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Giustizia: un viaggio alla scoperta del carcere e della legalità
Redattore Sociale, 12 giugno 2007
Presentato a Roma il resoconto del progetto che ha permesso a molti alunni di superare i pregiudizi e riallacciare i contatti tra il tessuto sociale e il mondo dei detenuti. Iniziativa realizzata dalla redazione di "Ristretti Orizzonti". L’obiettivo del progetto è chiaro: superare i pregiudizi legati alla realtà del carcere e riallacciare i contatti tra il tessuto sociale e il mondo dei detenuti. L’idea di base de "La pena raccontata ai ragazzi", l’iniziativa portata avanti nell’anno scolastico 2006/07 dalla redazione di "Ristretti Orizzonti" - giornale realizzato da detenuti e volontari della Casa di Reclusione di Padova - è ambiziosa: mostrare ai giovani e ai giovanissimi un’immagine di chi sconta la pena lontana dagli stereotipi presentati dai mass media, partendo dall’esperienza pratica. 87 sono stati gli incontri tra "scuole e carcere", che hanno visto 500 ragazzi delle terze medie impegnati a seguire un percorso sul rispetto della legalità e ad ascoltare testimonianze dirette nelle classi, e che hanno portato più di 600 ragazzi delle scuole medie superiori all’interno delle carceri ad interrogare in prima persona i detenuti. Come si finisce a commettere reati, qual è il senso della pena, quanto è difficile il rientro in società, queste le principali curiosità degli studenti. Il resoconto del progetto è stato presentato questa mattina a Roma, presso la sala stampa della Camera. "Quando abbiamo iniziato questo progetto tre anni fa - afferma Ornella Favero, direttrice di "Ristretti Orizzonti" - avevamo più di una perplessità. È una realtà complessa da mostrare e c’è sempre il timore di non riuscire a far notare ai ragazzi tutte le sfumature". Soprattutto in un periodo in cui si è tanto parlato di fenomeni negativi legati alla scuola, e il "bullismo" è solo l’ultimo degli esempi. "La sfida più grande - continua la direttrice - è stata ragionare intorno alla questione di una buona prevenzione. Era importante inoltre restituire un quadro diverso dell’istituzione scolastica e delle carceri". E basta ascoltare i giovani usciti da questa esperienza per capire come questo percorso durato mesi abbia dato i suoi frutti: "Sono cresciuta - ammette Giulia, studentessa al IV anno di un Istituto Tecnico che ha partecipato al progetto - immaginando il carcere come un luogo chiuso di persone che non hanno più il diritto di far parte della società perché hanno sbagliato. Dopo aver conosciuto le storie di alcuni di loro mi sono ricreduta su molte cose. Oggi sono convinta che queste persone possano essere educate e re-integrate nella società". Una delle principali finalità dell’iniziativa è stata dunque ampiamente raggiunta: mostrare ai ragazzi delle persone, non reati che camminano. "Un altro elemento forte di spinta al progetto - aggiunge Cristina De Luca, sottosegretario alla Solidarietà Sociale - è l’educazione alla legalità. Legalità intesa come rispetto delle regole in primo luogo, ma anche come principio per permettere a ognuno di avere la stessa possibilità di vita". Non sono da sottovalutare anche i benefici che gli stessi detenuti traggono da questi incontri-confronti con i ragazzi. L’On. Olga D’Antona, vedova del giurista ucciso dalle Brigate Rosse, ricorda come "isolare una persona non può che incattivirla", e che "accettare e offrire accoglienza a chi si è ravveduto è una vittoria della democrazia". Nel libro "Ragazzini e ragazzacci" presentato dalla rivista, in cui si mettono a confronto studenti e detenuti, risulta evidente leggendo le testimonianze di questi ultimi come chi abbia commesso un reato si trovi chiuso in un’istituzione che spesso lo porta a considerarsi una vittima. Se l’obiettivo della pena deve essere anche quello di ri-educare e di far crescer la persona, il carcere duro non può essere la giusta strada, "ma - chiarisce Letizia De Torre, sottosegretario alla Pubblica Istruzione - il confronto grazie al quale si è messi di fronte alla vera vittima, a chi ha subito il torto. Ed è per questo che una tale rete di collaborazione tra scuole, volontariato e il comune sarebbe auspicabile si realizzi in tutto il territorio nazionale". Cagliari: detenuto 48enne s’impicca per non tornare all’Opg
L’Unione Sarda, 12 giugno 2007
Giuseppe Contini, 48 anni, di Oristano, viene trovato morto in cella. Ieri avrebbe dovuto essere trasferito in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario, in Sicilia. Aveva 48 anni e gli ultimi cinque li aveva passati in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario, la versione moderna di quelli che fino al 1975 erano chiamati Manicomi Criminali. Ieri, dopo una dozzina di giorni trascorsi nel carcere di Buoncammino per poter partecipare alle udienze del processo a suo carico, avrebbe dovuto essere riportato alla struttura sanitaria di Barcellona Pozzo di Gotto, in provincia di Messina, dov’era internato da cinque anni Avrebbe dovuto. Invece ha preferito morire: venerdì mattina si è impiccato alle sbarre della cella che lo ospitava. A mo di corda, legata intorno al collo, il lenzuolo. Un classico. Secondo il rapporto presentato al direttore del carcere cagliaritano, Gianfranco Pala, dagli agenti di polizia penitenziaria di turno, Giuseppe Contini non era ancora morto quando è stato ritrovato. Respirava a fatica. I frenetici tentativi di mantenerlo in vita, però, si sono rivelati inutili. L’uomo è morto poco dopo. Da Barcellona Pozzo di Gotto, Contini era arrivato a Cagliari lo scorso 28 maggio. Doveva sedere alla sbarra degli imputati in un processo per incendio doloso; sempre per un incendio, quello che, il primo agosto di sette anni fa, aveva distrutto un capannone e quattromila balle di foraggio a Cabras, l’uomo era stato arrestato insieme a un presunto complice e rinviato a giudizio. Giudicato incapace di intendere e volere Giuseppe Contini era stato destinato all’internamento in un Ospedale Psichiatrico Giudiziario: prima ad Aversa, in provincia di Caserta, poi a Montelupo Fiorentino, in provincia di Firenze, infine a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina). Lettere: madre chiede aiuto per il figlio detenuto a Barcellona
Ristretti Orizzonti, 12 giugno 2007
Riceviamo e pubblichiamo: "Gli avvenimenti sono iniziati il giorno venerdì 23 marzo 2007. Mio figlio stava rientrando in Italia da Barcellona, quando è stato fermato e portato in questura, perché il ragazzo con cui viaggiava è stato trovato in possesso di un quantitativo di 380 grammi di cocaina. Il ragazzo in questione era da poco entrato a far parte della compagnia che frequentava mio figlio. Di questo, noi genitori ne siamo venuti a conoscenza alle 14.00 del giorno successivo (sabato 24 marzo) tramite una telefonata del consolato italiano in Barcellona. La settimana seguente siamo andati a far visita al ragazzo per cercare di capire cosa realmente era successo. Nostro figlio in quella occasione ci ha raccontato di essere stato vittima di violenze e abusi da parte dei poliziotti che la prima notte (23 marzo) lo hanno tenuto in consegna. Ci avevano detto che la situazione era grave. Ma il ragazzo che viaggiava con mio figlio ha sempre dichiarato A. come estraneo ai fatti; quindi l’avvocato d’ufficio assegnato a mio figlio continuava a riferire a noi che la posizione di A. era positiva. Il giorno 2 aprile 2007 l’avvocato di mio figlio ha fatto la prima richiesta al giudice di scarcerazione immediata. In attesa dell’interrogatorio che era previsto in data 3 maggio 2007. Il giorno 25 aprile io e mio marito siamo tornati a Barcellona, dato che in precedenza avevamo fatto richiesta di poter parlare con il giudice. La nostra richiesta è stata accolta e in data 27 aprile 2007 abbiamo avuto il colloquio con il giudice. Da quell’incontro sia l’avvocato che il consolato ci hanno più volte illuso continuando a ripetere che sarebbe stata questione di giorni la scarcerazione di A. Data questa speranza, ho affittato una stanza presso una signora lì a Barcellona mentre mio marito è rientrato in Italia. Solo qualche giorno dopo mi è stato riferito che la richiesta di scarcerazione era stata rifiutata, e che quindi bisognava aspettare l’interrogatorio del 3 maggio. Anche nell’interrogatorio davanti al giudice (3 maggio) l’altro ragazzo ha ribadito e confermato l’estraneità dei fatti di mio figlio riguardo all’avvenuto, e si è dichiarato tossicodipendente. Mio figlio nell’interrogatorio ha appunto confermato il fatto che era in Spagna solamente per qualche giorno di vacanza. In data 15 maggio è stata fatta una seconda richiesta di scarcerazione alla corte suprema, e ad oggi siamo ancora in attesa di una risposta. In tutto questo c’è da dire che nostro figlio ha problemi di salute, considerando che è stato operato circa tre anni fa di calcoli alla cistifellea, soffre di bilirubina alta ed è affetto da sindrome di Gilbert; deve quindi mantenere un regime alimentare adeguato. Da quando è in carcere lamenta frequenti coliche e dolori addominali, dopo ripetute richieste di assistenza medica, solo la scorsa settimana è stato portato in un centro medico. Non sappiamo più a chi poterci rivolgere e come poterci muovere per aiutare nostro figlio e per poter fare in modo che la situazione si sblocchi. Può un ragazzo non colpevole dover scontare quasi tre mesi di carcere in una condizione da film? Per questo noi, suoi genitori, chiediamo aiuto". Per contatti: vilandra7@hotmail.it.
La madre di A. Polizia penitenziaria negli Uepe: comunicato della Fp-Cgil
Comunicato stampa, 12 giugno 2007
Intendiamo informarvi sulle ultime iniziative che la Fp-Cgil ha intrapreso riguardo la questione del D.M. che prevede la sperimentazione, presso alcuni Uepe, dell’inserimento del personale del corpo di polizia penitenziaria con la costituzione dei nuclei di verifica. Una vicenda che ha creato disorientamento e non poche perplessità tra gli operatori del settore e che ha visto questa O.S., fin da subito, impegnata in ambito sindacale e politico nel sostenere quelle che sono le istanze degli assistenti sociali dell’amministrazione penitenziaria tese ad avviare un confronto inter ed intra professionale per sviluppare nel merito riflessioni e iniziative condivise. Il percorso avviato da questa O.S. ad oggi è stato delineato da una serie di importanti iniziative locali e nazionali. Primo fra tutti l’incontro nazionale del Coordinamento dei lavoratori del Comparto ministeri svoltosi il 2 aprile u.s., nel corso del quale da parte degli assistenti sociali presenti all’assemblea fu evidenziata l’opportunità di un confronto tra i lavoratori del settore dell’esecuzione penale esterna nella sua specificità. Opportunità che fu accolta dall’assemblea e che la Fp-Cgil, anche in virtù del successivo Appello pervenuto ufficialmente dai vari Uepe, ha recepito convocando un incontro nazionale degli assistenti sociali penitenziari il 19 aprile scorso. Dall’incontro, a cui presero parte molti assistenti sociali delegati ed eletti Fp-Cgil nelle Rsu dei posti di lavoro, si evidenziò la necessità di rappresentare all’Amministrazione in maniera puntuale e determinata quelle che risultano essere le difficoltà operative, professionali e normative nell’avviare una tale sperimentazione. Osservazioni che costituiscono la posizione assunta dalla Fp-Cgil sulla questione sia nel corso della trattativa con l’Amministrazione sia nei suoi approcci di sensibilizzazione in ambito politico. A ciò ha fatto seguito l’ Interrogazione parlamentare, firmatari On. Crapolicchio e On. Farina, presentata al Ministro della Giustizia, nonché un incontro previsto per il 14 giugno p.v. con alcuni parlamentari della Commissione Giustizia della Camera cui parteciperanno alcuni assistenti sociali penitenziari Fp-Cgil. Inoltre vi comunichiamo che entro giugno sarà convocato il Coordinamento nazionale dei lavoratori Fp-Cgil del comparto ministeri nel corso del quale, ovviamente, sarà affrontata anche la tematica in questione. A breve comunicheremo la data dell’attivo del Coordinamento nazionale nonché il resoconto dell’incontro con i parlamentari di cui sopra.
Fp Cgil - Coordinamento Penitenziario Il Coordinatore Nazionale Penitenziari C. Ministeri Lina Lamonica Palermo: lavoro a minori in area penale, premiate 11 aziende
Redattore Sociale, 12 giugno 2007
Si sono distinte in attività di sostegno ai progetti di inclusione socio-lavorativa in favore dei giovani in carico ai servizi della Giustizia minorile della Sicilia. Un premio all’Impresa etica, a undici aziende siciliane che nel corso del 2006 si sono distinte in attività di sostegno ai progetti di inclusione socio-lavorativa in favore dei giovani in carico ai servizi della Giustizia minorile della Sicilia. La consegna del premio è avvenuta in occasione del seminario presso il carcere Malaspina, organizzato dall’associazione Euro e dal Centro di giustizia minorile della Sicilia nell’ambito del progetto "Il male minore", finanziato dal Fondo sociale europeo. Sono una trentina i ragazzi che tra il 2005 e il 2007 hanno lavorato, con busta paga regolare, a tempo determinato e, in qualche caso, indeterminato, all’interno delle undici aziende premiate. Quattro giovani, sono stati impegnati in tre aziende artigianali di Caltanissetta, un’autocarrozzeria, una ditta che produce arredamenti e un’officina per la lavorazione del ferro. Due i ragazzi che, all’interno di un progetto finanziato dall’Unione europea, hanno trovato lavoro all’interno di un bar e di una bottega di ferramenta di Catania. Dodici ore a settimana per 400 euro mensili per un’esperienza attraverso la quale imparare un mestiere. Tutto mentre stanno scontando il loro debito con la giustizia, con la misura della messa alla prova o in comunità. Nel 2006 sono stati circa un centinaio i giovani dell’area penale esterna ad essere impegnati in attività di formazione lavoro. Fra questi anche i ragazzi della rete Pollicino, creata da centri di aggregazione a Palermo, Messina, Milazzo, Misterbianco e Catania. Venti borse lavoro in aziende di artigianato e catering finanziate dall’assessorato regionale alla Famiglia, che si concluderanno a settembre. A febbraio del 2008, invece, termineranno la formazione lavoro i dodici giovani impegnati nel Rise, la rete di inclusione socio economica. Le borse sono finanziate dal Comune di Palermo e hanno durata annua. Tra le imprese di Palermo e provincia premiate, la Siremar e le aziende del consorzio Asi. Per i ragazzi coinvolti sono stati organizzati tirocini formativi con un rimborso in denaro. Sono giovani che non hanno completato il percorso scolastico. Parliamo di ragazzi di età compresa tra i 14 ed i 21 anni che, nella maggior parte dei casi (circa il 90%), al raggiungimento del 15esimo anno d’età non hanno conseguito la licenza media. Così sono già fuori dal circuito scolastico regolare e rischiano di rimanere fuori anche da quello formativo e lavorativo regolare. Poi c’è l’impegno del Rotary club che dal 1994 collabora con il Centro di Giustizia minorile (come una sorta di tutor, l’organismo ha individuato le aziende dove far svolgere i tirocini e che hanno pagato i ragazzi attraverso i fondi previsti dalle norme sull’artigianato) e quello della Capitaneria di porto che ha partecipato in prima persona al progetto Marinando: dieci i ragazzi coinvolti, in sei hanno seguito uno stage sulle navi. Per uno scambio di buone prassi e un confronto da attivare per creare ulteriori possibilità di collaborazione tra il mondo delle imprese e la Giustizia minorile in Sicilia, è stato istituito pure il "Tavolo delle best practices" al quale hanno partecipato, oltre a Michele Di Martino, direttore del Centro per la Giustizia minorile della Sicilia, esponenti dell’imprenditoria, delle associazioni e della politica. "Da tempo ormai abbiamo attivato un network con le imprese - spiega Michele Di Martino, direttore del Centro giustizia minorile della Sicilia - con tutte quelle aziende che volontariamente decidono di accogliere questi giovani perché ritengono che sia un comportamento etico che non contraddice anzi integra l’idea di business". "Vogliamo puntare l’attenzione sulla responsabilità sociale delle imprese - aggiunge Eugenio Ceglia, presidente dell’associazione Euro - che, come è scritto anche in un documento programmatico dell’Unione europea, è l’integrazione volontaria dei problemi sociali nelle azioni commerciali delle imprese". Sono stati 158 nel 2006 i progetti, cui il Centro per la Giustizia Minorile (CGM) per la Sicilia ha aderito in qualità di partner, per la formazione, l’orientamento e l’inclusione socio-lavorativa, anche attraverso stage, tirocini formativi e borse lavoro. Tra questi anche alcune borse lavoro nelle cooperative gestite dall’associazione Libera sui terreni confiscati alla mafia. Proficua la collaborazione con il privato sociale. L’Anfe, Associazione nazionale famiglie emigrati, da anni gestisce, in convenzione con l’Agenzia dell’Impiego, sportelli multifunzionali nell’ambito del sistema regionale dei servizi all’impiego. Dallo sportello attivo presso il Cgm si sono stati seguiti in un anno circa 80 giovani che hanno seguito corsi come quello per impiantistica elettrica. Il primo giugno, è iniziato un corso per "aiuto elettricista" e uno per "aiuto cuoco" per i giovani della Comunità dell’amministrazione. Attraverso lo sportello cinque ragazzi stanno seguendo corsi di formazione che si concluderanno con una borsa lavoro grazie alla quale saranno inseriti in aziende di Palermo e provincia e in cooperative sociali gestite dall’associazione Libera che lavorano sui terreni confiscati alla mafia. Diversi i servizi offerti dallo sportello: colloqui di orientamento formativo e professionale, mediazione culturale, attivazione di tirocini formativi e progetti di inserimento lavorativo presso le aziende del territorio, assistenza alla compilazione del curriculum vitae. Pertanto, l’obiettivo del Cgm è di affrontare ed eliminare gli ostacoli che limitano l’accesso al mercato del lavoro da parte dei minori del circuito penale, legati a fattori quali l’etichettatura, i pregiudizi esistenti anche nel mondo delle imprese, le difficoltà nell’organizzare un’offerta formativa fruibile per questi ragazzi "particolari" tenendo conto anche dei percorsi penali, come veri e propri percorsi di orientamento alla formazione ed al lavoro. Fossano: "La Rondine", il giornale del carcere, va su internet
Cuneo Cronaca, 12 giugno 2007
"La Rondine", il giornale del carcere di Fossano, ha oltrepassato le sbarre ed è entrato in rete. Il periodico, realizzato dai detenuti della casa di reclusione "Santa Caterina", ora è anche on-line, grazie alla pagina creata dagli studenti del I.I.S. "Vallauri" di Fossano all’interno del sito internet del Comune. Digitando l’indirizzo www.comune.fossano.cn.it compare l’home page dell’amministrazione della città degli Acaja sulla quale, in basso a destra, è stata inserita l’immagine di una rondine. Cliccando sulla figura dell’animale simbolo del giornale, si entra nella pagine dedicata al periodico. Nella home page de "La Rondine" è stata inserita una sintetica ma emozionante spiegazione del nome, voluto da detenuti e volontari nel Natale del 2000, e dello scopo di questo mezzo di comunicazione. Il giornale prende il nome dall’animale che rappresenta la voglia di libertà e rinascita, che hanno tutti i ristretti, e vuole portare la voce dei detenuti oltre le mura, nella società civile che spesso li giudica solo per gli errori commessi, dimenticandosi che dietro agli sbagli ci sono uomini che vivono, sperano e, spesso, chiedono solo una seconda possibilità. Nella pagina web si trovano poi quattro sezioni che contengono informazioni su: la struttura del carcere, la storia del giornale, i siti internet che si occupano delle tematiche legate al mondo penitenziario e tutti i numeri arretrati (dalla prima uscita dell’Aprile 2001 all’ultima del Luglio 2006). È stato, inoltre, creato un indirizzo mail, larondinefossano@libero.it, al quale è possibile scrivere per mettersi in contatto direttamente con i volontari che si occupano del giornale. La realizzazione della versione on-line de "La Rondine" è stata presentata nell’Aula Magna dell’istituto "Vallauri" di Fossano. Alla cerimonia hanno partecipato: la preside, gli insegnanti e gli studenti, che hanno realizzato il sito, il magistrato di Sorveglianza di Cuneo, Piermarco Salasso, il sindaco di Fossano, Francesco Balocco, il direttore responsabile del periodico e direttore del settimanale diocesano "La Fedeltà", don Corrado Avagnina, il Comandante della Polizia penitenziaria di Fossano, Pasquale Maglione, la responsabile dei volontari del "Santa Caterina", suor Rachele e la volontaria che coordina la redazione del giornale, Franca Ravera. Tutti i relatori, nei loro interventi, hanno sottolineato il grande valore di questo mezzo di comunicazione che dà voce e spazio a persone che hanno tanto da dire e pochissime opportunità per farlo. Durante la cerimonia è stata anche ripercorsa la storia del giornale. "La Rondine, una voce dal carcere" ha preso il volo nella biblioteca del carcere "Santa Caterina" più di sette anni fa. In quel periodo la volontaria Franca Ravera gestiva il prestito dei libri ai detenuti e le capitava spesso di parlare con i ristretti delle tante parole che quasi tutti in carcere scrivono, delle poesie e dei disegni. La nascita del giornale è avvenuta in modo naturale durante uno dei tanti incontri. Si è pensato di raccogliere tutto il materiale in una pubblicazione periodica che, dal primo numero, è uscita regolarmente ogni tre mesi fino al Luglio del 2006, quando l’indulto ha svuotato la casa di reclusione di Fossano. Un grande traguardo, se si considera il fatto che la popolazione carceraria del "Santa Caterina" sconta pene relativamente brevi e i detenuti, che lavorano nella redazione, variano anche da un numero all’altro. L’Amministrazione penitenziaria del "Santa Caterina" ha da subito creduto nel progetto tanto da finanziare direttamente le prime uscite. Il Comandante della Polizia penitenziaria, Pasquale Maglione, durante la presentazione ufficiale ha ricordato che questa attività, come le numerose altre che si svolgono all’interno del carcere di Fossano, sono una valido strumento per il reinserimento sociale dei detenuti, che, in questo modo, riescono a trascorrere alcune ore in modo costruttivo, cementando i rapporti con gli altri ristretti e acquisendo un po’ di stima nelle proprie capacità, elemento che spesso manca totalmente in chi è rinchiuso in un carcere. Le pubblicazioni sono poi proseguite grazie anche ai contributi economici della Fondazione Cassa di Risparmio di Fossano, e del Comune, che ha messo a disposizione, gratuitamente, la stamperia comunale, e giornalistici de "La Fedeltà", che ha concesso la pubblicazione del giornale come supplemento gratuito al settimanale diocesano. Con l’arrivo dei nuovi detenuti e con il completamento della ristrutturazione interna dell’istituto penitenziario fossanese, grazia alla quale la redazione ha ora a disposizione un locale completamente rinnovato, più ampio e funzionale alle sue esigenze e, a breve, "La Rondine" riprenderà a volare e a portare le emozioni, i dolori e la vita dei reclusi oltre le sbarre. Roma: progetto "Università in carcere, con la teledidattica"
Comunicato stampa, 12 giugno 2007
Corsi universitari in videoconferenza per i detenuti del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. Un progetto del Garante dei diritti dei detenuti della Regione Lazio, Rebibbia N.C., Università di Tor Vergata, Fastweb Spa, e Laziodisu. Garante dei Diritti dei Detenuti del Lazio, Fastweb spa, Università degli Studi di Tor Vergata, Laziodisu e Casa Circondariale di Rebibbia Nuovo Complesso sono lieti di invitarti alla Conferenza Stampa di presentazione del progetto "Università in carcere con Teledidattica" iniziativa pilota che prevede la possibilità, per i detenuti studenti del carcere romano, di seguire in video conferenza le lezioni dell’Università di Tor Vergata. I dettagli dell’iniziativa saranno presentati in una Conferenza Stampa, mercoledì 13 giugno 2007, alle ore 11.00 all’interno del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso (a Roma, in via Majetti, 70), cui parteciperanno: Angiolo Marroni - Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti della Regione Lazio; Sergio Scalpelli - Direttore Relazioni Esterne ed Istituzionali Fastweb spa; Prof. Alessandro Finazzi Agrò - Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Roma Tor Vergata; Maurizio Tenenbaum - Direttore di Laziodisu; Carmelo Cantone - Direttore di Rebibbia N.C.. Per accedere all’interno della Casa Circondariale di Rebibbia N.C. è necessario accreditarsi preventivamente. Si prega, pertanto, di comunicare con cortese sollecitudine la testata e il nome del giornalista interessato a seguire l’iniziativa al numero 335.6949151. Milano: agenti in piazza contro dichiarazioni di Fabrizio Corona
Tg Com, 12 giugno 2007
Lunedì 18 giugno a Milano i dipendenti della polizia penitenziaria manifesteranno contro le dichiarazioni di Fabrizio Corona relative alle condizioni di vita nel carcere milanese di San Vittore. "In carcere se paghi puoi avere tutto", aveva detto il fotografo dei vip. Il segretario nazionale della Uil Penitenziari, Angelo Urso, ha spiegato che le dichiarazioni di Corona "denigrano e offendono la dignità di una intera categoria". "Le nostre denunce - hanno spiegato i sindacati - non suscitano la stessa attenzione, eppure sono più precise e circostanziate. Evidentemente dobbiamo rassegnarci a che l’attenzione sulle precarie condizioni delle carceri italiane sia richiamata maggiormente da situazioni del genere". La Uil Penitenziari ha organizzato la manifestazione con Cgil, Cisl, Sappe e Osap per protestare contro questo "polverone" sollevato da un "detenuto eccellente". "Dichiarazioni infelici, che denigrano e offendono la dignità e la professionalità di un’intera categoria, soltanto perché qualcuno, forse, si è lasciato corrompere. Non sorprende neanche il fatto che un detenuto, fuori dal carcere, non perda occasione per denigrare il lavoro di chi, come noi, all’interno di quelle strutture è costretto a lavorare", ha aggiunto Urso. Napoli: dediche in codice ai detenuti, chiusa una radio privata
Corriere della Sera, 12 giugno 2007
Una emittente radiofonica nelle mani della camorra. Una emittente piccola e pure abusiva, ma sufficientemente potente da essere captata nelle celle del carcere di Poggioreale e in quelle di Secondigliano. Perché al clan l’etere a questo serviva: a fare arrivare messaggi cifrati, dediche e informazioni agli affiliati reclusi. La cosca in questione è quella dei Birra di Ercolano, sulla quale ieri, dopo una indagine dei carabinieri del comando provinciale, e in parte anche della polizia, si è abbattuta una valanga di ordinanze di custodia cautelare. Cinquantaquattro quelle emesse dalla Direzione distrettuale antimafia di Napoli, che hanno colpito anche esponenti del clan Ascione, che contro i Birra sono impegnati da tempo in una faida in cui l’elenco dei morti continua ad allungarsi con cadenza quasi settimanale. Già nei mesi scorsi i Birra erano stati colpiti da numerosi arresti, e da qui la necessità di non far mancare segnali di solidarietà a quelli finiti in carcere. Il mezzo scelto era "Radio Nuova Ercolano", una emittente che aveva sede in un locale adiacente la casa di uno del clan, che ora è stata messa sotto sequestro e che già in passato era stata più volte chiusa perché trasmetteva violando le leggi sulle concessioni delle frequenze e senza le autorizzazioni ministeriali. Ma figurarsi se questo poteva essere un problema per un clan di camorra. Procurarsi un trasmettitore e impiantare un ripetitore sarà stata questione da niente per gente abituata a trafficare droga e a maneggiare milioni. Per il resto non è che servisse un palinsesto: bastava un dj al microfono, qualcuno a prendere le telefonate e via, tutta la giornata a passare musica a richiesta (ovviamente dei cantanti neomelodici) con relative dediche. Gli ascoltatori normali dovevano pagare dieci euro per poter sentire in diretta la loro dedica e la loro canzone. Un modo di finanziare la radio che il clan si era inventato per non rimetterci nemmeno le spese di gestione. Per il resto l’emittente serviva soprattutto al reggente dei Birra, Vincenzo Oliviero, per gestire il potere che i boss gli avevano affidato dopo essere finiti in carcere. Oliviero si faceva chiamare papà buono, e divideva gli affiliati in carcere in fratelli e detenuti, ma solo in base all’età. Per tutti, però, c’erano dediche ogni giorno. Papà buono telefonava al dj di turno e ordinava: "Mi devi mettere La libertà di Lello Amato... Tutto dedicato per il mio fratello Gianni, che ci fa piacere che si trova sotto alla stella di Napoli". Poi le indagini hanno accertato che il "fratello Gianni" era uno dei Birra appena trasferito a Napoli dopo essere stato per un periodo rinchiuso in un carcere di un’altra regione, e quindi la dedica era una sorta di bentornato. Oppure, sempre papà buono, interveniva in diretta per mandare una dedica "a mio figlio Stefano": "Questa canzone l’ascolterai come l’ascolterà papà al telefono". Il "figlio Stefano" è stato identificato, ma che cosa significasse quel messaggio ancora non lo si è capito. Invece la richiesta della canzone "Appuntamento alle 9", di un certo Pino Lauro, pare chiara: Oliviero doveva dare un appuntamento a qualcuno e preferì farlo via radio. Come è chiara un’altra dedica indirizzata ancora a Stefano: "Tutto passerà", per dargli coraggio durante la detenzione. Altre invece sembrano solo dediche musicali: "‘Sta vita fa paura" e "La miseria di Napoli", canzoni scelte semplicemente per allietare la detenzione degli amici. E far capire che il boss non si era dimenticato di loro. Milano: al via concerti e spettacoli, fra San Vittore e Bollate
Il Giornale, 12 giugno 2007
È ai nastri di partenza la maratona San Vittore Sing Sing 2007, un festival di musica e cabaret, un’occasione di svago e di festa dedicata esclusivamente ai detenuti e agli operatori penitenziari della casa circondariale di San Vittore e della casa di reclusione di Bollate. Il festival, nato da un’idea dei detenuti stessi in collaborazione con le cooperative e il provveditorato dei carceri, ha svariati patrocini ed è già alla sua terza edizione. Quest’anno l’appuntamento diventa itinerante. Si parte lunedì da San Vittore per approdare poi a Bollate. Sul palco 26 gruppi tra comici e musicisti. Si esibiranno anche i "VLP Sound", band composta da soli detenuti e nata tra le mura della prigione e i "Francobranco", musicisti agenti di Polizia Penitenziaria capitanati da Franco Carnevale. "La musica è per tutti un elemento di aggregazione naturale e spontaneo" ha dichiarato Gloria Manzelli, direttore di San Vittore. La prima tappa, lunedì a San Vittore, vedrà protagonisti Ale e Franz, Simone Cristicchi, Geppi Cucciari, Marco Della Noce, Francobranco, I Papu, Germano Lanzoni e Flavio Settegrani, La Pina, Mitoka Samba, Sidh, Daniele Silvestri e VLP Sound. Davanti a un pubblico di 1300 detenuti, i gruppi si esibiranno nei palchi dei cortili dei tre reparti femminile e maschile. Spettacolo anche per i bambini, nel pomeriggio di lunedì riservato ai bimbi del carcere dell’Icam di via Macedonio Melloni a Milano. "Una società giusta aiuta i carcerati a migliorare il loro futuro rispetto al loro passato" ha commentato Filippo Penati, presidente della Provincia di Milano. Mercoledì saliranno sul palco montato nel campo da calcio della casa circondariale di Bollate, Africa Unite, Almamegretta + Raiz, Bove e Limardi, Giovanni Cacioppo, Casino Royale, Club Dogo, Francobranco, Franziska, Ricky Gianco, la Pina, Meg, Mondo Marcio, Sidh e VLP Sound. Si esibiranno in questa seconda giornata anche i due gruppi musicali Aria Dura e Suonosonori & The Reggae Band, nati all’interno del carcere di Bollate. "Per i circa 600 ospiti dell’Istituto si tratta di un’occasione unica di poter fruire di un concerto live per un intero pomeriggio; l’idea di riunire tutti i detenuti che lo desiderano al campo sportivo ha l’obbiettivo di dare una prova di fiducia all’utenza e di consentire loro di passare un pomeriggio diverso per una volta tutti insieme, e all’aperto" ha spiegato il direttore della Casa di reclusione di Bollate, Lucia Castellano. Roma: all’Ipm di Casal del Marmo s'inaugura giardino "adottato"
Adnkronos, 12 giugno 2007
A felice conclusione del progetto "La scuola adotta un monumento" per il biennio 2005-2007, domani alle ore 10.00 presso l’Istituto Penale per Minorenni di Casal del Marmo, Maria Coscia, assessore alle Politiche Educative e Scolastiche e Dario Esposito, assessore alle Politiche Ambientali del Comune di Roma, inaugureranno il giardino interno al carcere, risultato del lavoro di adozione portato avanti dalle giovani detenute. Il progetto "Il Giardino in movimento: un’idea di nomadismo tra ecologia e pedagogia sociale" ha per messo di rendere lo spazio verde antistante la palazzina femminile un luogo attrezzato per svolgere lavori ricreativi e didattici rivolti al giardinaggio. L’attività, che ha coinvolto le ragazze da ottobre 2006 ad aprile 2007, ha fornito loro competenze teoriche e pratiche legate all’ecologia e al giardinaggio. "La scuola adotta un monumento" nel 2007 ha visto la partecipazione di 25.000 studenti, più del doppio rispetto al precedente anno scolastico, guidati da insegnanti, storici dell’arte, archeologi, architetti e botanici. Il progetto ha portato all’adozione di 220 luoghi coinvolgendo 26 scuole dell’infanzia, 150 scuole elementari e medie e 50 scuole superiori, numeri che fanno di Roma la prima città per istituti aderenti e luoghi adottati tra tutte le città coinvolte. Bullismo: il ministro Fioroni; da settembre sanzioni "più serie"
Il Messaggero, 12 giugno 2007
Detto e fatto. Giuseppe Fioroni, ministro della Pubblica istruzione, ha mantenuto la parola data ieri ai lettori del Messaggero: "Basta tolleranza con i bulli, dal prossimo anno scolastico entreranno in vigore nuove sanzioni disciplinari". Poche ore dopo, da Milano, è arrivata la sua conferma: "Abbiamo modificato lo statuto degli studenti e delle studentesse inviandolo al parere finale del Consiglio nazionale della Pubblica istruzione. E sarà norma già dal primo settembre". Dopo un anno terribile, fra ragazzi down umiliati, studenti indotti al suicidio, filmati hard e motorini che scorrazzano negli istituti, la scuola prova a difendersi. E a difendere. Chi sbaglia deve pagare. Famiglie comprese. Le stesse famiglie alle quali si chiede un impegno maggiore. Linea dura, dunque. Anche se Fioroni sottolinea che "le sanzioni non diventeranno più severe, ma più serie. Le regole vanno rispettate e chi le rispetta va premiato. Gli interventi sanzionatoli dovranno riuscire a mettere in atto percorsi educativi che aiutino il ragazzo a comprendere". La decisione sarà lasciata in piena libertà all’autorità scolastica "con la possibilità, oltre alla sospensione, di poter applicare anche altri elementi". Come attività sociali e volontariato. Ma chi commetterà reati gravi sarà allontanato dalla scuola: se la "riforma" antibullismo funzionerà, a pagare sarà l’aggressore e non più la vittima. La modifica dello statuto, secondo il ministro, "dovrà servire anche a dare certezze a docenti, consigli di classe e organi collegiali". Su questa linea la difesa d’ufficio dell’insegnante di Palermo finita sotto processo per aver punito un ragazzino che vietava a un compagno dì classe di andare al bagno dicendogli "sei gay". Una difesa, quella di Fioroni, apprezzata dall’Associazione figli negati: "Grazie per non aver fatto come Ponzio Pilato". La prima campanella che suonerà a settembre segnerà l’inizio di una sfida che non ammetterà deroghe. "È fondamentale - sottolinea il ministro delle Politiche giovanili, Giovanna Melandri - ripristinare la legalità dentro le scuole italiane che troppo spesso negli ultimi tempi si sono trasformate in zone franche. L’autorevolezza del corpo insegnante è alla base del percorso di formazione e deve essere riconosciuta come principio non negoziabile da famiglie e alunni. Per questo trovo particolarmente opportuno ristabilire quelle regole che il docente è tenuto a far rispettare per evitare di far perdere di credibilità all’istituzione scolastica". Nettamente contraria alla modifica dello statuto è invece l’Unione degli studenti (Uds): "Siamo fermamente convinti che il bullismo e gli atti di violenza non vengano estirpati rafforzando le misure sanzionatone. Una scuola che esclude chi sbaglia è una scuola che ha fallito perché incapace di assolvere alla propria funzione educativa recuperando lo studente attraverso i mezzi a propria disposizione". E minacciano: "Se Fioroni farà entrare in vigore le norme a settembre, saremo pronti a mobilitarci sin dall’inizio dell’anno scolastico". Droghe: una "Carta dei servizi" da Erit e Società di Alcologia
Redattore Sociale, 12 giugno 2007
Sei articoli per una politica comune nella lotta alla diffusione di sostanze psicoattive. La presentazione oggi a Venezia. Sei articoli per delineare una politica comune nella lotta alla diffusione di sostanze psicoattive. È stato presentato questa mattina a Venezia un documento, conciso e sintetico, che sarà proposto al Governo affinché lo approvi come "Carta dei servizi". Lo hanno redatto Erit-Italia (Federazione degli operatori delle tossicodipendenze) e la Società italiana di algologia. Obiettivo: discutere e soprattutto delineare piani d’azione per contenere il fenomeno dell'abuso di sostanze. "Si tratta di uscire da una cultura centrata su sterili contrapposizioni, che si illude che esistano facili soluzioni al problema e di iniziare un percorso fatto da piani concreti di intervento capaci di contrastare questo fenomeno - spiegano gli organizzatori -. L’intenzione dichiarata dal Governo di predisporre un Piano Nazionale sulle dipendenze patologiche va nella giusta direzione". La "Carta" parte da un considerazione: "Ogni cittadino di qualunque età, sesso, religione e orientamento sessuale, appartenenza etnica, culturale, nazionale ha diritto di vivere in un ambiente che promuova stili di vita sani e che lo protegga dalle conseguenze negative dell’uso di sostanze psicoattive o da comportamenti che determinano dipendenza". Uno sguardo particolare viene dato alla tutela dell’infanzia: "Tutti i bambini e gli adolescenti, a iniziare dal periodo della gravidanza, devono essere protetti dalle conseguenze negative derivanti dal vivere e crescere in un ambiente che solleciti l’uso di sostanze". E ancora: "La famiglia e la rete delle relazioni di comunità rappresentano i contesti educativi e di crescita centrali e le risorse sociali più significative". Il documento sollecita inoltre la "partecipazione attiva dei cittadini alla predisposizione e gestione dei piani di azione in un processo di autopromozione e autotutela della salute". Sono chiamate ad attivarsi anche le comunità locali, le Regioni e lo Stato, affinché proteggano i cittadini "dalle sollecitazioni e dalle conseguenze di strategie di comunicazione, pubblicità e marketing basate su messaggi, promozioni e sponsorizzazioni proposti dai media, che incoraggiano, stimolano o inducono al consumo di sostanze psicoattive". Infine, il sesto punto del documento è dedicato al servizio sanitario pubblico e privato, che deve essere "rapidamente riorientato attraverso un processo di definizione di obiettivi, risorse e indicatori coerenti con una programmazione basata sull’analisi e la programmazione delle risorse, sulla centralità della persona, incentivando la collaborazione tra pubblico e privato". Questo processo, secondo gli estensori del testo, deve essere affiancato da una seria formazione degli operatori del settore, "risorse essenziali al fine di garantire l’intera strategia di prevenzione". Droghe: ricerca; i test "casalinghi" sono poco attendibili
La Repubblica Salute, 12 giugno 2007
Gli esperti: è meglio affidarsi ai Ser.T.. Tante polemiche per l’iniziativa del sindaco di Milano, Letizia Moratti sul "buono" per il kit da ritirare in farmacia. Gli esperti spiegano i diversi tipi di indagini e quelle che forniscono dati certi, perché anche uno sciroppo inganna. Prima l’iniziativa del Comune di Milano (sindaco Letizia Moratti) di distribuire gratuitamente alle famiglie un test antidroga; poi, a pochi giorni di distanza, la proposta di inviare i carabinieri dei Nas nelle scuole (il ministro della Salute, Livia Turco) e il piano con le telecamere anti-spaccio (il ministro dell’Istruzione, Beppe Fioroni). In mezzo la morte (a Paderno Dugnano) di un ragazzo di 15 anni, durante l’intervallo delle lezioni, dopo aver consumato stupefacenti: si era parlati di spinello invece aveva fumato cocaina. La diffusione e il consumo di droga, gli effetti della legge varata dall’ex governo Berlusconi, il rapporto famiglia - scuola - adolescenti: la questione torna d’attualità, se mai si fosse affievolito l’interesse. Ma come funzionano questi test? E sono totalmente affidabili? Franco Lodi, tossicologo forense all’Università di Milano, esprime i suoi dubbi sui metodi di indagine per capire chi consuma stupefacenti: "Sul mercato c’è di tutto, ma va detto che questi test danno risposte di tipo generico, preliminare, che dovrebbero essere poi confermate da un esame di laboratorio. Inoltre i kit casalinghi non sono in grado di trovare tutte le sostanze, ma solo quelle più comuni, lasciando fuori ad esempio la chetamina e l’ecstasy, diffusissime e temibili, così come LSD, un allucinogeno forse meno utilizzato ma dagli effetti devastanti. Inoltre i test possono dare risultati falsi - positivi. Mi spiego: se un giovane assume un banale sciroppo per la tosse che contiene codeina il risultato è positivo". Insomma il rischio di prendere un abbaglio è enorme e altrettanto il rischio di alterare il delicato rapporto di fiducia tra genitori e figli. Prosegue Lodi: "Suggerirei ai Comuni che vogliono offrire un reale servizio alle famiglie, di stipulare una convenzione con le Asl e i Sert per offrire un test di laboratorio davvero attendibile. Al campione di urina presentato (anche diluito nell’acqua dello scarico) viene attribuito un codice a barre che ne garantisce il perfetto anonimato e l’analisi sospetta viene confermata con un esame incontrovertibile chiamato "gas massa"". Se nel sangue e nelle urine le sostanze stupefacenti vengono eliminate abbastanza rapidamente (vedi tabella) nei capelli rimangono per mesi. "Nei capelli, ma anche nelle unghie", spiega Lodi, "possiamo leggere la storia tossicologica dell’individuo: la cheratina ingloba la sostanza stupefacente quando il capello è nel bulbo e lì rimane. Considerando che i capelli si allungano in media di un centimetro al mese, se abbiamo un capello di dieci centimetri possiamo verificare se la persona ha assunto droghe nei dieci mesi precedenti". Certo si tratta di una indagine più lunga e costosa (circa 35 euro per ogni sostanza cercata) ma permette di tracciare la storia dell’individuo e di eliminare molti sospetti. Perplesso è anche Riccardo Gatti, Capo Dipartimento Dipendenze Patologiche della Asl di Milano: "I test fatti dalle famiglie rischiano di rappresentare un problema se non si decide prima come comportarsi. Insomma i genitori non sempre sono in grado di gestirne il risultato. Io consiglio invece di rivolgersi ad un Sert, strutture del Servizio Sanitario Nazionale, che offrono una consulenza preventiva ed effettuano i test gratuitamente. Il test pone diversi problemi tra cui quello che anche se il giovane accetta di sottoporvisi non è escluso che tenti di ingannarlo. E anche in caso di positività non è affatto detto che poi voglia curarsi. Aprendo problemi enormi. A mio parere quello del Comune di Milano è stata una imponente operazione di comunicazione per sensibilizzare la gente al problema di seguire meglio i figli. Non a caso non è stato distribuito il test ma solo un buono per ritirarlo in farmacia". Parere in linea anche quello di Maurizio Baruffi, capogruppo dei Verdi a Milano e direttore del sito www.fuoriluogo.it: "Dal punto di vista tecnico è discutibile - in quanto ci sono casi di falsi positivi o negativi - da quello relazionale è un vero disastro. Inoltre bisogna distinguere l’uso occasionale, dall’abuso che è ben altra cosa. Sono del parere che si debba parlare con i figli senza demonizzare: i ragazzi conoscono il mondo delle sostanze meglio dei genitori. Un’informazione corretta è "se ti fai una canna e senti che è troppo forte è meglio che tu smetta" oppure "se hai fumato non metterti alla guida del motorino". Legalizzare non è sinonimo di permissivismo: vuol dire mettere sul mercato prodotti di cui si sappia la concentrazione". Europa: Frattini risponde ad interrogazione sul "caso Parlanti"
News Italia Press, 12 giugno 2007
Franco Frattini, Vice Presidente della Commissione Europea, ha risposto, a nome della Commissione, all’interrogazione presentata lo scorso 29 marzo dall’europarlamentare Luca Romagnoli, di Fiamma Tricolore, sula caso di Carlo Parlanti. Nell’interrogazione l’europarlamentare chiedeva di sapere se la Commissione intendesse "prendere iniziative per permettere al cittadino dell’UE summenzionato di avere tutte le garanzie di una difesa incondizionata in sede di appello? Quali atti e pressioni diplomatiche nei confronti del governo statunitense ritiene porre in atto e sostenere al fine di garantire assolutamente, con equità e giustizia, la libera difesa dell’imputato?". La risposta del Vice Presidente Frattini recita: "Attualmente, l’estradizione tra gli Stati membri dell’Unione europea e i Paesi terzi avviene sulla base di accordi o intese bilaterali o multilaterali. L’accordo sull’estradizione firmato dall’Unione europea e dagli Stati Uniti nel 2003 non è ancora entrato in vigore. L’applicazione dei trattati bilaterali in vigore relativi all’estradizione non rientra nelle competenze dell’Unione. Sebbene tutti gli Stati membri siano parti della Convenzione europea dei diritti dell’uomo e siano vincolati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, l’articolo 6 (diritto ad un processo equo) non si applica extra-territorialmente. Solo determinate limitazioni all’estradizione derivano dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo, in particolare dalle cause Soering e Einhorn: l’estradizione delle persone verso i paesi in cui queste rischiano di essere torturate, o di ricevere punizioni o trattamenti inumani o degradanti, o nei quali rischiano un diniego di giustizia manifesto può rappresentare una violazione della Convenzione. La Commissione continuerà a seguire da vicino il caso in collaborazione con le autorità italiane competenti". Una risposta che la compagna di Carlo Parlanti, Katia Anedda, ha così commentato: "Frattini afferma che l’applicazione dei trattati bilaterali in vigore relativi all’estradizione non rientra nelle competenze dell’Unione. Peccato però che è stata competenza dell’Unione estradarlo verso gli Usa sulla semplice dichiarazione contraddittoria e assurda", si ricorda che l’estradizione vi era stata dalla Germania verso gli Stati Uniti. "Permettere prove false, terrorizzare per nove mesi un detenuto dicendo di aver contratto la Tbc, modificare la fedina penale per non permettergli di essere libero su cauzione, essere picchiato, e subire tutte le umiliazioni subite da Carlo Parlanti non è degradante?" continua Katia Anedda. "ci ricordiamo che sulla base di una donna con precedenti simili e con precedenti psichiatrici Carlo Parlanti uno stimato manager informatico italiano è stato sottoposto ad un processo farsa?" conclude Anedda, ripetendo i temi dell’attacco, che in queste settimane sta sferrando attraverso un volantino dove vengono presentate le prove che secondo il Parlanti sono false, con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica. Brasile: condizioni "disumane", sciopero fame per detenuti italiani
Associated Press, 12 giugno 2007
Tre detenuti italiani hanno iniziato uno sciopero della fame in Brasile, nel complesso penale di Raimundo Nonato. Insieme ad altri tre connazionali erano stati arrestati nel novembre 2005 e condannati nell’agosto 2006 a pene comprese tra i 56 anni e i 7 anni di reclusione per traffico internazionale di donne, riciclaggio di danaro e prostituzione. La loro denuncia riguarda le condizioni "disumane" in cui si trovano. I detenuti che hanno cominciato lo sciopero della fame sono Salvatore Borrelli, napoletano di 48 anni, Giuseppe Ammirabile, 43enne di Mola di Bari (Bari), e Simone De Rossi, di 31 anni, originario di Venezia. Gli altri tre detenuti sono Paolo Quaranta, di 56 anni, Vito Francesco Ferrante, di 43, e Paolo Balzano, di 47, tutti di Mola di Bari, non hanno finora avviato manifestazioni di protesta. Un’indagine della commissione interamericana per i diritti dell’uomo è stata avviata dopo il ricorso presentato nei mesi scorsi dall’avvocato Mario Russo Frattasi, che ha inoltrato a Washington le lamentele relative allo stato in cui sono detenuti i sei italiani. Il penalista ha chiesto alla commissione di accertare la violazione della Convenzione americana e di condannare il Brasile per il mancato rispetto delle più elementari condizioni di vita dei detenuti e dei principi dell’equo processo. Nel ricorso si denuncia che i sei vivevano (fino al 4 aprile scorso, quando sono stati divisi e trasferiti in diversi penitenziari) in condizioni ‘‘disumane’’ in una cella nel carcere di Raimundo Nonato. La cella - secondo il penalista - era idonea ad ospitare un solo detenuto, all’interno non vi erano letti e nemmeno una parte del tetto; inoltre i detenuti non usufruivano delle ore d’aria e, a causa delle cattive condizioni igieniche, hanno contratto la tubercolosi e la scabbia. Dopo il trasferimento in altre strutture la condizione dei sei detenuti è peggiorata.
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