Rassegna stampa 11 giugno

 

Giustizia: la lunga scia delle morti in cella; otto solo in maggio

 

Adnkronos, 11 giugno 2007

 

Continua la lunga scia delle morti in cella nelle carceri italiane: solo a maggio si sono registrati otto nuovi casi. È quanto racconta il giornale della Casa di Reclusione di Padova, "Ristretti Orizzonti", che, nel dossier "Morire di carcere", raccoglie documentazione e testimonianze sugli ultimi episodi di decessi dietro le sbarre.

Nel dossier si fanno nomi e cognomi delle "vittime" del mese scorso. A partire dal 43enne Roberto Conte, che si è suicidato nel carcere Marassi di Genova il 17 maggio. Conte, originario di Como, tossicodipendente, era detenuto nella sezione "a rischio" del carcere di Marassi, e si è impiccato utilizzando delle lenzuola di carta. L’uomo, in attesa di giudizio, si trovava dietro le sbarre per la ricettazione di un assegno di 2.500 euro.

"Si trattava di un soggetto psichiatrico - spiega Salvatore Mazzeo, direttore del carcere - veniva perciò controllato ogni 15 minuti. Aveva vestiti monouso e lenzuola di carta, ma è riuscito comunque a togliersi la vita". "Un dramma che si poteva evitare", è il commento di Patrizia Bellotto, responsabile per la Cgil Polizia Penitenziaria. "Il suicidio di questa persona deve pesare sulle coscienze di tutti, ma soprattutto di chi avrebbe dovuto e potuto garantire un nuovo corso al difficile lavoro del poliziotto penitenziario".

Tre giorni dopo, nell’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, a morire dietro le sbarre è Maurizio Sinatti, 42 anni. Ma questa volta non è lui a togliersi la vita. Maurizio infatti è stato ucciso dal compagno di stanza, Giuseppe Cascio: sembra che l’omicida avesse minacciato già da qualche giorno il suo compagno di camera "perché era divorziato, e non era un uomo d’onore". Poi, alla fine, si è consumato il dramma: Maurizio Sinatti sarebbe prima stato colpito da Cascio con uno sgabello sulla testa e poi finito con una borsa di plastica avvolta attorno al volto.

Un agente di polizia penitenziaria si è trovato di fronte al corpo senza vita del detenuto durante la ronda di controllo al passaggio delle consegne del turno. Sembra che sia stato lo stesso presunto omicida a sollecitare l’intervento della guardia perché, avrebbe detto, "gli dava fastidio il cadavere". Sarebbe trascorsa, così, una decina di minuti prima della scoperta.

Quando è intervenuto l’agente, per il senese, che avrebbe dovuto essere dimesso pochi giorni dopo, non c’era più niente da fare, se non constatare il decesso. L’uomo si trovava non da molto tempo all’interno della struttura: era stato internato dopo che, finita la pena per una serie di piccoli furti legati al disagio sociale che viveva con un passato legato alla droga e poi con i problemi derivanti dall’alcol, gli era stata applicata la misura di pericolosità sociale da parte del Magistrato di Sorveglianza di Siena.

Lo stesso giorno un altro detenuto moriva nel carcere di Secondigliano (Napoli). E. C., 55 anni, ex collaboratore di giustizia, detenuto perché accusato di pedofilia dalla moglie, che gli attribuiva molestie sessuali nei confronti della loro bambina, si è suicidato. Recentemente, durante un’udienza del processo, E. C. aveva tentato di aggredire la moglie in aula. L’uomo, in cattive condizioni di salute, era sotto osservazione medica, ma nulla aveva mai lasciato intravedere la possibilità che l’uomo potesse compiere un gesto estremo. Gli agenti, che hanno aperto la sua porta per accompagnarlo all’ora d’aria, ne hanno scoperto il cadavere appeso all’aeratore in bagno. Secondo l’osservatorio "Antigone" di Dario Stefano Dell’Aquila, ammontano complessivamente a 9, compresi gli ultimi due, i suicidi verificatisi a Secondigliano dal 2003, un carcere dove va registrato peraltro un cambio di guardia al vertice. Sarebbero 22, invece, i decessi per malattia e overdose nello stesso periodo.

Il 24 maggio invece, un altro detenuto moriva nelle aule del Tribunale di Catanzaro. Giuseppe Cirillo, 68 anni, è morto d’infarto nell’aula del Tribunale mentre ascoltava la sentenza che lo condannava a 20 anni di carcere. Inutili i soccorsi: i sanitari hanno solo potuto constatare che l’imputato era deceduto "per arresto cardiocircolatorio" come hanno stabilito i medici.

A distanza di un giorno, nel carcere di Foggia Vitalij Skripeliov, 24 anni, lituano, si è impiccato nella sua cella. L’uomo, condannato all’ergastolo, era detenuto dal 2004, quando si rese autore di un duplice omicidio, uccidendo a martellate due suoi connazionali nelle campagne di Torremaggiore.

Sconcerto non soltanto tra i detenuti ma anche tra tutto il personale del carcere foggiano. Il 24enne era descritto come una persona molto tranquilla priva di qualsiasi forma di fragilità psichica. L’uomo si è tolto la vita utilizzando un laccio ricavato da una tuta. Ad accorgersi del fatto un compagno di cella che ha tentato di rianimarlo praticandogli un massaggio cardiaco. Il lituano è morto durante il tragitto in ospedale. La vittima era stata condannata all’ergastolo nel 2006 assieme al connazionale Petras Loskutovas, per l’omicidio di Vladimir Sman e Irina Bandurova, anch’essi lituani.

Lo stesso giorno, a Secondigliano, si è consumato un altro suicidio. Salvatore Grassonelli, 63 anni, stava scontando la pena all’ergastolo che gli era stata inflitta dai giudici della Corte d’Assise di Agrigento perché ritenuto responsabile di numerosi omicidi. Secondo i primi accertamenti, si sarebbe tolto la vita impiccandosi con un lenzuolo. Salvatore Grassonelli divenne il capo della mafia di Porto Empedocle dopo la morte del padre, Giuseppe, ucciso nella strage del 21 settembre 1986, che costò la vita anche a Gigi Grassonelli (fratello di Salvatore), Giovanni Mallia, Antonio Morreale, Filippo Gebbia e Salvatore Tuttolomondo.

A Roma gli ultimi due casi. Il 28 maggio, nel carcere romano di Rebibbia Yan Olszewski, 26 anni, polacco, si è impiccato nella sua cella del braccio G9: era da 13 mesi in attesa di essere giudicato per un duplice omicidio. A quanto risulta al Garante regionale dei diritti dei detenuti Angiolo Marroni, che ha segnalato l’accaduto, l’uomo era entrato in carcere ad aprile 2006 accusato di un duplice omicidio di cui si era dichiarato innocente. In questi mesi a Rebibbia il polacco, approdato in Italia da cinque anni e con una figlia di sette in Polonia, occupava una cella singola e lavorava come imbianchino. Sempre a quanto risulta al Garante, l’uomo non era sottoposto a particolari misure di sicurezza e non aveva mai chiesto colloqui con gli psicologi e con gli educatori. Ad accorgersi della morte un agente di polizia penitenziaria nel corso di un giro di controllo.

"Questa morte è la conferma di come, a volte, i tempi della giustizia possano essere drammaticamente lunghi", ha sottolineato Marroni: "A quanto ci risulta questo ragazzo non aveva manifestato esigenze particolari tali da richiedere sorveglianze speciali, e tuttavia è probabile che il peso di un’accusa di cui si dichiarava estraneo alla lunga lo abbia schiacciato".

Il giorno dopo, ma questa volta per malattia, è morto invece Ilio Spallone, 76 anni, il medico condannato a 18 anni e 4 mesi di reclusione per gli aborti clandestini della clinica "Villa Gina". Sarebbe morto per problemi cardiaci dopo soli 2 giorni dalla concessione della detenzione domiciliare per problemi di salute. Si trovava ricoverato in una clinica privata di Roma. Secondo il difensore di Spallone, l’avvocato Gian Michele Gentile, in carcere il suo assistito non avrebbe ricevuto cure adeguate.

Giustizia: Mastella; "fiducia" sulla riforma, se necessario

 

Adnkronos, 11 giugno 2007

 

Il ministro della giustizia Clemente Mastella rassicura i magistrati affermando che si opporrà ai tentativi di modificare la riforma dell’ordinamento giudiziario e, se l’opposizione, avrà un comportamento ostruzionistico, il Guardasigilli sottolinea di essere pronto a chiedere al governo il ricorso alla fiducia. "Voglio confermare ai magistrati italiani - dice Mastella in un comunicato - che mi opporrò con forza ad ogni tentativo di stravolgere l’impianto della mia riforma dell’ordinamento giudiziario mediante interventi che ne alterino il senso e la complessiva coerenza". Mastella ricorda poi che "la giustizia è bene di tutti e il suo assetto deve essere ricercato ed auspicabilmente determinato sulla base di soluzioni condivise, che continuerò a ricercare fino all’ultimo momento". "Ove però in Parlamento conclude il ministro la risposta dell’opposizione si dovesse tradurre unicamente nella presentazione di quasi cinquecento emendamenti e, di fatto, in un arroccamento ostruzionistico, riterrò mio dovere richiamare la maggioranza all’assunzione delle sue responsabilità fino a chiedere, se necessario, l’apposizione della questione di fiducia".

Opg: Aversa; interrogazione di Caruso su mezzi coercizione

 

Caserta Sette, 11 giugno 2007

 

Caruso, Dioguardi e Smeriglio. - Al Ministro della salute. Per sapere - premesso che:

risulta agli interroganti che negli Ospedali psichiatrici giudiziari si pratica frequentemente la pratica della coercizione e in tutti e sei gli istituti vi sono sale appositamente dedicate;

la coercizione consiste nel legare i polsi, le caviglie e il torace di una persona con disagio psichico, generalmente seminuda, ad un letto con un buco al centro per i bisogni, per un tempo indefinito;

in base ai dati forniti dall’Associazione Antigone, tra l’altro segnalati nel documento conclusivo dell’indagine interministeriale presieduta dal dott. Adolfo Ferraro, nel 2004 questi episodi si sono verificati almeno 515 volte e 196 internati sono stati sottoposti a misure di coercizione, alcuni quindi più di una volta;

non esistono dati disponibili sui tempi della coercizione, ma al primo firmatario del presente atto risulta da visione personale dei registri durante le ispezioni parlamentari di un internato - Marco Orsini - coercito per 14 giorni nell’Opg di Aversa durante il mese di dicembre 2006, di un internato coercito per oltre una settimana a Napoli, di un internato, di soli 21 anni, coercito per oltre 15 giorni a Barcellona Pozzo di Gotto;

durante la visita nell’Opg di Reggio Emilia, il primo firmatario del presente atto ha personalmente incontrato un internato Paolo P., legato al letto di contenzione da oltre un giorno dopo aver tentato il suicidio;

la direttrice dell’istituto di Reggio ha dichiarato di aver disposto la coercizione perché non si facesse del male e perché non c’era un piantone disponibile per monitorare il suo stato di salute; durante la visita all’Opg di Napoli un internato ha dichiarato di essere stato coercito dopo un tentativo di evasione e quindi solo a fini disciplinari e non sanitari;

non esiste una norma giuridica che autorizza la coercizione nel nostro ordinamento penitenziario;

non esiste un protocollo operativo unico nei sei Opg dove ciascuno ha organizzato metodi e pratiche in base alle considerazioni personali dei responsabili sanitari;

il personale psichiatrico che dispone della coercizione è personale convenzionato e non dipendente dell’amministrazione pubblica;

non è disponibile nella letteratura scientifica una giustificazione terapeutica alla pratica della coercizione;

nei rari casi in cui la legge prevede un Tso (Trattamento sanitario obbligatorio) per una persona con disagio ma libera sono proibite particolari procedure, mentre queste procedure appaiono essere inesistenti nel caso di persone prive della libertà, internate in strutture di tipo manicomiale -:

se il Ministero, oltre al numero di internati coerciti statisticamente rilevati dalla commissione interministeriale giustizia-sanità, sia a conoscenza dei tempi di durata delle coercizioni e se e quali siano le direttive del Ministero della salute sull’uso della coercizione in campo psichiatrico nonché se non ritenga opportuno il ministro adottare provvedimenti affinché anche negli Ospedali Psichiatrici Giudiziari vengano finalmente messe al bando queste ottocentesche pratiche disumane.

 

La risposta del governo

 

Si premette che la gestione degli ospedali psichiatrici giudiziari rientra nelle competenze del Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Pertanto, si risponde ai quesiti contenuti nell’atto parlamentare in esame sulla base dei dati forniti dal Dicastero della Giustizia.

Il Ministro della giustizia pone costante attenzione alle problematiche dei reclusi e proprio di recente, soffermandosi su un caso analogo, riguardante l’ospedale psichiatrico giudiziario di Aversa, ha indicato come prioritaria la necessità che sia data piena attuazione al decreto legislativo n. 230 del 1999, nel quale fu stabilito il trasferimento delle competenze sanitarie dall’Amministrazione Penitenziaria al Servizio sanitario nazionale e alle Regioni, in un’ottica di maggiore controllo dei sei ospedali giudiziari nazionali.

Inoltre, il Ministro si è già impegnato a verificare l’attualità dei criteri seguiti per fissare il tempo di permanenza degli internati negli ospedali, ponendo altresì l’attenzione sulla questione dell’imputabilità degli autori di reato. Questo tema è oggetto delle proposte che saranno presentate tra breve dalla Commissione per la riforma del codice penale.

L’uso dei mezzi di coercizione è previsto da una specifica normativa di riferimento. Segnatamente, il combinato disposto degli articoli 41, 3° e 4° comma legge n. 354 del 1975 e 82 del decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 2000 n. 230 autorizza l’uso dei mezzi di coercizione fisica al fine di evitare danni a persone o cose o di garantire l’incolumità personale nei limiti di tempo strettamente necessari, sotto costante controllo sanitario e con l’uso dei mezzi impiegati per le medesime finalità presso le istituzioni ospedaliere pubbliche.

In concreto, la coercizione fisica viene attuata solo in rari casi di estrema necessità, per evitare e prevenire eventuali gesti inconsulti anche eteroaggressivi da parte del ricoverato in Opg, quando questi si trovi in uno stato psichico particolarmente alterato e tale da renderlo pericoloso per sé stesso e per gli altri. Per quanto riguarda l’internato Marco Orsini, il Direttore dell’Opg di Aversa ha comunicato che egli è stato sottoposto ai mezzi di coercizione dal 30 novembre 2006 all’11 dicembre 2006: si trattava di un soggetto a rischio concreto di suicidio e nell’attesa dell’efficacia della terapia farmacologica è stato sottoposto, su disposizione e sotto continuo controllo dello psichiatra, dei medici incaricati e dei medici di guardia, a tale trattamento. Nel periodo della coercizione è stato controllato dai sanitari dalle 3 alle 5 volte al giorno e, ritornato al reparto, non ha successivamente manifestato intenti auto soppressivi.

Calabria: un nuovo progetto di reinserimento per i detenuti

 

Quotidiano di Calabria, 11 giugno 2007

 

Il lavoro, l’istruzione scolastica, la formazione professionale, le attività culturali, sportive e ricreative ed anche la salvaguardia dei rapporti con le famiglie e la professione del credo religioso. Sono questi alcuni dei principali aspetti che vengono curati nelle carceri calabresi attraverso l’applicazione del progetto Athena, sottoscritto tra l’amministrazione penitenziaria e le altre istituzioni interessate tra cui la Regione.

Nelle carceri calabresi, dove c’è un elevato tasso di occupazione tra i detenuti, viene favorito il reinserimento attraverso una serie di iniziative. Per ogni singolo istituto sono state definite le caratteristiche in considerazione delle potenzialità della struttura circa la presenza di spazi e locali per attività e della tipologia di detenuti che vi ospita (giudicabili, tossicodipendenti, stranieri, media sicurezza, reclusione, alta sicurezza, giovani). Sono stati così individuati Istituti cosiddetti poli scolastici e universitari (Istituti dove vengono privilegiate le attività istruttive e formative: Paola, Castrovillari, Rossano, Catanzaro, Vibo Valentia) e poli lavorativi (Istituti dove vengono privilegiate le attività lavorative intese come lavorazioni industriali e laboratori artigianali: Rossano, Catanzaro, Vibo Valentia, Reggio Calabria, Crotone).

Sono stati previsti progetti ed iniziative specifici per le diverse tipologie di detenuti (sex-offenders, donne, giovani,tossicodipendenti , stranieri, disagiati psichici). Per quanto riguarda la Formazione Professionale è stato presentato all’Assessorato Regionale un progetto per il finanziamento, attraverso i fondi Por, di dieci corsi di formazione professionale da attivarsi negli Istituti di Catanzaro, Rossano, Vibo Valentia, Paola, Reggio Calabria; sono stati realizzati negli Istituti di Locri, Paola e Castrovillari corsi di formazione professionale finanziati con i fondi europei nell’ambito dell’iniziativa comunitaria Equal: progetto Araba Fenice e altri progetti in partenariato con gli Istituti scolastici. L’amministrazione penitenziaria regionale della Calabria ha rivolto anche particolare attenzione verso le opportunità di lavoro.

Ad esempio tutti i lavori di manutenzione e ristrutturazione degli Istituti sono realizzati con mano d’opera detenuti. Il numero pertanto dei detenuti lavoranti è passato dai 250 del 2002 ai 394 del 2004. Sono stati realizzati diversi laboratori artigianali che occupano i detenuti in attività destinate, grazie alla collaborazione degli Enti locali e cooperative, a diventare produttive e conseguentemente ad offrire reali opportunità di inserimento lavorativo. È stato presentato alla Cassa per le Ammende un progetto denominato Inserimento Lavorativo Detenuti per la realizzazione di lavorazioni di tipo industriale negli istituti di Vibo Valentia, Rossano. Il Progetto è stato finanziato per un importo di un milione e 517 mila euro per la realizzazione negli Istituti di Rossano e Vibo Valentia, dotati di ampi magazzini e capannoni destinati proprio alle lavorazioni industriali, di una falegnameria ed una lavorazione dell’alluminio.

Per rendere concreta la progettualità e promuovere le opportunità di lavoro "intra" ed "extra murarie", sono stati stipulati protocolli d’intesa con tutte le 5 province. A Laureana di Borrello, inoltre, è stato realizzato anche un Istituto Sperimentale a custodia attenuata, unico del suo genere in Italia. Si tratta di un Istituto a trattamento avanzato destinato ad ospitare detenuti giovani, di età compresa tra i 18 e i 34 anni, alla prima esperienza detentiva o comunque con reati di non particolare gravità.

A Laureana sono stati realizzati un laboratorio di falegnameria, un piccolo laboratorio di ceramica (in fase di completamento) ed alcune serre. La Provincia di Reggio Calabria ha deliberato l’acquisto di alcuni terreni adiacenti al carcere che verranno ceduti in comodato d’uso all’Amministrazione Penitenziaria per realizzare 6 serre al cui acquisto parteciperà la Regione Calabria.

Como: minacce di morte in carcere per i coniugi Romano

 

Ansa, 11 giugno 2007

 

Sono state rafforzate nel carcere di Como le misure di sicurezza nei confronti di Olindo Romano e Rosa Bazzi, i coniugi di Erba rei confessi della strage dell’11 dicembre di via Diaz, in cui furono uccisi Raffaella Castagna, il figlio Youssef Marzouk, la madre di lei Paola Sala e una vicina di casa, Valeria Cherubini. La decisione è stata presa dopo che nella casa circondariale i due detenuti hanno ricevuto minacce di morte attraverso una lettera: la missiva, scritta in un italiano corretto, annuncia l’intenzione di eliminare la coppia durante la detenzione.

Non è la prima volta che giungono lettere del genere in carcere, ma in questo caso i magistrati ritengono che la minaccia possa essere più concreta. Intanto, mentre a ore è attesa la firma dei pm comaschi sulla richiesta di rinvio a giudizio dei due coniugi, si è appreso che Olindo Romano ha revocato il mandato al suo legale, Pietro Troiano, che era di turno il giorno dell’arresto e poi era divenuto di fiducia.

Il penalista prescelto dall’indagato, l’avvocato comasco Enzo Pacia, uno dei più esperti del foro lariano, ha tuttavia rifiutato l’incarico adducendo l’impossibilità di venire meno a impegni professionali già assunti. In attesa che venga trovato un nuovo difensore, pare che la decisione di Romano intenda diversificare la strategia di marito e moglie, imputando a lei l’organizzazione del delitto.

Medicina: l’odontoiatria penitenziaria è branca da rivalutare

 

www.simspe.org, 11 giugno 2007

 

La patologia odontoiatrica è molto diffusa in ambito penitenziario. Pur essendo spesso sottovalutata o non repertorizzata, all’ingresso in struttura del detenuto, essa è alla base:

di un numero elevato di richieste di intervento medico, spesso consistenti nel richiedere la visita specifica specialistica o nel protestare per l’attenzione non ricevuta, in relazione ai problemi del proprio cavo orale; di un numero elevato di interventi con lunghe liste di attesa, laddove gli specialisti o i coordinatori sanitarie le approntino; di problemi di salute correlati alla difficile nutrizione o alle patologie derivanti da quelle odontoiatriche non trattate; da problemi di tipo dietetico e nutritivo, correlati: a problemi di masticazione (patologie Atm); a problemi di digestione dovuti ad un’inadeguata preparazione del bolo alimentare; a problemi di alterazione o perversione del gusto.

L’incontro tra un’odontoiatra "dedicato" per scelte ed interessi all’ambito penitenziario ed un coordinatore sanitario convinto che la salute di un individuo non può prescindere da quella del cavo orale, per tutte le diverse funzioni che attraverso esso passano e per il tipo di alterazioni che lo colpiscono, ha fatto sì che la struttura bresciana, in Lombardia, attivasse un dialogo ed un confronto assiduo con l’Uosp e la Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria.

I contributi che a partire da questo mese proporremo sono l’espressione di una volontà chiara di attivare un dibattito scientifico serio sull’importanza di un management sanitario adeguato in ambito penitenziario e di evidenziare con chiarezza come gli odontoiatri penitenziari non sono medici di "serie B" e possono contribuire notevolmente al benessere della persona detenuta: attenuando o risolvendo patologie algiche; curando e guarendo i quadri patologici diagnosticati; facendo prevenzione, grazie ad un monitoraggio costante di tutti detenuti, compresi quelli sani, mediante campagne di screening adeguati.

Siamo convinti che tutto questo possa aiutare notevolmente l’amministrazione penitenziaria a perseguire parte della sua "mission";

siamo altrettanto convinti che per perseguire buoni risultati bisogna fare dei progetti chiari, precisi e commensurati alle risorse disponibili, ottimizzandole e facendo sinergia di esse.

 

Dottor Michele Fola, Casa Circondariale di Brescia

Medicina: Monza; un progetto di prevenzione al femminile

 

Comunicato stampa, 11 giugno 2007

 

Nel mese di dicembre 2006 ha avuto inizio un progetto dell’ASLmi3, azienda nella quale operiamo in qualità di ostetrica e infermiera professionale, con l’Amministrazione della Casa Circondariale di Monza, il progetto era rivolto alle donne detenute.

È stato richiesto il nostro intervento, per sottoporre le donne ad un percorso che le vedeva coinvolte in un progetto relativo alla salute, e ad uno screening sulle malattie dell’apparato femminile.

Il progetto ci ha coinvolto da subito, in primo luogo perché il nostro compito di operatori sul territorio, è quello di allargare ad una popolazione sempre più vasta, il tema della prevenzione, pertanto ci siamo sentite coinvolte professionalmente in prima persona

Sono stati trattato temi che spaziavano: dall’anatomia e fisiologia dei genitali femminili, alla contraccezione e la prevenzione di malattie a trasmissione sessuale.

Ci siamo trovate ad operare con un’utenza che arrivava da varie parti del mondo, pertanto si è posto il problema di utilizzare strumenti di apprendimento, che potessero essere compresi da donne con storie, culture, e conoscenze di base molto differenti tra loro,

Abbiamo scelto di utilizzare un linguaggio quanto più chiaro e semplice possibile, avvalendoci di strumenti che partivano dalla rappresentazione grafica di alcune parti del corpo, così come si fa nel mondo dell’infanzia.

La risposta è andata oltre le nostre aspettative, corpi immaginati, parti di un femminile che lasciavano intravedere antiche paure, o una scarsa conoscenza di sé. In questi incontri le donne hanno avuto uno spazio reale dove poter essere ascoltate, dove hanno potuto esprimere dubbi e paure rispetto a varie patologie ... e molte leggende sono state sfatate.

Successivamente si è passati allo screening mediante il pap test e la partecipazione è stata numerosa. Rivolgiamo un ringraziamento particolare alla direzione dell’Istituto, alle agenti e all’infermiera, che ci hanno accolto con gentilezza e competenza.

Sarebbe auspicabile, tuttavia, che progetti di tale importanza possano avere una continuità, affinché strumenti di prevenzione, di facile esecuzione ma di primaria importanza, diventino di normale routine.

 

Mariella e Simona, operatrici ASLmi3

Imperia: detenuto rumeno si pianta un chiodo nella fronte

 

Il Secolo XIX, 11 giugno 2007

 

Movimentato episodio l’altra notte in una cella del carcere di Imperia. Vasile Cristian Carp, 30 anni, si è piantato un chiodo in fronte come atto di protesta. Chiodo che aveva estratto dal tavolino della cella. A soccorrerlo sono stati gli agenti della polizia penitenziaria. Ora è ricoverato nel reparto di psichiatria dell’ospedale di Imperia. Insieme ad altri quattro stranieri, domani sarà processato con il rito direttissimo in Tribunale.

Faceva parte di una banda che ricettava motorini in Riviera. Tutta la refurtiva veniva caricata su furgoni, trasportata a Imperia e depositata nell’area dell’ex discoteca Nova di Lungomare Amerigo Vespucci dove nella notte tra sabato e domenica scorsa sono stati scoperti dai carabinieri della locale compagnia e arrestati. Oltre a Vasile Carp, erano finiti in carcere anche Valentin Danut Sandu, 26 anni, Marius Capot, 21 anni, Joan Nastase, 35 anni, Catlin Toma, 31 anni.

Avezzano: appalto per ristrutturazione carcere entro giugno

 

www.primadanoi.it, 11 giugno 2007

 

"L’appalto delle opere di ristrutturazione e messa a norma del carcere di Avezzano partirà entro il mese di giugno e l’inizio dei lavori di adeguamento entro l’anno". Lo ha confermato Enrico Ragosa, Direttore Generale delle Risorse materiali, dei Beni e dei Servizi del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria del Ministero della Giustizia in una lettera ufficiale di risposta alle sollecitazioni mosse al riguardo dal Sindaco di Avezzano Antonio Floris. "L’adeguamento dell’istituto, comprese le operazioni di collaudo e arredo dei locali ristrutturati, avrà la durata di un anno", specifica la missiva del Ministero. Nel rendere nota la comunicazione ricevuta dal Dott. Ragosa, il Sindaco esprime "soddisfazione per l’ormai imminente conclusione dell’iter amministrativo, a conferma che la chiusura del carcere non sarà definitiva, come paventato, ma solo temporanea".

Diritti: Welby; a giudizio l'anestesista che "staccò la spina"

 

Il Mattino, 11 giugno 2007

 

La morte di Piergiorgio Welby è stata causata "da una sorta di eutanasia passiva", che si è sostanziata "in un intervento attivo dell’anestesista Mario Riccio". La decisione del Gip arriva proprio mentre al Senato ha preso il via la discussione sulle dichiarazioni anticipate di volontà note come testamento biologico.

L’esponente radicale morto nella notte tra il 20 e il 21 dicembre scorso, aveva sì il diritto, costituzionalmente garantito, ad "interrompere le cure o a rifiutare un trattamento sanitario", tuttavia, l’aver staccato la spina al ventilatore artificiale che lo teneva in vita configura un "intervento attivo" esterno sanzionabile penalmente.

È questa la "ratio" del provvedimento con cui il gip del Tribunale di Roma, Renato Laviola, ha respinto la richiesta di archiviazione della posizione dell’anestesista Mario Riccio. La procura di Roma, dopo la decisione del gip, dovrà ora formulare un capo di imputazione coatto e chiedere il rinvio a giudizio del medico per il reato di omicidio del consenziente. Il gip ammette che nel nostro ordinamento "c’è il diritto al rifiuto delle cure" costituzionalmente garantito.

Ma nel caso di Piergiorgio Welby, sottolinea, c’è stato un intervento attivo di Riccio, giunto apposta a Roma per praticare l’interruzione della ventilazione. "Non c’è stata mera omissione di cure e trattamenti", spiega il giudice, ma una violazione del "diritto alla vita" che pure se non codificato si fonda su varie norme codificate come i reati che sanzionano l’omicidio del consenziente e l’istigazione al suicidio.

"Insieme a Mina e Carla Welby, a Marco Pannella e agli altri dirigenti di Radicali italiani e dell’Associazione Coscioni che hanno aiutato Piergiorgio a vedere rispettata la sua volontà e a fermare la violenza perpetrata contro il suo corpo - ha detto Marco Cappato presidente dell’associazione Luca Coscioni - siamo pronti ad assumerci in giudizio le nostre responsabilità, che rivendichiamo pienamente".

Di altro tenore il commento di Isabella Bertolini, parlamentare di Forza Italia: "Nessuno può arrogarsi il diritto di togliere la vita ad un altro essere umano. La decisione del Gip di Roma ci trova pienamente d’accordo, a questo punto occorre verificare altre responsabilità". "A titolo personale - ha commentato il senatore Antonio Tomassini - ritengo che sia un caso di eutanasia passiva e che nel mio ddl non sarebbe legittimo. Serve un provvedimento in tempi rapidi". Sorpreso della decisione del Gip l’anestesista Riccio, che era stato già prosciolto dall’ordine dei medici di Cremona: secondo il medico, nelle motivazioni ci sono "concetti più inerenti all’etica che al campo giuridico; eutanasia passiva - conclude - è un concetto di tipo bioetico, in un certo senso anche superato".

Droghe: Avellino; inietta all’amico una dose letale di cocaina

 

Ansa, 11 giugno 2007

 

Inietta una dose letale di droga all’amico. Finisce così in seri guai un 27enne di Mercogliano arrestato dai Carabinieri. Il tutto è partito quando, nella notte tra l’8 e il 9 giugno, un giovane 38enne di Mercogliano è morto per overdose mentre era a casa di un amico.

I carabinieri della Compagnia di Avellino e della Stazione di Mercogliano al termine di delicate indagini hanno tratto in arresto l’amico 27enne, riconosciuto colpevole di aver ceduto le dosi di sostanza stupefacente, successivamente rivelatesi letali, al proprio amico deceduto davanti ai suoi occhi. La storia ricostruita accuratamente dagli investigatori è purtroppo molto più dolorosa e straziante di quanto si possa immaginare. Il giovane, ora detenuto nel carcere di Avellino, avrebbe comprato la sostanza stupefacente in una delle ormai tristemente famose "basi" dello spaccio delle "Vele" a Napoli ed una volta rientrato a Mercogliano avrebbe ceduto in cambio di pochi euro delle dosi all’amico.

Durante la notte però dopo aver consumato la prima dose di eroina, l’amico avrebbe accusato un primo malore piombando in uno stato di semicoscienza ed il 27enne, anche lui sotto l’effetto di sostanze stupefacenti, lo avrebbe addirittura aiutato ad iniettarsi una nuova dose di droga, probabilmente cocaina, questa volta letale. Dopo un vano tentativo di rianimarlo il giovane, sconvolto per l’evolversi della situazione ha fatto trascorre più di un quarto d’ora prima di chiedere l’intervento dei sanitari e dei carabinieri.

Inutile il soccorso dei militari e dei sanitari che non hanno potuto fare altro che constatare il decesso del 38enne. Le indagini immediatamente scattate da parte dei carabinieri hanno permesso di ricostruire le varie fasi della tragedia e rinvenire inoltre occultata in un vicino giardino dentro una busta di plastica quattro siringhe usate ed una dose di cocaina integra, il tutto presumibilmente utilizzato per le iniezioni letali. Il giovane che ha confermato la ricostruzione effettuata dai carabinieri è ora nel carcere di Avellino come disposto dal Pubblico Ministero della locale Procura della Repubblica Maria Luisa Buono.

Droghe: Giovanardi (Udc); la Turco confusa fa disinformazione

 

Asca, 11 giugno 2007

 

"La nuova esternazione in materia di droga del ministro della Salute, Livia Turco, è un condensato di confusione e disinformazione. Ripetiamo per l’ennesima volta che nel nostro sistema, per il consumatore di droga, non è prevista nessuna sanzione penale, quindi è assurdo continuare a ripetere che si vuole depenalizzare il consumo".

Lo sostiene il parlamentare dell’Udc, Carlo Giovanardi, che così continua: "ma Livia Turco aggiunge che vuole abrogare anche le semplici sanzioni amministrative, come il ritiro della patente, colpendo così al cuore il principio universalmente riconosciuto che non c’è un diritto a drogarsi, comportamento ritenuto illecito dall’ordinamento, così come parcheggiare la macchina in sosta vietata o superare i limiti di velocità nei centri storici".

"Abrogare le sanzioni amministrative collegate a un comportamento illecito vuol dire liberalizzare e legalizzare il consumo personale di droga, vanificando così di ogni significato le campagne informative sui pericoli alla salute propria e degli altri derivanti dall’utilizzo delle droghe. Vedremo se il Parlamento e gli italiani - conclude l’ex ministro per i Rapporti con il Parlamento della Cdl - condivideranno l’idea del Ministro Turco che i tossicodipendenti possano tranquillamente guidare automezzi con la licenza di uccidere".

Olanda: dal 2008 "vietato fumare" anche nei coffee-shop

 

Adnkronos, 11 giugno 2007

 

Fumo vietato anche nei coffee-shop, una delle principali "attrazioni" dell’Olanda, in cui è legale vendere e consumare cannabis. Il divieto che scatterà in tutti i bar e ristoranti da luglio del prossimo anno si abbatterà, dunque, anche su questi locali in cui fumare è la principale attrattiva. Lo ha annunciato il primo ministro Jan Peter Balkenende, ai microfoni dell’emittente "Nos".

Iraq: sei detenuti uccisi da colpi mortaio caduti sul carcere

 

Ansa, 11 giugno 2007

 

Sei detenuti sono rimasti uccisi e almeno 50 altri sono rimasti feriti quando alcuni colpi di mortaio si sono abbattuti questa mattina su Camp Bucca, un carcere gestito dai militari americani nei pressi della città meridionale di Bassora, ha reso noto il comando Usa. In un breve comunicato, il comando precisa solo che nessuno dei militari in servizio è stato colpito "nell’attacco indiretto alla forza multinazionale".

 

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