Rassegna stampa 11 luglio

 

Giustizia: lettera aperta di un ergastolano al Ministro Mastella

di Sandro Padula (ergastolano in regime di semilibertà)

 

Liberazione, 11 luglio 2007

 

L’abolizione dell’ergastolo è una necessità di diritto affermata già in Europa. In Italia il rischio è di passare dal "fine pena mai" a 38 anni di detenzione.

Egr. Ministro, dopo l’approvazione dell’indulto, Lei è stato bombardato di critiche dalle forze più forcaiole e ignoranti di questo paese. Lei ha difeso con coraggio quell’atto politico spiegandone le ragioni. Ha precisato che l’indulto è stato opera dei 2/3 del parlamento, ma ad un certo punto si è sentito in una situazione di grande imbarazzo e ha deciso di non favorire più nuove misure di clemenza (come l’amnistia) e di rendere sempre più moderata la sua attività politica in qualità di Ministro della Giustizia. Lei ha il diritto di essere cauto e moderato. Non è questo il problema che qui si vuole evidenziare. Qui si desidera fare con lei un ragionamento politico.

Criticando in questi giorni alcuni obiettivi della Commissione Pisapia per la riforma del codice penale, in particolare sul tema dell’abolizione dell’ergastolo, per altro previsto in campagna elettorale dal programma della coalizione di centro-sinistra, Lei ha usato un modo di fare polemica politica del tutto legittimo ma che non entra nel merito delle proposte. Vediamo la questione dell’abolizione dell’ergastolo. Da quanto si riesce a sapere, la Commissione Pisapia ha proposto una lunga pena detentiva al posto del "fine pena mai"; si tratterebbe, in sostanza, al di là del balletto sulle cifre, di una pena nettamente più lunga rispetto a quella analoga di tutti i paesi europei che hanno già eliminato la pena del carcere a vita.

Come lei ben sa, nei paesi dell’Unione Europea che hanno abolito l’ergastolo il tetto massimo di pena detentiva è mediamente attorno ai 20 anni. In Italia il tetto massimo, anche considerando la possibile liberazione condizionale dell’ergastolano, è sempre stato molto più alto e questa tradizione sta condizionando anche le proposte sull’abolizione dell’ergastolo.

Certamente è un progresso il voler abolire l’ergastolo come auspica la Commissione Pisapia. D’altra parte, se Lei signor Ministro della Giustizia critica aprioristicamente tale progresso, il rischio è che, soprattutto a causa delle forze favorevoli a quella che Cesare Beccaria chiamava "pena di schiavitù perpetua", si passi dal "fine pena mai" ad una pena massima corrispondente a 38 anni!! Si rende conto della gravità della situazione?

Qui non si tratta di discutere se l’ergastolo vada abolito o meno ma di come abolirlo. Qui si deve entrare nel merito delle proposte senza dimenticare mai, neanche per mezzo secondo, che l’Italia fa parte della Ue e che nelle patrie galere ci finiscono esseri umani in carne ed ossa e con determinati bisogni di relazioni sociali. Un essere umano, arrestato a 40 anni, con una pena detentiva di 38 anni rischia di morire in carcere.

Quindi, per favore, cerchiamo di essere ragionevoli e veramente moderati quando parliamo della vita altrui. L’ergastolo va abolito perché è di per sé una barbarie. Nell’Italia repubblicana si è vergognosamente temporeggiato per 60 anni rispetto a tale questione. Non si può perdere altro tempo prezioso!

Coraggio, signor Ministro, faccia un passo indietro riconoscendo l’errore politico costituito dalla sua dichiarazione contraria all’ipotesi di abolizione dell’ergastolo.

Mi trovo in carcere da moltissimi anni e sono un ergastolano. Le posso assicurare che l’esperienza del carcere è qualcosa di paradossale. È una non-esperienza sociale; è il più duro e prolungato attacco a quell’unità vitale, necessaria all’esistenza di ogni essere umano, fra il corpo fisico e il corpo in relazione (con gli altri e il resto della natura); è il contrario del diritto alle convivenze volontarie; è il dovere alla convivenza forzosa; è un miscuglio di dipendenze e disagi; è la premiazione dei comportamenti infantili, ipocriti o spionistici; è il compagno di cella che rischia di morire d’infarto per assenza di un defibrillatore; è la cicca in terra contesa da diversi detenuti poveri; è l’arte dell’arrangiarsi e dei mercati neri; è insieme industria sub-culturale e mercanteggiamento perfino per trovare una cella decente; è la burocrazia della domandina per chiedere qualsiasi cosa (dal cibo all’inoltro di una istanza); è un insieme di telecamere di controllo e metal detector; è una grave deprivazione sensoriale; è un tatto che, impoverito com’è, ha quasi paura di se stesso tanto da farti indossare una specie di seconda pelle protettiva sul corpo fisico; è una vista che, non sapendo più cosa sia un orizzonte e conoscendo mura di cinta e cieli a scacchi, si abbassa rapidamente; è un udito costretto a diventare ipertrofico per decodificare rumori lontani che possono significare anche morte o suicidio, pestaggi o litigi in un’altra cella; è la mutilazione involontaria da sé delle relazioni sociali e affettive che punisce anche coniugi, madri, sorelle, figli, padri e amici; è la stressante attesa di un’ora di colloquio a settimana; è altresì punizione e torsione psico-fisica per i bambini che nascono da madri detenute e già si trovano nelle patrie galere. Il carcere è un insieme di carceri, compresi quelli clandestini usati per le torture (come ho avuto modo di conoscere sulla mia pelle nel 1982) e anche di carceri nelle carceri; è una matrioska di diverse forme di schiavitù e di feudalesimo.

Il carcere è l’ipocrisia di una società antiquata che si illude di purificare se stessa usando la logica del capro espiatorio. Il carcere è uno specchio di una società prigioniera del denaro e di oppressioni vecchie e nuove. Lei crede davvero che il carcere sia il modo migliore per rispondere a chi trasgredisce le leggi e le regole della pacifica convivenza? Lei crede davvero che il carcere faccia del bene a livello psico-fisico a chi vi si trova detenuto? Lei crede davvero che dopo venti anni di carcere sia facile stare in buona salute e rifarsi una vita?

Se, stando al dettato costituzionale, lo scopo della pena dovrebbe essere la rieducazione e la risocializzazione del condannato, allora mi sa dire che tipo di risocializzazione si può avere dopo 20 anni di carcere? Parli con i cappellani, le suore, i diaconi e i volontari che operano nelle carceri. Ascolti la loro opinione che moderatamente a volte diventa critica nei confronti dell’esistenza del carcere in quanto tale.

Nella vita ognuno può sempre imparare qualcosa di nuovo e vedere la realtà con gli occhi di chi la conosce direttamente. Coraggio! Cerchiamo di andare avanti invece di avallare ritualità arcaiche come quella costituita dal carcere a vita. Sviluppiamo un dialogo continuo basato su una migliore conoscenza della realtà. Difendiamo e promuoviamo l’intelligenza collettiva, la cooperazione, i beni comuni, i saperi critici e i poteri/qualità di ogni essere umano, nel più totale rispetto della dignità di ogni individuo e della sua vita. Questo è l’unico senso positivo del fare politica oggi.

Giustizia: in arrivo il Garante, la tortura finalmente diventa reato

di Susanna Marietti (Associazione Antigone)

 

Liberazione, 11 luglio 2007

 

Il prossimo 21 luglio saranno passati sei anni dal G8 di Genova. Sei anni per convincerci, se ancora ce ne fosse stato bisogno, che la tortura non è roba che riguarda solamente il terzo mondo e le incerte democrazie. Pubblici ufficiali nostrani che compiono atti di violenza su persone sottoposte alla loro responsabilità ne abbiamo visti ormai in una triste sequela di occasioni.

Due progetti di legge ci riguardano allora da vicino. Due progetti di legge che sono stati approvati alla Camera dei Deputati nei mesi scorsi e che attendono di venire votati dal Senato. Il primo è quello che introduce il reato di tortura nel diritto italiano, dando finalmente seguito a decennali impegni sovranazionali. Il secondo è quello che, all’interno di una più ampia Commissione sui diritti umani, istituisce la figura del Garante dei diritti delle persone private della libertà personale. La scorsa settimana Cesare Salvi, presidente della commissione Giustizia del Senato, ha nominato la senatrice del Prc Maria Luisa Boccia relatrice del provvedimento.

In attesa di una normativa nazionale, il Garante dei detenuti è stato costituito da più parti a livello regionale, provinciale e comunale. Il Lazio è stata la prima Regione in Italia a dotarsi di una legge istitutiva di una simile figura. Ancora oggi, il Lazio continua a proporsi come laboratorio per le politiche penitenziarie dell’intera nazione. È di un mese e mezzo fa l’approvazione della cosiddetta legge Nieri, una legge quadro sul carcere che tra le altre cose regolamenta, attraverso appositi protocolli d’intesa tra Regione e Amministrazione Penitenziaria, il passaggio della sanità carceraria laziale alle Asl, in ottemperanza al principio dell’universalità del diritto alla salute e a una riforma del 1999 mai applicata ai tempi di Storace. Regione e Stato lavorano in sinergia nella gestione della pena detentiva.

"Ci auspichiamo che i protocolli d’intesa siano disponibili entro l’anno", ha detto l’assessore alla sicurezza Daniele Fichera presentando ieri mattina la "Relazione sull’indagine relativa alle condizioni di vita dei detenuti all’interno delle carceri" effettuata dalla commissione regionale sicurezza e integrazione sociale, lotta alla criminalità, "così da incardinarne le conseguenze nella prossima legge di bilancio".

Il Lazio come laboratorio politico per il sistema penitenziario nazionale, come oggetto di osservazione e di sperimentazione. La Commissione sicurezza - presieduta dalla consigliera Luisa Laurelli e nella quale hanno avuto un ruolo importante il capogruppo del Prc Ivano Peduzzi e il consigliere verde Peppe Mariani - ha in questi mesi lavorato a una fase osservativa. Dal 16 maggio 2006 al 12 aprile 2007, in un arco di tempo che ha dunque attraversato il provvedimento d’indulto, la Commissione ha visitato tutte le carceri laziali.

Ne esce un quadro disomogeneo e disorganico, che tende tuttavia a livellarsi in modo preoccupante verso il basso. Gli istituti di Rieti e Paliano, dove la disposizione degli spazi non lascerebbe organizzare alcuna attività ricreativa e culturale, vengono indicati dalla relazione come le due creste inferiori dell’ideale curva di gradibilità delle carceri laziali. I reparti di medicina penitenziaria degli ospedali Roma Pertini e Viterbo Belcolle vengono invece indicati come fiori all’occhiello.

Ma resta il punto fondamentale: la mancanza di unitarietà nella politica penitenziaria della Regione che, a monte, non ha saputo elaborare negli anni passati un progetto complessivo, lasciando che, a valle, si osservasse la situazione a macchia di leopardo che la Commissione ci descrive. Come accaduto spesso in passato anche a livello nazionale, la scorsa amministrazione si è fermata a episodici finanziamenti e a interventi rapsodici sul sistema carcerario. Nel Lazio le carceri hanno oggi finalmente incontrato una regia alta.

Giustizia: Pineschi (Lazio); rivedere il sistema sanzionatorio

 

Asca, 11 luglio 2007

 

"Il sistema penale italiano va riformato in senso più civile, moderno e democratico per contrastare il senso di insicurezza diffuso nell’opinione pubblica e garantire ai detenuti, come cittadini e come uomini, che la loro pena si trasformi, come prescrive la Costituzione, in un percorso di riparazione, recupero e reinserimento nel contesto sociale".

Lo ha affermato il Presidente del Consiglio regionale del Lazio, Massimo Pineschi, portando il saluto dell’Assemblea al convegno "Carcere extrema ratio. Nuovo diritto penale", promosso dal Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni. "Guardiamo con molta attenzione - ha detto Pineschi - al progetto Pisapia per la riforma del codice penale e in particolare del sistema sanzionatorio di cui un elemento significativo è la possibilità di prevedere misure alternative al carcere.

Si va facendo strada l’opinione che attraverso sanzioni diverse dalla carcerazione per particolari reati si possa favorire un’efficace rieducazione del condannato in funzione del suo ritorno ad una condotta rispettosa della legalità". "La Regione Lazio - ha affermato il presidente del Consiglio regionale - ha svolto un ruolo importante, nell’ambito dei suoi poteri in materia di giustizia penale, attraverso il varo di una legge che migliora la condizione di vita nelle carceri dei detenuti, lo stanziamento di fondi per l’ammodernamento del carcere di Regina Coeli e la realizzazione di un ampio rapporto conoscitivo sulla situazione carceraria nel Lazio".

"Ciò dimostra - ha concluso Pineschi - che attraverso un’ampia concertazione di iniziative e un serrato confronto tra tutti gli attori istituzionali e del sistema della giustizia si può pervenire a riformare in senso più umano e sociale una realtà come quella penitenziaria che deve sempre e comunque porre al centro l’uomo e la sua dignità".

Giustizia: col lavoro una possibile strada per il reinserimento

 

Help Consumatori, 11 luglio 2007

 

A pieno regime a Roma il progetto "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto", promosso dal Ministero del Lavoro e attuato da Italia Lavoro.

"I dati presentati dal Garante questa mattina possono indurre a riflessioni, ma è certamente condivisibile l’appello ad aumentare il ricorso alle misure alternative per i detenuti, per offrire loro un percorso vero di reinserimento sociale e lavorativo. È quello che stiamo provando a fare in 14 province italiane, tra le quali Roma, dove - nell’ambito del progetto "Lavoro nell’inclusione sociale dei detenuti beneficiari dell’indulto", promosso dal Ministero del Lavoro in collaborazione col Ministero della Giustizia e con le amministrazioni penitenziarie territoriali - il 19 aprile scorso è stata firmata una convenzione tra Italia Lavoro (agenzia tecnica del Ministero del Lavoro), il Comune e la Provincia di Roma, che dà il via a 140 tirocini finalizzati all’assunzione in pianta stabile di ex detenuti nelle aziende del territorio".

Così Mario Conclave, responsabile Area Inclusione Sociale di Italia Lavoro, commenta i dati presentati questa mattina dal Garante dei detenuti del Lazio, Angiolo Marroni, relativi ai detenuti che nella regione hanno beneficiato del provvedimento previsto dalla Legge 241/2006 ("Concessione di indulto") e che dicono che circa il 20% di essi è rientrato in carcere.

Sono trentanove, a Roma, gli ex detenuti beneficiari dell’indulto, che hanno già aderito al progetto, in maggioranza uomini di età compresa in due fasce d’età: 30-44 e 44-59. Solo due le donne, entrambe di età compresa tra i 30 e i 44 anni. Sette i tirocini già in corso, presso cooperative del territorio romano attive i diversi settori: da quello agricolo a quello dei servizi alla persona, sanità, servizi alle imprese, informatica. Altri 4 tirocini partiranno entro il mese di luglio.

Il progetto a livello nazionale offre ai beneficiari dell’indulto domiciliati nelle aree metropolitane di Torino, Milano, Venezia, Genova, Trieste, Bologna, Firenze, Roma, Napoli, Bari, Cagliari, Catania, Messina, Palermo, (o a particolare condizioni anche in altri territori) 2.000 tirocini volti al reinserimento lavorativo accompagnati da servizi d’incontro tra domanda e offerta, misure di sostegno al reddito, tutor.

Ai destinatari del progetto, infatti, selezionati grazie agli sportelli territoriali attivati presso i servizi per l’impiego, viene offerta la possibilità di seguire tirocini formativi della durata di almeno 6 mesi, tenendo conto del livello di esperienza professionale di ciascun beneficiario, delle sue attitudini e aspirazioni, oltre che del fabbisogno occupazionale delle aziende presenti sul territorio.

Il progetto non prevede solo misure di sostegno al reddito per gli ex detenuti, che potranno contare su 450 euro mensili per tutta la durata del tirocinio, ma anche incentivi economici per le aziende coinvolte, che riceveranno un contributo di 1.000 euro per le attività di formazione, a fronte di un’assunzione a tempo determinato da 12 mesi in poi o a tempo indeterminato.

Viterbo: il reparto detenuti del "Belcolle" tra le eccellenze

 

www.tusciaweb.it, 11 luglio 2007

 

"Nel sistema carcerario del Lazio ci sono anche delle eccellenze: penso ai reparti per detenuti che funzionano bene presso l’ospedale "Sandro Pertini" a Roma e all’Ospedale Belcolle di Viterbo, che potrebbero addirittura assistere detenuti provenienti da altre regioni. Ci sono poi molte criticità, soprattutto di tipo strutturale, essendosi ridimensionato, con l’indulto, il problema del sovraffollamento".

Così Luisa Laurelli, Presidente della commissione Sicurezza e Lotta alla criminalità del Lazio ha sintetizzato oggi, in una conferenza stampa, i risultati delle visite effettuate in tutte le carceri del Lazio, che costituiscono oggetto di una relazione che quanto prima sarà discussa in Consiglio Regionale.

In poco meno di un anno, Luisa Laurelli si è recata nelle carceri del Lazio a parlare con i direttori degli istituti penitenziari, con gli operatori, con i detenuti. Un tour che ha portato in evidenza quali sono i problemi reali delle carceri e soprattutto ha chiarito che cosa può fare la Regione e che cosa è in capo al Dap, Dipartimento Amministrazione Penitenziaria. "In questo giro per le carceri abbiamo portato la proposta che poi è diventata legge regionale l’8 giugno 2007 sui diritti della popolazione detenuta. Abbiamo adesso il riferimento legislativo su cui calibrare i nostri interventi soprattutto per quanto attiene all’assistenza sanitaria e sociale ai detenuti".

Alla legge varata dal Consiglio Regionale si è richiamato anche Daniele Fichera, assessore agli Affari istituzionali, presente alla conferenza stampa, che ha annunciato l’imminente firma di un protocollo d’intesa tra Ministero della Giustizia e Regione Lazio, finalizzato alla promozione e realizzazione di interventi relativi all’esecuzione penale per adulti e minori che riguarderà la territorializzazione della pena; l’edilizia penitenziaria; la tutela, promozione ed educazione alla salute; l’assistenza sanitaria e socio-riabilitativa dei detenuti tossicodipendenti e alcol-dipendenti e interventi trattamentali.

Presenti alla conferenza stampa Peppe Mariani (Verdi) e Donato Robilotta (socialista riformista). Secondo Mariani, tutto questo che fino a oggi è stato fatto va continuato nel tempo, "perché i bisogni e le fragilità della popolazione detenuta impongono alle istituzioni di dare risposte". Robilotta, nel ricordare che la legge varata dal Consiglio è diversa dalla proposta originaria, ha detto di essersi sempre impegnato sul fronte delle carceri, fin da quando era assessore nella precedente legislatura. "Ho la consapevolezza che i temi che ruotano attorno alla situazione carceraria sono delicati, come anche è delicato il rapporto istituzionale tra lo Stato e le Regioni: l’importante è che ciascuno faccia al meglio la sua parte".

Padova: intervista a una volontaria nel "Pianeta Carcere"

 

www.korazym.org, 11 luglio 2007

 

Intervista a Ornella Favero di don Bruno Olivero, Cappellano del Carcere di Poggioreale (Napoli).

Ristretti Orizzonti è una rivista realizzata da detenute, detenuti e volontari nella Casa di Reclusione di Padova e nell’Istituto Penale Femminile della Giudecca ed edita dall’Associazione di Volontariato Penitenziario "Il Granello di Senape". Ha un sito Internet (www.ristretti.it), anch’esso gestito da detenuti, che dà un grande spazio alle testimonianze di donne e uomini reclusi.

"C’è un gruppo di persone a Padova che fa la più bella rivista dal carcere e le più belle iniziative". Sono le parole di Adriano Sofri che, intervistato dal sito www.buonpernoi.it, ha così parlato di Ristretti Orizzonti, il giornale realizzato all’interno del carcere "Due Palazzi" di Padova e capofila della stampa carceraria, la Federazione Nazionale dell’Informazione dal e sul Carcere.

Ristretti Orizzonti è nato nel 1997 su iniziativa di Ornella Favero (responsabile del Centro di documentazione "Due Palazzi" di Padova e l’attuale "esterna" direttrice responsabile) e di un gruppo di detenuti, quando nell’ambito di un’attività di rassegna stampa ci si rese conto che le notizie che i maggiori giornali diffondono sul carcere spesso non hanno un reale riscontro con quella che è effettivamente la vita negli istituiti di pena. Le notizie cioè venivano scritte a dir poco con una certa approssimazione. Si pensò, allora, di cominciare a raccontare le cose anche dal di dentro, da chi il carcere lo vive sulla propria pelle. Il bimestrale è oggi arrivato al suo numero 56, viene stampato in 2 mila copie e distribuito su abbonamento.

Don Bruno Olivero ha avuto modo di conoscere Ornella Favero fin dal 2000, dai primi anni del suo ministero sacerdotale come cappellano del Carcere di Poggioreale. E questo perché fin dall’inizio don Bruno aveva capito, che per svolgere questo ministero, era necessaria l’umiltà di apprendere da quelli che prima di me avevano avuto a che fare con il cosiddetto "Pianeta Carcere". È stato così che ha cominciato a partecipare ai convegni che il Seac (Coordinamento Enti e Associazioni di Volontariato Penitenziario) propone con scadenza annuale in tutt’Italia. Ornella Favero era sempre presente e con i suoi interventi riusciva sempre ad "accendere" l’entusiasmo dei volontari e sacerdoti presenti. Quello che ha sempre colpito don Bruno in Ornella è la sua profonda preparazione e la sua passione per la difesa dei diritti delle persone più deboli.

 

Ornella, parlaci un po’ di te ...

"Io sono veneta, nata a Padova, laureata in lingue e letterature straniere moderne, prima lingua russo (scelto perché ero appassionata per la letteratura), ho perfezionato la conoscenza del russo a Mosca e poi ho insegnato russo in un liceo sperimentale a Padova, prima di scegliere il lavoro di responsabile di un Centro di documentazione interscolastico sempre a Padova. Sono anche giornalista, collaboro a diversi giornali (Vita, Mattino di Padova, Communitas, ho appena vinto un premio giornalistico della Regione Veneto, il Premio Vesce, e ci tengo a dirlo perché è stato proprio merito di un articolo sul carcere per la rivista Communitas), faccio volontariato in carcere da dieci anni".

 

Come ti sei avvicinata al mondo del volontariato nelle carceri?

"Ero dentro Lotta Continua e sono amica di Adriano Sofri, e le sue vicende giudiziarie in qualche modo hanno pesato sulla mia scelta. Però ci sono state altre ragioni, fra le quali che mia sorella era insegnante nelle scuole medie del carcere, e mi aveva invitato a fare delle lezioni e poi a incontrare dei detenuti per vedere di far funzionare meglio la biblioteca (sono una esperta di biblioteche, il Centro di cui sono stata responsabile per anni disponeva di una biblioteca ricca di iniziative e attività di lettura e di scrittura)".

 

Cosa pensi adesso di quel tempo trascorso in LC e di quell’utopia di creare una società più giusta ecc.?

"Cosa ne penso del mio passato in Lotta Continua? Penso che è stato un periodo importante della mia vita, in cui ho imparato un sacco di cose che i ragazzi oggi difficilmente riescono a imparare: ho imparato a parlare, difendere le mie idee, scrivere (la passione per la scrittura mi viene da lì), ho imparato che occuparsi delle persone più deboli non può essere solo una scelta individuale, deve andare al di là, è importante capire che i temi sociali sono anche politici, ed è giusto cercare un’idea alta della politica, e non sparare a zero indiscriminatamente su chi fa politica (a me non interessa la politica, ma mi interessa che ci sia qualcuno che la fa in modo serio, magari un po’ gli piace il potere, ma chi se ne frega se poi è attento ai bisogni delle fasce più deboli della popolazione?).

Ho fatto molti errori, ma io appartenevo a quella parte di Lotta Continua che si è battuta con le unghie e con i denti contro il terrorismo, e che ha saputo sciogliersi quando ha visto che la follia dilagava, e quindi non mi sento più di tanto responsabile di scelte violente, anzi credo che abbiamo fatto da argine alla violenza che attraversava la società. E poi mi è rimasta un’idea di fondo, che non si riesce a essere un po' felici se si parte sempre da io, io, io ... e gli altri: guarda, alle persone detenute, che difficilmente concepiscono l’idea che si possa fare qualcosa di gratuito l’unico pensiero che cerco di trasmettere è che, quando si entra nella logica di fare qualcosa anche per gli altri, si vive meglio, ci si appassiona, ci si diverte anche, si è meno schiavi delle proprie piccole insoddisfazioni. Ecco, per me Lotta Continua è stata una fucina di passioni, anche sbagliate, per carità, ma comunque io credo che senza passione non si trasmette nulla agli altri. E, nonostante tutto, anche il senso critico mi arriva da lì, da certe feroci battaglie culturali delle donne per dire basta alla violenza, da qualsiasi parte venisse".

 

Fai volontariato da dieci anni: Cosa è cambiato nelle carceri dopo l’indulto o che cosa dovrebbe cambiare?

"Occorrerebbe ripensare la pena: Stare in carcere e non capire il senso della pena, e ritenere di stare subendo un’ingiustizia è quanto di meno rieducativo ci sia nella vita di una persona detenuta. Eppure, nelle carceri pre-indulto era la norma, ora si sarebbero create però le condizioni per voltare pagina. "Si sarebbero", diciamo, perché chi vive in galera non ha ancora percepito grandi (e spesso neppure piccoli) cambiamenti … allora torniamo a dire: "Se non ora quando"? Se non si riparla ora, con i numeri tornati nella normalità e gli spazi che pemettono di respirare, di rieducazione, o meglio di reinserimento, e di tempo del carcere dedicato a progettare una opportunità per ogni persona rinchiusa, se non lo si fa adesso non ci saranno più alibi…

Non sarebbe forse il caso di affrontare senza paraocchi alcuni nodi del problema del senso della pena? L’uso del tempo per esempio: una pena scontata dove si può fare buon uso del tempo è radicalmente diversa da una pena fatta di tempo morto. L’uso delle risorse, provando davvero a fare un monitoraggio delle spese e un ragionamento sugli sprechi, alla luce del sole e degli sguardi e dei controlli attenti dei cittadini liberi. E ancora, il passaggio dal "dentro" al "fuori", l’anello più debole di una pena che per tendere al reinserimento non può certo restare tutta "dentro". E allora non sarebbe ora di avviare una riflessione comune con la Magistratura di Sorveglianza?

Perché, e concludo con una domanda di quelle un po’ brutali, l’Istituzione carcere, che deve elaborare per ogni detenuto un progetto individualizzato di percorso verso la libertà, non si misura più spesso pubblicamente con quella Magistratura di Sorveglianza, che di città in città applica in modo così diverso la legge? E non basta dire che ogni persona è una storia a sé, lo sappiamo bene, ma sappiamo anche che è difficile pensare che, per esempio, a Padova vivano detenuti più maturi, responsabili e degni di avere un’altra possibilità, e quindi vadano in misura alternativa in tanti, e invece a … (e qui ci starebbero i nomi di tante altre città) siano tutti pericolosi e si facciano tutta la galera o quasi senza nessuna misura alternativa".

Roma: dentro o fuori, siamo tutti un po’ "Presi per caso"

 

Roma One, 11 luglio 2007

 

La band nata dietro le sbarre del carcere di Rebibbia presenta il suo primo video "Fiesta" tratto dall’album "Delinquenti". Il tema delicato dei detenuti trattato tra ironia e facili motivetti estivi.

Le sbarre come divisione tra due mondi paralleli e simmetrici. Non importa essere dentro o fuori, il messaggio è: sensibilizzare l’opinione pubblica sul reinserimento degli ex detenuti nella società. I "Presi per caso", la band nata dietro le sbarre di Rebibbia, si è fatta portabandiera di questa causa; testimoni autentici del mondo carcerario prestati alla musica. Iniziativa lodevole da questo punto di vista, ma che sicuramente ha attirato l’attenzione dei discografici per l’appetibilità mediatica dell’argomento.

Salvatore Ferraro - condannato per favoreggiamento nell’omicidio Marta Russo e qui in veste di impegnato compositore della band - ha dichiarato: "Con il nostro progetto abbiamo voluto mediare tra i due estremi dell’opinione pubblica sul mondo delle carceri. Tra i forcaioli, che non vedono noi carcerati come il fumo negli occhi, e gli eccessivamente clementi che vorrebbero liberi tutti, abbiamo cercato la via di mezzo con la nostra arte, o pseudo-arte". Il brano - orecchiabile canzoncina da stagione estiva - vede la sua trasposizione per immagini del regista Roberto Orazi. È la storia di un detenuto che sognando la libertà torna dietro le sbarre dopo aver ceduto alla tentazione di un furto d’auto. Una sorta di cerchio che, seppur scandito dai tempi comici, testimonia il dramma di storie di vita destinate a concludersi sempre allo stesso modo.

Droghe: nel 2006 sono state incarcerate 25.618 persone

 

Redattore Sociale, 11 luglio 2007

 

Relazione 2006. Sono entrati nel 2006 in carcere per questi reati 25.399 adulti e 219 minori, oltre un quarto degli ingressi annui totali. Consuma droghe il 27% delle persone che entrano in carcere.

Quasi 15 mila persone nell’anno, per metà italiane e per metà straniere, in Italia conoscono la realtà carceraria a causa di una violazione della normativa negli stupefacenti (Dpr 309/90) e circa 13.000 di esse per reati connessi a produzione e spaccio. Lo rivelano i dati della Relazione sullo stato delle tossicodipendenze in Italia per l’anno 2006.

Sono entrati negli istituti penitenziari italiani per reati in violazione della normativa sugli stupefacenti, nel 2006, 25.399 adulti e 219 minori, oltre un quarto dei circa 91.000 ingressi annui totali. Circa il 27% del totale degli ingressi negli istituti penitenziari è rappresentato da consumatori di droghe e quasi i 2/3 (61%) sono costituiti da soggetti neocarcerati.

Degli adulti entrati in carcere il 92% è costituito da uomini e il 60% è di nazionalità italiana; tra gli stranieri il 32% è originario del Marocco, seguono (14%) tunisini e (11%) albanesi. L’età media è di circa 32 anni, mentre la classe maggiormente rappresentata è quella dei 25-34 anni (41%), seguita da quella dei soggetti con meno di 25 anni (25%), dalla 35-44 anni (24%) e dai 45 anni o più (10%).

I detenuti stranieri risultano più giovani degli italiani (29 anni contro 33). Il 93% dei soggetti è entrato in carcere per crimini connessi alla produzione, traffico e vendita di sostanze stupefacenti, mentre il restante 7% per associazione finalizzata al traffico ed alla vendita di sostanze illegali. Tra i detenuti per cui sono note le informazioni relative alle sostanze di abuso, infine, si rileva una maggioranza di soggetti poli-tossicodipendenti (56%), in particolare per cocaina e oppiacei.

Minori - Sono 857 i minori tossicodipendenti o consumatori problematici di sostanze psicoattive illegali transitati nei diversi Servizi della giustizia minorile nel corso dell’anno 2006; circa l’82% ha un’età compresa tra i 14 ed i 17 anni, il 29% è di nazionalità straniera (i magrebini costituiscono circa il 51%) e il 96% sono maschi. La cannabis risulta utilizzata da circa il 76% dei minori; seguono, con quote decisamente più basse, la cocaina (circa 11%) e gli oppiacei (circa il 7%). Registrati nel 2006 219 ingressi dalla libertà per reati in violazione della normativa sugli stupefacenti (DPR 309/90), corrispondenti a circa il 18% del totale degli ingressi. Per il 90% dei minori entrati in carcere nel 2006 non risultano precedenti carcerazioni (circa 200 su 219 quindi le "iniziazioni" carcerarie di minori nell’anno), ma secondo la Relazione "tra i minori è ancor più evidente che tra i maggiorenni la suddivisione dei ruoli per nazionalità: criminalità maggiore italiana, piccola criminalità straniera"

Misure alternative - Rimane stabile tra il 2001 e il 2006 il numero di detenuti, intorno a 3.000 circa all’anno, che hanno usufruito di misure alternative in base a quanto previsto dall’art. 94 del DPR 309/90. Circa il 29% dei tossicodipendenti affidati ha commesso reati in violazione della normativa sugli stupefacenti. Ne 2006 sono stati affidate ai Servizi sociali 11.653 persone: circa 2.800 persone (il 24%) per iniziare o proseguire un programma terapeutico, il 75,3% in affidamento per esecuzione di pene non superiori ai tre anni, mentre il restante 0,7% ha riguardato soggetti affetti da Aids conclamata o da grave deficienza immunitaria e militari. Nel corso dell’anno 2006, l’età media degli affidati per art. 94 è stata di circa 37 anni, senza differenze di rilievo rilevate in base alla nazionalità ed al sesso; per ogni femmina risultano ammessi alle misure alternative circa 16 maschi. Sempre all’interno di tale gruppo, gli stranieri rappresentano circa il 7% dell’intero collettivo.

Droghe: meno morti per overdose, ma triplicano da cocaina

 

Redattore Sociale, 11 luglio 2007

 

Relazione 2006. Nel 2006 517 decessi per overdose, il 20% in meno rispetto al biennio precedente, mentre passano dal 2% al 9% quelle per cocaina.

Si riducono le morti per overdose, il 20% in meno rispetto al biennio precedente. Nel 2006 in Italia si sono registrati 517 decessi dovuti ad intossicazione acuta da overdose (dati Direzione Centrale per i Servizi Antidroga - DCSA): dopo il picco massimo toccato nel 1996 (con 1.556 deceduti), si è registrata una progressiva diminuzione fino al 2003 (in cui si sono contati 517 decessi) a cui ha fatto seguito una breve inversione di tendenza nel biennio 2004-2005 (con un dato annuale attestato intorno alle 650 unità).

Il fenomeno è prevalentemente maschile (si contano mediamente circa 10 decessi tra gli uomini per ogni decesso tra le donne); i valori più elevati in Liguria, Lazio ed Umbria (circa 7 decessi per overdose ogni 100 mila residenti) a cui seguono Piemonte, Emilia-Romagna e Campania (circa 5). Cresce l’età al decesso: se all’inizio del periodo considerato circa il 36% dei decessi era costituito da over 35enni, nel 2006 tale quota sfiora il 50%. Secondo gli osservatori il rischio di morte per overdose è più elevato nei primi 30 giorni dall’uscita dal trattamento, "in seguito all’alta frequenza di ricadute nell’uso di eroina": se il rischio di morire è pari all’1 per 1.000 durante il trattamento, nel primo mese dall’uscita questo sale a 23 per 1.000, valore che scende a 7 per 1.000 dopo più di 60 giorni dall’uscita. "La chiave di volta della protezione dalla mortalità acuta da overdose sembra quindi essere rappresentata dalla ritenzione in trattamento", commentano gli esperti.

Triplicano le morti per cocaina - Se nel 41% delle morti la causa è stata attribuita all’eroina, il 9% dei decessi dipende dalla cocaina e il trend è in crescita. Secondo i dati della Relazione 2006 dal 2001 la quota di morti attribuite ad intossicazione da eroina rimane sostanzialmente costante, mentre quella riconducibile alla cocaina è passata, nello stesso periodo, da circa il 2% al 9%: un incremento di circa 3 volte. Nella metà dei casi attribuiti all’effetto di una specifica sostanza, il decesso è avvenuto presso l’abitazione; nei restanti casi, tra le overdose da eroina, il 16% è avvenuto in strada, il 10% in locali pubblici e solo il 5% in ospedale, mentre diversa distribuzione si osserva nel caso dei decessi per cocaina, avvenuti nel 7% dei casi in strada, nel 13% in locali pubblici e nel 20% in ospedale. Nella metà dei casi i soggetti deceduti per eroina non avevano più di 35 anni, mentre quelli per cocaina non più di 32 anni.

I decessi correlati - Secondo le ultime stime dell’Istituto Superiore di Sanità, ogni anno in Italia circa 24 mila decessi sono associati all’alcol e riguardano più di 17.000 uomini e circa 7.000 donne (tasso di mortalità di 35 decessi su 100.000 abitanti per i maschi e di 8,4 decessi per le donne attribuibili all’alcol). Le condizioni che presentano la più elevata frequenza di mortalità alcol-attribuibile sono la cirrosi epatica (47,7 % per i maschi e il 40,7% per le donne). Secondo l’Istituto Superiore di Sanità circa 80 mila decessi ogni anno sono attribuibili al fumo, pari a circa il 14% di tutte le morti.

Più del 34% di tutte le cause di morte attribuibili al fumo di sigaretta colpisce soggetti di 35-69 anni. Inoltre, coloro che muoiono a causa del tabacco perdono in media 13 anni di speranza di vita. Infine gli incidenti stradali in cui muoiono circa 6.000 persone, secondo le ultime stime dell’Istituto Superiore di Sanità: per ogni morto in incidente stradale ci sono poi 2-3 invalidi molto gravi, 20 ricoverati, più di 250 accessi al Pronto Soccorso. In particolare il problema degli incidenti stradali coinvolge il mondo giovanile: più di un decesso su tre riguarda soggetti con meno di 30 anni; più della metà dei ragazzi deceduti a 18 anni, muore a seguito di incidente stradale; l’incidente stradale è la prima causa di invalidità grave dei giovani. Tra le molteplici cause di questo fenomeno, alla guida in stato di ebbrezza viene attribuito circa il 30% degli incidenti stradali gravi o mortali.

Droghe: in aumento gli utenti dei Ser.T., sono circa 176 mila

 

Redattore Sociale, 11 luglio 2007

 

Relazione 2006. Il 14% entra per la prima volta. L’utenza: maschi per l’87%, il 94% italiani, età media di quasi 35 anni. Le sostanze: oppiacei, cocaina e cannabis. Il 7% degli utenti è senza dimora.

Sono in aumento dal 2001 i soggetti in trattamento presso i Ser.T., nel 2006 sono stati circa 176 mila. L’utenza è composta per il 14% da soggetti che effettuano una domanda di trattamento per la prima volta nel corso del 2006 o che rientrano in trattamento, ad esempio a causa di una recidiva, dopo almeno 1 anno, mentre l’86% dei casi sono soggetti che proseguono un trattamento attivato in anni precedenti. L’87% è rappresentato da uomini, il 94% è di nazionalità italiana; la classe di età maggiormente rappresentata è quella compresa tra 35 e 44 anni (30 anni in media per i nuovi utenti). La maggior parte degli utenti in carico (61%) dichiara di avere un livello di istruzione medio e di lavorare (60%). L’utenza di nazionalità straniera (6%) è per oltre il 90% di sesso maschile.

Sono i consumatori di cannabis i più giovani rispetto al primo contatto (19 anni), mentre le persone in trattamento per problemi legati al consumo di oppiacei hanno un’età media di "iniziazione" all’eroina di 22 anni, 23 per i cocainomani. Non differisce invece il "periodo di latenza", ovvero il numero di anni che intercorre tra il primo utilizzo della sostanza e la prima presa in carico al Ser.T., 6 anni in media tra gli utilizzatori di oppiacei e di cannabis, 7 per la cocaina. Il periodo di trattamento invece è di 8 anni in media per i consumatori problematici di eroina, 3 per la cocaina, 2 per la cannabis.

Le sostanze per le quali si richiede il trattamento sono nella maggior parte dei casi oppiacei (72%), seguite dalla cocaina (16%) e dalla cannabis (10%), queste ultime molto più diffuse tra i nuovi utenti. L’uso iniettivo si riscontra nel 74% degli utilizzatori di oppiacei e nell’8% degli utilizzatori di cocaina; sia per gli oppiacei che per la cocaina la probabilità di assumere la sostanza per via parenterale aumenta al crescere dell’età.

Il 49% degli utenti utilizza almeno un’altra sostanza psicoattiva oltre a quella per la quale risulta in trattamento (43% tra i casi incidenti, 52% tra i prevalenti). Per i nuovi utenti il canale di invio si presenta diversificato in base alla sostanza: per l’eroina nel 63% del casi si tratta di una scelta volontaria, il 5% si tratta di segnalazioni che provengono dalle Prefetture, ma per la cocaina la percentuale di scelte volontarie si abbassa a 41% e addirittura al 15% per i consumatori problematici di cannabis.

Il 7% dell’utenza in carico presso i Ser.T. non ha fissa dimora, disaggregando ulteriormente l’utenza tra italiani e stranieri si rileva che, se nel primo gruppo gli homeless costituiscono il 6% dei casi, nel secondo la quota sale al 20%. Si tratta in maggioranza di soggetti provenienti dai paesi del continente africano. Tra gli stranieri si registra una quota più elevata di nuovi utenti che si rivolgono ai servizi per consumo problematico di cocaina (27% contro 20%) e cannabis (13% contro 6%).

Il 38% degli utenti dei Ser.T. sono stati sottoposti a trattamenti diagnostico terapeutico-riabilitativi non farmacologicamente assistiti. Hanno usufruito di tali trattamenti per la maggior parte soggetti di genere maschile (88%), con un’età media di 32 anni, consumatori di oppiacei nel 51% dei casi, di cocaina nel 28% e di cannabis nel 19%. Questa tipologia di trattamenti, somministrati a quasi la metà di tutti i casi incidenti nell’anno 2006, consiste per lo più in psicoterapia individuale (37%), counselling (30%) e sostegno psicologico (25%). Ai consumatori di oppiacei sono somministrati prevalentemente interventi psicoterapici individuali (36%). Il 42% dell’utenza che fa uso di cocaina come sostanza "primaria" risulta in trattamento con interventi psicoterapeutici individuali e la maggioranza (40%) degli utilizzatori di cannabis riceve interventi di servizio sociale o lavorativi.

Il 62% dell’utenza ha usufruito di trattamenti farmacologicamente assistiti, la metà dei quali integrati con terapie di tipo psico-sociale e/o riabilitative. La maggior parte (93%) è destinatario di trattamenti con oppioagonisti (68% con metadone, 20% buprenorfina).

Ad usufruire di questi ultimi sono soprattutto maschi (86%%) con un’età media di 35 anni, consumatori problematici di oppiacei (96%). L’8% degli utenti in carico nei Ser.T. risulta essere stato trattato in strutture terapeutiche residenziali: di questi il 54% dei soggetti riceve, ad integrazione della terapia d’ambiente di base, trattamenti farmacologicamente assistiti integrati con terapie psicosociali e/o riabilitative, mentre il rimanente 46% è sottoposto a trattamenti aggiuntivi esclusivamente di carattere psicosociale e/o riabilitativo non farmacologicamente assistito.

Nei 544 servizi pubblici attivi sul territorio nazionale il "carico di lavoro" medio, inteso come rapporto tra utenti in carico e personale impiegato, nel 2006 varia da meno di 21 utenti per singolo operatore, registrato in Valle d’Aosta, Molise, Piemonte, Basilicata, Trentino-Alto Adige, Emilia-Romagna e Liguria, a più di 27 in Campania, Lombardia, Marche ed Abruzzo.

Droghe: 10,5 miliardi di euro l'anno il "costo sociale" in Italia

 

Redattore Sociale, 11 luglio 2007

 

Relazione 2006. Valore calcolato sommando i costi per acquisto delle sostanze (3,9 miliardi), applicazione della legge (2,7 miliardi), intervento socio-sanitario e perdita di produttività. Circa 269 euro la spesa pro capite.

Dieci miliardi e cinquecento milioni di euro, lo 0,7% del Pil e all’1,2% della spesa delle famiglie residenti: è questo l’ammontare dei "costi sociali" legati all’uso di sostanze illegali in Italia, stimato per il 2006. Valore calcolato sommando i costi per l’acquisto delle sostanze e per l’applicazione della legge (65%), i costi sociali dell’intervento socio-sanitario (17%) e i costi legati alla perdita di produttività il (18%). Si tratta di circa 269 euro pro capite se si considera la popolazione residente in Italia tra i 15 e i 64 anni di età, 2.400 euro se la stima è calcolata sulla popolazione dei consumatori problematici di sostanze psicoattive illegali.

Per l’acquisto delle sostanze sono stati spesi 3 miliardi e 980 milioni, 2 miliardi e 798 milioni per l’applicazione della Legge: costi delle Forze dell’Ordine (utilizzati gli indicatori di spesa del personale impiegato e delle strutture e i mezzi utilizzati per le azioni di contrasto del mercato e per l’applicazione della legge), quelli delle attività dei Tribunali e delle Prefetture in merito alle segnalazioni e alle denunce (atti giudiziari relativi ai reati commessi in violazione della Legge sulle droghe), parte dei costi dell’Amministrazione Penitenziaria (carcerati per reati in violazione alla legge sulle droghe e ai detenuti tossicodipendenti) e infine i costi legali sostenuti dalle persone sottoposte a giudizio.

Entrano poi nella stima i "costi socio-sanitari" che incidono per 1 miliardo e 743 milioni di euro. Presi in considerazione i costi dei trattamenti specifici per la patologia della dipendenza ma anche i costi di tutti gli altri interventi attivati per salvaguardare lo stato di salute dell’individuo che fa uso di droghe e degli individui che, pur non facendone uso, presentano conseguenze sulla loro salute generate dal fenomeno, si arriva ad. L’analisi ha riguardato oltre che trattamenti e interventi specifici relativi alla condizione di tossicodipendenza anche la parte di assistenza e cura delle patologie associate, patologie infettive e psichiatriche e tutti gli interventi di prevenzione. Sono stati aggiunti i costi relativi al monitoraggio dei trattamenti nel tempo che costituiscono parte della rete assistenziale e quelli generati degli interventi sociali (interventi di servizio sociale, di reinserimento lavorativo, di sostegno alle persone del nucleo familiare, ai sussidi economici, e alle pensioni di invalidità).

Infine i costi legati alla perdita di produttività. Si perde 1 miliardo e 932 milioni per la riduzione "delle potenzialità individuali nella produzione del reddito a seguito dell’uso di droghe". L’analisi riguarda anche chi è interessato indirettamente come familiari, amici, vittime di atti criminali e incidenti e include i costi degli anni di vita persi in caso di morte prematura o di parziale o totale invalidità determinata dalle patologie concomitanti. Anche il carcere incide su questo classe di costi.

Droghe: l’eroina è la sostanza percepita come più dannosa

 

Redattore Sociale, 11 luglio 2007

 

Relazione 2006. Al secondo posto la cocaina, ma la percezione del rischio diminuisce tra i 35 e i 44 anni. Sulla cannabis quasi 5 milioni di italiani hanno cambiato idea in 4 anni "passando ad una posizione di non esplicita disapprovazione".

È l’eroina la sostanza maggiormente percepita come rischiosa per la propria salute (indagine IPSAD®Italia7): la considera pericolosa oltre il 95% degli intervistati; al secondo posto la cocaina che, pur attestandosi su valori alti, viene sottovalutata come fattore di rischio dagli intervistati fra i 35 ed i 44 anni. Il fumo di tabacco è considerato pericoloso da oltre l’85% dei soggetti, timore minore tra i soggetti di età compresi tra i 25 ed i 44 anni, in particolare negli anni 2003- 2005.

La cannabis, invece, è percepita come dannosa per la salute solo dal 70% degli intervistati e secondo la relazione "viene considerata sostanza rischiosa da un numero sempre minore di soggetti": secondo l’indagine "diminuisce costantemente il dissenso" tra gli anni 2001, 2003 e 2005: se nel 2001 infatti il 71% dei maschi e l’80% delle donne esprimeva una forte disapprovazione rispetto all’uso di questa sostanza, nel 2005 erano il 64% degli uomini ed il 68% delle donne.

A contribuire a questo significativo cambiamento sono in misura maggiore le classi di età più giovani (15-34 anni). "Quasi 5 milioni di italiani avrebbero cambiato opinione nell’arco di soli 4 anni, passando da un’opinione negativa nei confronti dell’uso della cannabis ad una posizione di non esplicita disapprovazione".

Rispetto all’eroina cresce "significativamente" la quota di studenti che individuano la discoteca come luogo dove trovare la sostanza, mentre la strada sembra essere considerata sempre meno adatta all’acquisto di eroina, così come la scuola, che viene percepita come luogo di spaccio di eroina solo da circa il 7% degli studenti. Per la cocaina, il 29% degli studenti afferma di "poterla trovare facilmente", poco meno della metà degli studenti intervistati individua la casa dello spacciatore il luogo dove trovare la cocaina, passano dal 27% nel 2000 al 41% del 2006 gli studenti intervistati che individuano la discoteca come luogo deputato all’acquisto.

La scuola viene percepita come sede di possibile spaccio di cocaina solo dall’11% degli studenti. Il 70% gli studenti invece non ha dubbi su dove comprare cannabis: la maggior parte degli studenti individua come luogo deputato all’acquisto la strada (si osserva tuttavia un trend in lieve decremento dal 2001 - 52% - ad oggi - 46% -). Dal 2001 diminuiscono anche gli studenti che riferiscono la scuola come il luogo dove trovare cannabis, anche se è ancora segnalata dal 44% degli intervistati.

Le Regioni in cui si registra una generale maggiore percezione del rischio e disapprovazione in merito all’uso di sostanze psicoattive legali ed illegali sono la Sicilia, la Calabria e l’Emilia Romagna mentre i valori più bassi si rilevano in Toscana, Marche e Friuli. Ma "non sempre ad un atteggiamento di disapprovazione o di percezione del rischio circa l’uso di determinate sostanze corrisponde una bassa prevalenza stimata dei consumi di sostanze"; eccezioni si ritrovano ad esempio la Sicilia e la Valle d’Aosta dove, a fronte di un’alta percezione del rischio e di un atteggiamento di disapprovazione nei confronti dell’uso di cannabis, si evidenziano le prevalenze più alte di consumo della sostanza.

Droghe: "boom" della cocaina, cresce anche uso marijuana

 

La Repubblica, 11 luglio 2007

 

In Italia è emergenza cocaina. L’allarme lanciato tempo fa da Amato, che parlava di un "uso gigantesco" nel nostro paese, trova conferma nella relazione annuale al parlamento sulle tossicodipendenze presentato dal ministro Paolo Ferrero. Il quadro che emerge è sconfortante. La cocaina sta vivendo un vero e proprio boom, soprattutto fra i ragazzi. La colpa, ha spiegato Ferrero, è da attribuirsi al crollo dei prezzi delle sostanze illegali: "la sua maggiore accessibilità economica la rende ancora più popolare". In crescita anche la marijuana, provata da un italiano su tre.

L’uso di cocaina, segnala la relazione, è cresciuto di circa il 62% nei maschi fra i 25 e i 34 anni e del 50% nelle ragazze tra i 15 e i 24 anni. Stabile, invece, il consumo di eroina: nel 2006, in Italia, gli utilizzatori di eroina sono stimati in circa 210.000, un dato simile a quello dell’anno precedente. Tra il 2001 ed il 2005 il rapporto rileva anche un aumento dei consumi di cannabis: hanno fatto uso della sostanza almeno una volta nella vita il 22% degli intervistati nel 2001 ed il 32% nel 2005.

L’incremento si riferisce non solo al consumo nella vita e negli ultimi 12 mesi, ma anche negli ultimi 30 giorni e ha riguardato in modo significativo entrambi i generi in tutte le classi d’età. Le regioni che fanno registrare le più alte prevalenze di consumatori di sostanze illegali (una o più volte, negli ultimi 12 mesi) sono il Lazio per i cannabinoidi (10,6%), la Lombardia per la cocaina (4,7%) e la Liguria per l’eroina (0,7%).

Il costo delle sostanze illecite - avverte il ministro - sta costantemente diminuendo. Dal 2001 al 2006, la media dei prezzi per la cocaina è passata da 99 a 83 euro; per l’eroina da 68 a 52 euro per quella nera e da 84 a 78 per quella bianca. Il rischio, quindi, è che le droghe diventino prodotti "alla portata di tutte le tasche. Proprio la loro maggiore accessibilità economica, oltre alla ampia disponibilità di reperimento sul mercato illegale - aggiunge il ministro - le rende ancor più popolari".

Diminuisce, invece, l’uso di alcol: la quota di intervistati che dichiara di averne fatto uso almeno una volta negli ultimi 12 mesi è passata dall’89% del 2003, all’86% del 2005. Tale riduzione non mette però in discussione il crescere, spesso riportato da più fonti, di nuovi modelli di consumo, in particolare nella popolazione giovanile, maggiormente problematici rispetto ai rischi a breve e medio termine.

Sembrano, inoltre, essersi modificate in modo significativo le abitudini relative al consumo di tabacco; la percentuale del campione intervistato (con età compresa tra i 15 ed i 44 anni) che nel 2001 riferiva di aver fatto uso di almeno una sigaretta negli ultimi dodici mesi era del 36,3%, nel 2003 scende al 32% e rimane stabile nel 2005. Disaggregando il dato si evidenzia, però, come ad una importante diminuzione dei fumatori maschi (-6,6%) corrisponda un aumento altrettanto significativo delle fumatrici (+6,4%).

 

 

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