitenziario. A Città del Capo, una struttura che ospitava 350 prigionieri, è ora il Breakwater lodge destinato alla business school locale.
|