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Giustizia: Cnvg; la sicurezza dipende dalla coesione sociale
Redattore Sociale, 19 maggio 2007
Proseguono a Roma i lavori dell’Assemblea della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia. Oltre ai tavoli di lavoro, grande spazio è stato dato al ruolo degli enti locali. Partendo dalla constatazione della necessità di una riforma del sistema giustizia, così come concepito e attuato fino ad oggi, la Conferenza Nazionale Volontariato e Giustizia sta tenendo a Roma la sua IV Assemblea Nazionale (17-19 maggio). Un appuntamento pensato per offrire un’occasione di approfondimento e potenziamento dell’impegno comune indirizzato a trovare forme di recupero e reinclusione sociale capaci di fronteggiare le emergenze sociali. Una tre giorni iniziata ieri pomeriggio, nella sede della Facoltà di Scienze Politiche dell’Università Roma Tre, e che si concluderà nella giornata di domani, la cui finalità è quella di raccogliere le riflessioni di coloro che operano, in varie forme, all’interno del sistema penitenziario e che denunciano i limiti di tale sistema. Il tutto in un ottica di critica costruttiva, indirizzata alla previsione di nuove modalità afflittive concepite per garantire la rieducazione e il reinserimento sociale. Dopo il discorso di benvenuto del Preside Luigi Moccia, si è subito entrati nel vivo della questione attraverso la relazione del presidente della Cnvg Claudio Messina, il quale ha delineato le sfide che attendono il volontariato affinché sia raggiunta effettivamente la tanto auspicata "sussidiarietà orizzontale". Dalle parole del presidente Messina traspare immediatamente la centralità della questione giustizia in un momento, come quello attuale, in cui la sicurezza e la coesione sociale rappresentano gli obiettivi primari dell’azione politica. Tanti, dunque, gli argomenti oggetto di analisi affrontati in maniera sistematica all’interno dei tavoli di lavoro: dalla questione minorile, al rapporto tra legislazione e pena, dal volontariato e le sue sfide future, all’attività di prevenzione, per concludere infine con le misure alternative alla detenzione. Durante la conferenza grande spazio è stato dato al ruolo degli enti locali in relazione al tema della giustizia. A tal proposito sono stati indicativi gli interventi di Luigi Nieri (Assessore al Bilancio della Regione Lazio) e dell’onorevole Gianfranco Spadaccia (Garante dei diritti dei detenuti del comune di Roma). Nel suo intervento l’Assessore Luigi Nieri, in veste di rappresentante della regione Lazio, ha sottolineato la forte opposizione che, in questi giorni, sta rallentando la firma della proposta di legge recante interventi a sostegno dei diritti della popolazione detenuta. Una situazione che testimonia il forte contrasto tra i principali schieramenti del Consiglio regionale laziale per quanto concerne la concezione di pena. Nonostante l’iter di approvazione prosegua a rilento si dovrebbe giungere entro la prossima settimana alla sua approvazione. Dal suo canto, l’onorevole Spadaccia ha dato grande risalto al forte e importante contributo del terzo settore, che opera per offrire ai detenuti occasioni di recupero e opportunità di inclusione sociale. Tutti i relatori che sono intervenuti nella discussione si sono trovati d’accordo nella valorizzazione del ruolo del mondo del volontariato, come soggetto attivo dell’azione di abbattimento della divisione tra la popolazione carceraria e la restante società civile. Come già affermato da Claudio Messina, anche Emilio Di Somma, presente in veste di rappresentante del Capo Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria, ha ribadito la necessità dell’indulto come provvedimento straordinario adottato per risolvere l’emergenza carceraria. A seguire, Lillo De Mauro (presidente della Consulta permanente del Comune di Roma per i problemi penitenziari) ha parlato dei recenti passi avanti fatti con l’istituzione del Garante Nazionale dei diritti delle persone detenute e degli sforzi per incoraggiare la corretta attuazione della legge N. 230/99. Di grande interesse anche l’intervento del professor Luciano Eusebi, che nella sua relazione ha illustrato le linee secondo le quali si stanno muovendo i lavori della Commissione parlamentare per la riforma del codice penale. La discussione si è infine conclusa con l’analisi delle politiche di welfare e controllo presentata dal professor Enrico Pugliese, il quale si è soffermato sull’aspetto del miglioramento delle politiche sociali come strumento di prevenzione. In generale, è emerso in questa IV Assemblea della Conferenza Nazionale Volontariato Giustizia un segnale di speranza, sostenuto dal ruolo centrale del mondo del volontariato all’interno del sistema carcerario. In questo senso dovrebbe far riflettere il fatto che in Italia si registra il più alto tasso di volontariato in carcere, pertanto esso rappresenta un’importante risorsa nella quale investire per promuovere la coesione sociale. Sicurezza: Miraglia (Arci); il "piano Amato" è un passo indietro
Redattore Sociale, 19 maggio 2007
Miraglia: "Un segnale preoccupante, perché il governo rischia di intraprendere la strada della persecuzione e della criminalizzazione dei migranti e dei rom. Il Piano serve ad alimentare l’isteria che identifica lo straniero come criminale". Il Piano Sicurezza del Ministro degli Interni, Giuliano Amato, ci sembra un segnale preoccupante, perché il governo rischia di intraprendere la strada della persecuzione e della criminalizzazione dei migranti e dei rom". Così Filippo Miraglia, responsabile nazionale immigrazione dell’Arci. Secondo Miraglia, "facendo leva sulla ormai abusata retorica della sicurezza, si vogliono creare nuovi spazi di esclusione, ricorrendo all’abusata e ingiusta sovrapposizione tra immigrazione e problemi di ordine pubblico. Una rappresentazione distorta che rischia di rendere ancora più difficile la vita agli stranieri e di consolidare la percezione negativa nei loro confronti". "È ovvio che la sicurezza, come la legalità, siano problemi reali e necessitino di una risposta adeguata, anche con mezzi straordinari se occorre - continua -, ma un provvedimento come quello che andrà al varo domani con la firma del Ministro, e che prevede vigilanza dei campi rom e attribuzione di poteri straordinari ai Prefetti, serve solo ad alimentare l’isteria che identifica lo straniero come criminale. Se di lotta alla criminalità si tratta, si intervenga allora in maniera più efficace sul disagio urbano, sull’esclusione sociale e sulla discriminazione, le piaghe su cui la criminalità prospera e recluta la sua manodopera. Le prime vittime dei criminali nelle aree di disagio urbano, come dimostrano le statistiche, sono proprio stranieri e rom e bisognerebbe proteggerli anziché criminalizzarli". Sempre secondo Miraglia, "una risposta alla richiesta di più sicurezza della popolazione va trovata sul piano culturale con misure specifiche di costruzione di relazioni locali e interventi di prossimità, attraverso momenti di incontro e di dialogo, non indicando facili capri espiatori. Esprimiamo la nostra forte preoccupazione per quella che sembra essere una risposta repressiva alla domanda di diritti della la fascia più debole della popolazione. I problemi sociali vanno affrontati con le giuste riforme legislative (ed il ddl Amato/Ferrero, nel suo percorso di consultazione, sembra averne tutti i requisiti), con un impegno forte e inclusivo che parli di accesso alla casa, al sistema sanitario, alla scuola". E conclude: "Le soluzioni dei tanti problemi delle comunità locali, compresa la localizzazione e il degrado di molti campi rom, vanno costruite con le istituzioni, i soggetti sociali e le associazioni che operano sul territorio, dando la parola ai diretti interessati. L’attribuzione di poteri speciali ai Prefetti verrebbe letta anche da noi, come una scelta che esclude la partecipazione e il protagonismo sul territorio. Bisogna trovare risposte equilibrate, che rispettino le esigenze e i diritti di tutti". Sicurezza: Gasbarra (Provincia Roma); sì al "patto per legalità"
Redattore Sociale, 19 maggio 2007
Il presidente della Provincia di Roma: "Lo spirito che lo animerà non sarà quello della tolleranza zero, ma della solidarietà e legalità al 100%: accogliamo tutti, ma devono rispettare le regole, elemento di convivenza civile". Il patto per la legalità siglato oggi a Roma sarebbe piaciuto anche a Don Luigi Di Liegro, il sacerdote che nella capitale diede voce a chi non ne aveva, e di cui ricorre quest’anno il decennale della scomparsa (12 ottobre 2007). Questa l"opinione che ha espresso oggi Enrico Gasbarra, presidente della Provincia di Roma, in occasione della presentazione alla stampa della fiction a lui dedicata, visto che lo spirito animerà il patto non sarà quello della "tolleranza zero", ma della "solidarietà e legalità al 100%: accogliamo tutti, però devono rispettare le regole, elemento di convivenza civile". La fiction, secondo Gasbarra, racconta di "istituzioni che da allora sono completamente cambiate". Don Di Liegro "scuote la classe politica, facendo diventare centrali le politiche sociali, conduce la Chiesa al convegno sui mali di Roma, eppure lui ha il rispetto delle istituzioni, basta pensare all’episodio dello sgombro della Pantanella (in cui il sacerdote cerca un accordo con il Campidoglio, ndr)". I tempi sono cambiati, "lo scontro di oggi - ha sottolineato il presidente - è quello tra due povertà, quella degli immigrati e degli italiani meno abbienti, il lavoro delle istituzioni è pensare prima di tutto ai più deboli, per non creare guerre tra poveri". Ma il patto per la sicurezza accoglie il messaggio di Don Di Liegro, secondo Gasbarra, visto che noi riteniamo che lo slogan "tolleranza zero", coniato dal sindaco di New York, Rudolph Giuliani, in occasioni del crollo delle Torri Gemelle, "vada sostituito con solidarietà ma anche legalità al 100%". Alla domanda sul cosa fare di fronte alle baracche che sono ricomparse lungo il fiume Aniene, il presidente ha risposto che "il tema dei nomadi e degli immigrati investe l"Europa, le grandi città, ma Roma è la città che ha integrato il maggior numero di extracomunitari. Le istituzioni locali non sono in grado di chiudere le frontiere, la domanda è come alzare a livelli diversi i servizi", magari con qualche auto blu in meno e prestare più attenzione alla persona. Legalità sì, però a patto di rispettare la dignità umana e l’individuo, la legge usata per difendere i diritti umani. Questo il pensiero di Don Di Liegro secondo la nipote Luigina, vicepresidente della Fondazione a lui intitolata. "Mio zio fu uno dei fautori della legge sull’immigrazione - ha sottolineato la donna - , era consapevole che c’è bisogno di regole per la convivenza, ma con un occhio alle problematiche dell’individuo". Pedofilia: il "caso Rignano"; tutti vogliono conoscere la verità
Il Tempo, 19 maggio 2007
Tutti gli abitanti di Rignano Flaminio, gli indagati e i genitori dei bambini che avrebbero subito abusi sessuali. E così ieri è arrivata la richiesta da parte del pm di Tivoli di compiere un vero e proprio "confronto all’americana" tra i bimbi della scuola "Olga Rovere" e chi è stato arrestato e poi scarcerato. Un atto istruttorio che potrebbe servire per tentare di far luce su una vicenda che ha sconvolto una comunità intera che ha sempre urlato l’innocenza degli indagati. Estraneità ai fatti alla quale però qualcuno, oltre ai papà e alle mamme dei bambini, non vuole proprio credere, tanto da arrivare a scrivere accanto al portone dello studio del professor Franco Coppi, che assiste una maestra e il marito, "avvocato nessuna difesa per i pedofili", "Coppi verme" e "morte a chi difende i pedofili". Parole che, secondo alcuni collaboratori del noto penalista, sarebbero state firmate dalla formazione politica di estrema destra Forza Nuova. Tutti comunque, colpevolisti e innocentisti, sono uniti su un punto: tutelare il più possibile i bimbi finiti al centro di una terribile vicenda giudiziaria. La richiesta del magistrato Marco Mansi di effettuare un incidente probatorio sui bimbi vittime dei presunti abusi sessuali, è stata presentata nelle mani del giudice per le indagini preliminari Elvira Tamburelli. Se il giudice dovesse accoglierla, saranno sottoposti all’atto istruttorio diciannove minorenni, quattro in più rispetto a quelli citati nell’ordinanza di custodia cautelare: questo perché sarebbero giunte nei giorni scorsi sulla scrivania del sostituto procuratore di Tivoli altre denunce. Anche sulla possibilità di eseguire l’incidente probatorio è scoppiato uno scontro tra genitori dei bimbi e indagati. Gli avvocati dei primi infatti sono favorevoli alla richiesta del pm, a differenza invece dei colleghi degli indagati, secondo i quali le testimonianze dei minorenni oramai non sarebbero "più genuine". In quell’occasione i bimbi dovranno infatti ripercorrere i "ricordi" delle violenze. Ecco comunque cosa accadrà nel caso in cui il gip dovesse accogliere la richiesta del pubblico ministero. I bambini saranno sottoposti preventivamente a una perizia psichiatrica per valutare se siano o meno in grado di testimoniare. In caso positivo, il magistrato ha chiesto che sia svolta una ricognizione, cioè mettere in una stanza divisa da un vetro sia i bambini sia gli indagati. Tutto rigorosamente con la presenza di uno psicologo seduto accanto al bimbo. Entro due giorni dalla notifica delle richieste del pm, i difensori dei sei indagati potranno presentare le proprie controdeduzioni. Dopodiché il gip prenderà la sua decisione. Se dovesse stabilire una data per l’incidente probatorio, dovranno presentarsi nella stanza divisa da un vetro la maestra Patrizia Del Meglio, il marito, produttore televisivo, Gianfranco Scancarello, le maestre Marisa Pucci e Silvana Magalotti, il benzinaio cingalese Kelum Weramuni De Silva e la bidella Cristina Lunerti. Quest’ultimi vedrebbero i bambini dall’altra parte del vetro, possibilità che invece potrebbe essere impedita ai minori che a quel punto sarebbero sottoposti alle "interviste" degli inquirenti. A porre le domande al minore sarebbe solo lo psicologo, con il quale giudice e parti comunicherebbero attraverso un citofono. E l’intero interrogatorio verrebbe video-registrato. Il bambino sarebbe informato dallo psicologo del proprio ruolo, delle ragioni per cui si trova lì e di chi c’è dall’altra parte dello specchio. Poi si procederebbe alle domande, che vanno poste con particolari accortezze: "Lo psicologo deve far parlare liberamente il bambino della sua vita - ha spiegato lo psicologo forense dell’Ordine del Lazio Paolo Caprie - partire da lì per arrivare ai fatti per i quali di procede". Non solo. "Le domande devono essere aperte e non induttive. Per esempio non si può chiedere "quell’uomo ti ha toccato, vero?", perché il bambino tende a essere consenziente, insomma a dire ciò che l’adulto si aspetta da lui. E per la stessa ragione, la tendenza del bambino ad assecondare chi lo interroga, non si può ripetere due volte la stessa domanda sui fatti per i quali si procede. Lo psicologo non può fare pressioni sul bambino, con promesse; non può quindi dirgli "se mi parli di quella cosa lì, ti compro un gelato". Né può trattenerlo a sé, bloccarlo con le braccia, ma deve lasciarlo libero di muoversi". Per quanto riguarda infine le scritte minacciose lasciate sui muri del palazzo nel quartiere Parioli a Roma dove ha sede l’ufficio dell’avvocato Franco Coppi, il penalista ha deciso di sporgere una denuncia ai carabinieri: "Una presenza discreta di forze dell’ordine - ha dichiarato il professore - tiene sotto controllo la situazione". E intanto una decina di vicini di casa degli indagati sono stati ascoltati dai carabinieri. I militari hanno chiesto ai testimoni se avessero mai visto entrare bimbi nelle abitazioni degli indagati. Sulla vicenda ieri è sceso in campo anche il Dap, il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, dopo aver compiuto un’ispezione partita dopo le parole pronunciate da alcune detenute subito dopo essere state scarcerate. "Ci hanno picchiate". "Non ci sono stati "pestaggi" o maltrattamenti in carcere ai danni delle tre maestre di Rignano Flaminio accusate di pedofilia: durante la detenzione di Patrizia Del Meglio, Marisa Pucci e Silvana Magalotti si sono verificati solo due episodi di "modesta entità", che non sono degenerati perché la polizia penitenziaria ha adottato "misure adeguate" per prevenire eventuali aggressioni o incidenti nella Casa circondariale femminile di Rebibbia", è emerso dall’ispezione che il capo del Dap, Ettore Ferrara, ha trasmesso al ministro della Giustizia Clemente Mastella. Sanità: comunicato del Sai - Sindacato Autonomo Infermieri
Comunicato stampa, 19 maggio 2007
Sempre più spesso, ultimamente, si leggono proclami di alcune associazioni mediche penitenziarie tese a rivendicare il merito di essere riuscite a convincere le parti politiche a restituire quanto tolto in sede di assegnazione fondi per il funzionamento della sanità penitenziaria. Sempre più spesso abbiamo letto di proteste, scioperi ed incatenamenti contro il passaggio della sanità penitenziaria nel servizio sanitario nazionale e per salvaguardare la professionalità delle figure sanitarie penitenziarie messe a rischio con l’eventuale passaggio. A distanza di poco tempo, oggi leggiamo la mozione finale votata all’unanimità al congresso dell’Amapi, a firma degli incatenati, la quale non solo afferma la necessità del passaggio della sanità penitenziaria al SSN come "… unica prospettiva razionale …", ma termina con la frase: "Costruiamo, insieme, questo futuro, finalmente lontani dalle umiliazioni che ci ha riservato l’Amministrazione Penitenziaria". Tali fatti evidenziano, a nostro avviso, tutta quella assenza di strategia nell’affrontare le necessità assistenziali del paziente ristretto cercando solo di cavalcare demagogicamente i punti di crisi cui un sistema complesso come quello del servizio sanitario penitenziario è soggetto a cadere specialmente quando è applicato senza alcun progetto obiettivo e/o la parte dirigenziale (medica e non) si muove aprioristicamente contro ogni direttiva tendente a modificare lo status quo per cercare di migliorare l’assistenza stessa. La nostra Organizzazione Sindacale ha da sempre affermato il proprio disinteresse al sapere se chi paga è il Servizio Sanitario Nazionale o quello Penitenziario in quanto il nostro interesse è teso solo ed esclusivamente al riconoscimento della nostra professionalità che si traduce in assistenza; soltanto che da anni abbiamo individuato nel Ssn, rispetto al Ssp ancora troppo proteso verso l’area della sicurezza in nome della quale tutte le altre aree venivano tenute in secondo piano, un Servizio più moderno e quindi più propenso a cogliere il nuovo coinvolgendo maggiormente la nostra figura professionale nei progetti obiettivo dell’assistenza ai detenuti, così come riteniamo che la restituzione dei fondi per il funzionamento della sanità penitenziaria non sia avvenuto per le proteste, in parte anche con motivazioni forzate, di una parte di lavoratori ma semplicemente perché parti politiche governative da sempre vicine alle problematiche penitenziarie si sono rese conte delle effettive necessità economiche. Non vorremmo che qualcuno abbia radicalmente invertito il proprio pensiero in virtù di promesse, e non vorremmo che tali promesse si traducano in atti dannosi per la categoria infermieristica così come successo all’interno del servizio sanitario penitenziario quando ogni problematica veniva, e viene, risolta con bastonate nei confronti degli infermieri. Ma proprio queste radicali inversioni di pensiero, che possono essere soltanto lette come inaffidabilità in chi le compie, non possono che rassicurare noi come professionisti e gli utenti del nostro servizio.
Marco Poggi, Segretario S.A.I. Reggio Calabria: prima visita al carcere del ministro Mastella
Comunicato stampa, 19 maggio 2007
"Il carcere che lavora è un carcere più umano" con queste parole il Ministro Mastella ha inaugurato il nuovo laboratorio di lavorazione marmi "La Bottega di Michelangelo", finanziato con fondi della Cassa delle Ammende ed interamente realizzato dai detenuti ristretti nella casa circondariale reggina. Ma la giornata della visita era iniziata nel primissimo pomeriggio nel cortile dell’ingresso dell’istituto sotto un sole splendente ed un caldo di piena estate. Moltissimi gli ospiti attendevano l’arrivo di Clemente Mastella; per l’evento tutte le Autorità si sono recati presso l’istituto. Il Ministro Clemente Mastella era accompagnato dal Signor Sottosegretario alla Giustizia, dal Capo del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria e dal Direttore Generale dell’Ufficio Detenuti e Trattamento. Tutti presenti i rappresentanti politici, istituzionali e degli enti locali. Uno squillo di tromba ha salutato il suo arrivo in istituto ed il picchetto del Corpo di Polizia Penitenziaria ha reso gli onori al Guardasigilli della Repubblica. Il primo momento dell’intensa giornata è stato il "taglio del nastro" per l’inaugurazione dell’importante laboratorio, costruito in circa dieci mesi, in cui i detenuti si dedicheranno alla lavorazione del marmo. "Una iniziativa lodevole e degna di essere esportata altrove" ha detto il Guardasigilli, dopo avere tagliato il nastro inaugurale del laboratorio, "…perché in carcere il tempo morto è quello che sterilizza anche la speranza". Il Ministro con tutte le Autorità presenti, ha quindi visitato il laboratorio costituito da un ampio capannone dove sono allocati sofisticate e moderne macchine per la lavorazione dei marmi; alcuni detenuti hanno illustrato il funzionamento e le diverse ed innumerevoli tipologie di lavorazioni che queste moderne macchine sono in grado di realizzare. Subito dopo, il Ministro ha salutato i detenuti che hanno fattivamente lavorato per la realizzazione dell’opera; ha stretto le mani di tutti i detenuti e da loro ha ricevuto in dono un bellissimo veliero in legno costruito dai detenuti del carcere di San Pietro: "vogliamo ringraziare il Ministro - afferma un detenuto a nome di tutti - e colo che ci hanno dato la possibilità di metterci alla prova". Il Ministro ha subito loro risposto: "Vi ringrazio davvero per l’atto di ospitalità ed anche perché questa nave è più bella di quella che i detenuti di Rebibbia hanno regalato al Capo dello Stato. Io posso assicurarvi che la mia azione di Governo sarà sempre rivolta a rendere più vivibile la detenzione del recluso". Si è passati quindi alla visita dei nuovi locali interamente ristrutturati: due aule scolastiche ed una palestra super attrezzata dove il ministro, rompendo ogni formalità, ha dato ai presenti una dimostrazione pratica di ginnastica cimentandosi con i vari attrezzi. Il corteo ministeriale si è quindi spostato nell’ampio salone: "il laboratorio rappresenta un tassello di speranza - commenta la direttrice dell’istituto, Maria Carmela Longo - realizzato in appena 10 mesi, grazie al contributo della Regione Calabria. Un risultato che ci stimola a dare nuove opportunità ai detenuti, alla pena non si aggiunga altra sofferenza". "È il risultato di un percorso nuovo, dettato dal centro - afferma il sindaco Scopelliti - ma favorito anche dalla capacità degli enti locali di creare convergenza istituzionale. Entrando in città non sarà sfuggito alla vista del ministro - sottolinea - la nuova struttura che sta sorgendo, il Palazzo di Giustizia". Soddisfazione espressa anche dal vicepresidente del Consiglio provinciale Gesualdo Costantino. "Attrezzare le Case Circondariali di tutta la Calabria con laboratori di questo tipo - commenta l’Eurodeputato Armando Veneto - testimonia una giustizia a dimensione umana". Speriamo così di reinserire i detenuti in modo utile, dandogli una specializzazione li affranchiamo dal bisogno" afferma l’assessore regionale alle attività produttive Pasquale Tripodi. Nel suo intervento Mastella ha inoltre dichiarato "La mia presenza significa che lo Stato c’è, la giornata di oggi riporta la speranza anche al di qua delle mura. Il regalo che ho appena ricevuto dai detenuti mi rende giustizia rispetto ad un carico, a volte ingiusto che è calato sulla mia persona per il provvedimento di clemenza votato dal Parlamento. Era giusto farlo, un grande Paese deve anche dimostrare di essere umano e di vivere con civiltà la propria condizione carceraria." A conclusione dell’incontro il Ministro si è recato presso il giardino attrezzato dell’Istituto dove ha incontrato e salutato affettuosamente il personale di Polizia Penitenziaria che per l’occasione ha profuso il massimo sforzo per la realizzazione e lo svolgimento dell’evento. Dentro la meravigliosa cornice di verde e sotto i meravigliosi gazebo ornamentali a festa, il Ministro ha avuto modo di dimostrare il suo elevato senso di sensibilità e le sue innate capacità di relazionarsi con tutti gli operatori, dai giovani agenti pieni di entusiasmo, ai medici, cappellano, educatori Assistenti sociali, volontari e non ultimo con i rappresentanti della carta stampata e delle testate giornalistiche accorsi numerosi per essere testimoni dell’ennesimo evento realizzato presso la Casa Circondariale di Reggio Calabria. Questa in sintesi la storia di una giornata importante per l’istituto reggino ma particolare e per certi versi storica per quanti vi operano, Dalla Direttrice Longo - artefice del cambiamento- a tutti coloro che quotidianamente ci credono veramente. L’istituto reggino in questi ultimissimi anni ha posto in essere adeguati interventi volti ad assicurare alla struttura penitenziaria una fisionomia non solamente custodiale ma anche trattamentale, perché il detenuto sia in grado di gestire in maniera responsabile non solo la propria detenzione ma anche il suo rientro nel contesto sociale. Tra gli strumenti per dare contenuto a tale progettualità, particolare rilevanza è stata rivolta al lavoro intramurale, elemento attraverso il quale si realizza il processo rieducativo e la reintegrazione sociale. Ed è proprio in quest’ottica che si inquadra l’ennesima opera realizzata la "bottega di Michelangelo" che, a fronte delle note problematiche economiche e sociali della regione, offrirà la possibilità formativa-lavorativa ai detenuti della Casa Circondariale di Reggio Calabria. La Convenzione "Il Carcere che lavora", stipulata nello stesso contesto, rappresenta inoltre un’importante forma di collaborazione che viene attivata dalla Regione Calabria e Amministrazione penitenziaria Calabrese per dare ulteriore impulso all’attivazione in tutti gli Istituti penitenziari della Calabria di nuove opportunità lavorative. Collaborazione che si è già concretizzata nella pubblicazione da parte della Regione Calabria del Bando per la realizzazione di svariati corsi di formazione professionale in favore della popolazione detenuta della Regione.
Emilio Campolo, Direttore Area pedagogica Casa Circondariale Reggio Calabria Lamezia: lo scrittore Ruggero Pegna incontra i minori detenuti
Lamezia Web, 19 maggio 2007
"Ho messo da parte un po’ di pagine della mia vita. Conservale nel cassetto dei tuoi ricordi più cari. E tirale fuori quando vorrai sentire più forte il battito del cuore. Custodisci anche la penna che le ha scritte. Quando finirà di riposare, terrà anche a te sicura compagnia". Inizia così il 5 settembre 2002 il viaggio fantastico del detenuto n° 114 in una cella immaginaria della prigione di Bronswille, il ghetto nero di Brooklyn. Centosessantasette mesi, cinquemila giorni, quattordici anni. Minuti, secondi, attimi trascorsi in una stanza troppo piccola per tutta una vita che sta scivolando via. Una vita, due vite parallele: quella irreale del detenuto n. 114 che da dentro la sua cella lascia una traccia attraverso il potere di una cara e vecchia penna e quella reale, drammaticamente reale di Ruggero Pegna che, nel suo libro "Miracolo d’amore" ripercorre la sua "prigione" vissuta durante la leucemia nella Degenza 5 dell’ospedale Pugliese e immagina di essere proprio quel detenuto che nella sua cella vede i raggi del sole, riflessi sul cuscino, ogni giorno più corti. È stato un Ruggero Pegna autentico quello che si è presentato ai detenuti della Casa Circondariale di Siano durante un incontro voluto dal direttore Mario Antonio Galati, presente anche la responsabile dell’aria educativa Arianna Mazza, per condividere stati d’animo ed emozioni che, seppur scaturite da situazioni diverse, hanno in comune il bene essenziale per ogni individuo: la privazione libertà. "Riuscire a sopportare di vivere un periodo della propria vita in spazi ristretti dove si è fisicamente lontani da tutto ma mentalmente vicini a ciò che ci è più caro". In questa frase condivisa sia da Pegna e sia dagli ospiti di Siano si intreccia l’esperienza della malattia vissuta dal promoter calabrese nel 2002 con quella di chi per un errore, consapevole o no, è costretto a vivere dietro alle sbarre. Una testimonianza di speranza vicendevole per riuscire a tornare alla normalità assoluta della vita. "Si tratta di esperienze che ci porteremo dentro per tutta la vita e che non possiamo far finta che non ci siano state - ha detto Pegna -. Mi sono immedesimato in un detenuto che doveva rispondere alla società di un qualcosa che non avevo fatto, che non avevo scelto ma che avevo invece subito senza volerlo e ho sofferto di più sentendomi uno di voi che un malato terminale". Molti sono stati i confronti, con toni anche simpatici, che sono intercorsi tra Pegna e i detenuti che hanno tutti avuto la possibilità di leggere il libro. Riferendosi ad una frase del suo ultimo lavoro, "La pecora è pazza. un anno da Arcore a Locri", Pegna ha detto: "Con un pezzo di miracolo tutti insieme possiamo combattere ogni tipo di cancro. Tornare alla normalità significa sconfiggere cellule impazzite con una grande forza interiore, l’energia giusta che o malati o detenuti, riesce a correggere sbandate che a volte possono essere anche letali". Droghe: Toscana; si cerca un farmaco contro la cocaina
Notiziario Aduc, 19 maggio 2007
Il progetto della Toscana: uno studio a partire dall’individuazione del principio attivo, sul modello di eroina e alcool. Prevista anche la formazione degli operatori. Sarà realizzato dalla Società della Salute di Firenze e dal Ceis. Lotta alla dipendenza da cocaina attraverso la sperimentazione di farmaci e la formazione degli operatori dei servizi pubblici e privati. La Toscana mette in campo una vera e propria task force, prima regione in Italia a farlo, per cercare di sconfiggere il fenomeno attraverso il "Progetto Cocaina", finanziato dalla Regione e realizzato dalla Società della Salute di Firenze e dal Ce.I.S. (Centro Italiano di Solidarietà) di Pistoia. L’individuazione di un rimedio farmacologico per la cura della dipendenza (come avviene ad esempio per l’eroina o l’alcol) rappresenta la vera novità del modello proposto dalla Toscana. Individuato il principio attivo, occorreranno l’approvazione del comitato etico ed una fase di sperimentazione prima di arrivare ad un farmaco specifico. Qualche dato può essere utile per fotografare il quadro della situazione. La domanda di cura per dipendenza da cocaina è aumentata, passando dai 7.700 casi del 2000 agli oltre 21.000 del 2005; il solo consumo è rilevato in circa il 40% dell’utenza dei servizi pubblici. Si stima che i consumatori di cocaina in Italia siano più di 700.000, di cui circa 135.000 già con ricorrenti e significative conseguenze cliniche e sociali. Dati dello studio IPSAD 2005 (Italian on Population Survey on Alcohol and Drugs) evidenziano che in Italia quasi il 7% dei soggetti adulti (15-54 anni), hanno consumato cocaina almeno una volta nella propria vita. Questo dato risulta essere di circa 3 punti percentuali più alto rispetto a quello rilevato nel 2003 (4,6%). Anche a livello regionale i dati epidemiologici confermano una capillare diffusione della droga sul territorio. L’abbassamento del costo ha favorito l’incremento della domanda, un allargamento dell’"utenza" ed un costante aumento dei consumi. Per comprendere la particolare diffusione che questa sostanza sta assumendo nelle diverse classi di età è interessante la ricerca condotta dall’Ars nel 2005 (il cui scopo era indagare, le principali abitudini, gli stili di vita e i comportamenti a rischio, tra cui il consumo di sostanze illecite) su un campione di 4951 studenti toscani: il 5,6% ha assunto cocaina almeno una volta nella vita (dato superiore a quello nazionale che si attesta sul 4,8%), il 3,9% ne ha fatto uso negli ultimi 12 mesi, l’1,6% negli ultimi 30 giorni. Analizzando quest’ultimo segmento, risulta che il 65% ne ha fatto uso almeno una volta la settimana, il 14% alcuni giorni la settimana, il 7,8% tutti i giorni. Nel 2005 coloro che si sono rivolti ai Sert sono stati più di 12mila (82,5% maschi e 17,5% femmine) il 19,6% dei quali nuovi utenti. I consumatori di cocaina sono aumentati dal 6% del 1991 al 10% del 2005. L’uso secondario della sostanza è invece aumentato dal 7% al 26%. Questa realtà ha indotto i responsabili dei servizi pubblici e privati toscani ad unire le forze per attivare un sistema di cura e prevenzione che possa trasformarsi in un modello esportabile al resto del territorio nazionale. Infatti, a fronte di un aumento del consumo, sia generale che problematico, da un lato non esiste una risposta qualificata ed omogenea per la cura e la prevenzione del fenomeno e dall’altro è raro che i cocainomani si rivolgano ai servizi esistenti, i Sert, proprio perché non si considerano tossicodipendenti. Per l’individuazione di principi attivi farmacologici efficaci e la successiva sperimentazione regionale di medicinali per il trattamento della dipendenza è stato creato un panel di esperti provenienti dai servizi pubblici e privati al quale hanno aderito anche studiosi delle regioni Piemonte e Veneto e dell’Istituto Superiore di Sanità. I lavori sono iniziati lo scorso 20 aprile a Firenze e si sono conclusi oggi con l’individuazione di un principio attivo il quale, dopo l’approvazione da parte di un comitato etico, sarà sperimentato in Toscana entro la fine del 2007 per ottenere risultati definitivi entro i primi mesi del 2008. Si tratta di una sperimentazione che non ha precedenti in Italia. Un primo intervento è stato avviato a partire dallo scorso marzo, con l’attivazione di un percorso formativo diretto agli operatori dei servizi pubblici e privati. È lo stesso Piano Sanitario Regionale 2005-2007, nella parte dedicata alle dipendenze, a prevedere la costituzione per aree vaste di centri specialistici per i consumatori di cocaina. L’intervento formativo è diretto a fornire agli operatori le conoscenze necessarie per l’applicazione del metodo cognitivo comportamentale, tradotto e applicato in Italia dal dottor Augusto Consoli, responsabile del Dipartimento per le Dipendenze della città di Torino. Finora, in mancanza di trattamenti farmacologici scientificamente validati (al contrario di ciò che accade per altri tipi di dipendenza) si è rivelato l’unico trattamento in grado di dare qualche risultato. Il progetto, denominato "Perseo" e gestito dal Ce.I.S. di Pistoia insieme ai responsabili dei dipartimenti per le tossicodipendenze di Firenze, Arezzo, Pisa e Pistoia, è iniziato il 23 marzo (suddiviso per Area vasta) e si concluderà a settembre. Sono complessivamente coinvolti nelle 5 giornate di studio 90 operatori; 18 di questi, ad ottobre, prenderanno parte ad uno stage residenziale in una comunità per cocainomani a Torino. Le risorse messe a disposizione dalla Regione in questa prima fase (formazione, panel di esperti e campagne di informazione e sensibilizzazione) ammontano a 100mila euro (30mila assegnati alla Società della Salute e 70mila al Ce.I.S. di Pistoia). Per la sperimentazione farmacologica ed il sostegno ai 4 centri per cocainomani (Firenze, Arezzo, Pistoia e Pisa) arriveranno altri finanziamenti regionali. Droghe: l'autopsia sullo studente morto non rileva malattie
Notiziario Aduc, 19 maggio 2007
"Nessun segno evidente di malformazioni congenite" né di altre patologie: dall’esito dell’autopsia, gli inquirenti hanno avuto il primo riscontro scientifico sul fatto che Dario Evola, il ragazzo di 15 anni morto, mercoledì scorso dopo un malore in classe all’istituto sperimentale Gadda di Paderno Dugnano, "era in perfetta forma", come a più voci avevano assicurato dopo il decesso coloro che lo conoscevano. L’autopsia, condotta questa mattina all’Istituto di Medicina Legale di Milano e coordinata dal professor Franco Lodi, non ha evidenziato problemi fisici tali da giustificare la morte. Ora gli accertamenti andranno avanti, con gli esami istologici e tossicologici che serviranno anche a capire con certezza quale sia la sostanza che il giovane studente della 1/A L ha fumato in corridoio circa dieci minuti prima di accasciarsi a terra davanti ai suoi compagni. I carabinieri da due giorni stanno sentendo molti dei testimoni diretti degli ultimi momenti di vita di Dario e tutti coloro che possono aiutare a capire che cosa il ragazzo abbia fumato e chi gli abbia ceduto la sostanza. Si ascoltano i compagni di scuola, il professore di economia e diritto che al momento del malore era alla lavagna, ma anche la vicepreside della scuola, Tiziana Tebaldi. I ragazzi in particolare avrebbero dato indicazioni sulla sostanza probabilmente aspirata da Dario ma, stando agli investigatori, non sarebbe stato individuato il presunto pusher che gliel’avrebbe fornita. "Di spinello classico non si muore - ha spiegato il professor Lodi - si muore solo se nello spinello sono state inserite altre sostanze nocive, come il crack". Ipotesi, quella del crack, definita "di ragionamento" ma di fatto esclusa dagli inquirenti. Nel caso venisse accertata una relazione, anche indiretta, tra il consumo di stupefacenti e la morte del 15enne, l’inchiesta, per ora ferma a un fascicolo contro ignoti con l’ipotesi di "morte in conseguenza di altro reato" potrebbe passare per competenza territoriale alla Procura di Monza, con un’ipotesi più grave. "Il fenomeno della droga a scuola si combatte con una maggiore prevenzione, attraverso l’educazione, e non solo reprimendo", ha commentato intanto il capo facente funzione della Procura dei Minori di Milano, Vittorio Pilla. "La scuola si deve riappropriare pienamente del suo ruolo formativo". Quello della droga fra i banchi "è un fenomeno preoccupante e tendenzialmente in crescita", anche se fortunatamente "i giovani sono legati prevalentemente alle cosiddette droghe leggere, quali marijuana e hashish". "Per contrastare la pesante diffusione e il consumo di stupefacenti nelle scuole vanno intensificati al massimo gli interventi di prevenzione e di sorveglianza sulla salute dei giovani da parte di insegnanti e genitori". Giovanni Serpelloni, direttore dell’Osservatorio Regionale sulle Dipendenze della Regione Veneto, interviene così sul giovane deceduto dopo avere fumato droga a scuola. Altrettanto importanti, rileva, gli avvertimenti sulla pericolosità dell’assunzione per la salute dei giovani e "sull’impossibilità da parte di chi fa uso di sostanze di conoscere la reale composizione di ciò che sta per immettere nel proprio organismo, con rischi anche mortali in caso di tossicità elevata. Non sono da escludere - aggiunge - anche interventi periodici all’interno delle scuole, e non solo nei pressi, di cani poliziotto, così come auspicato anche dagli stessi studenti in un’indagine svolta qualche mese fa in alcune scuole veronesi. Gli stessi studenti - prosegue - chiedevano più protezione da spacciatori e compagni dediti all’uso e cessione di droghe che spesso utilizzano l’ambiente scolastico come piazza di smercio di sostanze a piccolo taglio". In Veneto la sostanza più diffusa fra i giovani è la cannabis, sperimentata da più del 25% dei ragazzi fra i 12 e i 24 anni e usata abitualmente dal 15% di essi. Secondo le elaborazioni dell’Osservatorio Regionale sulle Dipendenze, inoltre, manca la conoscenza degli effetti delle sostanze: fino all’80% dei giovani ad esempio non conosce quelli di cannabis, steroidi e cocaina. I giovani mostrano di avere una elevata percezione del rischio solo per sostanze come eroina (92%), anfetamine (91%) e cocaina (90%), mentre tale percezione si abbassa notevolmente per alcol (80%) e cannabis (76%).
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