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Giustizia: lettera "aperta" degli ergastolani a Bertinotti di Gianluca Carmosino
Carta, 7 dicembre 2007
"Per dare serietà alla mia lotta non sto andando a scuola. Sono le mie prime assenze da quando è iniziato l’anno scolastico. Mi sento sereno: la fame ti fa diminuire le capacità fisiche ma guadagni più energie mentali…". Carmelo Musumeci è un detenuto del carcere di Spoleto (Perugia) ed è uno dei promotori di una straordinaria campagna che, pur coinvolgendo in queste ore oltre dodicimila persone in tutta Italia, non fa notizia. "Mai dire mai", questo il nome della campagna per l’abolizione dell’ergastolo, è cominciata il primo dicembre, quando quasi ottocento ergastolani e 11.500 persone, tra familiari e amici di detenuti, hanno iniziato un digiuno, alcuni per un giorno, altri per tre, altri ancora per una settimana e oltre. Invece quarantuno ergastolani, sparsi in tutti i carceri d’Italia, lo stanno facendo a oltranza. L’obiettivo immediato della protesta, dunque, è chiedere ai presidenti di camera e senato che la discussione del disegno di legge (prima firmataria Maria Luisa Boccia, Prc) sull’abolizione dell’ergastolo venga effettuata prima possibile. L’organizzazione della mobilitazione è stata affidata al sito internet dell’associazione di volontariato fiorentina Pantagruel (www.informacarcere.it). Centinaia di detenuti, tramite quel sito, sono riusciti a mettersi in rete, rispondendo con un testo sempre uguale: "Per il rispetto dell’articolo 27 della Costituzione secondo cui le pene devono tendere alla rieducazione del condannato, dichiaro che dal primo dicembre 2007 inizierò uno sciopero della fame a oltranza a sostegno dell’abolizione dell’ergastolo". Su www.informacarcere.it è possibile leggere anche il disegno di legge completo che propone la sostituzione della pena dell’ergastolo con quella della reclusione di anni trenta. Secondo i promotori del ddl la pena dell’ergastolo è una "forma di pena del tutto incompatibile con l’ordinamento costituzionale, con numerose prescrizioni di norme cogenti di diritto internazionale e sopranazionale, nonché con il paradigma essenziale dello Stato di diritto", cioè il principio di umanità della pena (art. 27). Di seguito pubblichiamo la lettera aperta scritta oggi a Fausto Bertinotti dai promotori dello sciopero della fame. "Gli ergastolani in lotta del carcere di Spoleto Le scrivono a nome degli ergastolani in lotta di tutta Italia. Dal primo di dicembre 2007, 766 ergastolani, 11.541 non ergastolani, familiari, amici, ecc. digiunano, alcuni per un giorno, altri per tre, altri ancora per una settimana e oltre. Invece 41 ergastolani sparsi in tutti i carceri d’Italia lo stanno facendo ad oltranza e alcuni di questi, che hanno più paura di vivere che di morire, lo faranno fino alla morte: non abbiamo scelta, la nostra esistenza non ha più senso. Domandiamo: se la vita non è eterna perché lo è l’ergastolo? Perché sperare di uscire se non possiamo più farlo? L’ergastolo ci dà solo un senso di inutilità. Non si può attendere un fine pena che non arriverà mai. Anche noi siamo per la certezza della pena ma non si può rieducare una persona che non uscirà mai. Tutto quello che l’ergastolano ha è solo presente, un lungo eterno presente, non possiamo più andare avanti e indietro, solo futuro di sofferenza e di non vita. Basti pensare che il codice penale francese del 28 settembre 1791, pur prevedendo la pena di morte, avesse abolito l’ergastolo, ritenendolo più disumano della pena capitale. Le chiediamo con una dichiarazione pubblica una promessa di calendarizzare il disegno di legge per l’abolizione dell’ergastolo presentato dal partito di Rifondazione comunista alla Camera. La vita di 41 ergastolani che stanno digiunando a oltranza è nelle sue mani. Ovviamente, non pretendiamo da Lei l’abolizione dell’ergastolo ma pretendiamo che i disegni di legge presentati (nel caso specifico da un partito che sostiene il governo) siano discussi (come si usa in uno serio Stato di diritto) senza che questi siano insabbiati. Contiamo sulla Sua umanità e sensibilità (è importante la solidarietà per quelli che lottano). Grazie dell’attenzione.
Gli ergastolani di Spoleto Giustizia: decreto sicurezza, il Governo ottiene la fiducia
La Repubblica, 7 dicembre 2007
Alla fine - complice il voto decisivo di Francesco Cossiga - arriva la fiducia e il sì al decreto sicurezza. Ma nell’aula di Palazzo Madama l’Unione ha rischiato grosso anche oggi. Nel tardo pomeriggio, dopo che il ministro Chiti aveva in mattinata annunciato la richiesta del voto di fiducia, era stato Mastella a lanciare l’allarme: "La vedo male...". A seguire il senatore a vita Andreotti aveva annunciato il suo "no", e le fibrillazioni delle senatrici "teodem" Baio Dossi e Binetti avevano fatto temere il peggio alla maggioranza. Solo dopo le 22 arriva il sospiro di sollievo: via libera al maxiemendamento (160 a 158) e poi all’intero decreto (160 a 156). L’ennesimo pericolo scampato che però non risolve i continui strappi nella coalizione e permette di lasciare altri strascichi polemici. La richiesta di fiducia. Al termine di un Consiglio dei ministri lampo, il governo aveva rotto gli indugi e annunciava la volontà di mettere la fiducia sul decreto sicurezza. Vannino Chiti lo ha scandito nell’aula di palazzo Madama, puntando l’indice contro l’opposizione: "Su questo tema avremmo voluto un confronto aperto fra maggioranza ed opposizione. Non è stato possibile". La fiducia viene posta su un maxiemendamento, interamente sostitutivo del decreto. Vi sono comprese anche le proposte di modifica concordate con la maggioranza e tradotti in emendamenti, una dozzina, su cui il governo aveva espresso in Aula parere favorevole. Cresce la tensione. Con il passare delle ore si capisce che in aula non sarà una passeggiata. Da una parte provano a smorzare Ferrero ("Non vedo problemi politici"), Amato ("Ci sarà la maggioranza") e anche Dini, che annuncia voto favorevole. Ma Mastella, poche ore prima del voto, avverte: "La vedo brutta, ci sono rischi dai senatori a vita. Noi voteremo la fiducia per disciplina di coalizione, ma alla Camera daremo battaglia". Soprattutto su un emendamento: quello sulla "parità di genere". Intanto, Andreotti dice che non voterà. Franco Turigliatto, ex Prc ed esponente di Sinistra Critica, fa sapere che voterà no alla fiducia. Il senatore italo-argentino Luigi Pallaro, che ha sempre votato con la maggioranza, non si vede da alcuni giorni. Francesco Cossiga, che pure da diversi giorni non mette piede in aula, annuncia invece che voterà a favore perché "crisi sarebbe drammatica". Pare scontato che conteranno la fiducia Rita Levi Montalcini, Emilio Colombo, Oscar Luigi Scalfaro. I teodem sul piede di guerra. Ma a mettere in ansia l’Unione, in queste ore frenetiche, ci sono anche i Teodem, il gruppo dei cattolici del Pd. Paola Binetti ed Emanuela Baio si oppongono alla parte del maxiemendamento che fa riferimento al Trattato di Amsterdam e che riguarda norme contro le discriminazioni razziali e sessuali. La Binetti si riserva fino all’ultimo minuto per decidere come votare la fiducia. Si sparge la voce di una comunicazione del ministro Chiti in aula, con al promessa che il testo cambierà alla Camera. Anche Fernando Rossi, ex Pdci, alimenta le ansie del centrosinistra: "Voto sì alla fiducia ma mi riservo di valutare sul merito del provvedimento". La ex-Cdl attacca. Ieri il centrodestra aveva messo in atto l’ostruzionismo a oltranza creando i presupposti, visti i tempi ristretti, per la fiducia di oggi. "È il definitivo fallimento del governo" scandisce in aula il capogruppo forzista Renato Schifani. Replica il presidente del gruppo del Pd-l’Ulivo, Anna Finocchiaro: "La decisione di porre la fiducia è dovuta all’ostruzionismo dell’opposizione e non alle divisioni della maggioranza". Il voto. Al momento della chiama, la "teodem" Binetti (ma non la Baio Dossi e Bobba) vota no alla fiducia. Tra gli applausi del centrodestra. Il resto, sono conferme. Sì dai senatori a vita, tranne Andreotti. No di Turigliatto. Gli altri dell’Unione votano compatti per il governo. Il risultato è un’altra fiducia all’esecutivo di Romano Prodi. Per mano di una maggioranza sempre più fragile. E di un imprevedibile Francesco Cossiga. Le proteste. La Lega ha protestato in Aula durante il voto. Alla fine della seconda chiama Roberto Calderoli ha contestato il voto del senatore a vita Francesco Cossiga. Calderoli ha lamentato che l’ex capo dello Stato "non è passato davanti al banco della presidenza e quel voto ai sensi del Regolamento dovrebbe essere da lei detratto". Pronta la replica del presidente del Senato Franco Marini: "Cossiga aveva un’evidentissima fatica a muoversi e a ha pronunciato in maniera netta e forte, udita da tutti, il suo voto a favore. Quindi la sua votazione è netta". Risposta che non ha soddisfatto il leghista che uscito dall’aula ha protestato: "È un broglio elettorale. Sta mantenendo il governo con un broglio". Giustizia: decreto sicurezza, ultimatum di Mastella e Prc
La Repubblica, 7 dicembre 2007
Non usa mezzi termini Clemente Mastella: "Se non viene ritirato l’emendamento sull’omofobia sarà crisi di governo". Dopo la rocambolesca approvazione della norma inserita ieri al Senato nel pacchetto sicurezza, con la senatrice del Pd Paola Binetti pronta a negare la fiducia al governo, il ministro della Giustizia mette in guardia Prodi in vista del passaggio del testo a Montecitorio. "Se Rifondazione comunista o altri partiti della sinistra insistono a mantenere, nonostante l’impegno di Chiti e il mio per evitare la crisi, che ci sarebbe stata ieri sera senza l’impegno a modificare alcuni emendamenti di genere del decreto sicurezza, quelle modifiche nel provvedimento, allora è crisi - dice Mastella - L’esperienza politica di questo governo finisce qui e rimarremo formalmente nel governo fino a fine anno, solo per votare la Finanziaria ed evitare l’esercizio provvisorio". Una prima risposta al ministro della Giustizia è arrivata da Paolo Ferrero. "Spero che si possa ricredere e ravvedere, perché la norma fatta è assolutamente corretta e non ha nulla a che vedere con i reati di opinione", dice il ministro della Solidarietà sociale. Secondo l’esponente del Prc, l’emendamento approvato ieri "è il richiamo di una norma che sta in un trattato che l’Italia ha ratificato. Quindi non dice nulla di nuovo rispetto a quelli che sono gli impegni dell’Italia". Sdrammatizza invece il ministro degli Esteri Massimo D’Alema. "Tutti i giorni ci sono ultimatum. Sarà stato un penultimatum, ma io non l’ho letto". A salvare il governo ieri è stato il senatore a vita Francesco Cossiga, che oggi spiega. "Se si fosse trattato di votare soltanto il decreto sulla sicurezza, me ne sarei stato a casa o avrei votato contro - dice - Ma qui si trattava di votare la fiducia, e se il governo non avesse avuto la fiducia si sarebbe dovuto dimettere. Quindi io ho votato nell’interesse del paese contro la crisi, non a favore del governo". Ragionamento che la senatrice Binetti evidentemente non condivide. "Ci sono temi su cui bisogna lavorare con più profondità". afferma ricordando il voto contrario al maxiemendamento che conteneva fra l’altro una norma sulla punibilità delle discriminazioni contro le tendenze sessuali. "Non credo che questo metta a rischio il governo - prosegue - dobbiamo rinunciare all’idea di un equilibrio conquistato una volta per tutte". Una mina complicata da disinnescare, quella sull’emendamento anti-omofobia, che finisce tra i piedi dell’esecutivo sulla scia di crescenti tensioni all’interno della maggioranza. L’ultima picconata è arrivata stamane da Antonio Di Pietro. "Piaccia o no, dopo il voto di fiducia di ieri al Senato la maggioranza politica non c’è più, di questo va preso atto: la maggioranza attuale che sostiene il governo non ha i numeri per avere anche una maggioranza in termini strutturali", commenta il ministro delle Infrastrutture. "Per questo, Italia dei Valori - aggiunge - chiede non solo una verifica politica ma un nuovo processo costituente, affinché la prossima sia una coalizione del fare fondata sullo stesso programma e non sulla logica dello stare insieme contro qualcuno. Non se ne può più di litigiosità, meglio scomporre e ricomporre i poli in modo più omogeneo". Giustizia: Prc; testo è costituzionale, ma non andava fatto di Daniela Preziosi
Il Manifesto, 7 dicembre 2007
"Un decreto inutile. Non intendo trattarlo come una grande vittoria. Siamo soddisfatti, l’abbiamo fatto rientrare nell’alveo della Costituzione. Ma abbiamo dovuto perdere quindici giorni. Ora è un decreto inutile, scritto in un clima emergenziale, per giunta voluto al di fuori della presidenza del Consiglio". Non usa mezzi termini Giovanni Russo Spena, capogruppo del Prc al senato. Per la sinistra, è fra quelli che hanno condotto la delicatissima trattativa della conversione del decreto antirumeni, lo stralcio del pacchetto sicurezza voluto da Walter Veltroni sull’onda della rabbia che montava dopo l’assassinio della signora Reggiani. Lo intervistiamo a voto finale non ancora concluso. "Un decreto che conteneva fortissimi tratti di razzismo costituzionale", dice. "Basta pensare che era titolato sulle espulsioni dei rumeni. Già un fatto gravissimo: indichi un popolo intero come responsabile. Con un paradigma fondativo ideologico grave, che la sicurezza non è né dì destra né di sinistra. Una sciocchezza".
Scusi, ma è quello che dicono in molti, anche nel Pd. Invece per me la sicurezza è quella sociale, anche quella fisica. Ma comunque le risposte sono o di destra o di sinistra. Non va, come tutto il pacchetto sicurezza.
Che non voterete, quindi? Lo esamineremo rigo per rigo. Su dati di fondo non siamo d’accordo.
Intanto quali sono i cambiamenti che avete chiesto nel decreto delle espulsioni facili? Nella versione originale era un decreto in cui venivano concessi al prefetto - cosa che già non mi piace - poteri di espulsione senza la convalida del giudice monocratico. Gridava vendetta. Era prevista l’espulsione per ragioni di ordine pubblico e sicurezza, le tipologie di reato previste dal Codice Rocco, quello fascista. Abbiamo fatto applicare non solo la Costituzione ma la direttiva europea, in cui si parla della realtà, dell’attualità e della pericolosità del comportamento cittadino comunitario. Tre sostantivi pesanti. Insomma, non c’è più la presunzione di reato solo perché uno è rom. Terzo punto: se nei cinque anni precedenti aveva commesso un reato in un altro paese, il comunitario veniva espulso. Non era nel testo originario, ma era un emendamento di An che qualcuno aveva voglia di accogliere, e noi abbiamo fatto saltare.
Poi c’è la polemica sui Cpt. La destra vi accusa di aver preferito le celle di sicurezza ai centri di permanenza temporanea. Siamo seri. Abbiamo usato l’espressione usata nella legge Amato-Ferrero (la riforma sull’immigrazione in discussione alla camera, ndr). Riguarda solo "quelli che sono sottoposti a provvedimento giudiziario". Quindi pochissimi, quelli per cui c’è stato il decreto di espulsione, la convalida. E che fanno ricorso. Entro 15 giorni il giudice si deve esprimere. In quei 15 giorni il questore può decidere che siano trattenuti in luoghi idonei a questo trattenimento temporaneo. L’espressione non soddisfa, noi siamo per la chiusura dei Cpt, ma fra l’altro risponde a un problema che ci hanno posto le stesse associazioni che si occupano di questi temi. Ci hanno spiegato che a volte è preferibile anche per loro utilizzare il Cpt piuttosto che le celle di sicurezza delle questure o il carcere. Ma c’è una cosa importante, che nessuno ha notato.
Quale? La convalida giurisdizionale viene estesa anche agli extracomunitari, ovvero i migranti. Un punto importante. È un’anticipazione della Amato-Ferrero, rispetto alla Bossi Fini che tratta i giudici di pace come giudici di diritto.
Il governo ha dovuto porre la fiducia sul decreto. Per l’ostruzionismo dell’opposizione, ma anche per la debolezza della maggioranza. Un governo "morente"? Noi abbiamo detto chiaro e tondo che non avremmo votato, e non voteremo, un provvedimento che avesse un tratto razzista. È evidente che il governo ha visto la determinazione della sinistra e ha capito che non poteva correre rischi. E il governo lo ha capito bene, se il ministro Amato ha messo sul piatto le sue dimissioni, ovvero quelle del governo. Ma il problema resta. Abbiamo chiesto una verifica entro gennaio.
Qual è l’indirizzo di marcia? Quattro o cinque punti, non il libro dei sogni, ma che vengano fatti sul serio.
Che tempi? Alcuni provvedimenti sono immediati. Per altri, come tutto il tema dei salari e dei contratti, il termine non può essere il prossimo Pdef. Solo in quel momento si potrà capire davvero se il governo è ripartito o no. Giustizia: decreto sicurezza; 60% espulsioni sono fuorilegge di Gerardo Pelosi
Il Sole 24 Ore, 7 dicembre 2007
Il decreto sulle espulsioni è in contraddizione con il diritto europeo e con la libertà di movimento delle persone nell’Unione europea". Gheorghe Popa, capo della polizia romena parla, come si dice, con cognizione di causa. Tra i criminologi è conosciuto come grande esperto di impronte (sta lavorando a un nuovo sistema basato sui gruppi sanguigni) ma non riesce proprio a capire come mai dei 91 romeni espulsi dall’Italia finora solo il 40% risulta avere commesso un reato. Sfodera un passato di proficua collaborazione con la Polizia italiana, prima con De Gennaro e ora con Manganelli. È stato lui, del resto, a tenere a battesimo l’operazione "Icaro" nel 2006 con l’invio di poliziotti romeni nel nostro Paese ogni tre mesi (ora sono venti più cinque della polizia di frontiera), che ha consentito l’arresto di 900 malviventi. Ed è sempre lui a dovere gestire, ora, la nuova fase di collaborazione tra polizie dopo l’omicidio Reggiani. Ma alcune cose Popa non riesce a capirle. "Le persone espulse dall’Italia fino ad oggi sono 91 - precisa il capo della polizia romena - ma di queste solo il 40% ha commesso un reato in Italia, per gli altri si tratta di illeciti di tipo amministrativo come la mancanza di documenti d’identità. E invece mi aspettavo che tutte le persone espulse avessero commesso gravi reati nel vostro Paese". Ma cosa è successo concretamente ai 91 espulsi? "Sono arrivati in aereo dall’Italia - risponde Popa - abbiamo prelevato le impronte e controllato i precedenti nelle banche dati e nel casellario; poi li abbiamo monitorati con controlli frequenti ai loro domicili ma restano liberi di muoversi, non possiamo vietare loro di partire. Una cosa è chiara: il decreto italiano è in contraddizione con la direttiva Ue e con la libera circolazione delle persone". Tuttavia il responsabile delle forze di polizia romene invita ad approfondire meglio quello che è successo in Italia. "Innanzi tutto - spiega - si dovevano assicurare adeguate misure di integrazione sociale dei rom e inoltre la cooperazione tra forze di polizia doveva essere più trasparente ed efficace mentre la stampa ha alimentato un clima pericoloso". Ora, con le feste di fine anno, i venti poliziotti romeni che si trovano in Italia torneranno a casa. Lo stesso faranno moltissimi lavoratori romeni. "Anche io ho due parenti che lavorano in un ospedale italiano - dice Popa - ma hanno paura di questo clima, anche loro potrebbero cercare lavoro qui e non tornare più in Italia; è una possibilità che c’è, ora". Anche perché, aggiunge Popa, la Romania che il 22 dicembre festeggerà i 18 anni dalla rivoluzione anti-Ceausescu e il primo anno da membro Ue "oggi è un Paese molto più sicuro, senza omicidi o delitti con uso di armi da fuoco". In un anno la criminalità è scesa del 27%. "E non certo perché l’abbiamo esportata tutta da voi", tiene a sottolineare Popa molto orgoglioso dei risultati della lotta ai crimini di strada, realizzata anche grazie all’assunzione di 5mila poliziotti e all’acquisto di 5mila nuove vetture. Polizia Penitenziaria negli Uepe: prosegue la mobilitazione
Redattore Sociale, 7 dicembre 2007
Nuovo incontro il 17 dicembre tra i vertici dell’Amministrazione penitenziaria e i sindacati. Gli assistenti sociali: "Così vengono trasformati in Commissariati". Si terrà il 17 dicembre l’incontro tra i vertici dell’Amministrazione penitenziaria e i sindacati, sulla proposta di inserire la polizia penitenziaria negli Uffici per l’Esecuzione Penale Esterna (Uepe), per costituire dei nuclei di verifica e controllo sulle misure alternative. A circa sette mesi dalla presentazione della prima bozza del decreto ministeriale prosegue la mobilitazione degli assistenti sociali. Per il Comitato di solidarietà assistenti sociali " è stato bloccato, grazie all’intervento di alcune Organizzazioni sindacali, il tentativo dell’Amministrazione penitenziaria di accelerare sull’avvio della sperimentazione attraverso dei diktat e l"interruzione del confronto sindacale". La nuova bozza di decreto "è sostanzialmente identica a quella precedente", denunciano: "Non è stata in alcun modo presa in considerazione la richiesta fatta da quasi tutte le organizzazioni sindacali., anche della Polizia Penitenziaria, di superare la previsione di collocare i nuclei di verifica presso gli Uepe". La critica degli assistenti sociali è che, in questo modo, "gli Uepe vengono di fatto trasformati in dei Commissariati impegnati a governare l’ordine pubblico più che la sicurezza e l’inclusione". Secondo il Consiglio Nazionale del Coordinamento assistenti sociali giustizia "evidentemente l’Amministrazione Penitenziaria continua a sottovalutare il problema e vuole a tutti i costi procedere con una sperimentazione che così come è, non soddisfa nessuno, né gli operatori attualmente occupati negli Uepe né la Polizia Penitenziaria". "Le osservazioni fatte dalle organizzazioni sindacali di categoria che rappresentano il corpo della Polizia penitenziaria non sono meno critiche di quelle fatte dagli assistenti sociali e allora, perché insistere? Non sarebbe meglio provare a discutere seriamente di quale politica della pena si vuole perseguire e di quali sono gli strumenti più idonei per realizzarla?", si chiede il Casg. Gli assistenti sociali dunque chiedono, qualora dovesse comunque prevalere la volontà della sperimentazione, che venga riformulato il progetto assumendo alcune richieste fin qui formulate. "No al Servizio di Verifica con personale di Polizia Penitenziaria presso gli Uepe; no al controllo che verrebbe svolto da tali Nuclei di Verifica per la misura alternativa dell’affidamento in prova al servizio sociale, anche se previsto solo su specifica richiesta del Tribunale di Sorveglianza o del Magistrato di Sorveglianza; no al superamento della connotazione sociale degli Uepe a favore del rafforzamento dell’immagine di un servizio parte integrante degli Organismi di Ordine Pubblico e Sicurezza e al ruolo dei Direttori degli Uepe, sempre più vicino a quello di funzionari di Polizia, piuttosto che di Dirigenti con una necessaria e specifica connotazione tecnico-professionale e no ad una sperimentazione, dove non si conoscono i reali costi e dove saranno reperiti i finanziamenti". Polizia Penitenziaria negli Uepe: un comunicato del Casg
Comunicato stampa, 7 dicembre 2007
Fissata nuova convocazione presso il Dap per lunedì 17 dicembre ore 11.00 per riprendere la discussione, lasciata sospesa nel settembre scorso, circa il progetto di sperimentazione, che prevede l’utilizzo della Polizia penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe). Riprende, quindi, il confronto dopo un tentativo mal riuscito di far passare il decreto con un colpo di mano, contando sulla distrazione degl’interessati; il Dap, infatti, lo scorso 24 novembre in una comunicazione inviata alle OO.SS. dichiarava: "Il nuovo schema di decreto interministeriale che ha tenuto conto dei contributi offerti dalle Organizzazioni Sindacali in occasione dell’ultimo incontro, tenutosi sul tema, presenta alcune modifiche rispetto al testo precedente, in particolare: tanto premesso, in assenza di osservazioni, da far pervenire comunque entro sette giorni dalla ricezione della presente, si darà avvio al perfezionamento del decreto. Pur essendo pervenuta questa bozza in un momento molto particolare per le OO.SS. e per tutto il personale del comparto ministeri, ovvero le votazioni per il rinnovo delle Rsu, esse non si sono fatte trovare impreparate, tanto da far decorrere inutilmente i sette giorni previsti per le osservazioni nel merito del suddetto decreto e il Dap ha dovuto riconvocarle. Evidentemente l’Amministrazione Penitenziaria continua a sottovalutare il problema e vuole a tutti i costi procedere con una sperimentazione che così come è, non soddisfa nessuno, né gli operatori attualmente occupati negli Uepe né la Polizia Penitenziaria. Le osservazioni fatte dalle OO.SS. di categoria che rappresentano il corpo della Polizia penitenziaria non sono meno critiche di quelle fatte dagli assistenti sociali e allora, perché insistere? Non sarebbe meglio provare a discutere seriamente di quale politica della pena si vuole perseguire e di quali sono gli strumenti più idonei per realizzarla? In questa ultima bozza "…è stato esplicitato il concetto di contributo alla sicurezza (anche territoriale), che la sperimentazione vuole offrire…."; ma qualcuno può credere mai che, se esiste un problema di insicurezza nelle città, sia realistico pensare che l’inserimento di nuclei di 6/9 unità di polizia penitenziaria in città come Milano, Roma, Napoli possa di fatto contribuire a combatterla"?
Per il Consiglio Nazionale Casg Anna Muschitiello Genova: informazione su Hiv e Aids, un progetto a Marassi
Adnkronos, 7 dicembre 2007
Più conoscenze e informazioni nel carcere genovese di Marassi sul virus Hiv e sull’Aids, su modalità di trasmissione, prevenzione, rischi comportamentali, nuove terapie, modi per imparare a convivere con queste gravi patologie, con il progetto "Hiv Carcere". Sostenuto dalla Provincia con la direzione della casa circondariale e attuato, sotto la guida dell’infettivologo Emanuele Pontali, dal Coordinamento ligure persone sieropositive, il progetto ha coinvolto detenuti del centro clinico malattie infettive, agenti della polizia penitenziaria, infermieri e medici del Sert ed educatori. Lo hanno presentato, nella sede dell’istituto penitenziario, il direttore Salvatore Mazzeo, l’assessore provinciale alle carceri Milò Bertolotto con Marco e Anna Bussadori del Coordinamento ligure persone sieropositive, l’infettivologo Emanuele Pontali e il nuovo comandante della Polizia Penitenziaria Luca Morali. Negli ultimi tre anni i detenuti con infezione Hiv transitati dal carcere di Marassi sono stati quasi duecento. Prima dell’indulto il loro numero medio mensile era tra i 40 e i 50, attualmente è in crescita e oscilla tra i 25 e i 30. Toscana: 292mila euro per finanziare il teatro-carcere
Agi, 7 dicembre 2007
La Regione Toscana ha stanziato 292 mila euro per il teatro in carcere. Una delibera approvata nell’ultima seduta di Giunta su proposta dell’assessore alla cultura - e con fondi delle politiche sociali - prosegue l’iniziativa regionale avviata otto anni fa con il titolo "Teatro in carcere". L’obiettivo principale è utilizzare il teatro come strumento di socializzazione e formazione per i detenuti realizzando anche laboratori di sperimentazione sul linguaggio teatrale. Destinatari del contributo le associazioni teatrali e le compagnie che svolgono attività negli istituti di pena della Toscana: sono, in tutto, 15 e per beneficiare del contributo regionale dovranno presentare specifici progetti coerenti con gli obiettivi indicati nella delibera. Fra gli obiettivi indicati anche l’espansione dello spazio web dedicato alle attività di teatro in carcere oltre che il consolidamento della cooperazione fra esperienze simili. "Il teatro in carcere - commenta l’assessore alla cultura Paolo Cocchi - diventa un ponte comunicativo fra culture e comunità diverse, tra liberi e non liberi, un luogo di mediazione fra carcere e città, un luogo dove si arricchiscono esperienze e dove si sperimentano nuove relazioni. Ma è anche una occasione importante per riflettere sul teatro civile". Le strutture carcerarie dove operano le compagnie sono localizzate a Volterra, Arezzo, San Gimignano, Empoli, Firenze, Massa, Porto Azzurro, Pisa, Livorno, Massa Marittima, Montelupo Fiorentino. Verona: carcere e Università, un patto per i detenuti di Elisa Pasetto
L’Arena di Verona, 7 dicembre 2007
L’accordo porterà all’apertura di uno sportello informativo per i carcerati e alla organizzazione di corsi per gli studenti. Gli iscritti alla facoltà di Giurisprudenza forniranno risposte agli ospiti di Montorio. Il carcere è un’istituzione chiusa in se stessa e isolata dal resto del territorio e della società civile. Per cercare di smuovere questo che è tutt’altro che un luogo comune, Università di Verona, direzione della casa circondariale di Montorio e Ufficio di esecuzione penale esterna (Uepe) di Verona e Vicenza, ieri, al Polo Zanotto hanno firmato un protocollo d’intesa dal titolo "Università e mondo della pena". Un progetto formativo di cooperazione che si articolerà nell’istituzione di uno sportello informativo per i detenuti del carcere di Montorio e nell’organizzazione parallela di corsi e seminari anche interdisciplinari rivolti agli studenti, dedicati appunto al mondo della pena. Uno scambio biunivoco di opportunità tra docenti e studenti da un lato e detenuti dall’altro, "nato un anno fa da una proposta di Elda Baggio", delegata del rettore per le Pari Opportunità, come ha ricordato lo stesso Alessandro Mazzucco. "Si parla da molto dell’auspicato rapporto tra università e territorio", ha affermato il rettore, "riferendosi soprattutto al mondo economico e produttivo. In realtà fanno parte del territorio anche realtà civili, sociali e culturali". Tra queste, appunto, il carcere che, per quanto riguarda l’approccio con la società civile, deve invece scontrarsi spesso con timori e pregiudizi. "Siamo molto soddisfatti di questo progetto", ha spiegato Salvatore Erminio, direttore del carcere di Montorio, "che coinvolgerà non solo gli studenti universitari ma anche i detenuti: persone che hanno sbagliato, ma che hanno il diritto di rimettersi in gioco in vista di un reinserimento nella società. Ecco perché l’iniziativa verrà sviluppata ascoltando le loro esigenze". Interessate dal progetto, nel dettaglio, le facoltà di Giurisprudenza e di Scienze della Formazione dell’ateneo scaligero, che saranno protagoniste con lo sportello informativo di un servizio di ascolto e consulenza per i detenuti, nel primo caso fornendo risposte di carattere giuridico (dalle modalità per le misure alternative alle pratiche amministrative interne), nel secondo caso curandone i percorsi di reinserimento sociale in collaborazione con l’Uepe, l’organo cui compete la riabilitazione sociale del detenuto fuori dalle mura del carcere. "In particolare", ha affermato Maurizio Pedrazza Gorlero, preside di Giurisprudenza, "docenti e avvocati volontari forniranno supporto in tutti gli aspetti della fase esecutiva della pena, ma senza la possibilità di redigere atti giuridici. Gli studenti potranno coadiuvarli svolgendo un tirocinio che riconoscerà loro crediti formativi utili per la laurea". Gli studenti iscritti a Scienze della Formazione e alla Scuola dei servizi sociali avranno invece modo, durante il tirocinio, di approfondire tematiche sociologiche e pedagogiche connesse al percorso di risocializzazione della persona detenuta, fornendo informazioni sui servizi sociali e le associazioni competenti, sulle responsabilità familiari e sociali e contatti con l’ufficio di collocamento. "L’aspetto interessante del progetto", ha aggiunto Mario Longo, preside della facoltà di Scienze della Formazione, "è che coniuga l’attività professionalizzante e i possibili sbocchi professionali legati al tirocinio con l’attività di ricerca e approfondimento in tema di giustizia, pena ed etica, garantita dalle attività seminariali continuative che verranno promosse nelle Facoltà coinvolte, ma che sarebbero interessanti per qualsiasi studente". L’iniziativa, tarata sul modello di precedenti esperienze già in atto a Firenze e a Bollate (Milano), si presta anche ad ulteriori sviluppi futuri: "La fase successiva", ha anticipato il rettore, "potrebbe prevedere anche attività didattiche da svolgersi all’interno del carcere per i detenuti". Immigrazione: Censis; insofferenza contro Rom e romeni
Ansa, 7 dicembre 2007
Nel corso dell’ultimo anno sono comparsi primi segnali d’insofferenza nei confronti degli stranieri, in particolare verso alcune comunità come quella dei romeni e dei Rom e sono apparse le prime crepe nel sistema d’integrazione. Lo rileva il Censis sottolineando che la stigmatizzazione dei cittadini rumeni è andata di pari passo con la forte crescita della loro presenza, ulteriormente accelerata a seguito dell’ingresso della Romania nell’Unione Europea e della rinuncia dell’Italia ad esercitare la possibilità di prevedere delle quote d’ingresso per un primo periodo. Negli ultimi cinque anni, infatti, a fronte di una crescita media degli stranieri residenti in Italia dell’89,7% (da 1.549.373 del 2002 a 2.938.922 del 2006), quelli provenienti dai paesi dell’Europa dell’Est sono cresciuti del 134,2% e i rumeni sono aumentati del 260,1%, passando dai 95.039 del 2002 ai 342.200 del 2006 e diventando la terza comunità in Italia per numero di residenti. La stima Caritas al 2006 dei soggiornanti, che include anche le persone arrivate da poco in Italia e in attesa di permesso di soggiorno e i minori iscritti sul permesso di soggiorno dei genitori, fa salire il numero dei rumeni a 555.997, facendone la prima nazionalità straniera presente in Italia con il 15,1% della popolazione straniera. I Rom presenti in Italia, spesso confusi erroneamente con i cittadini romeni, sono invece un gruppo eterogeneo, composto sia da cittadini italiani sia da stranieri, comunitari e non. Stime diffuse dal Ministero della Solidarietà Sociale parlano di 150.000 presenze, di cui 70.000 attribuibili a cittadini italiani; i Rom rumeni sarebbero 45.000, equivalenti a circa il 15% dei rumeni presenti in Italia. Di pari passo con la crescita delle presenze - avverte il Censis - vi è stato un aumento dei rumeni sulla scena del crimine. Nel periodo 2004-2006 i cittadini romeni compaiono al primo posto tra gli stranieri denunciati per numerosi reati, sia contro il patrimonio, come i furti con destrezza (37% degli stranieri denunciati, e 24,8% del complesso dei denunciati), i furti di autovetture (29,8% degli stranieri e 11,2% del totale dei denunciati), le rapine in esercizi commerciali (26,9% e 8,7%) e le rapine in abitazione; sia per alcuni reati violenti, come gli omicidi volontari consumati (15,4% degli stranieri denunciati e 5,3% del totale) e le violenze sessuali (16,2%). All’aumento dei cittadini rumeni denunciati corrisponde una crescita costante dei detenuti rumeni che nel mese di giugno erano 2.267, vale a dire il 5,2% del totale dei detenuti (che a quella data erano 43.957) e il 14,5% dei detenuti stranieri (che erano 15.658). Stati Uniti: 2.250mila detenuti, il più alto "tasso" al mondo
Swiss Info, 7 dicembre 2007
Gli Stati Uniti hanno il più alto numero di detenuti al mondo in rapporto agli abitanti: 751 ogni 100mila residenti, per un totale a tutto il 2006 di più di 2,25 milioni di persone in carcere. Lo rileva oggi una delle più importanti associazioni umanitarie americane, Human Rights Watch, che riporta gli ultimi dati resi noti dal Dipartimento di Giustizia Usa. I dati, sottolinea l’associazione, sono particolarmente rilevanti se confrontati con quelli degli altri Paesi. Human Rights Watch riporta quelli relativi alla Gran Bretagna, dove il "tasso" di popolazione carceraria è di 148 ogni 100mila residenti. Questo stesso valore scende a 107 in Canada, e a 85 in Francia. Quello degli Stati Uniti secondo l’associazione per i diritti umani è il più alto al mondo, superiore al tasso di detenzione della Libia (217), dell’Iran (212) e della Cina (119). La popolazione carceraria negli Usa è cresciuta del 500 per cento negli ultimi 30 anni. Il numero dei detenuti di colore - aggiunge il rapporto - è 6,2 volte quello dei detenuti bianchi. Nel 2006 circa l’8% di tutta la popolazione di colore che risiede in America compresa tra i 30 e i 34 anni è stata incarcerata e ha avuto una condanna. Stati Uniti: Ely State (Nevada), ecco l’inferno dei detenuti
La Stampa, 7 dicembre 2007
Denuncia di avvocati e associazioni: nella prigione di massima sicurezza i detenuti non vengono curati. Gli avvocati di alcuni detenuti della prigione di massima sicurezza di Ely State, in Nevada, hanno denunciato numerosi episodi in cui ai carcerati sono state negate anche le minime cure mediche per problemi cardiaci, diabete e altre gravi malattie. Come il caso di Charls Randolph, che quando ha chiesto che gli venisse prescritto uno specifico farmaco per vecchi problemi cardiaci si è visto rispondere da Max Carter, il medico in servizio nel carcere, che il medicinale era sbagliato e potenzialmente letale, ma che sarebbe stato felice di prescriverlo "in modo di aumentare le possibilità che tu muoia al più presto". Lo stesso è capitato a John Snow. Quando il detenuto ha chiesto una pillola per calmare i dolori provocati dalle giunture deteriorate, lo stesso Carter ha risposto con un secco "no" e un nuovo messaggio: "così soffrirai". Questi sono solo alcuni degli episodi riportati dai legali, che descrivono una situazione ai limiti della sopportazione: lo staff medico è stato assente per 18 mesi, e il dottore in carica prima di Carter era un ginecologo. All’inizio di quest’anno un’infermiera, Lorraine Memory, è stata licenziata per essersi lamentate per gli scarsi standard qualitativi delle cure offerte nell’infermeria della prigione. Secondo gli avvocati, la scarsa qualità del servizio sanitario offerto nella struttura è la causa dell’alto tasso di volontari tra i detenuti per le esecuzioni capitali. Negli ultimi 30 anni, infatti, 12 tra i giustiziati del carcere sono stati volontari, il tasso più alto di tutti gli istituti detentivi del paese. Recentemente l’Unione Americana per i Diritti Civili ha preso a cuore il caso di Ely State. Un medico della associazione, William Noel, ha avuto accesso alla cartella clinica di 35 detenuti, arrivando a una tetra conclusione: "È la situazione peggiore che ho visto in 35 anni di carriera - ha dichiarato il medico - chiunque si trovi in quel carcere con problemi di salute è in serio pericolo". Steven MacArthur, il ginecologo ex medico della prigione, ha dichiarato al Los Angeles Times che curare i pazienti a Ely State "non è una cosa facile, ma sono fiero del servizio offerto". Iran: ventenne è stato giustiziato perché omosessuale di Irene Panozzo
La Stampa, 7 dicembre 2007
L’impiccagione, ieri in Iran, di un ventenne condannato a morte perché gay è riaperto la discussione sui diritti (inesistenti) degli omosessuali nel paese. Ma anche nel resto della regione la situazione non è rosea. L’Iran non è l’unico paese mediorientale a usare la mano pesante nei confronti degli omosessuali. Anche gli altri paesi della regione non vanno di solito molto per il sottile quando si tratta di punire i gay. E non si tratta solo di una questione di religione, visto che, assieme a Israele, l’unica nazione in cui l’omosessualità non è un reato è la Giordania, governata dalla casa reale hashemita, diretta discendente del Profeta. Per il resto, si va da pene di un anno di reclusione previste in Libano e in Siria, ai dieci anni di prigione previsti in Palestina e Bahrein, fino ai circa cinque anni che possono essere dati in Egitto, dove l’omosessualità non è esplicitamente fuori legge, ma è considerata un tabù sociale ed è punita facendo ricorso a varie norme, in particolare a quelle solitamente usate per i reati legati alla prostituzione. La rassegna finisce con la pena di morte con cui possono essere puniti gli omosessuali di Iran, Arabia Saudita, Emirati Arabi Uniti e Yemen. In realtà però, con la lampante eccezione della repubblica islamica, difficilmente le pene vengono portate a termine, anche se ciò non significa certo che la condizione degli omosessuali in questi paesi sia migliore di quanto appaia considerando solo la legislazione in vigore. I fatti di ieri confermano un dato di fatto noto già da tempo. Cioè che a detenere il record negativo per quel che riguarda la persecuzione nei confronti degli omosessuali sia proprio il paese degli ayatollah, dove dalla rivoluzione islamica del 1979 a oggi pare che siano state eseguite le condanne a morte di migliaia di uomini gay (o presunti tali). Negli Emirati Arabi Uniti, invece, dove la pena di morte per omosessualità, seppur in vigore, non viene comminata, non si sa bene quale sia stato il destino dei ventisei uomini arrestati a due anni fa perché, secondo le autorità, avevano preso parte a un matrimonio gay in un hotel di Abu Dhabi. Secondo le dichiarazioni rilasciate allora dalla polizia e da funzionari del ministero degli interni, poi in parte smentite, l’intenzione era di fornire ai detenuti una cura ormonale e psicologia forzata per "guarire" la loro identità sessuale. Tutte le richieste di chiarimenti e i richiami alla lettera dei trattati internazionali e all’etica medica fatti da Amnesty International e da altri gruppi per la tutela dei diritti umani, oltre che da alcuni governi occidentali, non hanno sortito effetto. Per gli omosessuali, quindi, la vita nei paesi mediorientali non è certo facile. Un clima un po’ diverso, relativamente più tollerante, si respira in Libano. Dove nonostante l’articolo 534 del codice penale punisca "le relazioni sessuali contrarie alle leggi della natura" esiste una comunità gay piuttosto attiva. Non è quindi un caso se la prima e unica rivista gay del Medio Oriente sia nata proprio nel paese del cedri. Si chiama Barra, ovvero "fuori" in arabo. Un po’ come il coming out inglese, insomma. Un manipolo di coraggiosi giornalisti, membri dell’associazione Helem, l’acronimo arabo che sta per "Protezione libanese per lesbiche, gay, bisessuali e transessuali", ha deciso nel 2005 di dar vita a un trimestrale nuovo e senza precedenti. Che però, stando a quanto pubblicato sul sito www.helem.net/barra.zn, si è fermato al secondo numero, quello della primavera 2006. Secondo Helem e i suoi membri, Barra, con articoli in arabo, francese e inglese, avrebbe dovuto avere come obiettivo primario l’abrogazione dell’articolo 534 del codice penale libanese, un passaggio che potrebbe "aiutare a ridurre la persecuzione dello Stato e della società e aprire la strada al raggiungimento dell’uguaglianza per la comunità lesbica, gay, bisessuale e transessuale in Libano". Barra si presentava così come uno strumento di lotta, per fare advocacy, anche attraverso delle provocazioni, più o meno pesanti. Come il titolo inglese del suo secondo e ultimo numero: "Con chi dormiamo non è affar vostro".
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