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Roma: un detenuto tunisino di 45 anni si impicca in cella
Corriere della Sera, 10 luglio 2007
Un detenuto tunisino, Sfaxi Halim, 45 anni, si è ucciso ieri alle 15 a Regina Coeli dentro la sua cella, nel 7° Braccio. In carcere dal 4 giugno, il detenuto era stato condannato pochi giorni fa a dieci mesi per il tentato furto di un' auto, una Fiat Uno. L' uomo, come ha reso noto il garante dei detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni, aveva già tentato il suicidio il 3 luglio, ferendosi con una lametta, ma era stato fermato in tempo e sottoposto a stretta sorveglianza. Lasciato poi da solo in cella, è stato trovato morto ieri da un agente che era andato a prenderlo per condurlo ad una visita psichiatrica. Il tunisino, che in Italia non aveva parenti, si è impiccato con un lenzuolo alla porta del bagno. "Questo fatto gravissimo è la conferma che nelle carceri le condizioni di vita non sono civili - ha detto il verde Paolo Cento che ha reso pubblico il suicidio -. C' è bisogno di più assistenza sociale e psicologica per garantire condizioni di vita più umane". "È un suicidio che nasce dalla solitudine e dalla disperazione - ha commentato Angiolo Marroni -. Tanti stranieri sono in cella senza sostegno o assistenza, spesso per reati minimi che, se commessi da un italiano, non porterebbero nemmeno alla carcerazione". In mattinata, ieri, la Commissione sulla sicurezza della Regione aveva intanto reso noto un rapporto sulle carceri del Lazio. Per la commissione presieduta da Luisa Laurelli i problemi nei penitenziari (che grazie all' indulto hanno registrato un calo di detenuti) riguardano soprattutto la condizione delle detenute madri, la salute, il lavoro e le attività ricreative. Gli istituti, pur avendo superato la fase dell' emergenza sovraffollamento, hanno ancora carenze di organico e lacune sul fronte del lavoro. Nota positiva, in questo contesto, i due reparti di medicina protetta promossi al Pertini (22 posti) e al Belcolle di Viterbo (10 letti). "Per le detenute madri - ha ricordato la Laurelli - occorre adottare come a Milano la soluzione di una casa famiglia". Che però non esiste ancora. Giustizia: con misure alternative meno rischio di recidiva
Agi, 10 luglio 2007
Le misure alternative alla detenzione carceraria rendono più basso il rischio di commettere nuovi reati. A fronte di un tasso medio di recidiva del 68% di quanti hanno trascorso integralmente la pena in carcere, la percentuale di coloro che sono rientrati in carcere dopo l’indulto è del 20%, mentre la recidiva tra chi ha beneficiato di misure alternative alla detenzione è del 19%. In sostanza, tanto più si ricorre a misure alternative alla detenzione, minore è la probabilità che i destinatari dei benefici commettano nuovi reati perché il tasso di recidiva è più basso tra chi beneficia di misure alternative. I dati sono stati diffusi dal Convegno "Il carcere: extrema ratio", in corso a Roma al Consiglio Regionale del Lazio. "È errata la percezione che l’indulto abbia portato un aumento dei reati commessi", dice Angiolo Marroni, Garante dei Diritti dei detenuti della Regione Lazio e organizzatore del convegno. Secondo i dati del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria, con l’indulto in un anno (dal 1 agosto 2006 al 9 luglio 2007) sono state scarcerate 26.491 persone. I rientrati in carcere per aver di nuovo commesso un reato sono 5.331 (il 20,12%). Nel Lazio la percentuale è uguale al dato nazionale: a fronte di 2.557 beneficiari dell’indulto ne sono rientrati 522 (20,41%). "Se questi sono i dati - dice Marroni - possiamo dire che se vogliamo effettivamente ridurre il numero dei reati e favorire una maggiore sicurezza, non occorre diminuire il ricorso alle misure alternative, ma aumentarlo sensibilmente". Scopo del Convegno è fornire un contributo allo sforzo di realizzare un nuovo Diritto Penale più adeguato alle esigenze della società, che non preveda il carcere come pena principale; e ciò con riferimento sopratutto alla posizione dei tossicodipendenti, immigrati e portatori di disagi psichici, che costituiscono la gran parte della popolazione carceraria. "Per loro - ha aggiunto il Garante dei Detenuti - la detenzione non è la soluzione giusta. Andrebbero immaginate nuove forme di sanzioni, dal lavoro di pubblica utilità all’affidamento in prova o alle comunità terapeutiche, estese anche alla fase del giudizio, che consentano di modellare il sistema penale ai principi costituzionali come l’articolo 27, secondo cui le pene debbono essere dirette alla rieducazione del condannato". Il nuovo modello di sistema penitenziario prospettato è quello che prevede il carcere come luogo dove svolgere attività di recupero e reinserimento sociale del detenuto, essenziali per il successo del sistema punitivo, con un cambiamento di impostazione che ponga al centro il detenuto come persona. E il ricorso a forme alternative alla detenzione deve diventare sempre più massiccio, per consentire il graduale reinserimento in libertà che aiuta il detenuto e favorisce il suo recupero. Giustizia: lo Stato non ha soldi per le vittime della mafia
Il Corriere della Sera, 10 luglio 2007
Lo Stato non ha i soldi per risarcire le vittime della mafia. Lo sottolinea il Ragioniere generale Mario Canzio in una lettera al Parlamento. La proposta di legge in favore delle persone colpite dalla criminalità organizzata e mentre svolgevano il proprio dovere prevede una spesa molto inferiore a quella reale, e dunque non può essere approvata. Questo manda a dire il ministero dell’Economia al Parlamento, attraverso il Ragioniere generale Mario Canzio, con una lettera del 20 giugno scorso. Che si conclude con un verdetto dal tono definitivo: "In tale stato di cose, per quanto di competenza, il provvedimento non può avere ulteriore corso". La questione è semplice e complicata insieme. Dovrebbe infatti essere scontato che come le istituzioni vengono incontro alle vittime "del terrorismo e delle stragi di tale matrice " attraverso i benefici economici sanciti da una legge del 2004, altrettanto dovrebbero fare con i parenti dei morti innocenti uccisi dalla mafia, o con i feriti rimasti invalidi. E così con le cosiddette "vittime del dovere a causa di azioni criminose, nonché ai loro familiari superstiti". Per sanare l’incongruenza, alla Camera è in discussione una proposta di legge che parifica il trattamento di queste categorie di persone a quello già garantito a chi ha subito attentati terroristici: in estrema sintesi, somme variabili per i diversi gradi di invalidità e un vitalizio di 1.033 euro mensili "ai superstiti delle vittime, compresi i figli maggiorenni". Ma la semplicità finisce qui. Il resto è affidato a complicati calcoli economici, e i conti non tornano. Secondo la proposta di legge, l’onere di spesa previsto è di 10 milioni di euro all’anno. Ma il ministero dell’Economia replica con ben altre cifre, anche per via dei nuovi casi che potranno verificarsi ogni anno: "Complessivamente 10 unità per le vittime della criminalità organizzata e dieci unità per le vittime del dovere", scrive il Ragioniere dello Stato, da aggiungere alle 500 "unità" già esistenti per mano di mafia, camorra e ‘ndrangheta (400 morti e 100 invalidi) e 1.550 dell’altro gruppo (1.200 morti e 350 invalidi). In realtà i calcoli del ministero sembrano effettuati sulle previsioni di cinque nuove vittime all’anno per ciascuna delle due categorie, ma restano lontanissimi dai 10 milioni previsti della proposta di legge. Solo nel primo anno di applicazione - considerati gli arretrati previsti dalla normativa - la spesa sarebbe di circa 223 milioni di euro, di 54 milioni per il secondo anno, e di 55 milioni per il terzo. Su queste basi, la conclusione di Canzio è categorica: "Con riferimento al triennio 2007-2009, nell’accantonamento di fondo speciale di parte corrente dello stato di previsione del ministero dell’Economia e delle finanze per l’anno 2007, non risultano risorse da destinare allo scopo". Per il ragioniere dello Stato la questione è chiusa. Non per il presidente della commissione parlamentare antimafia Francesco Forgione, deputato di Rifondazione Comunista. È uno dei firmatari dei disegni di legge unificati nel testo in discussione alla Camera, e ha già parlato con il ministro dei rapporti con il Parlamento Vannino Chiti: "Gli ho espresso la mia incredulità. Come si fa a rispondere in maniera così fiscale e burocratica a un provvedimento che rimedia l’errore grave di non aver parificato il trattamento delle vittime della mafia a quelle del terrorismo? Non possono esistere vittime di serie A e di serie B". La burocrazia dice che i soldi non ci sono, ma Forgione insiste: "Si può pensare ad aggiustamenti e correzioni, ma non tollerare che ci si dica che la questione è chiusa. Addirittura pianificando un certo numero di nuovi morti all’anno, calcolati non si sa come. E poi non si tiene conto che ci sono aiuti regionali già previsti, e che chi ne usufruisce deve rinunciare all’aiuto statale. I conti si possono aggiustare, ma c’è un principio su cui non si può transigere: la mafia ha lo stesso carattere eversivo e di negazione della libertà e della democrazia del terrorismo. Per trattare materie come queste ci vuole una sensibilità che il ministro dell’Economia mostra di non avere; spero che non sia una caratteristica di tutto il governo". Sicurezza: Amato; per Napoli serve "cultura della legalità"
www.interni.it, 10 luglio 2007
Cultura della legalità e risorse da parte dello Stato, questa la ricetta del ministro Amato per fronteggiare l’emergenza sicurezza a Napoli: "Alcune funzioni vitali ed essenziali per la sicurezza delle nostre comunità non possono essere sospese". Nel corso di una serie di incontri nel capoluogo partenopeo, il ministro dell’Interno ha fatto il punto sull’attuazione del Patto per la sicurezza di Napoli e provincia, siglato a novembre. Il ministro Amato ha affrontato nuovamente oggi, a Napoli, il tema del rapporto tra sicurezza e legalità nell’ambito di una serie di incontri che ha costituito l’occasione per fare un primo punto sull’attuazione del Patto per la sicurezza di Napoli e provincia, siglato lo scorso novembre. La giornata si è aperta questa mattina, presso la Prefettura del capoluogo campano, dove Amato ha presieduto una riunione del Comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza cui ha partecipato, tra gli altri, anche il ministro della Giustizia, Clemente Mastella. Nel suo intervento, il responsabile del Viminale ha sottolineato lo stretto rapporto che lega la crescita del livello di sicurezza sul territorio alla diffusione della cultura della legalità, che ostacola e consente di prevenire non soltanto il reato, ma qualsiasi comportamento che possa avallare la percezione di mancanza di sicurezza da parte degli abitanti. Combattere contro il divieto di sosta e contro la camorra sono infatti, secondo l’esempio scelto da Amato, "due cose parimenti uguali". "Il vivere civile, e lo svilupparsi del vivere civile, e il rispetto del principio di legalità", ha ribadito il ministro dell’Interno, devono necessariamente concorrere per fronteggiare e risolvere le problematiche legate all’illegalità diffusa, soprattutto nelle metropoli, afflitte dai reati predatori, dall’estorsione e dalla crescita dell’usura, ma lo Stato, al tempo stesso, non deve allentare il suo impegno nella lotta alla criminalità e per la sicurezza. Sfida difficile, soprattutto in realtà come Napoli in cui esiste un problema oggettivo - ha osservato Amato prendendo successivamente parte, insieme con il presidente della Regione, Bassolino, al Convegno internazionale su "Metropoli e criminalità: binomio inscindibile?" a Castel dell’Ovo, in risposta ad alcuni interventi di cittadini che hanno fatto presente la situazione estremamente critica in cui si trova la città. Una città in cui il problema della criminalità rimane la principale urgenza. "È un problema enorme - ha affermato il ministro - c’è un’illegalità talmente diffusa tale da creare una sensazione del rischio criminale anche quando questo rischio non c’è". Il problema, sostiene Amato, può essere risolto soltanto con un concorso congiunto di fattori: dall’intervento della Polizia, alla responsabilità sociale e allo sviluppo, che, tuttavia, pur offrendo opportunità ai giovani e abbassando la microcriminalità, da solo non basta. Occorrono, infatti, oltre a "impegno civile, la partecipazione diretta e una cittadinanza attiva", anche risorse umane - ha proseguito Amato facendo riferimento all’impossibilità per gli Enti locali di fare nuove assunzioni nel corpo dei vigili urbani - e la consapevolezza, da parte di Governo e Parlamento, che "alcune funzioni vitali ed essenziali per la sicurezza delle nostre comunità non possono essere sospese". E alcune di queste funzioni, a Napoli, sono state "essiccate". Per dare ancora più forza al Patto per la sicurezza c’è bisogno, dunque, di maggiori risorse. "La voce sicurezza quest’anno è la prima tra quelle su cui il documento di programmazione finanziaria dice che bisogna spendere dei soldi", ha ricordato il ministro a questo proposito, indicando tre priorità: il completamento del sistema di videosorveglianza, l’assunzione di più vigili urbani e l’aumento del personale della Procura. Al centro della giornata di incontri, anche il tema delicato della protezione civile. Il ministro Amato ha, infatti, sottoscritto insieme con il presidente della Regione, Antonio Bassolino, un Accordo di programma quadro che vincola Ministero dell’Interno e Regione Campania fino al 31 dicembre 2011, finalizzato a rafforzare i rapporti tra l’amministrazione regionale e il Dipartimento dei Vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, per rendere più efficiente il sistema di protezione civile in Campania. Oggetto dell’accordo di programma, la definizione di procedure operative per l’adozione di forme di coordinamento in situazioni di crisi o emergenza, l’attivazione di sistemi di comunicazione radio e di telefonia dedicata tra la Sala operativa regionale unificata di protezione civile (Soru), la Direzione regionale dei vigili del fuoco e i Comandi provinciali dei Vigili del fuoco della Regione, che metterà a disposizione anche la banca dati di supporto alla Soru, con i dati demografici e territoriali utili per le attività di soccorso. Nell’ambito degli impegni che si sono susseguiti, Amato ha anche avuto un incontro, definito "molto importante", con Tano Grasso, presidente della Federazione antiracket italiana, incentrato sull’utilizzo dei beni confiscati alla camorra e sulle misure contro racket e usura. All’incontro ha preso parte anche il sottosegretario all’interno, Ettore Rosato. La giornata si è conclusa in Prefettura, dove il ministro Amato ha incontrato i giornalisti.
La conferenza stampa
Nel corso dell’incontro con la stampa, il ministro dell’Interno ha risposto, tra le altre, a una domanda sull’aumento in alcune zone della città delle cosiddette "piazze dello spaccio". "Bisognerebbe promuovere una campagna civile contro il consumo di droga, che spinga i ragazzi a non farne uso", ha detto Amato, che ha anche suggerito alcuni possibili slogan, come "Meglio un week and con una birra che con la cocaina". Durante la conferenza stampa, inoltre, il prefetto di Napoli, Alessandro Pansa, ha annunciato che presto sarà siglato un protocollo di legalità in materia di appalti pubblici tra la Prefettura e i rappresentanti legali di circa 170 stazioni appaltanti, aperto comunque alla sottoscrizione da parte di altri soggetti che volessero esservi coinvolti. Obiettivo dell’accordo è quello di sostenere sia le stazioni appaltanti che le imprese, per contrastare la criminalità, particolarmente invasiva, nel settore degli appalti pubblici. Il protocollo riguarda, in particolare, appalti di opere e lavori di valore pari o superiore a 250.000 euro, subappalti per importi pari o superiori a 100.000 euro e prestazioni di servizi e forniture pubbliche di valore pari o superiore a 50mila euro. Altro strumento importante previsto dal protocollo a garanzia della trasparenza delle operazioni riguarda la loro tracciabilità. Queste dovranno, infatti, essere effettuate tramite bonifico su conti correnti dedicati, e i loro dati confluiranno in una banca dati presso la Camera di Commercio dove potranno essere controllati dalla Dia. Sarà, inoltre realizzata una banca dati relativa alle ditte che partecipano alle gare d’appalto. Opg: Friuli; la regione prenderà in carico i propri internati
Redattore Sociale, 10 luglio 2007
La regione Friuli Venezia Giulia ha da tempo iniziato un lavoro mirato e attivato le questioni propedeutiche per avviare il trasferimento. Un modo per evitare lo sradicamento delle persone recluse dal loro territorio di origine. Novità in vista in materia di carcere e salute mentale. Il Friuli Venezia Giulia ha da qualche tempo iniziato un lavoro mirato a riportare all’interno della regione quelle persone, circa una ventina, che attualmente si trovano in diversi manicomi criminali d’Italia. Lo ha annunciato l’assessore regionale alla Salute e Protezione sociale, Ezio Beltrame. "Abbiamo diversi corregionali, perlopiù giovani, in varie strutture di salute mentale italiane: in questo momento si sta lavorando per riportarli nella loro regione di appartenenza e assisterli qui". E ha aggiunto: "Tra l’altro sono persone ben conosciute dai nostri servizi, che già in passato hanno avuto modo di prendere in carico i loro casi". Nelle intenzioni della Regione, questo sarebbe un modo per evitare lo sradicamento delle persone recluse lontano dal loro territorio di origine. Tutte le questioni propedeutiche per avviare il trasferimento, spiega l’assessore, sono state sistemate con successo: "Ora si tratta di capire fondamentalmente se siamo in grado di garantire il servizio di assistenza. Va anche capito se abbiamo la possibilità di chiedere l’affidamento di tutte queste persone o anche solo di alcuni di loro: si deve valutare se possiamo contare sulle necessarie risorse economiche e di personale". Il processo è in pieno svolgimento e già questa settimana è prevista una ulteriore riunione tecnica sulla questione. Non si può sapere se e quando questi trasferimenti avverranno, ma il meccanismo è in moto. La Regione comunque in ambito carcerario e per affrontare il tema delle tossicodipendenze e della salute mentale si sta muovendo anche su altri fronti: "È in calendario a giorni - ha annunciato l’assessore - un incontro con i capi Dipartimento salute mentale per creare una rete nelle nostre aziende sanitarie che possa dare risposte più adeguate a chi lavora all’interno delle strutture penitenziarie. Siamo consapevoli che sulle emergenze e per l’assistenza ordinaria potremmo fare di più, consci che non si tratta di un problema tecnico ma soprattutto di responsabilità. Speriamo di poter presentare già tra pochi mesi risultati concreti". Un aspetto problematico resta infatti quello dell’assistenza sanitaria carceraria: "Sono trascorsi otto anni dall’approvazione del decreto legislativo 230/99 che prevedeva il trasferimento di competenze dal ministero di Grazia e Giustizia al Servizio sanitario regionale. Tuttora però per quanto riguarda l’assistenza generica ci sono ancora difficoltà con il ministero". Polizia penitenziaria negli Uepe: domani si riapre confronto
Redattore Sociale, 10 luglio 2007
Si terrà domani, dopo diversi rinvii, l’incontro tra il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e i sindacati, in merito alla proposta di inserire la polizia penitenziaria negli uffici per l’esecuzione penale esterna (Uepe). Si terrà domani, dopo diversi rinvii, l’incontro tra il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria e i sindacati, in merito alla proposta di inserire la polizia penitenziaria negli uffici per l’esecuzione penale esterna (Uepe). A circa due mesi dalla presentazione della prima bozza di decreto del Ministro Mastella, il Comitato di Solidarietà Assistenti Sociali, con il blog www.solidarietaasmilano.blogspot.com, continua a raccogliere giornalmente comunicati, critiche, dichiarazioni di dissenso su tale proposta. Secondo il Comitato di Solidarietà, "con la nuova bozza di decreto, definita di concerto con il Ministero degli Interni, sono state apportate modifiche insufficienti e comunque non sostanziali rispetto a quanto richiesto in questi due mesi di mobilitazione dagli assistenti sociali e da tutti coloro che hanno espresso perplessità e dissenso all’iniziativa del Ministero della Giustizia. Anzi con il nuovo decreto interministeriale il servizio Uepe diviene parte integrante degli Organismi di Ordine Pubblico e Sicurezza a scapito della sua natura di Servizio Sociale". A tal proposito, l’On. Servodio del gruppo parlamentare dell’Ulivo, rileva che "è a rischio la connotazione sociale degli Uepe e il sistema dei Servizi Sociali della Giustizia operante nel settore adulti, dopo oltre 30 anni di’attività e nonostante le statistiche e i risultati di diverse ricerche dimostrino che la stessa sia stata svolta, seppur con pochi investimenti, in termini positivi anche rispetto alla ricaduta sulla recidiva e di conseguenza sulla sicurezza dei cittadini". Con un interrogazione parlamentare presentata il 5 luglio, l’On. Servodio ha richiesto al Ministro Mastella di "prendere in considerazione tali preoccupazioni e di trovare, all’interno di un progetto complessivo di riforma del sistema delle misure alternative, altri strumenti e soluzioni che permettano di attenuare il rischio di creare contrapposizioni tra operatori". Chiede inoltre di sapere "se è sua intenzione impegnarsi per superare la previsione di inserire presso gli Uepe i nuclei di polizia penitenziaria e per escludere, tra l’eventuale competenza della polizia penitenziaria sulle misure alternative al carcere, il controllo della misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale (nel rispetto dell’art.72 dell’ordinamento penitenziario e dell’art.118 del regolamento di esecuzione)". Per l’Ordine nazionale assistenti sociali, che nei giorni scorsi ha inviato al Ministro Mastella e al Direttore Generale dell’Amministrazione Penitenziaria, una nuova lettera, continuano ad emergere "perplessità circa gli obiettivi che si intendono perseguire con la riforma in corso". Per l’Ordine, nella nuova bozza di decreto permangono aspetti ancora non sufficientemente chiariti, "in particolare rispetto a: titolarità della gestione del caso e ruolo del previsto "responsabile del nucleo di verifica"; titolarità del monitoraggio e della valutazione della fase di sperimentazione; criteri sui quali si baserà tale valutazione". Afferma in una nota Anna Muschitiello, segretaria nazionale del Casg: "A conferma che le obiezioni sul decreto ministeriale, espresse da parte del Casg, degli assistenti sociali degli Uepe di tutta Italia e da tutti coloro che hanno appoggiato la mobilitazione di questi mesi, non erano del tutto infondate, lo dimostra la necessità di emanare un decreto interministeriale. A nostro parere, nella nuova bozza di decreto, definita di concerto con il Ministero degli Interni, non solo non sono state accolte le richieste e valutate attentamente le perplessità sulla legittimità di tale operazione, ma si sono peggiorate le condizioni in cui avverrà tale sperimentazione, ribadendo la volontà che i nuclei di polizia penitenziaria siano collocati negli Uepe e configurando in maniera più incisiva, che nella precedente bozza di Decreto Ministeriale, un ruolo dei Direttori degli Uepe (assistenti sociali anch’essi), sempre più vicino a quello di funzionari di Polizia, piuttosto che di Dirigenti con una necessaria e specifica connotazione tecnico-professionale, rafforzando l’immagine del servizio Uepe come parte integrante degli Organismi di ordine pubblico e sicurezza a scapito della sua natura di servizio sociale". E continua: "Siamo inoltre confortati dalle recenti dichiarazioni di un autorevole esponente della Magistratura, il presidente Alessandro Margara che afferma espressamente: l’operazione in corso muove da una serie di non corrette e anche errate impostazioni della materia, che se non modificate in tempo utile possono risultare pericolose e irreversibili. In particolare: ‘non possono essere modificate con provvedimenti amministrativi competenze e funzioni nella esecuzione delle misure alternative previste dalla legge. L’intervento del Prefetto nell’esecuzione penale esterna è preoccupante perché modifica un processo ormai secolare (a partire dagli anni 20 del 1900) che vede il sistema penitenziario inserito totalmente nel Ministero della Giustizia e non dell’Interno’ "Alla luce delle riflessioni sopra riportate - conclude la Muschitiello - appaiono del tutto pretestuose e fuorvianti le interpretazioni che vogliono ridurre l’opposizione a questa operazione come un conflitto tra professionalità, perché è chiaro che di mezzo ci sono questioni molto più importanti che riguardano la qualità della democrazia del nostro paese. Spiace infine constatare che queste operazioni sono portate a compimento dall’attuale Governo che vorrebbe più di altri rappresentare i valori della legalità, della solidarietà e della democrazia". Lazio: si riduce il sovraffollamento, ma restano i problemi
Redattore Sociale, 10 luglio 2007
L’indulto svuota le celle (prima erano 6.092 dopo circa 3.900) e migliora la detenzione; ma il personale è ancora insufficiente e scarsa è la tutela della salute. Focus sulla situazione delle madri di Rebibbia. Prima dell’indulto nella regione Lazio i detenuti erano 6092, nel dicembre 2006 ne risultavano 3900. Con l’indulto, per cui sono stati stanziati 500mila euro, ne sono usciti 2038, di cui 1433 italiani e 875 stranieri. Ma, nonostante la diminuzione della popolazione carceraria e risolto il problema del sovraffollamento, rimangono alcuni aspetti problematici riguardo alle condizioni di vita dei detenuti, insiti al contesto degli istituti, che compromettono il graduale riavvicinamento del detenuto alla collettività, attraverso la rieducazione ed il reinserimento sociale. Ad esempio, il personale penitenziario risulta comunque sotto organico (per buona parte, soprattutto per la polizia penitenziaria, il carico di lavoro è rimasto lo stesso), in particolare dal punto di vista degli educatori. Questi i dati che emergono dall’indagine sulle condizioni di vita dei detenuti all’interno delle carceri laziali della Commissione sicurezza e integrazione sociale, lotta alla criminalità del Consiglio regionale, attraverso visite effettuate dal maggio 2006 all’aprile 2007, per garantire al detenuto il rispetto dei diritti costituzionalmente inviolabili, diffusa oggi. Sono 16 gli istituti penitenziari oggetto dell’indagine, tra cui due reparti di medicina penitenziaria, che prende in esame i settori lavoro; istruzione e formazione professionale; attività culturali, ricreative, sportive; tutela della salute; interventi per gli operatori penitenziari. Ne risulta che è difficile compiere un discorso complessivo, considerato che le strutture risultano molto diverse l’una dall’altra - per alcune gli interventi di miglioramento sono indispensabili -, emergono però come tratti comuni la carenza di lavoro per i detenuti e la cattiva qualità delle prestazioni sanitarie loro riservate. Un’attenzione particolare é riservata alle detenute madri con bambini inferiori di tre anni rinchiuse presso l’istituto femminile di Rebibbia. Il Consiglio regionale ha più volte ribadito la necessità che i minori di quell’età non vivano in carcere - visto che i traumi rischiano di essere indelebili - e ha spinto per l’attuazione di una forma alternativa di pena per loro e le loro madri. Come ad esempio le case famiglia che il Comune di Roma vorrebbe realizzare attraverso la gestione della Farmacap. O comunque si chiede che le detenute - soprattutto straniere o di origine rom - autorizzino i loro bambini a frequentare gli asili comunali. "La proposta di legge 7/2007 a sostegno dei diritti dei detenuti della Regione Lazio - ha evidenziato Luisa Laurelli, presidente della Commissione consiliare, a sottolineare l’importanza del lavoro svolto - ha viaggiato insieme alle nostre visite nei carceri e ha recepito le indicazioni che sono pervenute non solo dalle autorità penitenziarie e dal personale, ma a volte anche dai detenuti". Il capitolo più delicato, secondo la presidente, riguarda la tutela della salute; le difficoltà sono dovute soprattutto al taglio dei fondi per il personale, che spesso é rimasto privo dello stipendio, oppure non é stato pagato per le ore di straordinario, inoltre una buona parte dei medici e degli infermieri ha un contratto a termine. Un altro aspetto problematico, ha continuato, riguarda i servizi per la tossicodipendenza, per cui si trattano soprattutto i casi di dipendenza da eroina ed alcol, mentre si fa poco contro la cocaina, "una delle droghe più presenti e moderne. "Irresponsabilmente sotto-utilizzato", ha dichiarato, é il "carcere a misura attenuata" come quello di Rebibbia, che stabilisce la volontarietà del detenuto di sottoporsi al trattamento e permette la prosecuzione della cura anche dopo la scarcerazione, attraverso l’opera dei Ser.T., che sono in generale da potenziare. La struttura di Rebibbia, ha evidenziato la Laurelli, non prendendo in trattamento i cocainomani, "lascia fuori una grossa fetta della popolazione", quando invece il ministero ha stabilito che essa venga utilizzata anche per i detenuti provenienti da altre regioni. Le prestazioni specialistiche risultano del tutto insufficienti dal punto di vista della quantità, della qualità e della tempestività, tanto che il consiglio regionale ha votato una mozione per rendere più celeri i tempi di prenotazione, attraverso delle liste di attesa extra, in modo che essi siano compatibili con il sistema penitenziario, che non può permettersi tempi lunghi. Due strutture di eccellenza, secondo la Laurelli, sono invece i due reparti di medicina protetta per degenti in stato di detenzione istituiti presso l’ospedale Sandro Pertini di Roma (22 posti) e l’ospedale Belcolle di Viterbo (10 posti). Purtroppo anche in questo caso si tratta di strutture sotto-utilizzate, ha sottolineato, anche le Asl non registrano alcuna difficoltà, basti pensare al fatto che le detenute di Rebibbia non amano essere ricoverate nell’area riservata Pertini, in quanto non consentirebbe la cura di alcune patologie e per i pregiudizi esistenti nei confronti di queste strutture. Buona la collaborazione tra amministrazione penitenziaria e regionale per il miglioramento delle condizioni di vita e per la formazione professionale degli operatori. In particolare la giunta ha approvato l’istituzione di quattro centri sperimentali per la prevenzione, diagnosi e terapia dello stress e delle patologie correlate a cui essi sono sottoposti, a cui ha fatto seguito una convenzione tra ministero della Giustizia e le Asl di Roma A,B, F e Frosinone, ma solo la prima ha comunicato l’avvio delle attività. Inoltre 96 mila euro sono stati destinati al corso di formazione per operatori presso l’Istituto Rebibbia della capitale, organizzato dalla facoltà di Psicologia dell’Università’ La Sapienza, che sta riscuotendo un notevole interesse (tra le materie la mediazione interculturale). Una caratteristica comune ai diversi istituti é la carenza di lavoro per i detenuti, che è uno strumento fondamentale di socializzazione, nonché, per il 95% di loro, ha sottolineato Peppe Ariani, Vicepresidente del Consiglio regionale, l’unica forma di sostentamento della famiglia. È importante curare questo aspetto, ha continuato, che permette ai carcerati di mantenere il loro legame con i familiari, che, inoltre, quando sono costretti a provvedere da soli a se stessi, finiscono per intraprendere un percorso criminoso. Lavorare permette inoltre ai detenuti di inserirsi in un circolo virtuoso, a cui potranno far riferimento anche una volta usciti dal carcere. Va in questo senso il progetto di formazione predisposto dalla Regione, che ha portato ad un programma organico di istruzione, formazione ed accompagnamento al lavoro per 3332 detenuti. In generale dall’indagine è risultato che i carcerati hanno un basso livello di istruzione e difficilmente hanno alle spalle un’esperienza lavorativa significativa. Nel quadro delle iniziative per incentivare le imprese ad impiegare detenuti o ex detenuti, la Regione ha inoltre stanziato 432mila euro destinati a cooperative sociali, per 12 progetti finanziati al reinserimento degli ex carcerati. Le strutture carcerarie che offrono spazi ed attrezzature particolarmente qualificate per lo svolgimento dell’attività lavorativa dei detenuti sono quelle di Velletri, Viterbo, Frosinone, Rebibbia nuovo complesso (qui essi sono usati come rilevatori delle multe autostradali), Rebibbia femminile e Paliano. In tutti gli istituti vengono organizzate attività culturali, ricreative e sportive, ad eccezione della Casa Circondariale di Rieti, per mancanza di spazi, e della Casa Circondariale di Paliano, pecche quelli messi a disposizione sono troppo antichi, infatti il carcere é una vecchia fortezza in mezzo alla campagna. Importante infine, rileva l’indagine, la messa a norma delle sale per i colloqui con i familiari, visto che in molti istituti esse mantengono i muri divisori: fondi sono stati messi a disposizione dalla Regione Lazio, ha dichiarato la Laurelli, per la ristrutturazione della sala della Casa Circondariale di Latina. Lazio: entro l’anno protocollo attuativo della legge regionale
Regione Lazio, 10 luglio 2007
Siglare il protocollo d’intesa con il ministero della Giustizia, che dovrà rendere attuativi gli indirizzi contenuti nella cosiddetta "legge Nieri" a tutela dei diritti dei detenuti, approvata a maggio dal Consiglio regionale del Lazio, entro la fine dell’anno, in modo da incardinare i fondi ad esso destinati entro il prossimo bilancio. Questo l’auspicio dell’assessore agli Affari Costituzionali della Regione Lazio, Daniele Fichera, come ha dichiarato oggi in occasione della presentazione della relazione sull’indagine relativa alle condizioni di vita dei detenuti all’interno delle carceri laziali effettuata dalla Commissione consiliare sicurezza e integrazione sociale, lotta alla criminalità, e presentata oggi a Roma. "Bisogna evitare che le Regioni e lo Stato - ha sottolineato Fichera - intraprendano due strade separate, per questo puntiamo tutto sulla firma del protocollo d’intesa, che non sarà un escamotage mediatico, ma dovrebbe diventare una sorta di trattato, un patto, in cui ciascuna delle due parti metta a disposizione le proprie risorse e sovranità. La stesura del protocollo sarà terminata entro questo mese, la discussione politica ci sarà a settembre". Secondo Fichera, "il processo di regionalizzazione deve riguardare in via prioritaria il sistema carcerario e l’ambiente circostante, è lì che se non interveniamo noi, non interviene nessuno. Il ragionamento sui processi di inserimento deve diventare il campo di intervento prioritario". In particolare Fichera auspica in campo sanitario una vera cooperazione tra amministrazione regionale e centrale, nell’ambito del trattamento penitenziario (lavoro, istruzione, professione religiosa, attività culturali e ricreative e sportive) la prima dovrebbe essere di supporto alla seconda, mentre dovrebbe essere protagonista nel processo di reinserimento. Per l’assessore manca inoltre "un coordinamento interno delle attività regionali su questo fronte, che va potenziato e di cui vanno sciolti alcuni nodi, il tavolo interassessoriale non è una formula elegante". Due, ha aggiunto, le condizioni favorevoli ai detenuti all’interno della Regione Lazio, ossia il fatto che il Consiglio regionale sia sensibile all’argomento, ed il fatto che ci sia un interesse bipartisan. Come ha dimostrato la presenza del consigliere Donato Robilotta, vicesegretario del nuovo Psi ed ex assessore agli Affari Costituzionali della Giunta Storace, da sempre interessato al tema carceri e che é stato il primo firmatario della mozione per la ristrutturazione del quinto e sesto braccio dell’istituto capitolino di Regina Coeli. "Sono soddisfatto - ha sottolineato - che nel dossier la presidente Laurelli, con onestà intellettuale, riconosca il lavoro svolto dalla precedente amministrazione, come la legge di istituzione del Garante per i diritti dei detenuti, in cui la Regione Lazio è stata capofila, e la costruzione dei due reparti di Medicina Penitenziaria all’ospedale Pertini di Roma e al Belcolle di Viterbo, che sono considerati due fiori all’occhiello". Secondo Robilotta, la "legge Nieri", che quasi fotocopia di quella della Regione Toscana, è "un passo avanti importante, anche se non dice niente sugli addetti della polizia penitenziaria". Bisogna puntare, ha aggiunto, soprattutto sulla possibilità per il detenuto di lavorare, che è "l’unica condizione" che una volta fuori gli permetterà di non rientrare. Secondo Robilotta, la "legge Nieri" non realizza un passaggio delle competenze in materia di Sanità dallo Stato alle Regioni, processo che sarebbe ancora in una fase sperimentale e che nemmeno questo governo, a suo parere, vuole realizzare, ma parla di "integrazione socio-sanitaria" da realizzarsi attraverso il protocollo d’intesa. Rovigo: venerdì in piazza serata di solidarietà per i detenuti
Il Gazzettino, 10 luglio 2007
Una serata per la solidarietà verso chi sta scontando una pena detentiva. Venerdì sera alle 21 piazza Vittorio Emanuele ospiterà per il terzo anno consecutivo il coordinamento dei volontari della casa circondariale, che porteranno in scena una serata di riflessione, musica, poesia e racconti sulla condizione carceraria. "Spesso ci si dimentica che chi è in carcere è una persona come noi, che può avere avuto determinati problemi - spiega Livio Ferrari, presidente del Centro Francescano di Ascolto e del Coordinamento Volontari - c’è una grande generalizzazione di condanna e molto spesso si assiste a comportamenti di voglia di vendetta. Noi volontari abbiamo toccato con mano le singolarità di ogni persona. In molti casi la pena è solo vendicativa e non risolve il problema dell’aiuto alle vittime. Vogliamo portare in piazza proprio questo: raccontare, cioè, che dietro a ogni dramma esiste una persona ed è quindi il caso di andarci piano con i sentimenti di vendetta a ogni costo. Tutti sbagliamo e ci sono senza dubbio reati terribili che devono essere puniti, ma siamo tutti esseri umano. Ecco perché è il caso che ci sia un’attenzione maggiore da parte della società, non scaricando tutto solo sulle forze dell’ordine". Venerdì la serata sarà presentata dal giornalista Rai Giovanni Anversa, conduttore di "Racconti di vita", e interveranno Carmen Bertolazzi, presidente Arci Ora d’aria, il gruppo folk rock "I Marmaja", il volontario fra Beppe Prioli, l’attrice Cristina Chinaglia e persone detenute della casa circondariale. Verranno letti brani presi dagli scritti del Cardinale Martini e composizioni e riflessioni dei detenuti stessi. Il palco sarà addobbato con le composizioni floreali create dalle detenute del carcere rodigino che stanno seguendo un corso di vivaistica, sempre nell’ottica di un aiuto a rientrare dignitosamente nella società. Verona: la polizia penitenziaria fa sciopero della mensa
L’Arena di Verona, 10 luglio 2007
Sciopero del pasto da domani nel carcere di Montorio. La polizia penitenziaria stanca di "mangiare poco e male", ha deciso di non andare più in mensa per una settimana. Ma se la ditta che si occupa dei loro pasti non cambia modo di gestire la mensa, gli agenti sono decisi di boicottare la mensa ad oltranza. "Oggi la cuoca è stata costretta ad andare ad acquistare la pasta con i suoi soldi", ha spiegato ieri Giovanni Sicilia, segretario regionale del Sappe, nonché membro della commissione di controllo della mensa, "ma non ha potuto acquistarne in grande quantità così quelli del primo turno hanno mangiato e gli altri hanno saltato il primo". Ma quello di ieri sembra non essere un caso isolato. È per questo che tutte le organizzazioni sindacali Sappe, Osapp, Sinappe, Cgil, Cisl, Uil, Fsacnpp hanno deciso di dare il via alla protesta informando sia il direttore della casa circondariale, che il provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria che la Food & Service Group srl di Milano, ditta che aveva vinto l’appalto per la mensa. "Non è soltanto un problema di cibo, ma c’è anche quello intendiamoci", ha aggiunto Sicilia, "infatti il contratto prevede primo, secondo, frutta, ma non viene rispettato. Manca sempre qualcosa, soprattutto a chi va in mensa dopo il primo turno. Abbiamo inoltre sottolineato a chi gestisce la mensa che c’è sporco, che sono state trovate pentole incrostate, ma ci è stato detto che non vengono messi a disposizione degli operatori i prodotti per pulire". Da domani dunque gli agenti di polizia penitenziaria, e sono quasi 400, boicotteranno la mensa e mangeranno a loro spese. "In mensa non paghiamo perché possiamo essere richiamati al servizio, i panini invece ce li paghiamo noi. Ma preferiamo mangiare così che non mangiare o farlo male in mensa. Abbiamo già chiesto al fornitore del bar di fare dei sacchetti per noi. Ma ci aspettiamo che la Food & Service si decida a rispettare il contratto che ha siglato. Non vogliamo altre che il rispetto di quello per cui sono pagati", ha concluso il poliziotto che assieme ai colleghi ha organizzato la protesta. Calabria: un'interrogazione sull'operato del provveditore
Quotidiano di Calabria, 10 luglio 2007
Ferdinando Pignataro, deputato del Pdci, ha reso noto di presentato un’interrogazione al ministro della Giustizia, Clemente Mastella esprimendo forti critiche circa l’operato del Provveditore regionale dell’Amministrazione penitenziaria e sollecitando interventi. "Il 21 giugno 2007, nella Casa Circondariale di Crotone - afferma Pignataro - il dott. Paolino Maria Quattrone, Provveditore Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria in Calabria, con toni bruschi e sprezzanti ha pubblicamente affermato che da tempo non crede nelle istituzioni e nel sistema politico, che alcuni dirigenti operano fuori dalle istituzioni e che chi non avrebbe aderito al suo progetto si sarebbe potuto trasferire in altre regioni d’Italia. Quattrone dal suo arrivo nella regione, per attuare il modello carcerario a custodia attenuata ha sostituito buona parte dei direttori e dei comandanti di reparto della regione". Nell’interrogazione il deputato di Rifondazione rileva che "le relazioni sindacali in Calabria, da sempre fortemente conflittuali, hanno raggiunto punte di acredine che hanno provocato manifestazioni di protesta ed il coinvolgimento di alcuni Prefetti e che la maggior parte delle organizzazioni sindacali, nel pieno delle funzioni assegnate loro dalla legge, lamenta che il Provveditore Regionale opera in maniera dispotica, secondo modelli gestionali primordiali, fondati sulla sua autoreferenzialità". Per Pignataro "il modello carcerario a custodia attenuata è ispirato solo all’apparenza ed ha come obiettivo unico inaugurazioni e manifestazioni che causano sperpero di denaro pubblico e di risorse umane dell’Amministrazione" perché "il Provveditore ha solo e sempre privilegiato l’aspetto estetico delle carceri senza occuparsi delle reali condizioni in cui sono costretti a lavorare gli operatori penitenziari". Padova: messa "taglia" di mille euro... per un ladro di cani
Il Mattino di Padova, 10 luglio 2007
Una taglia di 1.000 euro su ladro di cani ad Este, in provincia di Padova. Allarme e relativa contromossa, vengono dagli attivisti di "100% Animalisti", che come al solito hanno deciso di prendere la situazione di petto. "La settimana scorsa è stato rubato un altro cane a Este - dice Paolo Mocavero, responsabile dell’associazione. Dopo il bulldog francese sparito a Deserto d’Este il 23 settembre 2006, prelevato da uno sconosciuto direttamente dall’auto dopo aver forzato la serratura, la settimana scorsa è stato rubato un altro cane nella stessa zona, precisamente una femmina di beagle di 7 mesi. Anche in questo caso il cane è stato prelevato direttamente dal giardino dell’abitazione dei proprietari nella notte. Noi di "100% Animalisti" non crediamo che i cani siano destinati ai mercati esteri della vivisezione e tanto meno al mercato dei cani di razza". Ma dopo varie ricerche e una serie di contatti privilegiati, gli animalisti hanno formulato la loro ipotesi. "A Montagnana nel gennaio scorso, furono asportati da una casa due pastori tedeschi buonissimi, a marzo fece ritorno uno dei due in pessimo stato. Il muso tumefatto dalle sevizie ricevute e visibilmente scosso e traumatizzato dall’esperienza". Mocavero è convinto che ci sia qualcuno che rapisce questi cani per seviziarli. "100% Animalisti" da oggi mette una taglia di 1.000 euro. "Invitiamo - dice - tutte le persone che possono avere dei sospetti a contattarci senza indugio". Mocavero e compagni dunque sospettano che ci possa essere un individuo che rapisce i cani nell’Estense. Visti i precedenti, se veramente è così, dovrebbero individuarlo facilmente. Droghe: scontro su ddl per depenalizzazione del consumo
Il Messaggero, 10 luglio 2007
"Bisognerebbe promuovere una campagna civile contro il consumo di droga, che spinga i ragazzi a non fame uso". Giuliano Amato, che lo scorso febbraio aveva lanciato l’allarme sulla cocaina, ne parla ancora una volta da Napoli. Il ministro dell’Interno ha anche provato a lanciare alcuni slogan: "Meglio un week-end con una birra che con la cocaina", "la marijuana non mi interessa". In Italia "c’è un consumo gigantesco di cocaina, una spaventosa domanda", aveva detto Amato in febbraio, al termine degli incontri tenuti negli uffici della Prefettura. Intanto, si accende il dibattito. 11 disegno di legge che il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero ha annunciato due settimane fa è in fase di rielaborazione. Composta da due cartelle in cui sono enunciati i principi, più cinque cartelle di relazione illustrativa, la bozza dopo essere stata inviata ai ministri doveva andare al pre-consiglio di Palazzo Chigi. Però i tempi si allungano. C’è stata una riunione ristretta tra i ministeri interessati: Interno, Salute, Giustizia e Famiglia. Il testo è stato considerato una "proposta", un "punto di partenza". Dopo i rilievi ci sarà una nuova stesura. Ma vediamo quali sono i punti centrali. "Il governo è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti attuativi per la modifica del testo unico in materia di stupefacenti" inizia cosi il testo di Ferrero. Il primo punto tocca uno dei temi più delicati: "Rimodulare le tabelle - è scritto - delle sostanze rispetto alla pericolosità sociale, superando il criterio della "dose minima" ai fini della distinzione tra spaccio e consumo". Segue ridefinendo le scelte sanzionatone, mediante "il riordino delle pene". Poi afferma la "decriminalizzazione delle condotte legate al mero consumo, con l’eliminazione delle sanzioni amministrative, ma prevedendo l’invito al consumatore a presentarsi presso i servizi socio-sanitari, a cui compete la valutazione dell’intervento". Previsto anche il "rafforzamento degli strumenti di prevenzione, cura e riduzione del danno" e dei Ser.T.. Nella relazione di accompagno, invece, si critica la normativa in vigore, in quanto "ha una connotazione marcatamente punitiva nei confronti dei meri consumatori che non commettono reati e che non sviluppano dipendenza". L’intento è quello di "decriminalizzare" lasciando al giudice "autonoma discrezionalità". Ma una parte dei cattolici esprime perplessità. Dice Paola Binetti della Margherita: "La delega non può prescindere dal tritacarne del dibattito parlamentare. Non possiamo fare nulla senza trovare un punto di convergenza tra maggioranza e opposizione. Bisogna togliersi dalla mente che su temi del genere si possano fare leggi che cambiano ad ogni cambio di governo. Certo, la prevenzione, ma sulle tabelle ci sarà molto da discutere: non si può ammettere che una persona abbia addosso più di un consumo occasionale e giornaliero. Rischiamo una liberalizzazione di fatto. E sono contraria all’abolizione delle sanzioni: è inaudito che non ci siano misure punitive". Dal fronte dell’opposizione parla Carlo Giovanardi, Udc: "Tornare alla discrezionalità dei giudici è un errore clamoroso". Francia: niente amnistia per 14 luglio, le carceri scoppiano
Corriere della Sera, 10 luglio 2007
Non ha nemmeno graziato i cattivi automobilisti, cancellando - un atto quasi scontato, introdotto nel 1958 dal generale Charles de Gaulle, una volta arrivati all’Eliseo - le loro multe per lievi infrazioni al codice della strada. Figurarsi se grazia gli autori di reati ben più gravi, uno come Nicolas Sarkozy, che ha fatto della sicurezza pubblica e della lotta contro la delinquenza uno dei cavalli di battaglia della sua vittoriosa campagna presidenziale. Così, quest’anno, non ci sarà per la festa nazionale del 14 luglio la tradizionale "grazia collettiva" del presidente della Repubblica, prerogativa del solo capo dello Stato, una tradizione che risale alla monarchia. Il decreto è d’altra parte il solo a non venir pubblicato sul Journal officiel, la Gazzetta ufficiale francese. Sarkozy l’ha ufficializzato in una intervista al Journal du dimanche: "non ci sarà amnistia, né grazia collettiva". Potrebbero invece esserci "per ragioni umanitarie o eccezionali, provvedimenti di grazia individuali". Ed ha fatto l’esempio di "un individuo che si tuffa nella Senna, salva tre bambini che stanno affogando. L’uomo ha un casellario giudiziale. Allora la grazia individuale può intervenire". "Ma la grazia collettiva per regolare le prigioni, no". È anche vero che negli ultimi anni il campo di applicazione della grazia presidenziale, in occasione del 14 luglio, si era ristretto progressivamente, e le carceri si sono di conseguenza sovraffollate: oggi sono circa 64.000 i detenuti per 52.000 posti. Dal 2002 al 2007 la popolazione carceraria è aumentata del 19%. Se questa è la tendenza, nella primavera 2008 i detenuti saranno 67.000, un record storico. E a poco serviranno i progetti di costruzione e di ammodernamento degli istituti penitenziari, che faranno salire di 7.000 i posti disponibili. Nel 1980 avevano beneficiato della grazia presidenziale il 16% dei 38.300 detenuti di allora. Nel 2003 sono stati appena il 4,5% dei 61.000 che erano in prigione. Mano a mano, infatti, erano stati esclusi dalla grazia i condannati per terrorismo, traffico di stupefacenti, reati contro i minorenni. Quindi quelli che avevano commesso reati finanziari, violenze contro le forze di polizia, infrazioni stradali gravi, atti razzisti, infine i recidivi e gli autori di violenze coniugali. La misura di clemenza presidenziale è stata nel corso degli anni al centro di numerose polemiche, sia da parte dei cittadini che la giudicavano incomprensibile, sia da parte dei giudici di applicazione delle pene che decidono le misure di libertà anticipata in funzione degli sforzi di riabilitazione dei condannati. Di fatto, quindi, la grazia presidenziale si era trasformata in una valvola di sicurezza che permetteva di svuotare ogni tanto carceri sovraffollate. Le voci di un orientamento di Sarkozy contrario alla grazia presidenziale sono arrivate nelle prigioni francesi. Negli ambienti penitenziari - osserva Le Monde - si parla di "un aumento delle tensioni, senza timore comunque di una esplosione nell’immediato". Carceri francesi che diventeranno sempre più popolate, dopo l’approvazione della legge - attualmente in discussione in parlamento - che prevede pene minime per i recidivi. Una legge promessa da Sarkozy, portata avanti con determinazione dal guardasigilli Rachida Dati, contestata dall’opposizione e da ambienti della magistratura. Una legge - secondo un magistrato, Denis Salas, autore del libro "La volontà di punire; saggio sulla popolazione carceraria" - che poggia su "tra postulati discutibili: il lassismo del giudice, l’incarcerazione per prevenire la recidiva e la concentrazione ormai quasi esclusiva sulla vittima". La Dati pensa comunque a misure alternative alla prigione per favorire il reinserimento, in primo luogo il porto del braccialetto elettronico, ma anche a libertà condizionali e semilibertà. Ma - scrive Le Monde, che alla questione delle carceri sovraffollate dedica anche un editoriale - "la legge sui recidivi potrebbe danneggiare gli sforzi che il Guardasigilli afferma di voler mettere in opera per sgomberare le prigioni".
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