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Cagliari: un 55enne semilibero perde il lavoro e si impicca di Mauro Lissia
La Nuova Sardegna, 23 ottobre 2007
Solo, nella sala transito del carcere di Buoncammino, ha guardato la sbarra più alta del gabbione e gli è venuta l’idea. Le cinghie che tengono insieme le bisacce bianche per la biancheria e le cose personali: ne ha agganciato una al ferro, si è tirato su con tutta la forza che aveva e poi giù, di colpo. Strappo mortale, gli ha ceduto l’osso del collo. Dovevano trasferirlo al penitenziario di Firenze, il blindato era fuori ad attendere lui e la scorta. Ma quando un agente l’ha trovato, alle 4 di notte, Licurgo Floris respirava appena, appeso a un metro e mezzo dal pavimento. Pochi attimi dopo, malgrado i tentativi disperati del medico Paolo Scarparo, il suo cuore si è fermato. Aveva 55 anni. È la cronaca di una morte non annunciata, i cui echi ieri mattina hanno raggiunto in un baleno gli uffici giudiziari e la sezione di sorveglianza, che seguiva da tempo il suo lento ritorno a un’esistenza attiva: "Gli anni trascorsi nel carcere di Lanusei gli avevano restituito la fiducia in se stesso, la voglia di vivere" ricorda amareggiata Herika Dessì, il suo avvocato. Ma quel filo sottile di fiducia s’è spezzato d’improvviso l’altra notte, quando una guardia l’ha svegliato per comunicargli la brutta notizia: "Sei in partenza". Licurgo Floris ha guardato fuori: notte. Poi l’orologio: "Se mi portate via a quest’ora, dev’essere in continente..." ha detto a bassa voce, come riferisce il direttore del carcere Gianfranco Pala. Ma il regolamento è regolamento: vietato informare i detenuti in transito sulla destinazione prevista. Così Licurgo si è vestito, ha chiesto due zaini per infilarci le cose personali e ha seguito gli agenti fino alla sala d’attesa, vicino all’ufficio matricola: "Era tutto pronto, il biglietto aereo, i soldi per il viaggio..." spiega Pala. Prima la visita medica, neppure una parola di protesta. Poi la perquisizione di rito. L’hanno lasciato qualche minuto solo, ma Licurgo appariva tranquillo. Amareggiato ma calmo: "Cinque minuti, forse dieci...". Abbastanza perché nella sua mente si aprisse il file del suo passato recente, che non voleva rivivere: gli anni di Firenze, dove ha collezionato altre sanzioni per resistenza, oltraggio, proteste plateali in un ambiente che considerava ostile. Lontano dalla moglie, dalla famiglia, dalla Sardegna. Finalmente quattr’anni fa il ritorno nell’isola, a Lanusei "dove il comandante delle guardie carcerarie è un uomo eccezionale - ricorda l’avvocato Dessì - che l’ha aiutato e soprattutto l’ha trattato da uomo". Nel penitenziario ogliastrino Licurgo era cambiato, al punto che ad aprile scorso è arrivato il primo permesso premio dal giudice di sorveglianza di Cagliari. Poi la semilibertà, il lavoro in un’impresa di Carbonia: "Era come rinato" ricorda ancora il legale. Di giorno fuori, la sera all’istituto di Senorbì, quello per semiliberi. Un canale di passaggio dal buio alla vita. Dietro l’angolo però si profilava un nuovo precipizio: niente più lavoro, rapporto interrotto per ragioni economiche. La sua posizione di semilibero, legata all’impegno contrattuale, non poteva che cadere: il 4 ottobre l’udienza davanti al tribunale di sorveglianza, presidente Francesco Sette. La legge è legge: revocata la misura alternativa, almeno finché Licurgo non avrebbe trovato qualcos’altro da fare lontano dal carcere. Il resto s’intreccia tra procedura e burocrazia: ritornato detenuto lungodegente a tutti gli effetti Licurgo non poteva più restare a Buoncammino, un penitenziario di passaggio. La destinazione preferita sarebbe stata Lanusei, invece l’hanno svegliato prima dell’alba: Firenze. Luogo di brutti ricordi, carcere duro fra duri, dove Licurgo aveva dato il peggio di sè. Poteva tornarci? "Doveva tornarci, in base alle norme" taglia corto Francesco Massidda, provveditore regionale degli istituti di pena. Che poi chiarisce: "A Lanusei era stato trasferito per tre mesi, un beneficio utile per incontrare i familiari. Poi c’era stata una proroga di due mesi, in attesa di un’assegnazione definitiva ad altro istituto". Poi ancora rinvii e rinvii. In quel limbo concesso dal Dap - il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria - Floris era riuscito a ritagliarsi un progetto di semilibertà, interrotto a settembre: "Finito il lavoro per la legge finisce anche la semilibertà - avverte Massidda - almeno in attesa di un altro contratto. In casi come questi le norme stabiliscono che il detenuto rientri alla sede d’assegnazione originaria, che era Firenze - Sollicciano". Un’applicazione comunque burocratica dei regolamenti, che forse meriterà un approfondimento: a sollecitarlo è ora la consigliera regionale Maria Grazia Caligaris, per la quale "il principio della territorializzazione della pena andava rispettato". Ma chi poteva prevedere un suicidio? "Ho visto il suo fascicolo - spiega ancora il provveditore - Floris era un detenuto strutturato, abituato a carcerazioni difficili. Tutto ci saremmo aspettati tranne una fine del genere". Fine decisa in un attimo, la disperazione che si fa desiderio di autodistruggersi: "Forse un giorno sapremo che ci pensava da tempo - aggiunge Massidda - chi può dirlo?". Già, chi può dirlo ormai? Il resto è grigia routine giudiziaria. Dopo un esame esterno compiuto a Buoncammino dal medico legale Luca Lai, il corpo di Licurgo Floris è stato portato su disposizione del magistrato di turno Liliana Ledda all’obitorio del cimitero di San Michele. I familiari sono stati informati immediatamente, già all’alba erano a Buoncammino. Sarà aperta un’inchiesta, sebbene non emergano finora ipotesi di responsabilità.
Suicidio Buoncammino: Caligaris; determinante il trasferimento
"Sono convinta che apprendere alle quattro del mattino di dover lasciare la Sardegna per tornare in Toscana a scontare la pena abbia determinato una crisi di disperazione profonda e senza scampo. Il suicidio in carcere è un evento traumatico sempre, in queste circostanze diventa un’espressione di inciviltà da parte delle istituzioni". Lo afferma la consigliera regionale socialista Maria Grazia Caligaris (Sdi - Partito Socialista) Maria Grazia Caligaris, segretaria della Commissione "Diritti Civili". "Il Dap - ha sottolineato - non può operare disconoscendo il fatto che il detenuto è un soggetto debole. Né i rapporti con chi sconta una pena detentiva possono essere improntati alla fredda burocrazia. Licurgo Floris, in regime di semilibertà in Sardegna, a maggior ragione poteva restare nel carcere di Buoncammino. Disporne il trasferimento a Firenze dove scontava la pena senza tenere conto del contesto è stato un atto burocratico come i tanti che si consumano senza un vero perché ai danni dei detenuti e dei loro familiari". "Ritengo che il rispetto del principio della territorializzazione della pena sia indiscutibile e da applicare sempre come del resto recita l’accordo tra Regione, Ministero della Giustizia e Dap e come sancito - conclude Caligaris - da un ordine del giorno del Consiglio regionale". Perugia: ha emorragie e costole rotte… ma muore "d’infarto" di Checchino Antonini
Liberazione, 23 ottobre 2007
Di sicuro si sa che non gli hanno neanche detto che Aldo era morto. Quando Roberta ha chiesto del suo compagno le è stato detto soltanto che lo avrebbe rivisto dopo l’autopsia. Di sicuro si sa che Aldo Bianzino, 44 anni, è morto all’alba di una domenica, il 15 ottobre, in una cella del carcere di Capanne, Perugia. Di sicuro si sa che era stato arrestato il venerdì prima, assieme a Roberta, la madre del più giovane dei suoi tre figli. È successo nel casale sopra Pietralunga, tra Città di Castello, Gubbio e Umbertide. Prima la perquisizione alle 7 del mattino, con il cane antidroga che non trova nulla nel casale. Ma poi, dietro un cespuglio spuntano alcune piante di marijuana. I giornali locali riportano cifre consistenti. Un centinaio di piante ma forse hanno fatto la somma con le piante maschio trovate in fosso secche e inutilizzabili. Di sicuro sappiamo che Roberta e Aldo sono stati portati al commissariato di Città di Castello per le formalità di rito e da lì trasferiti, con un mandato d’arresto spiccato dallo stesso pm che si occupa della morte di Aldo, al carcere di Capanne, struttura di media sicurezza, dove non c’è il regime duro dell’articolo 41, come a Spoleto o Terni. Struttura moderna, nuova, inaugurata da Castelli quand’era Guardasigilli di Berlusconi. Di sicuro si sa, l’ha detto la famiglia, che il comportamento degli agenti di Città di Castello sia stato corretto. Roberta e il suo compagno si sono persi di vista solo all’arrivo in carcere, pomeriggio di venerdì 13. Di sicuro, un avvocato d’ufficio li ha visti il giorno appresso, prima lui poi lei. Aldo stava in condizioni normali, solo era preoccupato per Roberta. Roberta che sarebbe stata rilasciata la mattina dopo. Di sicuro si sa che il medico legale avrebbe presto escluso l’ipotesi di una morte per infarto. Anzi, avrebbe riscontrato quattro emorragie cerebrali, almeno due costole rotte e lesioni a fegato e milza. Di sicuro, e di strano, si sa che non c’erano segni esteriori. Tanto da lasciare perplessi i consulenti incaricati della perizia. Di sicuro si sa che le ferite al fegato non sono idonee a cagionare la morte, spiega a Liberazione uno dei legali della famiglia. "Di sicuro sappiamo che è arrivato a Capanne in condizioni di assoluta normalità e da lì non è uscito". Trauma non accidentale, non è morto perché caduto dal letto a castello. Lesioni compatibili con l’omicidio, scrivono i giornali locali. Ci si chiede se siano opera del caso oppure opera dell’uomo. Un arrestato resta in isolamento fino a quando non lo vede il giudice delle indagini preliminari. Dunque Aldo Bianzino non dovrebbe aver avuto contatti con altri detenuti. "Una risposta importantissima verrà dall’analisi dell’encefalo - continua l’avvocato - ora messo sotto formalina in attesa che raggiunga una certa rigidità, che "0 materiale si fissi", come dicono gli specialisti". Intanto, però, i familiari non hanno ancora potuto vedere il corpo, né sanno quando sarà possibile organizzare i funerali. Di sicuro si sa che Aldo era particolarmente mite, "ghandiano", pacifista, totalmente incensurato. La notizia piomba nella piccola comunità spirituale di cui Roberta e Aldo, che era arrivato dal Piemonte una ventina d’anni fa, passando per l’India, fanno parte. E piomba in un giorno di festa religiosa trovando tutti increduli. Aldo che era magro, etereo, alto, con certi occhi azzurri dietro le lenti. "La mitezza in persona", racconta una voce a Liberazione. "Così rispettoso e riservato da metterti in soggezione, quasi a farti dire ho paura di entrare nella sua sfera". "Infarto? Come può essere? L’hanno pestato, ma perché dovrebbero averlo menato? Il dubbio sottile passava tra una mente e l’altra", continua il racconto dell’incredulità di quella domenica. Chi lo conosceva dall’84 lo immagina "calmo" dentro quella cella, "in preghiera, a chiedersi il perché di quella condizione". Persona riservata colta, segnato da un’esperienza spirituale con un maestro induista "che non indottrina, non chiede proselitismo, non chiede di stare fuori dal mondo, che non impone precetti rigidi ma solo il principio quasi benedettino di pregare e lavorare, i comandamenti di verità, semplicità e amore". Era questo ad aver portato Aldo in Umbria alla ricerca di una dimensione diversa più vicina alla natura, in una comunità a maglie larghe, "che a volte il mondo frantuma perché ognuno di noi si deve affaticare nel mondo". Ma lo stile cercato è quello di "vivere più semplicemente possibile, con tutte le difficoltà di questo mondo che, lo si voglia o no, si ripercuotono sempre anche su di noi". Di sicuro si sa che due poliziotti sono tornati a casa di Roberta, sconvolti, quasi a scusarsi per averlo condotto in galera. Roberta è più scossa di loro. Di sicuro si sa che era un bravo falegname, suonava l’armonium e cantava il canto rituale di devozione. Di sicuro si sa che a giugno del 2006 è morta suicida un’italiana di 44 anni nel centro clinico del penitenziario, nel vecchio carcere, e che qualche giorno dopo i Nas hanno scoperto medicinali e materiali scaduti nello stesso centro dopo la morte di un detenuto tunisino di Capanne che aveva appena subito un intervento chirurgico. Di squadrette, finora, non ha parlato nessuno. Di sicuro si sa che il proibizionismo ha ucciso ancora.
Perugia: il mistero di Aldo, di Emanuele Giordana e Tiziana Guerrisi
Il Manifesto, 23 ottobre 2007
Una domenica come un’altra un uomo di 44 anni viene trovato morto nel carcere di Perugia. C’è stato trasferito due notti prima, venerdì 12 ottobre, dopo che la polizia lo ha arrestato con la sua compagna. Gli avrebbero trovato in casa, la famiglia di Aldo Bianzino abita nella campagna di Città di Castello, una piccola piantagione con diversi fusti di marijuana. I due vengono trasferiti a Perugia e da lì al carcere. Sabato il legale d’ufficio incontra Aldo alle 14 e riferisce a Roberta, la compagna, che Bianzino sta bene e si preoccupa per lei. Ma la mattina seguente Daniela, un’amica di famiglia, viene avvisata di correre la carcere in tutta fretta. "C’è un problema", le dicono. Il problema è che Aldo non respira più e Roberta, in evidente stato di choc, non ha nemmeno potuto vedere il suo corpo. Le indagini autoptiche (ancora in corso) cominciano a confermare, qualche giorno dopo, quel che tutti già pensano nella piccola comunità di amici di Aldo e Roberta. Le voci raccolte dalla stampa locale parlano di lesioni massive al cervello e all’addome, forse, un paio di costole rotte anche se all’esterno il corpo di Aldo non evidenzierebbe ematomi o contusioni. Ce n’è abbastanza però per far saltare la prima lettura del decesso, liquidato come un problema cardiaco. La storia di Aldo Bianzino ha contorni dunque che è poco definire oscuri e la procura di Perugia ha deciso di aprire un’indagine sul decesso affidata nelle mani dello stesso pubblico ministero, il magistrato Giuseppe Petrazzini, titolare dell’inchiesta che aveva portato all’arresto di Aldo e di Roberta. Che sta aspettando i risultati definitivi dell’autopsia. Tutto comincia dieci giorni fa. Aldo è nella sua casa di Capanne, una frazione di Pietralunga, poco distante da Città di Castello, quando uomini della squadra mobile della cittadina umbra perquisiscono giardino e casa e lo portano in carcere a Perugia con l’accusa di detenzione illegale di stupefacenti. Accuse pesanti: nella conferenza stampa delle forze dell’ordine si parla di 110 piantine di hashish, una metà in giardino e una parte già raccolta, insieme a 15 involucri contenenti erba. Rivelazioni che lasciano increduli quanti conoscevano Aldo da tempo e che non ritengono possibile che l’uomo coltivasse hashish per poi rivenderlo. Bianzino avrebbe dovuto incontrare il gip che segue le indagini il lunedì successivo per la conferma dell’arresto. Ma all’appuntamento col gip non arriva. E non è chiaro se in cella fosse solo o in compagnia di un altro detenuto. "Ufficialmente era solo - dice l’avvocato incaricato dalla famiglia Massimo Zaganelli - perché la procedura richiede l’isolamento prima dell’incontro col gip". Sulla salute dei due indagati al momento dell’arresto Zaganelli non ha dubbi: "Furono portati in carcere in perfetta salute e durante il viaggio non fu torto loro un capello". I dubbi iniziano dopo: "Per quel che sappiamo il decesso è riconducibile a un trauma ma non a un trauma accidentale" che rimanda quindi "alla responsabilità di terzi". L’avvocato resta prudente: "Non è bene in questi casi fare due più due quattro e abbiamo piena fiducia nella magistratura che, ne siamo certi, sta facendo il suo lavoro". Lavoro intanto che aspetta i risultati definitivi delle prove autoptiche sulla materia cerebrale di Aldo: l’entità cioè del trauma al cervello. La famiglia non potrà rivedere il corpo di Aldo prima di fine settimana. Il mistero per giorni è rimasto confinato nelle cronache locali dei pochi giornali che, come la Nazione, hanno provato a ricostruire la storia di Bianzino. E sono molti gli interrogativi al momento senza risposta considerando che, dal giorno della conferenza stampa della polizia, non sono state rilasciate dichiarazioni ufficiali e ancora resta ancora da chiarire se, al momento della morte, Bianzino fosse solo nella cella dove è stato trovato. Nella frazione di Pietralunga il clima è sempre più teso e il dolore degli amici si mischia allo sgomento della famiglia che resta ancora in attesa di potere vedere la salma. Nel frattempo amici e parenti si stanno adoperando per assicurare a Aldo una cerimonia funebre che però non ha ancora una data certa. Ma la notizia è circolata rapidamente tra gli amici di Aldo, molti dei quali vicini all’esperienza spirituale maturata da Bianzino attraverso la filosofia indiana e una lunga frequentazione con una comunità allargata di amici incontrata nel suo percorso interiore. Un aiuto gradito visto che sono molte le persone vicine a Roberta a lamentare una scarsa solidarietà in paese, forse anche per le abitudini diverse di un uomo che da tempi aveva scelto una vita appartata e basata sulla meditazione. I radicali e gli anti proibizionisti locali però si sono già mossi. E così il sindaco di Pietralunga Luca Sborzacchi. E del caso si sta occupando anche l’osservatorio che fa capo a Heidi Giuliani. Giustizia: oggi "pacchetto sicurezza" in Consiglio dei ministri
Il Mattino, 23 ottobre 2007
Roma. Alla fine il pacchetto sicurezza si fa in quattro, ma alcune delle norme contenute nei provvedimenti che saranno oggi all’esame del Consiglio dei ministri continuano a non convincere la sinistra radicale e la Rosa nel pugno: si profilano delle astensioni. Intanto, tra le misure, è stata inserita anche una stretta contro gli ubriachi al volante. Il ddl sulla prostituzione slitta invece alla prossima settimana. Quattro ddl. Una gestazione faticosa, dunque, quella del pacchetto sicurezza, "spacchettato" in quattro disegni di legge: "Disposizioni in materia di illegalità diffusa e di sicurezza dei cittadini", "Disposizioni in materia di reati di grave allarme sociale e di certezza della pena", "Misure di contrasto alla criminalità organizzata", "Adesione dell’Italia al Trattato di Prum e istituzione della banca dati del Dna". Una divisione, si spiega, dovuta alla necessità di accorpare materie più omogenee e alla maggiore gestibilità in Parlamento di quattro ddl rispetto ad un unico provvedimento "monstre". Ubriachi al volante. Nel ddl sulla certezza della pena sono state inserite modifiche al codice penale per inasprire le pene nei confronti degli automobilisti ubriachi o drogati. Chiunque al volante sotto l’effetto di alcol o droghe provochi un omicidio colposo è punito con la reclusione da tre a dieci anni (oggi da uno a cinque anni). Reati da allarme sociale. I reati che provocano allarme sociale (tra gli altri, furto, scippo, rapina, violenza sessuale, pedofilia, incendio) vengono equiparati ai reati di mafia o di terrorismo. E, dunque, per gli imputati ci dovrà essere il processo immediato e chi verrà condannato in primo grado non potrà più far ricorso al patteggiamento in appello. E quando la condanna sarà definitiva, non potrà avere la sospensione della pena o misure alternative. Reati contro i minori. La reclusione da uno a tre anni è prevista per chi, "allo scopo di sedurre, abusare o sfruttare sessualmente un minore di anni 16", intrattiene con lui, anche attraverso internet, una relazione "tale da carpire la fiducia del minore". Pene fino a tre anni per chi si avvale di un minore di 14 anni per mendicare. Espulsioni facili. I prefetti avranno il potere (finora l’aveva il ministro) di espellere cittadini comunitari quando sia in gioco la pubblica sicurezza. Più poteri ai sindaci. Ai sindaci viene concessa la possibilità di emettere ordinanze nei casi di attentato alla sicurezza urbana. Criminalità organizzata. Inasprite le misure patrimoniali, come le confische dei beni ai mafiosi e cancellato il patteggiamento in appello. Chi denuncerà estorsioni o contribuirà alla lotta a mafia, ‘ndrangheta o camorra, potrà ottenere un posto di lavoro nella pubblica amministrazione. Banca dati del Dna. Un ddl apposito istituisce poi presso il Dipartimento della Pubblica sicurezza un archivio in cui confluiranno i profili del Dna, che saranno conservati "per 40 anni dall’ultima circostanza che ne ha determinato l’inserimento". Il controllo della banca è affidato al garante. Tifosi violenti. Chiunque, nei luoghi in cui si svolgono le partite. sia trovato in possesso di razzi, bengala, petardi e bastoni è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da 1.000 a 5.000 euro. Giustizia: Manconi; norme che aggravano situazione già critica
Redattore Sociale, 23 ottobre 2007
Il sottosegretario alla Giustizia commenta il "pacchetto sicurezza". Le nuove norme pensate sulla "forte spinte che arriva dalla società e che gli amministratori locali hanno recepito". "Attenzione a varare norme che aggravino la situazione già critica nelle carceri e nel sistema penale in generale. Siamo infatti d’accordo con le preoccupazioni espresse la scorsa settimana dal capo del Dap, il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, Ferrara, che ha parlato di mille nuovi ingressi al mese nelle nostre carceri". Così oggi il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, ha commentato le norme del pacchetto sicurezza che il governo si appresta a discutere (forse già dal prossimo consiglio dei ministri di venerdì). Secondo il sottosegretario Manconi, le osservazioni critiche avanzate sempre oggi dall’associazione Antigone e da un gruppo di parlamentari di maggioranza devono essere prese nella giusta considerazione dal governo e dal parlamento. Chiediamo però al sottosegretario Manconi se il governo ha intenzione di presentare le norme sotto forma di decreto legge (come hanno chiesto una serie di amministratori locali) o di disegno di legge. Finora si è parlato di un disegno di legge e credo che comunque sia la via più corretta. Nel cosiddetto pacchetto sicurezza ci sono infatti norme di carattere penale e altre che riguardano la procedura penale. Il disegno di legge è lo strumento più corretto visto che se ci si affida al decreto legge, si deve mettere in conto anche una sua eventuale decadenza in caso di non approvazione.
Quali sono le novità più rilevanti che si prospettano? Si tratta dell’introduzione di alcuni reati (o reintroduzione) quali l’occupazione non autorizzata di suolo pubblico, di nuove norme sulla custodia cautelare, modifiche alla legge Simeone - Saraceni e via dicendo, nuove disposizioni in merito all’uso del Dna. Si tratta di norme che sono state pensate sulla base di una forte spinte che arriva dalla società e che gli amministratori locali hanno recepito, chiedendo nuovi strumenti per governare i fenomeni di disordine sociale. Ma - ripeto - quello che deve stare in testa alle nostre preoccupazione è la situazione dei tribunali e degli istituti di pena, che rischiano di tornare presto ai limiti di capacità.
Ma da che cosa dipende questo nuovo affollamento delle carceri? L’indulto ha già esaurito il suo effetto benefico? Qui non si tratta di indulto. Anzi, grazie ad esso, stiamo ancora reggendo visto che in questo momento ci sono circa 46 mila detenuti presenti nelle carceri. L’anno scorso, prima dell’applicazione dell’indulto erano 62 mila. Ed erano 46 mila anche a metà degli anni novanta. Ci sono voluti quindi 10/12 anni per arrivare a quota 62 mila. Il sovraffollamento che registriamo di nuovo non c’entra nulla quindi con i nuovi ingressi per recidiva. Per l’indulto, in 14 mesi, i nuovi ingressi sono stati poco più di 5.000. Ma è tutto il resto che preoccupa. In un anno gli ingressi complessivi sono ormai 90 mila. Non stiamo parlando dunque degli effetti dell’indulto, ma di una situazione di allarme generalizzato nella società, un orientamento diffuso che chiede maggiore rigore e che trova sensibili prima di tutto gli operatori delle forze dell’ordine che sono a contatto con il territorio. Sia i poliziotti, sia i magistrati di sorveglianza hanno modificato i loro atteggiamenti e sono più guardinghi. Per questo si deve stare molto attenti alle modifiche normative che si introducono e perfino all’uso del linguaggio.
Le proposte che vengono dai sindaci, in questo momento, sembrano determinanti. È giusto dare poteri di polizia agli amministratori locali? Secondo il mio modo di vedere, è interesse degli amministratori locali concentrarsi sul governo civile delle città. Non ha senso che si pensino agenti del sistema della sicurezza repressiva. Anche per quanto riguarda la polizia municipale, è chiaro che si tratta di un terminale privilegiato, perché hanno le antenne nel territorio. Ma non è il caso di sovraccaricarli di responsabilità maggiori e più pesanti. Di tutto questo il governo dovrà tenere conto analizzando le norme del "pacchetto". E ripeto avendo gli occhi soprattutto sulla situazione del sistema penale e penitenziario, ovvero i processi già intasati e le carceri che si stanno riempiendo di nuovo. Giustizia: Antigone; 7 "no" a pacchetto sicurezza del Governo
Redattore Sociale, 23 ottobre 2007
L’Associazione contraria, tra l’altro, all’espulsione dei cittadini comunitari, ai nuovi poteri ai sindaci, contrasto penale al disordine urbano e accattonaggio. Gonnella: "Bisogna salvaguardare i principi costituzionali". No all’irrigidimento della custodia cautelare, no all’abolizione della legge sulla sospensione della pena (Simeone - Saraceni), no ad un prelievo indiscriminato del Dna per la banca nazionale, no all’espulsione dei cittadini comunitari (legge anti-rumeni), no a nuovi poteri ai sindaci, no al contrasto penale al disordine urbano e all’accattonaggio dei minori. Sono questi i sette motivi per cui l’associazione Antigone, che si occupa del mondo delle carceri, è contraria al pacchetto sicurezza governativo. E li snocciola, questi motivi, alla Camera dei deputati, alla vigilia della discussione del testo in Consiglio dei ministri. Presenti alla conferenza stampa Cesare Salvi, capogruppo della Sinistra democratica al Senato, Giovanni Russo Spena, presidente dei senatori di Rifondazione comunista, Marco Boato, deputato dei Verdi e Sergio D’Elia, deputato della Rosa nel Pugno. "Bisogna salvaguardare i principi costituzionali - spiega Patrizio Gonnella, presidente dell’associazione per la tutela dei detenuti - e, per quanto riguarda la custodia cautelare, per esempio, si deve garantire il principio dell’innocenza. Allargare la custodia cautelare, parificando i reati di furto in appartamento e scippo a quelli di mafia e terrorismo, con un inversione nell’onere della prova, è una assurdità". Grave, poi, l’esclusione della sospensione della pena: "invece di aumentare gli investimenti per costruire nuove carceri- sottolinea Gonnella- si dovrebbero destinare maggiori risorse umane alla magistratura di sorveglianza". Un no deciso, inoltre, al prelievo obbligatorio delle mucose per la realizzazione della banca dati nazionale del Dna per tutti: "I destinatari sono un numero imprecisato che va dai fermati ai condannati. Chiediamo - annuncia il presidente di Antigone - che, almeno i loro dati, siano distrutti in caso di proscioglimento, e non conservati per 40 anni, come accade attualmente". Ingiusta anche la norma che prevede l’espulsione dei comunitari, "pensata proprio in funzione anti-rumeni". Il pacchetto prevedrebbe l’espulsione automatica per una pena fino a tre anni di carcere, per Antigone sarebbe necessario piuttosto investire maggiormente sulla "riqualificazione del personale investigativo affinché conosca meglio e prevenga le azioni delle comunità criminali straniere". Non si deve, secondo l’associazione, infierire su persone ai margini della società come prostitute e lavavetri che il pacchetto sicurezza vorrebbe penalizzare con la fattispecie dell’occupazione non autorizzata di suolo pubblico. "Evitiamo di trasformare in criminali- chiede Gonnella- persone con vite difficili". Sulla possibilità dei sindaci sceriffi, il presidente di Antigone è chiaro: "È una norma di propaganda, non avrà effetti pratici, ma legittimerà sovrapposizioni e competenze tra prefetti, questori e forze dell’ordine". Netto no, infine, alle norme per il contrasto dell’accattonaggio che prevede un aumento delle pene per chi induce i minori all’accattonaggio ma anche l’automatica privazione della potestà genitoriale. "Siamo d’accordo con punire in modo esemplare chi abusa dei bambini- conclude Gonnella- ma per la valutazione della potestà genitoriale bisogna decidere caso per caso, e a farlo deve essere il Tribunale dei minori". Giustizia: Massimo Cacciari; i poteri senza fondi non servono di Rita Di Giovacchino
Il Messaggero, 23 ottobre 2007
Con il pacchetto sicurezza ai sindaci sarà concessa la possibilità di emettere ordinanze nei casi di "grave attentato alla sicurezza urbana" o di fatti che "arrechino pregiudizio al decoro cittadino". Cosa ne pensano i diretti interessati? Lo chiediamo al sindaco di Venezia Massimo Cacciari.
Comincia l’era dei sindaci sceriffi oppure è soltanto un provvedimento in grado di dare una risposta alla crescente richiesta sicurezza? "In linea di principio sono d’accordo, l’ho sempre detto. Può essere uno strumento d’intervento utile alla pubblica amministrazione. Ma i problemi non si risolvono sulla carta..."
In che senso? "Nel senso che occorrono i soldi. Sono 15 anni che faccio il mestiere di sindaco e ogni anno la finanziaria taglia fondi agli Enti locali. Che me ne faccio di un provvedimento che mi consente di emettere un’ordinanza se poi non ho un quattrino per assumere un solo vigile urbano in più? O per mettere in funzione quei sistemi di sorveglianza moderni, ma anche costosi, che sono le telecamere?".
Eppure il sindaco di Firenze era riuscito a far fuori i lavavetri? "No, magari si erano spostati in un altro punto della città. Come fanno le prostitute quando viene disposto un punto di sorveglianza nella zona abituale. È vero, più poteri ho e meglio è. Ma non è che due più due fa quattro. Come faccio a predisporre un piano di integrazione sociale per gli immigrati, se devo licenziare gli insegnanti di sostegno? Sono contento se dopo il provvedimento, la finanziaria disporrà anche dei fondi. Ma in questa situazione politica, ed economica, dubito che accadrà". Giustizia: Pecoraro Scanio; contrario ad uno "Stato di polizia"
La Stampa, 23 ottobre 2007
Ministro Pecoraro, all’ala sinistra del governo, lei compreso, il pacchetto sicurezza non piace. Perché? "Anzitutto è arrivato al pre-consiglio dei tecnici solo oggi: un provvedimento così delicato ha bisogno di tempo. Vorremmo evitare confusione e spreco di danaro pubblico".
Che intende dire? "Penso alla Banca dati del Dna; deve esistere solo per reati davvero gravi come l’omicidio. Inoltre, in caso di assoluzione, occorre la distruzione obbligatoria del fascicolo".
Altri punti sui quali non siete d’accordo? "C’è confusione sul rafforzamento dei poteri di polizia a prefetti, questori e sindaci. Siamo d’accordo per metter ordine al cosiddetto "disordine urbano", ma c’è il rischio di sovrapposizioni di competenze e moltiplicazione dei contenziosi.
Siete contrari anche all’allargamento dei casi di custodia cautelare? "Non dimentichiamo che il 60% dei detenuti è già in carcere per sentenze non definitive. Occorre velocizzare i processi, non estendere ancora i casi in cui è possibile. Semmai, dove necessario, la norma deve essere resa più certa. Penso all’incendiario di Latina colto in flagrante quest’estate con sedici micce e poi liberato".
Lei chiede anche il rafforzamento dell’organico del corpo forestale. Non sono già troppi? "Nei parchi ci sono meno di mille persone addette alla sicurezza: Nel Parco del Pollino - duecentomila ettari - ce ne sono 48. Sto parlando di un problema ben diverso dai Forestali dislocati nelle Regioni senza compiti di polizia".
Se le vostre richieste non verranno accolte che farete? Voterete contro? "Se non troveremo l’accordo chiederò un rinvio".
Ieri Palazzo Chigi ha fatto sapere che "deve essere approvato". "Beh, se non ci sarà attenzione almeno al tema dei criminali ambientali non lo voterò".
A sinistra di Prodi, quando si parla di sicurezza, c’è sempre molta cautela. È un tabù culturale? Siete sicuri che i vostri elettori vi seguono su questo terreno? "L’attenzione al garantismo e ai diritti dei cittadini non è un tema né di destra né di sinistra. Su alcune cose siamo d’accordo: penso all’inasprimento delle pene per i reati al volante o alla norma che prevede la distruzione delle merci sequestrate. Però nel testo restano molte incongruenze. Esempio: perché non è prevista la distruzione immediata di fabbricati abusivi magari appartenenti a mafia o camorra? Occorre essere duri con i veri criminali. Ma che senso ha costruire una costosa ed enorme banca dati del Dna? Io sono contrario". Giustizia: ministro Mastella... abbia buonsenso e si dimetta di Lucia Annunziata
La Stampa, 23 ottobre 2007
Persino Clemente Mastella, un uomo che ha fatto della tattica estremista una strategia permanente, dovrebbe rendersi conto che minacciare di continuo l’uso della bomba atomica alla fine svuota persino il timore dell’esplosione nucleare. Per il caso De Magistris ci ha di nuovo messo davanti al rischio della crisi di governo (la bomba nucleare delle trattative politiche), ma, sinceramente, signor ministro, quanto può, lei per primo, affrontare una crisi di scioglimento del governo, e, viceversa, quanto ancora può il sistema politico accettare di dover convivere con tali minacce? Il dubbio va contro le convinzioni che dominano in questo momento dentro l’establishment politico del Paese, tutto avviluppato nell’idea che il governo è debolissimo e dunque ricattabilissimo. Un’idea che certamente anche il ministro condivide, dal momento che fa ampio ricorso alla minaccia di crisi come arma di distruzione di massa. Ma la verità (che un politico abile come Mastella conosce bene) è che il buon senso rimane il cardine della vita pubblica, e che proprio questo buon senso (senza nemmeno scomodare alti principi) consiglierebbe in verità tutt’altra uscita dal cui de sac dove la vicenda De Magistris è finita. Il buon senso dei numeri intanto. Cifre alla mano, il tesoretto elettorale mastelliano è dell’1,4 per cento, tradotto in 534.553 voti alla Camera e 476.938 al Senato. Per capirne il peso è forse utile dire che 500 mila sono i consensi raccoltisi intorno alla Bindi (candidata senza partito nelle primarie) e tre milioni e mezzo hanno di recente votato per il Partito democratico. Il richiamo è utile, non tanto per sminuire l’importanza dei voti, ma per sottolineare il movimento in corso: quando il panorama elettorale comincia a muoversi in Italia, la migrazione di consensi, il cambio di umori e di animi si fa di solito possente. Sarebbe lei sicuro, ministro Mastella, di poter indissolubilmente contare su questi 500 mila consensi, anche oggi, anche dopo le primarie, anche dopo le critiche pubbliche alla politica, e, domani, dopo la fine eventuale del governo Prodi? Specie se è una crisi accesa da lei? È sicuro che, per quanto localizzati, controllati, concentrati e sicuri siano, questi voti possano superare bene la tempesta dentro cui vivono da anni: fra centro destra, centro sinistra, dentro e fuori le coalizioni, e per andare dove ora, sempre in punta di piedi, o, meglio, sempre in punta di seggiola? Non avrà questo suo elettorato da qualche parte un moto d’insicurezza, o di fastidio, o di stanchezza tale da portarlo prima o poi a dire basta? Un dubbio che pare essere totalmente assente dai dirigenti dell’Udeur, se si guarda alla sicurezza che sempre sfoggiano; eppure un elemento di ansia da qualche parte devono coltivarlo, se è vero che, alla fine, la porta in faccia al governo non l’hanno mai sbattuta. Al punto che, circa dieci minacce dopo, l’ultima, quella di queste ore di non votare la Finanziaria, somiglia tremendamente a un bluff. Siamo seri, dunque, e accantoniamo per un attimo, signor ministro, questo discorso della crisi di governo, per provare a cercare una soluzione migliore: cioè più praticabile e più dignitosa. E in politica, di decisioni che rispondano a questi due aggettivi ce n’è una sola: dimissioni. Non per andare via, magari, e di sicuro non per ammettere una colpa, ma per sottolineare con un gesto una serie di principi. Intanto, il più importante di tutti: che se un giudice sbaglia, anche il suo ministro ne rimane monco; che la giustizia è un meccanismo di equilibri, in cui se i principi sono uguali per tutti, toccatone uno, nulla può rimanere esattamente come prima. Molti, in questo complicato periodo della vita politica di Mastella, gli hanno mostrato solidarietà; persino Grillo ha rifiutato di passare il confine fra dibattito doveroso e persecuzione. Nessuno insomma, dentro la élite politica di cui fa parte, ha mostrato di voler approfittare della sua debolezza. Almeno fino a questo punto. Ma l’avocazione di un’inchiesta in cui il ministro è coinvolto ha cambiato il clima dentro lo stesso governo. Soprattutto perché ha cambiato la collocazione del ministro stesso agli occhi della pubblica opinione. Lei si trova, dunque, nell’unica posizione, ministro, di poter dimostrare con un solo gesto che la giustizia di questo Paese ha raggiunto un equilibrio superiore; che lei come ministro ha saputo fare quello che il suo predecessore non è riuscito a fare: discutere delle responsabilità dei giudici, ma anche del suo ministero. Tornando semplice cittadino, lei potrebbe in una sola, semplice, mossa recuperare la sfiducia che molti hanno oggi nella giustizia di questo Paese; nonché i dubbi che molti nutrono nei suoi confronti. Non sarebbe un’ammissione di sconfitta. Lei perderebbe i galloni di ministro, è vero. Ma guadagnerebbe in cambio l’autorevolezza di un leader. Forlì: prodotti un libricino e un manifesto per le detenute
Redattore Sociale, 23 ottobre 2007
I due prodotti sono il risultato di un percorso condotto da Techne, società consortile pubblica dei Comuni di Cesena e Forlì, e dall’associazione "Contatto": le detenute si sono confrontate per definire i propri bisogni. A chi rivolgersi per cercare lavoro, dove andare per le visite mediche, cosa fare per trovare una casa o per rinnovare il permesso di soggiorno: in parole semplici, consigli pratici per ricominciare una vita fuori dal carcere. È il progetto "Donne con le ali", portato avanti dalla sezione femminile del carcere di Forlì: un libricino e un manifesto dedicati a tutte le detenute che stanno per uscire dal carcere, in distribuzione non solo in Emilia Romagna, ma in ogni istituto penitenziario italiano. I due prodotti sono il risultato di un percorso cominciato un anno fa, condotto da Techne, la società consortile pubblica dei Comuni di Cesena e di Forlì, e dall’associazione di volontariato Con-tatto: le detenute, insieme agli operatori che le hanno guidate, si sono confrontate durante incontri di gruppo per definire i propri bisogni. Il secondo passo è stato quindi quello di raccogliere le risposte e le informazioni acquisite e di trasformarle in materiale utile non solo per se stesse, ma per tutte le donne che si trovano in carcere e vivono problematiche simili. "Il progetto è nato da due riflessioni - spiega Maura Lanfri, tutor dell’iniziativa di Techne, che insieme a Francesca Giovannetti e Barbara Bovelacci ha portato avanti "Donne con le ali" -: la difficoltà delle donne detenute di guardare al proprio futuro, fuori dal carcere, e la loro scarsissima conoscenza del territorio e dei servizi di cui possono usufruire. La maggior parte delle donne, infatti, sono straniere e oltre alle difficoltà del carcere comuni a tutte, non conoscono nemmeno l’Italia. Facendo ricchezza della loro esperienza personale, dunque, le donne hanno cercato di fornire un aiuto alle persone che si trovano nella loro stessa condizione, raccogliendo dai servizi sul territorio tutte quelle informazioni utili e indispensabili per reinserirsi nella società". I manifesti verranno appesi a Forlì e dintorni in luoghi come i centri per il lavoro, i consultori, gli enti pubblici. Il progetto - che rientra nell’iniziativa formativa "Pegaso 3" finanziata dalla Provincia di Forlì-Cesena con Fondo Sociale Europeo - non vuole fermarsi qui o rimanere un’iniziativa isolata: l’idea è ora quella di fare arrivare il libricino, in maniera capillare, in tutte le sezioni femminili delle carceri d’Italia, di tradurre il materiale in diverse lingue e di mettere in campo altri progetti specifici che abbiano come obiettivo quello di unire il "dentro" e il "fuori" dal carcere. Bollate: "notte bianca"... il carcere milanese apre le porte
Redattore Sociale, 23 ottobre 2007
Cancelli aperti al pubblico sabato 27 ottobre, dalle 17 alle 23. Protagonisti della serata saranno i detenuti che hanno organizzato per l’occasione una parata di cavalli, un concerto musica anni ‘70 e lo spettacolo teatrale. Notte bianca nel carcere milanese di Bollate, che aprirà i cancelli al pubblico sabato 27 ottobre, dalle 17 alle 23. Protagonisti della serata saranno i detenuti che hanno organizzato per l’occasione una parata di cavalli, un concerto musica anni ‘70 e lo spettacolo teatrale "Adolescenti per sempre". Ci sarà anche un aperitivo preparato dalle "Cucine galeotte", cooperativa di catering sorta all’interno dell’istituto penitenziario. "È uno degli appuntamenti della notte bianca di Milano ed è stato il Comune che ci ha chiesto di parteciparvi - spiega Michelina Capato, vicepresidente dalla cooperativa Estia, che cura la formazione teatrale dei reclusi -, Il carcere è uno dei luoghi della città, che i cittadini devono conoscere". L’accesso sarà consentito al massimo a 250 persone e per ragioni di sicurezza è necessario prenotarsi, entro mercoledì 24 ottobre, inviando una e-mail all’indirizzo nottebiancabollate@libero.it, indicando nome,cognome, luogo e data di nascita, residenza completa come da documento valido e numero di telefono cellulare. La parata dei cavalli sarà gestita dai detenuti che lavorano nel maneggio del carcere, il concerto anni ‘70 sarà curato dalla band "Aria dura", mentre lo spettacolo teatrale è il frutto di un anno di lavoro del gruppo di detenuti che seguono i corsi del progetto "Teatro dentro", che serve a dare una formazione professionale per lavorare nel mondo dello spettacolo . "Ogni anno formiamo circa 10 attori e organizzatori di eventi culturali, 10 macchinisti del palcoscenico e un’altra decina di tecnici delle luci o dei suoni - aggiunge Michelina Capato -. Molti di loro, quando escono dal carcere, trovano lavoro nei teatri di Milano". Roma: accordo con l’Uisp su attività per i minori detenuti
Ansa, 23 ottobre 2007
Il ministero della giustizia si impegna a migliorare ed avviare progetti per la pratica sportiva dei ragazzi detenuti. È la finalità di un protocollo d’intesa siglato oggi fra il Dipartimento per la giustizia minorile del ministero e l’Uisp (Unione italiana sport per tutti). L’associazione sarà partner del dicastero in questo percorso educativo e formativo. I due soggetti favoriranno, fra l’altro, l’avvio di progetti, programmi, attività e percorsi di educazione alla legalità attraverso lo sport, di inserimento dei minori nei circuiti educativi delle società sportive, di formazione professionale ed accompagnamento lavorativo. Ministero ed Uisp insieme progetteranno iniziative locali, nazionali ed europee destinate a reperire risorse per il rafforzamento delle attività a favore dei minori nell’area penale. Il ministero, dal canto suo però, "si impegna ad individuare risorse nell’ambito del bilancio dello stato e secondo le disponibilità del momento per dare continuità e diffondere le attività dell’Uisp". Il protocollo istituisce anche un gruppo di coordinamento nazionale del quale faranno parte tre persone appartenenti alla Uisp e tre al ministero per monitorare e valutare i risultati delle attività promosse. Vicenza: lavoro dopo il carcere, 24 detenuti ci sono riusciti
Giornale di Vicenza, 23 ottobre 2007
"Se quando una persona entra in carcere gli si chiudono le porte alle spalle, quando esce gli si chiudono le porte in faccia . Il carcere così com’è, più che un’istituzione penale e riabilitante, è un cronicario dell’esclusione sociale. E proprio in attesa di interventi amministrativi adeguati, abbiamo tentato da maggio del 2005, di dare più forza al ruolo riabilitante favorendo l’applicazione di tutte quelle misure che sono alternative al carcere e che sono già presenti nel nostro sistema penitenziario. Infatti, non va mai dimenticato che il senso costituzionale della pena è la riabilitazione, altrimenti la pena stessa diventerebbe solo una mera vendetta...". Non va tanto per il sottile don Giovanni Sandonà, direttore della Caritas diocesana, soprattutto quando si parla di esclusione sociale, ghettizzazione, isolamento. Parole che assumono un significato ancora più forte e pregnante quando si rivolgono al carcere e alla sua molteplice realtà. E in particolare ad una fascia di detenuti che non sono seguiti né dal Sert, né dai centri di salute mentale e che stanno scontando la fase finale della pena. E proprio a loro è stato rivolto il progetto che Caritas con l’associazione Diakonia ha messo in piedi, "Il lembo del Mantello" che prevede un inserimento socio-lavorativo, e quindi due consistenti aree di intervento, quella puramente relazionale e quella lavorativa che si affiancano a quella legale. Ieri è stato presentato all’interno della casa circondariale in via della Scola. "L’intento - ha spiegato Sandonà - non era solo quello di recuperare persone che sarebbero finite in chissà quale sottobosco se non avessero avuto la possibilità di intraprendere un percorso lavorativo a costi sicuramente limitati rispetto a quanto richiede la presenza di un detenuto sotto il profilo economico all’interno della struttura carceraria". Insomma, un’esperienza che vuole anche essere un monito verso gli amministratori: infatti ieri erano presenti l’assessore ai servizi sociali della Regione, Stefano Valdegamberi, i consiglieri Achille Variati e Giuseppe Berlato Sella, oltre alla direttrice Irene Iannucci e ai vari componenti l’equipe (consorzio Prisma, "Saldo & Mec" , Artigiani e Apindustria) che ha coordinato il lavoro che finirà a giugno anche grazie ai finanziamenti della Fondazione Cariverona. E proprio in vista della fine del triennio sperimentale, la Caritas bussa alle porte delle istituzioni affinché si possa proseguire su questa strada. "Ogni "servizio-segno" nasce con l’intento di intercettare un bisogno, di segnare percorsi possibili di risposta e di maturare una visibilità che possa diventare un percorso istituzionale, assunto dalla società civile nelle sue articolazioni amministrative". Verrà raccolto l’appello? Intanto, in questi anni gli operatori hanno tenuto 320 colloqui per un totale di 81 persone contattate segnalate dall’equipe comportamentale che ha il compito di individualizzare il trattamento e che è formata dal direttore di S. Pio X, dall’assistente sociale, dall’educatore e da altri professionisti. Dopo sono iniziati la formazione, la valutazione e gli stage nelle cooperative e in altre piccole imprese. Per 24 di loro è iniziato un inserimento lavorativo con la possibilità di avere anche un posto Forlì: "via libera" ai lavori per la nuova casa circondariale
Ansa, 23 ottobre 2007
Nuova struttura per il carcere forlivese, certo entro tempi lunghi, vista la mole di lavoro e il costo (27 milioni di euro). La nuova casa circondariale sarà costruita nel quartiere Quattro, su un terreno agricolo tra il quartiere Cava e la zona industriale. "L’avvio dei lavori è imminente - conferma l’assessore comunale all’urbanistica, Gabriele Zelli - con il via libera del provveditorato alle opere pubbliche di Bologna, designato dal ministero di Grazia e Giustizia". Si partirà dalla cinta muraria e dalle fogne, per cui la gara di appalto si è già svolta, con un budget di 7 milioni di euro. Per la prima parte del corpo dell’edificio, che prevede la costruzione dell’area detenzione uomini, degli uffici e degli alloggi per gli agenti della Polizia giudiziaria, il 5 dicembre verranno valutati i partecipanti alla gara d’appalto, da 27 milioni di euro, ed "entro la primavera partiranno i lavori", annuncia Zelli. Per i secondo lotto, che riguarda l’area di detenzione femminile, il finanziamento è ancora da definire. "Ancora non sono prevedibili le tempistiche di termine definitivo dei lavori - continua Zelli - come non si può ancora valutare l’utilizzo che si farà della Rocca sforzesca una volta libera. Certo è che, in un piano di rilancio del centro storico, è un elemento interessante, anche per la sua vicinanza al campus universitario". Lucca: progetto sulla promozione della lettura in carcere
Redattore Sociale, 23 ottobre 2007
Promuovere la lettura anche in luoghi insoliti come un carcere o un ospedale. È questo l’obiettivo del servizio biblioteche della provincia di Lucca, che ha in programma due iniziative specifiche: una presso la casa circondariale di "San Giorgio" a Lucca, l’altra nel reparto di oncologia dell’ospedale Unico della Versilia. Questi due appuntamenti rientrano in un’azione di promozione della lettura ideata dall’assessorato alla Cultura della regione Toscana che coordina, per questo mese, una campagna di comunicazione delle biblioteche toscane. Il primo appuntamento, organizzato dal servizio biblioteche del dipartimento di presidenza della provincia di Lucca, è per giovedì 25 ottobre alle 9 presso il carcere lucchese. Qui Said Jra, mediatore culturale, leggerà brani di autori contemporanei italiani e stranieri. Si tratta di un evento organizzato nell’ambito del progetto "Ottobre, piovono libri: i luoghi della lettura" promosso dall’istituto per il Libro, in collaborazione con la Conferenza delle Regioni e delle Province autonome, l’Unione delle Province d’Italia e l’Associazione nazionale Comuni italiani". La seconda iniziativa invece è in programma per mercoledì 31 ottobre (dalle 10 alle 12 e dalle 15.30 alle 17), presso il reparto di oncologia dell’ospedale della Versilia, a Lido di Camaiore. Il professor Manrico Testi leggerà brani tratti da opere di autori contemporanei nazionali e locali. In entrambe le occasioni sarà presente il presidente della provincia Stefano Baccelli. Le due giornate dedicate alla lettura sono realizzate grazie alla collaborazione che la provincia ha avuto da parte del direttore della casa circondariale di Lucca Umberto Verde e del direttore dell’Asl 12 Versilia Giancarlo Sassoli e del direttore del reparto di oncologia Domenico Amoroso. Le biblioteche garantiscono l’accesso di tutti alla cultura, ma la provincia di Lucca, in linea con quanto suggerito dalla regione Toscana, ha voluto fare di più, ampliando il progetto e organizzando iniziative particolari in luoghi assai poco usuali alla lettura, allo scopo di promuoverla e allo stesso tempo i numerosi servizi bibliotecari. Inoltre tutte le biblioteche della provincia, che fanno riferimento alla Rete di documentazione del territorio provinciale, hanno aderito al progetto della Regione, programmando ciascuna proprie iniziative per ampliare il bacino di utenza e promuovendo i servizi. Roma: conferenza stampa sugli italiani detenuti all’estero
Comunicato stampa, 23 ottobre 2007
Mercoledì 24 ottobre, ore 14.00, Conferenza Stampa presso la Sala Stampa Camera dei Deputati - ingresso Via della Missione, 4. "La condizione dei detenuti italiani all’estero" Dal Caso "Carlo Parlanti" detenuto nel penitenziario di Avenal (California - Usa) Al Caso "Angelo Falcone" detenuto nello Stato himalayano dell’Himachal Pradesh (India). L’iniziativa promossa ed organizzata dall’On.le Marco Zacchera (Responsabile Esteri AN e Vice Presidente del Comitato per gli Italiani all’Estero della Camera- http://www.marcozacchera.it) vuole sensibilizzare l’opinione pubblica sulla condizione dei detenuti italiani all’estero (circa 3.000 dai dati Dgit-Ministero affari esteri 2005) e far luce sui diritti fondamentali che nonostante siano sanciti dalle varie convenzioni e trattati internazionali vengono costantemente disattesi dando vita a vere e proprie tragedie umane e familiari. La Data della Conferenza Stampa è stata fissata alla vigilia dell’udienza di Carlo Parlanti prevista il 25 Ottobre prossimo presso la Corte di Ventura (California) Una data simbolica per riaffermare ancora una volta che Carlo Parlanti è stato arrestato nel 2004 in Germania - sulla base di accuse non riscontrate - estradato direttamente negli Usa nel 2005, recluso nel penitenziario di Avenal (California) in una cella di 400 detenuti ed attualmente ricoverato presso l’ospedale di Beckersfield per le sue gravi condizioni di salute e che speriamo possa rientrare da vivo in Italia. (http://www.carloparlanti.it). Il secondo caso esemplare che sarà illustrato nel corso della conferenza stampa è quello dei giovani Angelo Falcone e Simone Nobili, arrestati il 10 Marzo 2007 in India, in occasione di una vacanza, anch’essi reclusi sulla base di accuse non riscontrate, e nonostante in prigione abbiano contratto l’epatite c sono privati della minima assistenza sanitaria (http://giovannifalcone.blogspot.com/) Alla suddetta conferenza stampa parteciperanno i firmatari della petizione parlamentare Zacchera (del 21 Settembre)di quasi tutti gli schieramenti politici compresi i Deputati italiani eletti all’estero ed i sindaci Ettore Severi (Sindaco di Montecatini Terme - città di Carlo Parlanti) che dal 2004 segue attivamente la vicenda Parlanti e Vito Agresti (Sindaco di Rotondella - Città di Falcone) Interverranno insieme all’On.le Zacchera: l’On. Avv. Giulia Bongiorno (An); l’On. Margherita Boniver (Fi) già Ministro per gli Italiani all’Estero; Franco Londei di Secondo protocollo: l’organizzazione umanitaria impegnata nella difesa dei diritti umani (http://www.secondoprotocollo.org). I familiari di Parlanti (la madre: Nada Pacini e Katia Anedda: la compagna di sempre - fondatrice del comitato "Carlo Parlanti" che da anni sta lottando con tutte le proprie forze per far luce sulla vicenda) Giovanni Falcone, ex carabiniere in pensione, padre di Angelo Falcone detenuto in India dal marzo 2007 http://giovannifalcone.blogspot.com. I firmatari della Petizione Zacchera per il nostro connazionale Carlo Parlanti: Angeli Giuseppe Alleanza Nazionale; Azzolini Claudio Forza Italia; Lucio Barani Dca-Nuovo Psi; Bosi Francesco Udc; Baiamonte Giacomo Forza Italia; Boato Marco Verdi; Boniver Margherita Forza Italia; Bucchino Gino Ulivo; Carta Giorgio Misto; Castagnetti Pierluigi Ulivo; Castellani Carla Alleanza Nazionale; Arnold Cassola Verdi; Dato Cinzia Rosa Nel Pugno; D’Elia Sergio Rosa Nel Pugno; D’Ulizia Luciano Italia Dei Valori; Filippi Alberto Lega Nord; Forlani Alessandro Udc; Garavaglia Massimo Lega Nord; Li Causi Vito Popolari-Udeur; Lion Marco Verdi; Lisi Ugo Alleanza Nazionale; Marcazzan Pietro Udc; Mazzocchi Antonio Alleanza Nazionale; Migliori Riccardo Alleanza Nazionale; Murgia Bruno Alleanza Nazionale; Narducci Franco Ulivo; Paletti Tangheroni Patrizia Forza Italia; Ponzo Egidio Luigi Forza Italia; Razzi Antonio Italia Dei Valori; Romagnoli Massimo Forza Italia; Rosso Roberto Forza Italia; Santori Angelo Forza Italia; Turco Maurizio Rosa Nel Pugno; Zanella Luana Verdi; Lucca, il "piacere di leggere" anche in carcere e all’ospedale. Immigrazione: suicidi al Cpt di Modena, emergono i dettagli
Redattore Sociale, 23 ottobre 2007
Il sottosegretario Lucidi risponde a un’interrogazione urgente in Parlamento. In Italia i migranti senza documenti sarebbero almeno 300 mila, ma dei 22 mila nei Cpt nel 2006 solo 6.000 sono stati espulsi e 8.400 identificati. Emergono nuovi dettagli sui due suicidi verificatisi nel Cpt di Modena il 14 e il 17 ottobre. Venerdì scorso il Governo ne ha riferito al Parlamento rispondendo ad un’interrogativa urgente. Secondo quanto riferito alla Camera dalla sottosegretaria del ministero dell’Interno, Marcella Lucidi, il primo decesso si è verificato nella notte tra il 14 e il 15 ottobre. Ajouli Monam, tunisino - nato il 12 marzo 1984 e trattenuto al Cpt dal 21 settembre - si è strangolato con un cappio ricavato dai suoi indumenti. Il corpo senza vita di Monam è stato trovato carabinieri in servizio di vigilanza presso il Cpt, in uno dei moduli abitativi. Il cadavere si trovava nella zona destinata al riposo notturno, non soggetta a video-sorveglianza. Al momento del ritrovamento, i compagni di Monam si trovavano nell’area comune, davanti al televisore. Il ventitreenne tunisino era già stato trattenuto una prima volta al Cpt di Modena. Era entrato il 2 giugno 2007 su disposizione del questore di Como, per poi allontanarsi arbitrariamente il 17 luglio scorso. Era poi stato di nuovo fermato il 21 settembre, sempre su disposizione del questore di Como. Monam aveva precedenti penali non gravi legati alla sua condizione di clandestinità, e all’interno del centro non aveva mai manifestato problematiche psicologiche particolari. Nella notte tra il 16 e il 17 ottobre, verso l’1,30, il secondo suicidio. Huri Mohamed, algerino, nato il 13 novembre 1982, ospite del Centro dal 10 ottobre scorso, su disposizione del questore di Reggio Emilia, si è impiccato con un lenzuolo attorcigliato intorno al collo. Il corpo è stato rinvenuto dai carabinieri, riverso sulla porta di collegamento dei moduli abitativi con i cortili. Il ragazzo era in trattamento presso il Sert di Reggio Emilia, per problemi di tossicodipendenza, e all’interno del centro veniva assistito consensualmente con trattamento di metadone. Il secondo decesso in tre giorni ha scatenato le proteste dei migranti trattenuti nel Cpt, che hanno incendiato coperte ed indumenti, impedendo alle forze dell’ordine e agli operatori dell’ente gestore, la Confederazione nazionale delle Misericordie d’Italia, di rimuovere il corpo di Huri Mohamed se non dopo lunghe trattative. Il centro di Modena, istituito il 25 ottobre 2000, fu realizzato ex novo. Il giorno antecedente al primo presunto suicidio, nel centro erano trattenute 57 persone, su una capienza di 60 posti. Parlando alla Camera, la sottosegretaria Marcella Lucidi ha auspicato una "migliore offerta dei servizi agli immigrati, compresi quelli presenti nei centri di permanenza temporanea". Così il Governo Prodi ha declinato il "superamento" dei Cpt, messo nero su bianco, pagina 254, nel programma elettorale con cui l’Unione si presentò alle urne nel 2006. E al governo arrivano le critiche di Mercedes Frias (Rifondazione Comunista), che intervenendo in aula venerdì ha chiesto a Lucidi: "Quale risposta si deve dare alle mamme di questi ragazzi. I due ragazzi sono morti non per quello che hanno fatto, ma per quello che sono, in quanto, in definitiva, nei Cpt non ci si entra per aver commesso dei reati, ma per ciò che si è". Secondo dati ufficiali, citati da Frias, in Italia i migranti senza documenti sarebbero almeno 300.000, ma nel 2006 sono transitate dai Cpt solo 22.000 persone, di cui 8.400 identificate e solo 6.000 espulse, a fronte di un costo medio di 1 milione 300 mila euro per ogni Cpt e 970 agenti di polizia impegnati nella sorveglianza delle strutture. Droghe: giovedì alla Camera parte discussione sulla riforma
Notiziario Aduc, 23 ottobre 2007
Nella seduta congiunta delle Commissioni Giustizia ed Affari Sociali programmata per giovedì mattina si aprirà il difficile confronto tra maggioranza ed opposizione sulla riforma del Testo Unico 309 del 1990 su sostanze stupefacenti e tossicodipendenze. Base della discussione sono le pdl 34 e connesse che puntano soprattutto a rivedere il testo vara o nella scorsa legislatura sui criteri di ammissibilità di sostanze stupefacenti per consumo personale, sulle sanzioni previste per spaccio e sulle modalità di assistenza ai tossicodipendenti. Le relazioni di Gambescia per la Giustizia e Di Girolamo per la Affari Sociali porranno in luce i punti programmati per l’intervento correttivo delle disposizioni vigenti e certamente il dibattito rifletterà le nette contrapposizioni registrate in merito anche negli ultimi mesi alla luce delle recenti disposizioni ministeriali. Il primo impegno delle Commissioni sarà quello di individuare un testo base unificato delle varie proposte in esame presentate soprattutto da deputati di centrosinistra. Israele: rivolta in carcere, 1 palestinese morto e 200 feriti
Ansa, 23 ottobre 2007
Un palestinese è stato ucciso e decine d’altri sono rimasti feriti oltre a 15 guardie carcerarie, ieri, nel corso di una rivolta in un carcere israeliano. Lo si è appreso da fonti mediche. Mohammad El Askar, 26 anni, è morto in serata a seguito delle ferite riportate all’ospedale di Ramleh, vicino Tel Aviv. Era stato condannato a cinque anni di prigione e non gli restavano da scontare che cinque mesi. Secondo il Club dei prigionieri, principale organizzazione di difesa dei prigionieri palestinesi, gli scontri sono iniziati nella prigione di Ketziot, nel deserto del Negev (sud), quando le guardie israeliane hanno voluto procedere a delle perquisizioni giudicate "provocatorie" nelle tende dei detenuti. I prigionieri hanno gettato oggetti contro le guardie che hanno risposto con gas lacrimogeni e con proiettili di gomma, facendo, secondo un ultimo bilancio, circa 200 feriti. Gran Bretagna: abusi su detenuti, 1.300 responsabili sanzionati
Apcom, 23 ottobre 2007
Milletrecento tra agenti e impiegati nei penitenziari di Inghilterra e Galles sanzionati - con il licenziamento, l’incriminazione o il richiamo disciplinare - dal 2000 al 2006. Sono i dati ufficiali divulgati (dopo mesi di ritardo dalla richiesta dei media, annota il quotidiano) dall’Home Office e ripresi con grande risalto dal Guardian. Il "libro nero" include la classifica delle carceri con più irregolarità accertate (Birmingham, Manchester, Risley e, a Londra, Belmarsh e Brixton) e delle due violazioni più frequentemente commesse dal personale: aver messo a rischio la sicurezza delle strutture detentive e aver commesso crimini veri e propri. Tra infrazione delle procedure e reati, la casistica è pressoché sterminata. Si va dallo spaccio di droga all’aver consegnato cellulari ai detenuti, dall’attestazione di false malattie per giustificare l’assenza dal lavoro all’averlo svolto ubriachi o sotto l’effetto di stupefacenti. Fino alle relazioni sessuali con i carcerati e alle violenze: un secondino di Manchester è stato licenziato per una perquisizione corporale a un detenuto che da bambino aveva subìto abusi dal patrigno accompagnata dalla domanda sul "piacere" di rivivere quei momenti.
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