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Giustizia: Manconi; lavorare perché le carceri siano vivibili di Rossella Mungiello
Il Cittadino, 22 ottobre 2007
L’invisibilità di certe vite, la rimozione fuori dal centro cittadino come mezzo per allontanarle dalla coscienza, la crescente ostilità verso la popolazione carceraria in seguito all’indulto, ma anche la situazione locale, la voglia dei numerosi volontari di cambiare le cose e l’impegno delle istituzioni perché questo accada. Si è parlato di questo e di molto altro durante la serata di venerdì nella sede della provincia di Lodi, quando è stato presentato il nuovo garante dei diritti dei detenuti alla presenza di un ospite d’eccezione: il sottosegretario alla giustizia con delega alle carceri Luigi Manconi, che proprio a Roma visse la stessa esperienza di garante dei diritti. "Noi veniamo da quindici mesi di rigetto verso la popolazione carceraria dovuto all’indulto - spiega al proposito Manconi - quindi la prima cosa da fare è un’operazione di verità. Chi sconta tutta la pena in carcere ha una recidiva nel 60 per cento dei casi e chi beneficia di misure simili all’indulto ha una recidiva solo nel 22 per cento dei casi. Anche se la percentuale è nettamente inferiore, questi casi fanno più notizia. Ed è da questa offensiva mediatica che parte l’ostilità". Il sottosegretario ha inoltre sostenuto il fallimento del sistema carcerario attuale che come risultato ha soltanto la "produzione e la riproduzione di criminali", costituendo un attentato alla sicurezza collettiva. "Io ritengo che solo un carcere vivibile, che offra possibilità di lavoro concrete e di inserimento, che apra le porte, che sia il meno "carcere" possibile garantisca la sicurezza di quanti, in carcere, non entreranno mai - ha dichiarato ancora Manconi -. E senza la tutela dei diritti dei detenuti si mette in pericolo la sicurezza e si alimenta un processo di infantilizzazione del detenuto, che è etero diretto, che non ha libertà di muoversi, che deve fare la "domandina" per ottenere qualcosa, non una semplice richiesta. In questa prospettiva il garante dei diritti rappresenta una fase di maturità, un soggetto terzo che sappia mediare tra custodi e custoditi, tra governo locale e governo del carcere". A salutare con soddisfazione l’istituzione del garante anche la direttrice della casa circondariale di Lodi Stefania Mussio, che ha descritto la situazione del carcere cittadino. La dottoressa Mussio ha parlato di una media tra i settanta e gli ottanta detenuti di cui il 70 per cento è straniero, spesso extracomunitario. Dati rilevanti per poter organizzare i giusti interventi, in un’ottica di maturità del sistema. "Io credo che i primi garanti dei diritti del detenuto debbano essere la direzione e il personale carcerario - spiega la direttrice Mussio - in quest’ottica, quindi, il garante diventa per me una figura di promozione sociale che stimoli ad integrare il carcere con la società e che dia il proprio contributo allo smantellamento di un pregiudizio nei confronti della popolazione carceraria. Una sorta di mediatore che affianchi fisicamente le persone e le aiuti a portare avanti l’integrazione". A moderare il dibattito Michela Sfondrini dell’associazione "Loscarcere", di cui erano presenti moltissimi volontari e in cui si impegna direttamente anche Andrea Ferrari, assessore alla cultura del comune di Lodi, presente in platea. Intorno al tavolo anche Mauro Soldati, assessore provinciale per i servizi alla persona, che ha illustrato l’iter provinciale di istituzione del garante, Luisangela Salamina, assessore provinciale alle politiche del lavoro, che ha esposto i progetti di inserimento nel mondo del lavoro, ma anche Donatella Barberis, responsabile dell’ufficio di piano di Lodi e Casale. Giustizia: Mastella sarà giudicato dal Tribunale dei ministri?
Corriere della Sera, 22 ottobre 2007
Tra i motivi che hanno spinto il procuratore generale di Catanzaro a sfilare l’inchiesta chiamata "Why Not" dal tavolo del pubblico ministero de Magistris, potrebbe esserci anche una questione di sospetta incompetenza. Nel senso che non poteva più essere lui a indagare sul ministro della Giustizia Clemente Mastella. Il magistrato che ha disposto l’avocazione non ha giustificato con questo problema il suo provvedimento, che però potrebbe preludere alla trasmissione degli atti a un altro organo inquirente: il Tribunale dei Ministri. Se di Catanzaro o di Roma, non si sa. Di una simile ipotesi si parla in queste ore perché dall’iscrizione del Guardasigilli sul registro degli indagati emergerebbe che i reati contestati sarebbero frutto di attività "tutt’ora in corso". Sarebbero cioè stati commessi - sempre in ipotesi - anche quando il senatore leader dell’Udeur era diventato ministro, carica assunta nel maggio 2006. Di qui l’eventuale competenza dei collegio per i reati ministeriali, presente in ogni distretto giudiziario, cui la legge impone al pubblico ministero di passare la mano "omessa ogni indagine". Così, anche solo per verificare questa possibilità, il procuratore generale che ha avocato l’inchiesta (che in realtà è un facente funzioni, il dottor Dolcino Favi) potrebbe a sua volta disfarsi del fascicolo. Ma anche questa decisione non sembra scontata. Il concorso in truffa e abuso d’ufficio ipotizzato per Mastella, infatti, sarebbe conseguenza di atti o fatti precedenti alla sua nomina a Guardasigilli; le telefonate con i coindagati Saladino e Bisignani, ad esempio, risalgono al marzo 2006. Quindi bisognerà valutare se l’ingresso al ministero di Via Arenula abbia in qualche modo concorso all’eventuale prosecuzione della commissione dei reati. Questione di interpretazione, degli avvenimenti e delle norme. Così come è un problema di interpretazione il motivo ufficiale dell’avocazione del procedimento, una delle mosse più controverse e rumorose delle recenti cronache giudiziarie. La decisione fa riferimento all’articolo 372 del codice di procedura penale, che prevede l’intervento del procuratore generale quando "il capo dell’ufficio del pubblico ministero ha omesso di provvedere alla tempestiva sostituzione del magistrato designato nei casi previsti dall’articolo 36 comma 1". E quell’articolo prevede che il giudice ha l’obbligo di astenersi, tra l’altro, "quando ha interesse nel procedimento". Nel caso de Magistris - Mastella, si può sostenere che il primo abbia un interesse per così dire "privato" nell’inchiesta che vede il secondo indagato? Secondo il dottor Favi, evidentemente sì. E dalle carte che lui e molti altri hanno consultato in questi giorni è saltata fuori una sentenza del 1999 in cui la Cassazione ha stabilito proprio questo principio: per un giudice sottoposto ad azione disciplinare a causa di atti compiuti nell’ambito di un procedimento, può nascere un interesse personale a proseguire quello stesso procedimento, dunque si deve astenere. Fatti i debiti paragoni con un pubblico ministero qual è de Magistris, ugualmente sottoposto ad azione disciplinare, c’è chi ritiene che quel principio si debba applicare anche al suo caso. E a chi ribatte che pure Mastella potrebbe aver avuto un interesse ad avviare il procedimento disciplinare anche per fatti relativi all’inchiesta "Why Not", proprio per determinare questa situazione, si replica che c’è stata prima l’azione del ministro e poi la sua iscrizione sul registro degli indagati, non viceversa. E che a giugno, quando ci furono i primi rumors, la Procura comunicò ufficialmente che non c’era alcuna inchiesta sul ministro. Poi ci fu l’azione disciplinare (con successiva richiesta di trasferimento al Csm, che ha rinviato a metà dicembre negando l’urgenza), e solo dopo l’iscrizione, che risale al 14 ottobre e avrebbe provocato "l’interesse" del pm nel procedimento. Tra tutte le incognite e le diverse interpretazioni, un solo dato appare piuttosto certo: la Procura di Catanzaro è di fatto priva di un capo, giacché il procuratore generale ha ritenuto di intervenire proprio per supplire (come richiede il codice) all’omissione del responsabile dell’ufficio. Un procuratore, il dottor Mariano Lombardi, già denunciato da de Magistris alla Procura di Salerno, e per il quale il Csm ha pendente da tempo una pratica di trasferimento d’ufficio per incompatibilità ambientale, diversa da quella sollecitata anche per lui da Mastella. Ora la situazione che s’è creata potrebbe spingere l’organo di autogoverno dei giudici ad accelerare i tempi della sua decisione. Almeno su questo caso. Giustizia: suicidio di Bruno Piccolo; Amato dispone una verifica
www.interno.it, 22 ottobre 2007
Bruno Piccolo, che aveva 29 anni, si è suicidato in una località protetta dove attualmente viveva e lavorava secondo le procedure previste nel piano di protezione. Proprietario di un bar nel centro di Locri, fu lui, dopo il suo arresto avvenuto nel novembre del 2005 perché affiliato ad una cosca mafiosa, a consentire di fare luce sull’omicidio del vice presidente del consiglio regionale della Calabria, Francesco Fortugno. Con le sue rivelazioni gli inquirenti ricostruirono tutte le fasi del delitto dell’esponente politico calabrese che Piccolo riferì di avere appreso dei preparativi dell’omicidio nel suo bar, frequentato dagli uomini del clan. In relazione alla richiesta formulata dal Presidente della Commissione Parlamentare di inchiesta sulla criminalità mafiosa, Francesco Forgione, avente ad oggetto la gestione del collaboratore di giustizia Bruno Piccolo, il Ministro dell’Interno per il tramite del Capo della Polizia ha chiesto una verifica al Servizio Centrale di Protezione. Da una prima ed immediata risposta fornita dal predetto Servizio di Protezione emergerebbe quanto segue: al collaboratore Bruno Piccolo è stato consentito, su sua richiesta, di poter lavorare in un bar della località protetta, secondo le procedure previste nel piano provvisorio di protezione, ed in vista del futuro reinserimento sociale; non vi è stato alcun controllo effettuato presso tale bar da parte dell’Ispettorato del lavoro che abbia riguardato la persona di Bruno Piccolo; un unico controllo risulta operato all’interno del bar dalla Guardia di Finanza e il pronto intervento del Servizio Centrale di Protezione ha determinato che gli esiti di tale controllo fossero custoditi nel prescritto circuito riservato senza divulgazione alcuna; la rottura del rapporto di lavoro è stata piuttosto determinata da ragioni comportamentali connesse a vicende di natura personale; il licenziamento quindi non è da ricollegare ad alcuna attività di controllo sul bar, ovvero a qualsivoglia disvelamento della identità personale del collaboratore; all’atto del sopralluogo si è constatato il funzionamento dell’impianto di erogazione dell’energia elettrica e del gas, essendo stati rinvenuti la luce ed il televisore accesi. Lodi: Paolo Muzzi diventa Garante per i diritti dei detenuti
Il Cittadino, 22 ottobre 2007
Si chiama Paolo Muzzi, il nuovo garante dei diritti dei detenuti della provincia di Lodi. L’avvocato penalista che entrerà nella casa circondariale di via Cagnola, ha avuto il suo incarico dopo una consultazione durata poco più di un anno che ha coinvolto 31 comuni della provincia di Lodi. Una consultazione che, secondo il sottosegretario alla giustizia Luigi Manconi è sintomo di una sensibilità e di un modello virtuoso che contribuirà ad aumentare il grado di sicurezza collettiva. "L’istituzione del garante, arrivata dietro una grande spinta dei volontari dell’associazione "Loscarcere", ha seguito tutto l’iter provinciale ed è stata approvato con due sole astensioni - spiega Mauro Soldati, assessore provinciale ai servizi della persona - Il garante avrà ospitalità fisica con un suo ufficio presso la sede della provincia, un ulteriore stimolo a continuare a ragionare razionalmente su questi temi". Il garante che è colui che viene delegato alla tutela di coloro che si trovano in una condizione di restrizione della propria libertà, è incaricato innanzitutto di controllare che i diritti dei detenuti vengano effettivamente rispettati, ma non solo. Nei compiti del garante rientrano anche una serie di attività che consentano al detenuto di integrarsi nella società in vista del periodo post-carcere: il garante deve curare la formazione professionale, coordinare le iniziative interne ed esterne a favore della popolazione carceraria, facilitare i legami famigliari e diffondere una politica di sensibilizzazione in concerto con gli altri organi istituzionali. "È un’esperienza nuova per la città di Lodi, ma anche per me personalmente - ha spiegato Paolo Muzzi -. Il primo passaggio che affronterò sarà quello di fotografare la situazione della casa circondariale, il secondo passaggio sarà l’ascolto di coloro che vorranno esprimere le proprie problematiche, sia detenuti che persone che con loro hanno dei rapporti. Le mie linee programmatiche saranno di concerto stabilite con gli altri attori sociali che intorno al carcere ruotano". E sui progetti per l’inserimento post-carcere è intervenuta anche l’assessore provinciale Luisangela Salamina, che ha parlato del rinnovo del progetto sul lavoro debole che hanno unito una serie di soggetti in un modello condiviso: lavoratori, parti sociali, imprenditori, Asl, che hanno consentito ai detenuti di usufruire di borse lavoro e di vere e proprie opportunità lavorative. Verona: scuola e lavoro, così il carcere può cambiare la vita di Elena Cardinali
L’Arena di Verona, 22 ottobre 2007
Parlare del carcere visto da dentro, per raccontare come dietro le sbarre si possano percorrere sentieri di riscatto concreto, autentici percorsi di cambiamento. A patto, però, che il carcere apra le porte ai volontari, agli educatori, alle iniziative didattiche e lavorative che danno ai detenuti la possibilità di sfruttare il tempo coatto per farlo diventare tempo di vita nuova. Lo hanno detto l’altra sera in un incontro organizzato dalla Fraternità, l’associazione di volontariato per il carcere, nella sala conferenze della basilica di San Zeno, Vincenzo Andraous, 44 anni, di cui 33 passati in carcere, tutt’oggi in regime di semilibertà, Marco Alianello, 37 anni, condannato a 24 anni per omicidio, ed Emanuele Palmieri, 39 anni, che ha fatto 19 anni di carcere, compreso il minorile, per aver partecipato ad azioni criminose in cui furono perpetrati degli omicidi. L’incontro si è svolto nell’ambito della rassegna "Tra Mura Les", la mostra delle opere d’arte dei detenuti, che si chiude oggi nella sede del Ctg in via Santa Maria in Chiavica 7. Andraous, veronese, oggi responsabile di un gruppo di giovani, da anni impegnato nel volontariato e in particolare nella lotta al consumo di sostanze stupefacenti, è l’autore di "Riconciliazione o vendetta?", un libro in cui affronta il tema del bullismo, del carcere e della comunità. Ma chi è il bullo? Un tempo era un personaggio isolato, ha detto Andraous, "come il bullo Andraous che faceva la guerra agli adulti. Ma oggi è diverso, oggi hanno la complicità dei compagni, dei docenti e dei genitori. Una complicità fatta di indifferenza, di incapacità, di deleghe ad altri delle proprie responsabilità C’è un grave problema di rispetto delle regole, a tutti i livelli. Ed è a scuola che si comincia a non averne. Parlo per esperienza personale. Poco tempo fa sono andato in una scuola a parlare di dipendenze, a dire ai ragazzi che tutte le droghe fanno male, dagli spinelli in poi. E proprio in quel momento due ragazzi, nel cortile della scuola, fumavano spinelli. Ed è possibile che un ragazzo mi contesti che l’hashish non fa male perché anche i suoi genitori si fanno le canne? Dove cominciano i cattivi esempi? Da chi imparano i nostri ragazzi convinti che droga e alcol, in fondo, siano cose normali nella vita?" Marco Alianello, autore de "Il viaggio della trasformazione", è uno studente del polo universitario del carcere di Prato. "Quando finii in carcere a malapena sapevo leggere e scrivere. Ora sono inserito in un protocollo tra Regione e università che mi ha dato un’importante opportunità di cambiamento. Sto per laurearmi in Scienze sociali. In carcere ho conosciuto altri giovani, studenti che hanno dato vita a un’associazione per gli studenti detenuti. Ci aiutiamo, ci confrontiamo, abbiamo analizzato i motivi che ci hanno portato in carcere e cerchiamo di mettere a disposizione degli altri la nostra esperienza, come detenuti e come studenti. Vorremmo che questa nostra realtà fosse estesa ad altre carceri, soprattutto nel sud". Emanuele Palmieri oggi è una persona libera. Lavora a Roma, come magazziniere. Nel suo libro, intensamente autobiografico, "Delinquenti non si nasce ma si diventa", descrive come un ragazzino povero, che vive in un ambiente disagiato, ha ben poche alternative alla malavita. Oggi Emanuele è un testimone a convegni e incontri circa la necessità di lavorare nell’ambiente sociale dei giovani per dar loro delle alternative nelle scelte di vita: "Se io non avessi incontrato fra Beppe Prioli, il responsabile della Fraternità, durante una sua missione nel carcere di Melfi dov’ero recluso, forse la mia vita sarebbe stata diversa. Ho cominciato a scrivergli e il mio primo permesso l’ho trascorso da lui". Ricorda Palmieri che negli anni del carcere non gli è mai mancato l’appoggio della madre ma anche quello di tanti volontari che l’hanno accolto a casa loro, offrendogli così una misura diversa per rapportarsi con le persone e la vita. Opera (Mi): sei detenuti dell’A.S. producono gelati "ecologici"
Ansa, 22 ottobre 2007
Sì, hanno le celle frigorifere nella prigione di Opera, vicino Milano, e le usano i carcerati per tenere al fresco il gelato. Ingredienti locali, non geneticamente modificati, saranno la base del gelato. Hanno scelto la via artigianale, escludendo le polverine, per produrre questo gelato a chilometri zero, ovvero fatto con un occhio di riguardo all’ambiente, evitando di far percorrere chilometri e chilometri al latte e alla frutta prima di arrivare nei coni della gente. Meno traffico significa meno emissioni inquinanti, meno rumore, meno gas serra e meno spese. A produrlo saranno inizialmente 6 detenuti del reparto di massima sicurezza, che stanno seguendo un apposito corso di formazione. In seguito se ne aggiungeranno altri 4, che lavoreranno in due turni. Il progetto si chiama "Aiscrim, prigionieri del gusto" con un gioco di parole in inglese tra I scream (io urlo) e ice cream (gelato alla crema). A seguirlo è Jobinside, che promuove i lavori socialmente utili. Il gelato sarà in vendita a partire dal prossimo febbraio e stanno pensando anche a linee di produzione alla soia o al latte di capra. Enna: l'Unione Italiana Ciechi fa prevenzione dentro il carcere
Vivi Enna, 22 ottobre 2007
Continua la campagna di prevenzione della vista organizzata dall’Unione Italiana Ciechi e degli Ipovedenti Onlus di Enna. L’attrezzatissima Unità Mobile Oftalmica di prevenzione visiva sarà presente presso gli istituti di pena di Enna e Piazza Armerina a cominciare da oggi sino a venerdì 26 ottobre per offrire a tutti i detenuti che ne faranno richiesta un’accurata visita oculistica, al fine di prevenire eventuali difetti visivi che potrebbero portare a ben più gravi conseguenze. La visita sarà effettuata dai due giovani oculisti Angela Abate e Grasso Michele Massimo. Il Presidente dell’Unione, Gaetano Minincleri, nel commentare questi eventi di alto valore sociale ha espresso la sua grande soddisfazione per l’iniziativa che è volta a dare aiuto alle categorie più deboli della società che, oltre al sostentamento economico, chiedono più sostegno morale e più vicinanza delle istituzioni. L’iniziativa dell’Unione provinciale Ciechi ha riscosso giudizi positivi, soprattutto perché rivolta ai detenuti che, nel contesto sociale, molto spesso sono trascurati e vengono dimenticati i loro problemi. Cagliari: le conclusioni del Convegno "Strada Facendo 3"
Fuoriluogo, 22 ottobre 2007
Si è conclusa a Cagliari la Terza edizione di "Strada Facendo". Approvata una mozione finale sulle politiche di sicurezza e le città. Leopoldo Grosso, vicepresidente del Gruppo Abele, nella giornata finale di "Strada facendo 3" è intervenuto riportando i risultati dei gruppi di lavoro del convegno. Rilanciando le proposte raccolte durante il Convegno di Strada Facendo 3 sul tema "sicurezza delle città", ha ricordato come la sicurezza sia un diritto irrinunciabile, che però va garantito "insieme e non al posto degli altri diritti". Grosso sostiene il netto rifiuto a politiche meramente repressive che colpiscono i più deboli, inducono al sommerso e favoriscono in realtà maggiore insicurezza. Per il governo delle città occorre integrare politiche di controllo e politiche di inclusione. Laddove si attivano tavoli sulla sicurezza in cui sono presenti anche i servizi sociali e sanitari si riesce a rispondere diversamente al problema delle marginalità "invadenti": venditori abusivi, lavavetri, mendicanti. "Va mantenuta una corretta scelta delle priorità in tema di politiche per la sicurezza", ha poi affermato Grosso. Al primo posto ci deve essere l’azione di contrasto alle mafie, non il lavavetri o l’ambulante. Nel nostro Paese si sta rovesciando la gerarchia nella gravità dei reati e delle corrispettive pene. E ci si allontana da ogni idea di diritto penale minimo, vale a dire l’uso del carcere solo quando necessario. Le politiche sociali devono diventare più ambiziose, il welfare non è una spesa improduttiva, ma è condizione di sviluppo e di sicurezza. Conclude poi Leopoldo Grosso rivolgendosi ai ministri Turco e Ferrero e agli amministratori locali presenti in aula Grosso ha ribadito la necessità di ridurre le spese militari a favore delle spese sociali. I diritti sociali, ha concluso, devono essere esigibili sull’intero territorio nazionale. È inammissibile che la spesa sociale pro capite in Emilia sia cinque volte quella Calabria. In conclusione dei lavori di "Strada Facendo 3", i 1.500 operatori sociali intervenuti hanno infine approvato la seguente mozione letta da don Luigi Ciotti in presenza dei ministri Turco e Ferrero, in vista della imminente discussione del "pacchetto sicurezza": "Alla povertà, ai disagi urbani e sociali, al mondo dell’emarginazione e dell’esclusione, non si può rispondere con una cultura della sicurezza unicamente impostata sulla criminalizzazione della devianza e sull’allontanamento degli ultimi e dei "diversi". Il pacchetto sicurezza in discussione il prossimo 23 ottobre in Consiglio dei ministri, così come l’art.7 del disegno di legge sulla prostituzione, attualmente in discussione, ripropone la logica di questa deriva culturale sulle problematiche della sicurezza. Il primo provvedimento criminalizza e propone pene severe, oltre che superiori di quelle previste per reati ben più gravi, per chi, spesso per esigenze di sopravvivenza, svolge attività sull’orlo della legalità. Il secondo concede ai sindaci il potere discrezionale di vietare l’esercizio della prostituzione in strada, in alcune aree della città, rischiando così di spingere le vittime di tratta in luoghi ancora più nascosti ed irraggiungibili rendendole, di conseguenza, più esposte agli sfruttatori ed ai comportamenti violenti di cui spesso sono oggetto. Una proposta, questa, che non tiene conto delle esperienze positive attuate da alcune municipalità che hanno sperimentato un diverso governo del territorio e che vanno in direzione opposta. La sicurezza, per noi, rispetto a queste situazioni, si costruisce solo con servizi più diffusi, pratiche di cittadinanza e la costruzione di comunità più solidali e accoglienti. Solo città più giuste sono città più sicure". Immigrazione: in Parlamento la nuova legge Amato-Ferrero
L’Unità, 22 ottobre 2007
Il numero dei migranti nelle carceri non cessa, anzi semmai aumenta sempre più. E tra l’affollamento delle "celle" una buona parte di "colpe" è dovuta ad una legge: la Bossi-Fini; tutt’ora in vigore, almeno fino a quando la Amato - Ferrero - che ha cominciato il suo lungo iter parlamentare - non "cestinerà" definitivamente il provvedimento sull’immigrazione della destra. Che ha prodotto e produce più danni che bene: ha aumentato i reati per i quali gli immigrati vanno in carcere. Cioè, ha sanzionato penalmente la violazione dell’ordine ad allontanarsi dal territorio e prevede l’arresto in flagranza per chi viola tale ordine. Facendo sì che l’immigrato finisca in carcere non solo se ruba una mela o fa spaccio di droga, mentre è proprio la Bossi-Fini che costringe i migranti a vivere da clandestini. Non solo. L’immigrato non può usufruire delle misure alternative perché la permanenza in carcere, anche se era regolare, lo rende di fatto irregolare. Di conseguenza lo status della persona si complica: un migrante che è stato in prigione ha difficoltà a trovare una casa, un lavoro e a reinserirsi socialmente. L’obiettivo della legge è infatti solo uno: l’espulsione. Proprio per riparare i "guasti" della Bossi-Fini incentrata solo sulla "faccia-feroce" dell’immigrazione, è all’esame del Parlamento la Amato - Ferrero. Il disegno di legge delega è all’esame della commissione Affari costituzionali di Montecitorio. La filosofia del provvedimento è "governare in modo razionale" l’immigrazione, promuovere integrazione e scoraggiare l’illegalità. Questi, in sintesi, le nuove norme: Espulsioni e fondo rimpatri, permessi di soggiorno più lunghi, flussi triennali, progressivo svuotamento dei Cpt. Dopo la relazione di Staffan De Mistura, il Viminale ha già avviato una nuova classificazione più trasparente: centri di identificazione e di accoglienza. È stato tolto il filo spinato e le strutture dovrebbero essere governate con più umanità. Stop al proseguimento dei migranti dal carcere ai Cpt. Chi si ostina a non tarsi identificare verrà espulso, mentre tutti gli stranieri bisognosi (donne e bambini in primis e rifugiati) vengono accolti nei centri di accoglienza. Droghe: a Padova sorgerà un nuovo muro "anti-spaccio"
Ansa, 22 ottobre 2007
Dopo l’esperienza della "barriera" innalzata in via Anelli a Padova arriva un nuovo muro antispaccio e antiprostituzione, che costerà circa 15 mila euro e isolerà due condomini di via Manara, chiesto nell’agosto scorso dagli abitanti della stessa via. Sorgerà non lontano da via Anelli, dove nell’agosto 2006 sorse il primo muro. Gli abitanti avevano raccolto oltre 600 firme per sollecitare l’adozione di un provvedimento analogo a quello di via Anelli, sottolineando che due condomini, il 37 e il 39, con una cinquantina di mini alloggi, erano stati trasformati in enormi discariche che creavano seri problemi di igiene pubblica ed erano stati teatro di un’aggressione a due sottufficiali dei Carabinieri da parte di due immigrati tunisini. Il muro di via Anelli, che suscitò a suo tempo tante polemiche, fu completato il 9 agosto dello scorso anno: era una barriera in lamiera lunga un’ottantina di metri e alta circa tre costruita per debellare lo spaccio di droga che ruotava attorno al complesso residenziale "Serenissima", dove risiedevano quasi esclusivamente extracomunitari, di etnie diverse, e che era al centro di problemi di ordine pubblico (numerose le risse tra gruppi rivali) e di episodi di microcriminalità. L’area era da tempo oggetto di un progetto di intervento per la messa in sicurezza, in attesa che venissero ultimate tutte le opere di recupero e risanamento dei vari edifici. I lavori di costruzione del muro erano stati realizzati dai tecnici dell’amministrazione comunale. Subito dopo, mentre in via Anelli si ripetevano imponenti operazioni di polizia contro lo spaccio di stupefacenti, le prese di posizione contrarie al muro si succedettero da parte di varie forze politiche e una manifestazione fu inscenata dai no global con qualche momento di tensione. A un certo punto, il muro fu anche completato con sbarre a sollevamento elettronico per controllare l’accesso delle automobili e con l’installazione di telecamere. Il muro antispaccio di via Anelli fece notizia sui principali media europei, dal britannico The Guardian al francese Le Figaro, dal quotidiano sud coreano Ohmy News alla rete televisiva pubblica tedesca Zdf. Frattanto, i condomini di via Anelli venivano progressivamente sgomberati, finché il 19 luglio scorso l’ultima palazzina fu chiusa con un grosso lucchetto dal sindaco di Padova Flavio Zanonato, che emise un’ordinanza con cui l’accesso al cortile dell’ex complesso "Serenissima" veniva interdetto per motivi di sicurezza. "Via Anelli ora è libera - disse in quell’occasione Zanonato - perché non c’è più nessuno che la abita ma anche perché non è più un punto di riferimento per nessuno". Gran Bretagna: 25.000 in disintossicazione dalla cannabis
Notiziario Aduc, 22 ottobre 2007
Gli effetti del consumo di cannabis si stanno facendo sentire, secondo il quotidiano The Independent. In alcune aree del Paese è, infatti, aumentato di molto il numero dei malati mentali. A livello nazionale, il tasso dei ricoveri per malattie mentali tra i consumatori di cannabis è aumentato del 73%. Il numero degli adulti ricoverati è salito dai 430 del 1996 ai 743 del 2006. I dati del Governo, diffusi dalla "National Treatment Agency for Substance Abuse" (NTA), rivelano che oltre 24.500 consumatori di cannabis partecipano ai programmi disintossicanti. Il tasso più alto mai registrato. La cannabis è anche la sostanza più diffusa tra i minorenni, che sono il 75% dei ricoverati. I ricoverati minori di 18 anni, (11.582) sono oltre il doppio di quelli in cura nel 2005. Sempre più adulti (13.087) sono nei centri per dipendenza da cannabis, molti più che per quella da crack o cocaina. Olanda: la cannabis non danneggia cervello dei giovani
Notiziario Aduc, 22 ottobre 2007
Fumare cannabis non danneggia il cervello dei giovani secondo quanto emerge da una ricerca sugli effetti della cannabis sul cervello dei giovani condotta dalla neuro-psicologa Gerry Jager. Al Centro Medico dell’Università di Utrecht la Jager ha esaminato quaranta adolescenti, metà dei quali fumava cannabis regolarmente e l’altra no. La Jager ha effettuato dei test di memoria e concentrazione e ha esaminato delle immagini di Risonanza Magnetica. I risultati delle prove dei giovani fumatori di cannabis erano buone tanto quelle dell’altro gruppo. "Quello che succede nel cervello non ancora completamente sviluppato dei giovani fumatori è simile a quello che succede nel cervello degli adulti" afferma la Jager. Consiglia ai giovani che hanno dei problemi di non usare cannabis. Ma non vede alcun pericolo per quella vasta fetta di giovani che fumano uno spinello ogni tanto. "Fra dieci anni saranno dei cittadini equilibrati e non vorranno più fumare cannabis".
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