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Giustizia: decreto espulsioni, il Governo pone la fiducia
Ansa, 6 dicembre 2007
Il ministro per i Rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, ha annunciato all’assemblea del Senato che il governo pone la questione di fiducia sul decreto per la sicurezza. Il governo avrebbe voluto sul tema della sicurezza "un confronto aperto e costruttivo e anche una convergenza fra maggioranza e opposizione". Lo ha detto il ministro per i rapporti con il Parlamento, Vannino Chiti, al momento di annunciare la questione di fiducia sul provvedimento. Le parole di Chiti sono calate in un’aula sopraffatta dai rumori di disapprovazione dell’opposizione. "Non è stato possibile: si è visto ieri nei lavori d’aula - ha aggiunto Chiti - e prima ancora in Commissione. A questo punto il governo ritiene che debba essere conservata la coerenza complessiva del provvedimento concordato con la sua maggioranza". Con la decisione del governo di porre la fiducia sulla parte non ancora esaminata del decreto legge sulla sicurezza, saranno due le votazioni finali su cui dovranno esprimersi i senatori. Si voterà il maxi-emendamento che recepisce tutti quegli emendamenti concordati nella maggioranza e non ancora votati su cui è stata posta la fiducia e subito dopo si voterà sull’intero provvedimento, in modo da coprire anche quella parte che è stata votata. Lo ha deciso la conferenza dei capigruppo di Palazzo Madama, che ha anche stabilito gli orari delle votazioni: il voto di fiducia al governo ci sarà tra le 21.30 e le 22.00; subito dopo avrà luogo, a scrutinio elettronico, il voto sull’intero decreto. Giustizia: Marroni; insopportabili le "distinzioni" nel 41-bis
Comunicato stampa, 6 dicembre 2007
Mentre a Raffaele Cutolo, da anni al 41 bis, viene concesso di abbracciare la sua neonata concepita in provetta, ad altri detenuti sottoposti al carcere duro vengono negati i diritti più elementari, da quello alla salute a quello di essere genitore. Il Garante dei detenuti del Lazio Angiolo Marroni: "nel girone infernale del 41 bis l’amministrazione penitenziaria opera insopportabili distinzioni, creando detenuti di serie A e di serie B. Chiedo al ministro Mastella di pensare finalmente ad una rivisitazione del 41 bis". Mentre a Raffaele Cutolo - esponente della Camorra sottoposto da anni al 41bis - viene concesso di poter abbracciare la figlia nata il 30 ottobre e concepita con l’inseminazione artificiale, l’Amministrazione Penitenziaria nega il diritto alla salute ed alla paternità ad altri due detenuti del carcere romano di Rebibbia Nuovo Complesso sottoposti anche loro al 41bis. La denuncia arriva dal Garante Regionale dei diritti del detenuti Angiolo Marroni che già nelle scorse settimane aveva segnalato "l’insopportabile disparità di trattamento" al Capo del Dap Ettore Ferrara, al Vice capo del Dipartimento Sebastiano Di Somma e al Direttore Generale dell’Ufficio detenuti e trattamento del Dap Sebastiano Ardita. Il caso di paternità negata è quello di Roberto (nome di fantasia) un detenuto pugliese di 43 anni del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso - recluso dal 1991 e dal 2001 sottoposto al 41 bis per associazione delinquere non legata a fenomeni di grande criminalità organizzata - che ha espresso da mesi il desiderio di poter usufruire del procedimento di procreazione assistita. "Una scelta - ha detto Marroni - resa ancor più drammaticamente urgente dal fatto di aver perso, nei primi mesi del 2007, un figlio di 18 anni nel corso di una sparatoria". Ma per il Dap Roberto non potrà, per legge, vedere esaudito il suo diritto alla paternità: colpa della Legge 40 che prevede l’utilizzo della tecnica della inseminazione artificiale solo nei casi di sterilità o infertilità. Raffaele Cutolo oggi ha una figlia perché ha depositato il proprio seme nel 2001, prima dell’entrata in vigore della legge, Roberto no. Disco rosso, da parte dell’Amministrazione penitenziaria, anche alla richiesta di aiuto per l’esponente delle Brigate Rosse Diana Blefari Melazzi, che versa in gravissime condizioni di salute mentale, che a Rebibbia sta scontando, in 41bis, l’ergastolo per l’omicidio di Marco Biagi. "Alla Blefari Melazzi - ha detto Marroni - è stato rinnovato per la terza volta il 41 bis senza tenere in considerazione la sua malattia. Schizofrenica e già inabile psichicamente, figlia di una madre con la stessa malattia morta suicida, dal momento dell’arresto la donna ha conosciuto un progressivo deterioramento delle sue condizioni". Nel suo delirio la Blefari Melazzi ritiene che tutta la struttura carceraria agisca contro di lei. Il suo stato è progressivamente peggiorato un anno e mezzo dopo l’arresto. Per lunghi periodi la donna non mangia e si chiude al mondo, rifiuta i farmaci e trascorre intere giornate a letto, al buio e senza contatti neanche con i familiari e l’avvocato. I legali hanno chiesto una perizia psichiatrica ma il Tribunale non ha ancora sciolto la riserva sulla possibilità di eseguirla "Sul 41 bis le direzioni delle carceri non hanno potere - ha detto Marroni - dal momento che la misura è disciplinata direttamente dal Ministro di giustizia, dalla Direzione Distrettuale Antimafia e dalla polizia specializzata nella criminalità organizzata. Chi è sottoposto al 41 bis vive isolato, in condizioni disastrose di salute mentale, con poche possibilità di socializzare e di vivere in normalità. In tutto questo scopriamo che l’amministrazione penitenziaria opera insopportabili distinzioni creando detenuti di serie A e B. Per questo chiedo formalmente al ministro Clemente Mastella e al Parlamento di avviare una seria iniziativa legislativa per una rivisitazione dell’articolo 41 bis. Una norma che forse può andare bene in momenti di grave emergenza democratica ma che oggi non ha nulla a che fare con i principi democratici che reggono lo Stato". Giustizia: quando è la magistratura a violare le regole di Emile
www.radiocarcere.com, 6 dicembre 2007
La violazione delle regole è ormai una costante che caratterizza quello che ci ostiniamo a chiamare stato di diritto. L’inosservanza della regola, che talvolta si cela dietro l’aggiramento della stessa, sempre nello stato di diritto, avrebbe nel sistema giudiziario il principale nemico. L’impossibilità, dovuta a cause diverse, non ultima una normativa carente e farragginosa, di accertare la violazione della regola e successivamente di sanzionarla, ha determinato l’inosservanza delle regole anche da parte di coloro che le dovrebbero far osservare: i magistrati. Fenomeno questo che proprio nel settore penale ha ultimamente assunto connotati preoccupanti. La difficoltà dell’accertamento del reato, la difficoltà di giungere a sentenze di condanna e soprattutto alla esecuzione della pena, la difficoltà, in altre parole, di fare funzionare il processo penale, ha costretto i magistrati a non applicare la regola nel senso previsto dal legislatore, violandola. Custodia cautelare e intercettazioni sono gli istituti che da tempo e in misura rilevate sono interessati da questo fenomeno. Il carcere prima del processo. La legge lo vorrebbe disposto in casi eccezionali. Il carcere infatti in uno stato di diritto dovrebbe seguire al processo. Il carcere prima della condanna dovrebbe esserci solo laddove vi siano determinati pericoli. Nei casi così detti casi di criminalità economica o criminalità dei colletti bianchi il carcere prima del processo quasi mai ha una giustificazione normativa. Gli arresti domiciliari infatti sarebbero di per sé quasi sempre più che idonei a scongiurare qualunque pericolo. La non esecuzione della pena o la blanda esecuzione lustri dopo la commissione del reato, Previti docet, determina fisiologicamente una anticipazione di questa attraverso il carcere prima del processo. Reazione fisiologica, reazione che però si pone in contrasto con la regola processuale. L’intercettazione: strumento captativo di comunicazioni, è uno strumento lesivo di un diritto costituzionalmente garantito. La legge lo ammette solo ai fini di un accertamento di un reato particolarmente grave e se l’intercettazione è assolutamente indispensabile ai fini dell’accertamento delle indagini. Il dato numerico eloquente: le intercettazioni disposte dall’autorità giudiziaria romana e milanese sono maggiori di quelle disposte negli Usa. Una droga a cui gli investigatori non rinunciano. Uno strumento che aiuta indagini chiuse in vicoli ciechi e che talvolta costituisce uno spunto per nuove indagini. Uno strumento spesso disposto in assenza dei presupposti. La regola violata, la regola aggirata, la contestazione di un reato grave, per esempio associazione a delinquere, al solo fine di disporre l’ascolto della comunicazione. L’assoluta indispensabilità spesso inesistente. La motivazione di stile. La proroga automatica dell’intercettazione senza una effettiva verifica. Derborah Bergamini, dirigente rai, intercettata nell’ambito dell’indagine relativa al fallimento dell’Hdc. L’assoluta indispensabilità difficile da rinvenire, la rilevanza non presente. La polizia giudiziaria ha trascritto comunicazioni che con l’indagine nulla avevano a che fare e che nessuna ipotesi di reato integravano. La regola violata. L’arrapamento dell’ufficiale che ascolta le conversazioni nell’udire determinati nomi. Trascrizione poi riversata nel fascicolo processuale, che una volta depositato, seguendo un’usanza barbara di quella che noi ci ostiniamo a chiamare democrazia, è stato consegnato alle redazioni giornalistiche. L’effetto l’intercettazione illegittima stampata da tutte le rotative, letta dai migliori anchorman. La vita privata illegittimamente violentata. Condotte che peraltro realizzano una specifica ipotesi di reato, sanzionata però con un pena irrisoria, costituita da pochi euro. L’intercettazione che prescinde dalla rilevanza, dall’utilità investigativa, fa da pendant all’indagine che prescinde dalla commissione di un reato. Altra la violazione della regola. L’indagine sulla persona. La ricerca spasmodica del reato. Catanzaro e Milano sono testimoni di questo nuovo fenomeno. Nella cittadina calabrese sono state disposte perquisizioni e sequestri in assenza di una notizia criminis. Il giudice milanese in un provvedimento ormai celebre ha apostrofato il Ministro degli esteri. La lettura dell’ordinanza non aiuta a capire però quale sia il reato addebitabile all’uomo politico. La violazione della regola. La violazione, che seppure talvolta avviene per fini nobili, effettuata da chi la regola deve fare rispettare. Una violazione questa che sostituisce lo stato di diritto con lo stato di polizia, i cui mali sono a tutti ben noti. Polizia penitenziaria negli Uepe, il progetto va avanti...
Redattore Sociale, 6 dicembre 2007
Nuova convocazione ministeriale per il Sindacato autonomo di polizia penitenziaria presso il Dap fissata per lunedì 17 dicembre. Per il Sappe, "l’incontro smentisce le voci sull’annullamento della proposta". Il progetto che prevede l’utilizzo della Polizia penitenziaria all’interno degli Uffici di esecuzione penale esterna (Uepe) e che ha suscitato reazioni contrastanti tra i vari operatori del settore va avanti. Il prossimo incontro sull’argomento è stato infatti programmato dal Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria per lunedì 17 dicembre alle 11 presso la sede centrale del Dap, come si evidenzia dall’atto di convocazione inviato oggi al Sappe, "che smentisce quanto tentavano di far credere certe organizzazioni di assistenti sociali, e cioè che il progetto era stato annullato". La Segreteria Generale del Sappe, organizzazione più rappresentativa del Corpo con 12 mila iscritti, ribadisce con fermezza la propria posizione: "Una nuova politica della pena, necessaria e indifferibile - si legge in una nota - deve prevedere un "ripensamento" organico del carcere e dell’istituzione penitenziaria, e un maggiore ricorso alle misure alternative alla detenzione e l’adozione di procedure di controllo mediante strumenti elettronici o altri dispositivi tecnici (come il braccialetto elettronico) che hanno finora fornito in molti Paesi europei una prova indubbiamente positiva". "E - prosegue la nota del Sappe - se la pena evolve verso soluzioni diverse da quella detentiva, anche la polizia penitenziaria dovrà spostare le sue competenze al di là delle mura del carcere, parallelamente all’affermarsi del suo ruolo quale quello di vera e propria polizia dell’esecuzione penale. Il controllo sulle pene eseguite all’esterno e sull’adozione del braccialetto elettronico, oltre che qualificare il ruolo della polizia penitenziaria, potrà avere quale conseguenza il recupero di efficacia dei controlli sulle misure alternative alla detenzione. Efficienza delle misure esterne e garanzia della funzione di recupero fuori dal carcere potranno far sì che cresca la considerazione della pubblica opinione su queste misure, che nella considerazione pubblica, non vengono attualmente riconosciute come vere e proprie pene". Minori: nei Cpa 15% sono italiani, 30% nomadi, 50% romeni
Ansa, 6 dicembre 2007
Il 50% dei minori detenuti e sistemati nei vari centri di accoglienza di tutta Italia è romeno; il 30% è nomade e solo il 15% è italiano. Il dato è stato diffuso questa mattina da Donatella Caponnetti del Dipartimento giustizia minorile, durante la celebrazione dei dieci anni della Consulta permanente cittadina del Comune di Roma per i problemi penitenziari istituita con la delibera numero 157 del 1997. Nel corso della celebrazione sono stati ricordati anche i numeri dei figli delle madri detenute, una cinquantina in tutta Italia e 19 nel carcere femminile di Rebibbia. Infine è stato ricordato il numero dei detenuti extracomunitari che hanno raggiunto quota 37%. La Caponnetti ha spiegato che sono molti i minori invisibili che "non esistono nella misura in cui commettono un reato, perché sono clandestini e senza un’identità. Sono giovani che commettono reati di non particolare allarme sociale e molto spesso la media della pena da loro scontata in carcere o attraverso misure esterne è al massimo di 3-4 mesi. Lettere: detenuti da varie carceri scrivono a Riccardo Arena
www.radiocarcere.com, 6 dicembre 2007
Leone, dal carcere Buoncammino di Cagliari Carissimo Riccardo, ti scrivo dall’inferno del carcere Buoncammino di Cagliari, dove i detenuti ogni giorno si disperano, si tagliano le braccia e ogni tanto muoiono. Io sto in Alta Sicurezza, anche se non dovrei più starci. Per questa ragione, ho avuto udienza con il Magistrato di Sorveglianza, che mi è sembrato attento alla mia richiesta. Ora non mi resta altro che aspettare. Per quanto riguarda la vita qui nel carcere Buoncammino di Cagliari, ti dico che manca di tutto e soprattutto il lavoro per noi detenuti. In compenso sembra di stare in un lebbrosario. Tra malati gravi e tossicodipendenti il panorama dentro le celle è desolante. Un inferno. Un inferno vecchio sporco. Dove i condannati vivono altre vite. Te l’ho detto. Qui è difficile trovare qualcuno sano e lucido. C’è chi dorme imbottito di psicofarmaci, c’è chi non li prende e si dispera tutto il giorno. C’è chi cerca la droga. E poi c’è chi si ammazza. Non è facile mantenere la lucidità qui dentro. Credimi. Ho chiesto di poter comprare il Riformista, ma mi hanno detto che qui a Cagliari non arriva nelle edicole, è vero? Aspettando la tua voce, ti saluto con tanta stima.
Fortunato, dal carcere di Vercelli Cara Radio Carcere, ho 50 anni e mi trovo detenuto qui nel carcere di Vercelli. Qui le celle sono fatte per una sola persona ma ci stiamo in due. E ti dirò non è neanche questo un grande problema. Il problema è che le celle, come del resto tutto il carcere di Vercelli, non viene ristrutturato da 7, 8 anni. Né è stata fatta manutenzione. Morale molte celle hanno i muri scrostati, ammuffiti e inzuppati d’acqua. Spesso l’acqua scende dal soffitto delle celle e crea delle vere e proprie pozzanghere sul pavimento. Ti lascio immaginare col freddo che fa come siamo costretti a vivere. Non ha caso molti di noi detenuti chiedono del medico per dolori reumatici o alle articolazioni. Come se non bastasse da un po’ di tempo alle finestre delle nostre celle hanno messo una fitta rete metallica, che impedisce l’ingresso di luce e aria. Poi, l’acqua dei rubinetti delle celle dovrebbe essere potabile e molti detenuti la bevono solo perché non si possono comprare quella minerale. Ma la verità è che spesso quell’acqua esce nera dai rubinetti. Anche lavarsi è un problema, visto che c’è solo una doccia che deve servire a 60 detenuti. L’unica cosa positiva qui nel carcere di Vercelli sono gli agenti di custodia che sono gentili. Ma per il resto stiamo in queste cellette senza nessuna possibilità di lavorare, se non per fare le pulizie nel corridoio, privilegio che tocca a un detenuto una volta ogni 2 anni! E pensare che detenuti come noi costano allo Stato la bella cifra di 240 euro al giorno! Ora domando: chi mai riuscirà a smantellare questa macchina impazzita e inefficiente che è la giustizia e il carcere? Come mai ad ogni legislatura fanno commissioni di riforma del codice e del processo penale e una volta finite non vengono mai approvate? Caro Arena, grazi per avermi dato voce e ti comunico che anche se ho fatto la domandina non mi fanno avere una copia del riformista in carcere". Cagliari: il "Buoncammino", un inferno tra droghe e pazzia
www.radiocarcere.com, 6 dicembre 2007
22 ottobre 2007. Licurgo, 55 anni, muore in carcere. 9 novembre 2007. Massimo, 19 anni, muore in carcere. 20 novembre. Benedetto, 38 anni, muore in carcere. Tre persone detenute morte. Tre persone che in comune avevano una cosa. Erano tutte e tre detenute nel carcere Buoncammino di Cagliari. Tre persone detenute al Buoncammino, morte in un mese. Non è normale. Il carcere di Cagliari è una vecchissima e tetra struttura del fine ‘800. È sovraffollata. Le persone detenute vivono per 23 ore chiuse in celle sporche e degradate. Ma c’è di più. Il carcere di Cagliari contiene 355 perone detenute. 355. Un numero. Ma se si guarda alle patologie di cui soffrono queste persone, forse quel numero assume un significato e la morte di quelle tre persone detenute un indizio che sconcerta. 355 persone detenute. Tra loro 146 sono tossicodipendenti. 50 soffrono di gravissime patologie psichiatriche. 40 hanno l’epatite. 10 sono malati di Aids. Metadone e psicofarmaci sono i medicinali più richiesti. Persone che non dovrebbero stare in carcere, ma in luoghi idonei alla custodia e alla cura. È il carcere della pazzia e della droga. Visto così quello di Cagliari sembra un carcere ben lontano dalle sue finalità. Visto cosi sembrano pochi anche tre morti in un mese. Firenze: 24enne morì a Sollicciano, da sei mesi nell’obitorio
Il Firenze, 6 dicembre 2007
Il giovane, immigrato clandestino, è deceduto in carcere per cause che restano da accertare. Cinque mesi per identificarlo, e ora la famiglia non ha i soldi necessari per il rimpatrio del corpo Così si sono mobilitati gli islamici di piazza dei Ciompi. La sua salma è congelata da mesi nell’obitorio di Careggi, in attesa di tornare a casa a El Kelaad es Sraghna, in Marocco. Mounir Chalir aveva 24 anni, è morto a giugno nel carcere di Sollicciano dove era detenuto, per cause ancora tutte da accertare. Era un immigrato clandestino, qua a Firenze: sono passati cinque mesi prima che si riuscisse ad identificarlo e ad arrivare alla famiglia, per informarla della morte. Ora la mamma chiede aiuto per riportare il corpo nella sua terra e dargli degna sepoltura. Ci vogliono circa 4mila euro per l’ultimo viaggio di Mounir dall’Italia al Marocco, ma la sua famiglia è povera, riesce a malapena a vivere alla giornata, questi soldi non li ha. Gli amici che il giovane aveva in città hanno deciso di mobilitare la Comunità islamica di Firenze e della Toscana, in piazza dei Ciompi, non solo luogo di preghiera per i musulmani, ma anche importante punto di riferimento peri tanti stranieri che la frequentano. Sono stati raccolti per ora 1.150 euro grazie alle offerte dei fedeli, persone che spesso non stanno bene economicamente ma che hanno voluto comunque contribuire ad aiutare i loro fratelli in difficoltà Mounir era arrivato a Firenze nel 2000, a soli diciassette anni, con il sogno comune di tanti clandestini di trovare nel nostro paese un lavoro, una casa, i soldi per vivere e aiutare a vivere nel loro paese d’origine i propri cari. Il mito dell’Occidente che da subito è svanito. La sua vita è cominciata nell’illegalità, quella di chi non ha un permesso di soggiorno, poi ha continuato da venditore abusivo al mercato di San Lorenzo e da spacciatore. "Più volte ha provato ad andare via, è stato anche in Olanda, ma poi è ritornato sempre in Italia, forse non aveva trovato qualcosa di meglio", racconta M.R., uno dei suoi amici a Firenze che lo conosceva da quando era bambino, e anche la persona che la mamma di Mounir ha contattato per identificare il corpo del ragazzo: "Sono andato a Careggi nell’obitorio, mi hanno fatto vedere il corpo che era in frigo, aveva uno strano colore, il viso era intatto e sul petto c’erano i segni dell’autopsia. Era lui, come l’ho visto l’ultima volta due anni fa". La mamma gli aveva chiesto una sua fotografia, forse per essere sicura, non vedeva suo figlio da sette anni: "Non l’ho potuta scattare, non era permesso". Come è morto? "Di morte naturale, mi hanno detto all’ospedale", risponde l’amico, poi ipotizza "forse perché soffriva d’asma". Altri parlano di suicidio. L’identificazione è stata lunga, Mounir aveva dato il suo vero nome ma detto di essere iracheno. Soltanto le impronte digitali hanno confermato la sua identità. Ora il suo corpo è a Careggi, il Consolato marocchino non paga i trasferimenti delle salme in patria, come invece fa ad esempio quello tunisino. In questi casi spetta dunque alle famiglie occuparsene: "Non è la prima volta che facciamo delle collette per aiutare a riportare le salme di musulmani che muoiono qui a Firenze - dice il presidente della Comunità islamica toscana Labib Abdalla. La moschea ha però tante difficoltà economiche, spero che si possa aprire un canale, con le istituzioni e associazioni in città per aiutarci in questo caso e nel futuro se dovessero ripetersi situazioni del genere". Taranto: innocenti in cella, anche se vero colpevole confessa
Il Giornale, 6 dicembre 2007
Sono in carcere dal 21 maggio 1997 per un delitto che non hanno commesso. Francesco Orlandi e Vincenzo Faiuolo scontano una condanna per l’omicidio di Pasqua Rosa Ludovico, accoltellata a morte nella sua casa di Castellaneta (Taranto) il 17 maggio 1997. Ma un’altra persona, un tunisino, si è autoaccusato di quell’orrendo crimine, ha fornito le prove della sua colpevolezza, alla fine di una lunga indagine la Procura di Taranto ha chiesto il suo rinvio a giudizio: il 14 febbraio Ben Mohamed Ezzedine Sebai affronterà l’udienza preliminare, poi potrebbe essere processato per lo stesso fatto per cui Orlandi e Faiuolo hanno sulla spalle una pena definitiva a 16 anni. Gli avvocati dei due gridano all’errore giudiziario, ma almeno finora la richiesta di revisione è stata respinta con una motivazione che suona come una beffa: "L’istanza di revisione fondata sull’asserita responsabilità di un terzo - scrive la Corte d’appello di Potenza - è inammissibile fino a quando la responsabilità di quest’ultimo non sia stata accertata giudizialmente in modo definitivo, a prescindere, quindi, da ogni eventuale accertamento nelle more acquisito". Chiaro? I giudici di Potenza non entrano nel merito: può pure essere che due persone siano in galera senza ragione dal 1997, ma non se ne parlerà fino a quando un verdetto irrevocabile non avrà accertato la colpevolezza di Sebai. Sebai non è un personaggio qualsiasi. Arrestato nel ‘97 per la morte di una vecchietta, sempre in provincia di Taranto, viene infine condannato all’ergastolo per l’uccisione di quattro donne anziane, rapinate e massacrate nelle loro abitazioni in Puglia. Nel 2005 la svolta. Il tunisino si autoaccusa di altri tre delitti. In particolare quello di Pasqua Ludovico per cui sono in cella Faiuolo e Orlandi. I due, catalogati dai giornalisti come balordi, hanno firmato a suo tempo una confessione scritta. Perché l’hanno fatto? Ignoranza, paura, pressing delle forze dell’ordine? In aula ritrattano, ma ormai la macchina della giustizia è lanciata verso la condanna che arriva inesorabile. Quegli anni di carcere stridono però con le parole di Sebai: "Per quattro omicidi sono già stato condannato all’ergastolo mentre sono responsabile di altri undici omicidi. Per alcuni di questi omicidi so che sono state condannate persone innocenti". Il racconto di quel che accadde a Castellaneta è dettagliato: "Pasqua Ludovico abitava in un vicolo. La uccisi con più di una coltellata alla gola... e portai via anche una pistola calibro 6,38 e un pacchetto di munizioni. La pistola la portai a casa mia a Cerignola e la nascosi sotto terra". I parenti della vittima confermano: Rosa aveva una pistola e delle munizioni, ereditate dal marito. La perquisizione nell’abitazione di Cerignola dà spessore al racconto dell’arabo: da un sacchetto saltano fuori una vecchia pistola arrugginita e alcune munizioni. Il tunisino viene accompagnato a Castellaneta e ricostruisce la "location" del delitto. La Procura procede, chiedendo infine il rinvio a giudizio. Faiuolo e Orlandi restano però in cella. L’avvocato Claudio Defilippi insiste: "Sono innocenti, scarcerateli e dateci la revisione". Potenza risponde di no. Sebai è credibile, ma questo non basta. E Faiuolo può meditare sulle parole di Sebai: "Con Faiuolo sono stato detenuto a Porto Azzurro e ricordo che si lamentava sempre della sua innocenza e io mai nulla gli dissi in ordine alla mia responsabilità". Padova: il teatro-carcere... e il progetto multimediale
Il Padova, 6 dicembre 2007
Un evento scenico realizzato con le persone detenute nel carcere Due Palazzi di Padova. Lo spettacolo finale che ha chiuso un percorso laboratoriale pensato e voluto dalla compagnia Tam Teatromusica, da tanti anni impegnata in questo progetto di teatro-carcere, da Immagin Africa e dalla rivista Ristretti Orizzonti. Ieri mattina, in occasione della giornata mondiale del volontariato e di fronte a un pubblico numeroso (presente anche l’assessore Balbinot), in scena c’erano Azaizi Abdesattar, Bosof Djamel, El Barrak Adnene, Gdoura Maher, Kalaf Abdennahmen, Karim Ben Moustafa, Kessaci Farid, Rachid Kalid, Sabri Mohamed, Walid El Elmana Whly e Marco Giordano. Ad accompagnarli i video di Raffaella Rivi e il supporto artistico e tecnico di un nutrito gruppo di operatori culturali, tra cui Cinzia Zanellato e Andrea Pennacchi, impegnati nell’allestimento scenico. Passaggi il viaggio di ritorno racconta frammenti di vita, ricordi di casa, luoghi lontani. E lo fa con parole recitate, ma vere. C’è chi questa casa la cerca con gli occhi e la invoca, chi non sa più se entrare dalla porta o dalla finestra. Chi, sognandola, si lascia trasportare da una danza leggera, o vede il bosco volare sopra la sua testa. Per raggiungerla è necessario iniziare a camminare: chi va a piedi, si dice, non potrà essere fermato. Da questa felice esperienza di teatro (non la prima, non l’ultima), realizzata ormai da diversi anni all’interno del carcere padovano, nascerà anche un progetto multimediale, un dvd per documentare il lavoro fatto. Continuando a guardare oltre. Roma: Danilo Coppola fugge dall’ospedale e parla in tv
Ansa, 6 dicembre 2007
Danilo Coppola fugge dall’ospedale e parla in tv. Ha lasciato l’ospedale di Frascati, dove era ricoverato dal 3 dicembre in stato di custodia cautelare. Per alcune ore non ha fatto avere notizie di sé, mettendo in ansia i familiari. Poi, dopo aver rilasciato un’intervista a SkyTg24 ("Sono vittima di una persecuzione") si è riconsegnato alla polizia. La notizia della fuga era trapelata in tarda mattinata dopo che il difensore Gianluca Tognozzi aveva comunicato all’imprenditore che il Tribunale di Roma dove è imputato di bancarotta fraudolenta non gli aveva concesso la libertà, come aveva chiesto, e che secondo una perizia le sue condizioni di salute sono compatibili con lo stato di detenuto. "Ero in ospedale - ha poi raccontato l’immobiliarista a Sky - mi avevano attaccato le macchine, io ho staccato tutto. Volevo rilasciare una intervista prima che mi riprendano: io mi sento vittima di una persecuzione". Coppola ha precisato che avrebbe dovuto essere operato al cuore e poi ha aggiunto: "Non sono perseguitato per reati commessi, ma solo per reati fiscali per i quali ho sempre detto di essere disposto a pagare, per i quali ho già pagato venti milioni di euro. E questo - ha proseguito - ha peggiorato le cose perché il gip ha pensato che per il fatto che avevo pagato continuavo a gestire qualcosa". Circa un’ora dopo l’intervento in tv, Coppola si è costituito al posto di polizia a due passi dall’hotel Clodio dove aveva dato appuntamento alla troupe di Sky. Immigrazione: la Regione Veneto boccia la "linea leghista"
Il Sole 24 Ore, 6 dicembre 2007
La polemica ora divampa sull’auspicio di un consigliere leghista al Comune di Treviso, per altro già pentito, perché si adottino i "metodi delle SS" contro gli immigrati violenti, ma il governatore veneto Giancarlo Galan ha deciso di non lasciare spazio ad alcuna possibile speculazione. La Regione - ha anticipato - presenterà un esposto denuncia contro le affermazioni "deliranti e ripugnanti" di quel consigliere. L’annuncio arriva giusto il giorno dopo il varo delle indicazioni di possibili regole condivise che la Giunta regionale ha deciso di inoltrare ai Comuni in materia di residenza degli immigrati. Regole soft, che non danno margine ai duri della Lega ed alle loro provocazioni, più vicine in sostanza alla posizione del sindaco di Verona Tosi che di quello di Cittadella Bitonci. La "pancia" della Lega, in pratica, non sembra trovare sponda in Regione anche perché c’è un Veneto dei sindaci che forse è più silenzioso rispetto a quello che appare quotidianamente sui media, ma che non per questo è meno attento ai problemi della sicurezza e nella pratica quotidiana applica esattamente le stesse regole delle ordinanze più chiacchierate. Sindaci di centrodestra ma anche di centrosinistra: il colore politico - chiariscono - non cambia certo la "missione". Floriana Casellato, una lunga militanza a sinistra e da tre anni sindaco di Maserada, nel trevigiano, ha ottenuto che i rappresentanti dell’opposizione nel suo consiglio comunale ritirassero la loro mozione di adesione all’ordinanza - pilota del sindaco di Cittadella. "Semplicemente perché quelle cose noi le stiamo facendo da anni applicando le leggi dello Stato - spiega - la commissione di verifica delle richieste di nuova residenza c’è già di fatto nel lavoro in stretta collaborazione che svolgono l’ufficio anagrafe e la polizia urbana, ma poi ci sono la Questura e la Prefettura." "Il problema della sicurezza c’è, e non si può certo negarlo aggiunge - con chi sbaglia servono severità e certezza della pena, ma si è creato, a mio avviso artificiosamente, uno stato di allarmismo eccessivo che non trova riscontro sui dati effettivi dei reati compiuti. Certe reazioni, poi, trovano come unica spiegazione la mancanza di una adeguata cultura politica, quella stessa cultura politica che ci porta invece a coltivare l’integrazione a cominciare dalle scuole". Poco lontano, a Conegliano, città che ha una lunga tradizione nell’accoglienza degli immigrati, il sindaco Alberto Maniero ha fatto la sua delibera di giunta anti-sbandati ma gli adempimenti previsti sono esattamente quelli che si applicano a Maserada. "Abbiamo fatto ordinanze contro l’accattonaggio, i parcheggiatori abusivi, i nomadi - ricorda Maniero - ma non abbiamo mai generalizzato. Il 12% dei nostri cittadini è di origine extra-comunitaria, il 30% delle nascite è di figli di immigrati ed in certe scuole la loro percentuale raggiunge il 50%. È questo il nostro ipotetico razzismo? Certo c’è il rischio che ora questo eccesso di esposizione si trasformi in una sorta di boomerang per la nostra regione, ma bisogna fare chiarezza fra quanto si grida e quanto invece realmente si costruisce nel quotidiano". "Diciamo la verità - dice ancora Maniero - l’allarme è più sentito nelle nostre zone solamente perché il problema è relativamente nuovo. Ma la strada da seguire è sicuramente quella dell’integrazione e della collaborazione anche a livello informativo con magistratura e forze dell’ordine". Droghe: polemiche per film-documentario sulla cocaina
La Repubblica, 6 dicembre 2007
Il 9 dicembre il programma sull’invasione della polvere bianca in Italia. Gli autori: "Raccontiamo i conflitti, i temi su cui la gente s’interroga". E Gasparri chiede la sospensione dello spot. Quando i politici invocano la censura televisiva preventiva, c’è da tenere dritte le antenne: vuol dire che quel programma coglie nel segno. La conferma viene da Maurizio Gasparri (An). Rai Tre annuncia che domenica sera trasmetterà "Cocaina", film in presa diretta di Roberto Burchielli e Mauro Parissone, e l’ex ministro chiede prontamente la sospensione dello spot ("vera e propria pubblicità per la cocaina") e il blocco del programma. "Ma il problema cocaina esiste, è giusto che il servizio pubblico ne parli", rispondono Francesco Ferrante e Franco Ceccuzzi del Pd, il verde Marco Lion. E Paolo Ruffini, direttore di RaiTre, nel confermare che il documentario si vedrà, spiega: "Cocaina racconta in presa diretta un mondo che non vediamo anche se è sotto i nostri occhi. Un po’ come avevamo già fatto con Residence Bastoggi. È un distillato di realtà confezionato come un film". Cocaina viene definito docu-choc. Vedendo in anteprima il film si ha in effetti la percezione di un nuovo modo di lavorare. "Vogliamo raccontare i macrofenomeni sociali, i conflitti, i temi su cui la gente si interroga", spiega Burchielli, che firma anche la regia: "Lo facciamo scrivendo le storie al contrario, demolendo i luoghi comuni". Così con "L’Italia si guarda allo specchio" (titolo provvisorio) il 9 dicembre si prenderà di petto il fenomeno dell’invasione della polvere bianca. Da una nottata con un poliziotto della Mobile che documenta lo spaccio a Milano si passa alle testimonianze di ex spacciatori e di consumatori insospettabili: una dose di coca costa poco, oggi i muratori sniffano anche per fare un turno in più. Molti parlano a volto scoperto, grazie al paziente lavoro degli autori di H24 Film: quasi degli "infiltrati", passano mesi con i protagonisti delle storie. Gli altri film in onda su Rai Tre (da febbraio) toccheranno i temi della paura, dell’insicurezza, del senso di giustizia. Partendo da storie quotidiane. "Un tema centrale, due-tre protagonisti, la telecamera digitale che li segue a ogni passo, per mesi. Il racconto puro è semplice delle loro vite", dice Burchielli. La scelta degli argomenti? "Ci interessa vivere i fatti mentre accadono, trattare storie forti, centrali, popolari", spiega Parissone, l’altro autore: "Storie che siano accessibili a tutti e non solo a quelli che si possono permettere l’abbonamento a Sky. Dare la possibilità di conoscere, di capire in che paese viviamo non può essere un privilegio a pagamento, ma un diritto civile". Non a caso, la premiata ditta Burchielli-Parissone nel 2007 ha ricevuto riconoscimenti per Stato di paura su via Anelli a Padova (premio critica Ilaria Alpi) e Napoli, vita morte e miracoli (premio Flaiano per la Tv). Droghe: Ferrero; Rai trasmetta documentario sulla cocaina
Notiziario Aduc, 6 dicembre 2007
"La richiesta di non mandare in onda il documentario di Burchielli e Parissone sulla diffusione della cocaina è completamente sbagliata". È quanto ha dichiarato il Ministro della Solidarietà Paolo Ferrero. "Una delle tante espressioni di ipocrisia della destra che mentre agita in modo propagandistico il suo essere contrario alle droghe non vuole che se ne discuta in modo aperto. In una situazione in cui i consumi di cocaina sono in aumento e in cui molti di coloro che la assumono lo fanno senza nemmeno avere la consapevolezza del grado di nocività della sostanza in questione, è solo bene che si cominci a parlarne in tutto il paese e seriamente. La destra ha sempre affrontato il tema dell’uso delle droghe come un tema di ordine pubblico ed ha completamente fallito; la diffusione del consumo ci impone di discuterne come di una grande questione sociale che può essere affrontata, positivamente, solo se nella società aumenta la consapevolezza dei rischi e dei motivi del consumo. Ben venga quindi questo documentario perché aumentare il grado di consapevolezza sulla situazione è il primo passo per poter contrastare la diffusione di una droga così pericolosa come la cocaina". "Ho colpito nel segno. Non solo resto convinto che la Rai sbagli a mandare in onda il documentario shock sulla cocaina, ma adesso dopo la presa di posizione del ministro della Solidarietà sociale sono certo che sia meglio affrontare in altro modo un tema tanto delicato come il dilagante consumo di sostanze stupefacenti. Una cosa è fare informazione. Un’altra è la propaganda. E lo spot in onda sulla Rai altro non è che pura pubblicità senza alcun cenno ai danni devastanti che comporta l’uso di cocaina. Se questi sono i prodromi, immagino il resto. La Rai sbaglia, ma Ferrero ancora di più perché vuol far passare per informazione la propaganda più becera". È quanto replica Maurizio Gasparri dell’Ufficio politico di An. GB: paternità negata a detenuto, la Cedu multa il governo
Quotidiano Nazionale, 6 dicembre 2007
Il governo britannico dovrà pagare 26 mila euro per danni e risarcimento spese legali per non aver permesso a Kirk Dickson, 35 anni, detenuto per omicidio nel carcere di Dovergate, e a sua moglie, cittadina libera, di coronare il loro sogno d’amore con l’arrivo di un pargolo. Anche un omicida condannato a 15 anni di carcere ha diritto alla paternità, negargliela vuol dire violare i suoi diritti fondamentali. È quanto deciso dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo che ha condannato il ministero degli Interni britannico a pagare 26 mila euro per danni e risarcimento spese legali per non aver permesso a Kirk Dickson, 35 anni, detenuto per omicidio nel carcere di Dovergate, a Uttoxeter, e a sua moglie Lorraine, 49 anni e cittadina libera, di coronare il loro sogno d’amore con l’arrivo di un pargolo. Il concepimento in provetta sarebbe, infatti, l’unica opportunità per i coniugi di dare alla luce un bambino, dal momento che Dickinson non potrà lasciare la prigione di Dovergate, in Uttoxeter, prima del 2009, quando ormai per sua moglie potrebbe essere biologicamente impossibile avere figli. I protagonisti della vicenda si sono conosciuti grazie ad un programma di "amici di penna" nel 1999, 4 anni dopo che l’omicida era stato condannato all’ergastolo con una pena minima da scontare di 15 anni. Le frecce di Cupido sembrano aver superato le alte mura della prigione inglese, infatti i due si sono innamorati e poi sposati dietro le sbarre.
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