Rassegna stampa 4 aprile

 

Giustizia: la Camera approva la legge sul Garante dei detenuti

 

Redattore Sociale, 4 aprile 2007

 

La Camera da il via con 267 voti favorevoli alla legge che istituisce la Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani. Ora il provvedimento passa all’esame del Senato.

Un passo avanti importante nell’iter della legge che istituisce la figura dell’Ombudsman dei detenuti in Italia; è di oggi il via libera alla Camera alla legge che istituisce la "Commissione nazionale per la promozione e la tutela dei diritti umani e del garante dei diritti delle persone detenute e private della libertà personale".

Il provvedimento, testo che riunifica più proposte di legge (626-1090-1441-2018) e che passa ora all’esame del Senato, è stata approvato con 267 voti favorevoli (35 i contrari e 145 gli astenuti). La Commissione promuoverà la cultura dei diritti umani e la diffusione della conoscenza delle norme che regolano la materia, ma è chiamata anche a svolgere un monitoraggio della realtà italiana, quanto cioè siano rispettati tali diritti.

In questi mesi si è molto discusso delle competenze che dovrà assumere questa nuova authority; stamane gran parte del dibattito ha riguardato l’opportunità di estendere l’autorità della Commissione ai trattenuti nei centri di permanenza temporanea. Contrarie le forze di centro destra che hanno chiesto di delimitare le competenze in questo ambito lasciando la regolamentazione sull’immigrazione, l’attuale legge Bossi-Fini o una sua eventuale modifica.

"Oggi è una giornata importante. Ringraziamo le forze politiche che alla Camera hanno approvato una legge che aspettavamo da oltre un decennio. - ha commentato l’associazione Antigone in una nota - La prima proposta di legge diretta a istituire la figura del garante dei detenuti, lo ricordiamo in quest’occasione, risale al 1998 su nostra iniziativa.

La previsione di un organismo di protezione e promozione dei diritti umani, in particolare dei diritti delle persone private della libertà, è un atto di civiltà giuridica che ci avvicina agli altri paesi europei. Inoltre è un atto dovuto in base alle convenzioni internazionali di cui l’Italia è firmataria.

Ci auspichiamo che il Senato approvi in tempi brevi la proposta di legge in modo da cambiare il volto della legislazione italiana e porre il nostro paese all’avanguardia nella tutela dei diritti umani. Nelle carceri, nelle caserme, nei centri di permanenza temporanea lo stato di diritto deve assicurare adeguata garanzia dei diritti fondamentali. Tale legge pone rimedio a una grossa lacuna normativa e pratica."

Giustizia: Mascia (Rc); Garante passo importante per diritti civili

 

Apcom, 4 aprile 2007

 

Con l’approvazione della Pdl che istituisce la Commissione di tutela dei diritti umani e il Garante dei detenuti "l’Italia ha compiuto un passo importante sul percorso dei diritti civili, con il contributo di tutta la maggioranza e parte dell’opposizione ad esclusione della Lega - ha detto Mascia - adeguandosi al resto d’Europa anche in vista del prossimo Consiglio dei diritti umani delle Nazioni unite dove l’Italia potrà, finalmente, candidare un proprio rappresentante". Lo dichiara Graziella Mascia, Rifondazione, relatrice del testo in Aula. Sulla Pdl Fi, An e Udc si sono astenute.

"Il Garante dei detenuti - aggiunge - non sarà una figura simbolica ma avrà pieni poteri di controllo e vigilanza e non entrerà in conflitto con le competenze proprie del Magistrato di sorveglianza. Potrà entrare nei Cpt, così come nelle camere di sicurezza senza preavviso e senza autorizzazioni preventive assicurando piena e assoluta imparzialità e attendibilità al lavoro che sarà chiamato a svolgere".

"La figura del Garante - continua - colmerà una lacuna del nostro ordinamento penitenziario istituendo finalmente un organismo indipendente dall’amministrazione della Giustizia avente poteri ispettivi e introducendo una nuova procedura di garanzia per il rispetto dei diritti dei detenuti. I compiti attribuiti a tale figura - continua la deputata di Rifondazione - sono pertinenti al controllo delle condizioni di detenzione, all’allentamento delle tensioni. Svolge quindi un ruolo preventivo, mediatorio e propositivo rispetto alle legittime richieste dei detenuti. A tale scopo - conclude Mascia - sono stati previsti poteri di intervento concreti, risorse economiche e uno staff sostanzioso".

Giustizia: il Garante dei detenuti deve avere poteri concreti

 

L’Unità, 4 aprile 2007

 

Un’Authority per difendere e far rispettare i diritti dei detenuti e inoltre la costituzione di una Commissione nazionale per i Diritti umani. Ma dopo il primo via libera parlamentare c’è chi non nasconde le sue posizioni critiche. La Camera ha approvato il progetto di legge, che i rappresentanti di Antigone hanno depositato in Parlamento a dicembre. "È stata approvata una legge che aspettavamo da un decennio - dice Patrizio Gonnella presidente di Antigone -, la prima proposta di legge diretta a istituire la figura del garante dei detenuti, lo ricordiamo in quest’occasione, risale al 1998 su nostra iniziativa. La previsione di un organismo di protezione e promozione dei diritti umani, in particolare dei diritti delle persone private della libertà, è un atto di civiltà giuridica che ci avvicina agli altri paesi europei. Inoltre è un atto dovuto in base alle convenzioni internazionali di cui l’Italia è firmataria".

La nuova figura, come spiega Gonnella dovrà essere dotata di poteri ispettivi, soldi e strutture. E quindi dovrebbe poter effettuare controlli sui Cpt, sulle caserme dei Carabinieri e della Finanza, sui commissariati. "Mentre le carceri sono abituate alle ispezioni o alla presenza del volontariato, quelli - sottolinea Gonnella - sono luoghi chiusi, più a rischio di maltrattamenti". Figure che, come rimarca il rappresentante dell’associazione avrebbero quindi più poteri rispetto all’attuale figura del garante dei detenuti, nominato dalle amministrazioni regionali, comunali o provinciali che per il momento svolge attività di denuncia. "La nuova figura che sarà istituita - spiega Gonnella - potrà imporre atti alla pubblica amministrazione".

E nel caso di detenuti che confidassero di aver subito delle violenze? "È chiaro che se dovesse esserci qualcuno che denunciasse una situazione di questo tipo - prosegue Gonnella - non sarà lasciato solo e al caso". Per Luigi Manconi, sottosegretario del ministero della Giustizia si tratta di un "primo e importante passaggio per il rafforzamento degli strumenti di tutela dei diritti umani e dei diritti delle persone private della libertà".

Per il sottosegretario la Commissione per i diritti umani e Garante dei detenuti "potrà svolgere essenziali funzioni di tutela e promozione dei diritti, in raccordo con le competenti autorità amministrative e giurisdizionali". Fabrizio Rossetti, della Funzione pubblica della Cgil, rimarcando l’importanza del provvedimento "un passo importante nel percorso di ridefinizione di un sistema carcerario e delle pene più razionale" auspica che "venga mantenuto alto il livello di attenzione e che si assumano decisioni, normative, economiche e di riorganizzazione strutturale che provino a rendere meno complicata e difficile proprio l’attività del neo-nato Garante Nazionale, perché, è ovvio, il problema è quello di lavorare organicamente per un’amministrazione penitenziaria e per un sistema delle pene che siano di per sé elemento di garanzia di esigibilità dei diritti, compresi quelli dei lavoratori penitenziari che nelle carceri vivono e operano".

Pur apprezzando l’attività svolta dai Garanti e da chi opera per difendere chi sta in carcere, Riccardo Arena, che cura Radio Carcere su Radio Radicale ogni martedì, non nasconde qualche perplessità. "Apprezzo in genere l’attività dei Garanti. Anzi credo che, oltre al controllo, queste Autorità debbano avere ancora più poteri sanzionatori.

Ad esempio se un giornale pubblica illegittimamente delle intercettazioni telefoniche, mi sembra inutile (vedi il ddl Mastella) sanzionare penalmente il giornalista o chi che sia e al tempo stesso contribuire ad ingolfare la Giustizia di altri processi". Invece, per Arena, la figura del garante dei detenuti si profila come un "Garante dimezzato".

"Perché - spiega - un garante nazionale per i detenuti deve occuparsi di persone che sono in carcere o perché in misura cautelare o perché condannati e internati. Chi è sottoposto a misura cautelare ha come referenti giurisdizionali: il Pm, il Gip e, nella fase processuale, il giudice. Chi è condannato si rivolge al magistrato di sorveglianza ovvero, in alcuni casi al direttore del carcere che poi dovrebbe dar conto al Dap". E allora? "Se questo nuovo Garante sarà solo figura di mero controllo, un osservatore che al massimo potrà scrivere una letteraccia, problemi non ce ne saranno. Sarà inutile, ben pagato e telegenico. Diventerà, alla faccia di chi non ha casa, lavoro o soldi per pagarsi un avvocato, una delle tante e costose poltrone che siedono l’Italia".

Il problema dov’è? "Il problema si pone se si volesse dare poteri seri a questo Garante dei detenuti. Per potere serio, e quindi soldi pubblici spesi bene, intendo un Garante che non solo va a visitare il detenuto x, ma ne consta l’ ingiustizia subita e la risolve con un atto giusto. Ma questa prospettiva è solo immaginata e tale resterà.

Perché un Garante dei detenuti sì fatto andrebbe ad interferire su un potere autonomo e sovrano: la giustizia sia essa penale, civile o amministrativa. La questione: la persona detenuta spesso non è tutelata adeguatamente. Il sistema delle pene è al fallimento. La realtà: la politica nulla fa per migliorare l’esecuzione delle pene, ma pensa al Garante dei detenuti. Insomma siamo alle solite: si rimedia all’inefficienza con un’altra inefficienza".

Giustizia: in Commissione primo sì alla legge sulle detenuti madri

 

Redattore Sociale, 4 aprile 2007

 

Le donne incinte o madri con figli fino a 3 anni potranno scontare la pena in case-famiglia protette. Permesso di soggiorno per i figli stranieri di detenute in Italia. La discussione passa ora in aula.

Niente più bambini in carcere. Punta decisamente in questa direzione la proposta sulle detenuti madri approvata ieri dalla commissione Giustizia alla Camera, che ora potrà passare all’esame dell’aula. Il punto centrale della nuova normativa è la creazione di case-famiglia protette, in cui le donne incinte o le madri con figli di età inferiore ai 3 anni potranno scontare la propria pena (fino al compimento dei 10 anni del bambino).

Una soluzione pensata soprattutto per tutelare la crescita dei minori e per evitare, come avviene ora, la loro reclusione. In questa logica la legge prevede anche che la madre detenuta possa accompagnare e restare vicino al figlio qualora questo abbia l’esigenza di essere portato al pronto soccorso o in caso di ricovero, perché "è inimmaginabile pensare che un bambino piccolo possa essere, di fatto, abbandonato a se stesso". La legge estende al padre queste prerogative qualora "la madre sia deceduta o assolutamente impossibilitata a dare assistenza alla prole".

Capitolo a parte per le detenute straniere; la legge introduce la possibilità di ottenere un permesso di soggiorno per i figli stranieri di detenute in Italia per ottenere il ricongiungimento e "assicurare la continuità nella formazione psico-fisica". Ma non solo, in considerazione che molti bambini di madre straniera sono nati in carcere o hanno trascorso nell’istituto gran parte della loro breve vita e spesso conoscono solo la lingua e la cultura italiane, la legge introduce la possibilità di "una valutazione ad personam" al momento del termine della espiazione della pena. Il costo stimato per l’attuazione di questa proposta è di circa 4,4 milioni di euro annui a decorrere dall’anno 2007. Secondo la Commissione bilancio le risorse potranno essere reperite in parte dal ministero delle finanze e in parte da quello della solidarietà sociale.

Giustizia: Manconi; da oggi a S. Vittore non ci sono più bambini

 

Ansa, 4 aprile 2007

 

"Da oggi non ci sono più bambini nel carcere milanese di San Vittore". Lo afferma il sottosegretario alla Giustizia, Luigi Manconi, spiegando che "grazie all’accordo del ministero della Giustizia con la Provincia di Milano, il Comune e la Regione, le madri di bambini sotto i tre anni non saranno più detenute in carcere, ma saranno ospitate nella prima casa-famiglia loro destinata".

Manconi spiega che "questo accade mentre il Ministero e il Dipartimento dell’Amministrazione penitenziaria si impegnano affinché questa forma di collaborazione con gli enti locali possa estendersi ad altre città e realizzare, dove necessario, altre case-famiglia per detenute madri; e mentre la Commissione giustizia della Camera conclude l’esame della "proposta Buemi" che consente un più ampio ricorso alle alternative al carcere per le madri di figli minori; e disciplina l’istituzione delle case-famiglia per quelle pochissime donne che non potranno beneficiarne". Il sottosegretario sottolinea: "Abbiamo detto: mai più bambini in carcere e stiamo procedendo in questa direzione".

Giustizia: Pomponi (Roma); bene legge bambini fuori dal carcere

 

Comunicato stampa, 4 aprile 2007

 

"Apprendo con vivo piacere la notizia che da oggi a Milano non ci sono più bambini in carcere - dichiara l’Assessore alle Periferie del Comune di Roma Dante Pomponi - costretti alla detenzione perché figli di donne che stanno scontando una pena. Una barbarie che costringe decine di bambini e bambine a vivere gli anni dell’infanzia dietro le sbarre con danni talvolta irrimediabili per il loro sviluppo psicofisico: l’approvazione odierna del progetto di legge in Commissione Giustizia alla Camera è un ottimo segnale in questa direzione, che prevede l’istituzione di case famiglia protette da utilizzarsi esclusivamente in casi eccezionali, laddove non possa essere disposta una detenzione con regime più favorevole.

L’approvazione di questo progetto di legge, che aspettavamo da mesi, ci incoraggia a proseguire il nostro lavoro per una detenzione "giusta", che non consideri il carcere solo come sistema punitivo ma ricominci a costruire anche dietro le sbarre un luogo di tutela dei diritti e della dignità umana: proprio su questo tema, lo scorso 27 marzo abbiamo organizzato una tavola rotonda sulle condizioni di vita delle recluse nelle carceri e nei Cpt. Un incontro a cui hanno partecipato esponenti dell’amministrazione penitenziaria, dell’associazionismo, di Medici senza Frontiere, che ci hanno descritto situazioni di inaudita gravità.

Credo infine che sia di assoluta importanza parificare i diritti delle detenute italiane e straniere con figli: mi auguro perciò che la parte del progetto di legge relativa all’equiparazione tra le detenute italiane e straniere che è stata stralciata possa essere rimessa in discussione. Non possiamo accettare una così grave discriminazione nei confronti dei figli delle donne migranti".

 

Dante Pomponi, Assessore alle Politiche per le Periferie

lo Sviluppo Locale e il Lavoro del Comune di Roma

Giustizia: Marcheselli; perché non possiamo scarcerare al buio

 

www.radiocarcere.com, 4 aprile 2007

 

Poche cose sono più dannose, nel ragionare di giustizia, che scadere nelle contrapposizioni preconcette o parlar per massimi sistemi. I guasti di questo modo di procedere si colgono anche a proposito di pena.

La contrapposizione tra gli slogan della certezza della pena o della sua flessibilità finisce per far perdere di vista la sostanza dei problemi, stretta tra le emergenze delle condizioni di vita spesso disumane nelle carceri e della sicurezza delle città. Prendiamo, ad esempio, la questione dell’accesso alle misure alternative al carcere da parte dei soggetti detenuti.

Si lamenta che in alcune realtà tempi troppo lunghi si frapporrebbero tra l’istanza e la decisione della Sorveglianza, nonostante la cosiddetta legge Simeone preveda la possibilità di una applicazione urgente di misure alternative, e che molte camere di consiglio si concludono con un nulla di fatto.

Quello che sfugge a chi approccia il problema in termini non informati è che le misure alternative si possono concedere solo dopo aver acquisito gli esiti di una istruttoria, che deve accertare che la misura sia compatibile con la personalità dell’interessato e la sua eventuale pericolosità, nell’interesse suo e della collettività. Documento centrale, anche se non unico, a questi fini, è la relazione sulla personalità (la c.d. sintesi), da redigersi da parte degli esperti.

La pena deve essere individualizzata, ritagliata sulle caratteristiche del singolo individuo: lo impongono la Costituzione, la Corte Costituzionale, la legge e la Corte di Cassazione. Nessuna individualizzazione è possibile se al Magistrato di Sorveglianza mancano le informazioni. E tali informazioni le possono portare gli educatori, i criminologi, le assistenti sociali e le forze di polizia, tutti consapevoli della necessità di fornire un quadro attuale e completo della situazione.

Detto in termini semplici, il Magistrato di Sorveglianza, senza adeguato supporto di educatori penitenziari e assistenti sociali (i cui organici sono drammaticamente carenti così come quello di forze di polizia), è un cieco. E chi non vede tende a non muoversi.

Che in assenza di informazioni le misure alternative non siano concesse non è l’effetto, allora, di difetti normativi o ritrosie della Sorveglianza, quanto la spia di un problema semplice e concreto: gli investimenti nel settore della esecuzione della pena sono insufficienti. La legge prevede che le misure alternative siano concesse solo quando ci sono dei presupposti concreti (una situazione personale, familiare e sociale del condannato compatibile con una pena esterna), ma spesso mancano, semplicemente, gli strumenti per accertarli. Questa, e non altra, è la realtà delle camere di consiglio.

Non si può risolvere il problema sostituendo dei criteri automatici alla discrezionalità sulle misure alternative. Non ci può essere una pena individualizzata e nello stesso tempo automatica. Una pena automatica è una pena ingiusta, per definizione. Non esistono solo infiniti tipi di furti, ma anche infiniti tipi di persone che rubano.

Fa riflettere che, invece, un po’ tutti, dai falchi alle colombe, spingano per la previsione di criteri automatici. Questo è il frutto di un errore di prospettiva generalizzato. In Italia si perpetua lo scontro, puramente ideologico, tra i fautori di un ideale astrattamente securitario e di un ideale astrattamente rieducativo (come se tra rieducazione e prevenzione ci fosse contraddizione!), che si scagliano l’un l’altro, come incantesimi alla Harry Potter, gli slogan della certezza della pena e della flessibilità della pena.

A questo spettacolo assiste passivamente il legislatore, che fa seguire interventi animati dalle migliori intenzioni, ma spesso non assistiti dai necessari strumenti concreti.

Continua a mancare la consapevolezza del fatto che sia la pena certa che quella flessibile richiedono investimenti cospicui. La certezza della pena in termini di edilizia penitenziaria (altrimenti si violano i diritti umani). La sua flessibilità, largamente preferibile (presidiata anche dalla sostanziale buona resa delle misure alternative), in termini di strutture di supporto, sostegno e controllo. L’effetto di tale ignoranza dei problemi è il susseguirsi di interventi a costo zero, una sorta di tragico gioco del cerino, in cui a scottarsi sono solo le persone detenute e le vittime dei reati.

 

Alberto Marcheselli, Magistrato di Sorveglianza

Giustizia: Romano; fornite ai giudici più personale specializzato

 

www.radiocarcere.com, 4 aprile 2007

 

Le difficoltà nella concessione delle misure alternative. Un’analisi superficiale del fenomeno "criminalità comune" può indurre il cittadino a ritenere che l’obiettivo sicurezza si persegua al meglio facendo stare i condannati in carcere il più a lungo possibile.

In realtà quanto più si guida, attraverso il ricorso alle misure alternative, il corretto reinserimento di chi ha sbagliato, tanto più si riduce il rischio di recidiva. Peraltro le misure alternative costituiscono l’unico rimedio "strutturale" al sovraffollamento delle carceri al quale si è invece da poco ovviato, ma solo temporaneamente, con un controverso indulto.

Il compito di verificare se e quando vi siano le premesse per concedere ad un condannato una misura alternativa spetta ai magistrati di sorveglianza il cui numero è assolutamente esiguo (circa 150 su 10.000 magistrati ordinari).

Se in tanti dibattiti si sente dire che la possibilità per il magistrato di sorveglianza di concedere i cd. "benefici" e di farlo prontamente, dipende dalla qualità e tempestività delle informazioni che riceve, raramente si riflette sulla particolare incidenza che ha sulla decisione del giudice il sapere che la persona ammessa a misura alternativa sarà poi sottoposta a controlli più o meno efficaci. Invero poiché il sistema condivisibilmente attribuisce al magistrato di sorveglianza ampi spazi di discrezionalità, è da ritenere che più egli riterrà affidabile il sistema di vigilanza cui sono sottoposti gli ammessi a misure alternative più sarà indotto a ricorrere ad esse.

Il controllo degli affidati in prova al servizio sociale e dei semiliberi è di competenza di uffici del Ministero della Giustizia (già centri di servizio sociale per adulti); le forze dell’ordine intervengono solo in via sussidiaria ed eventuale. È dato di comune conoscenza che, soprattutto nei grandi centri, il personale degli ex centri di servizio sociale è del tutto insufficiente a svolgere, tra i suoi numerosi compiti, anche quello della vigilanza.

A ciò aggiungasi che detto personale da una parte non è adeguatamente strutturato per un simile incarico (si pensi che la maggior parte degli affidati ha l’obbligo di rientrare a casa alle 21 ma che l’orario di lavoro degli assistenti sociali rende difficile che essi possano effettuare controlli a quell’ora) dall’altra si trova ormai a doversi relazionare con condannati di elevato spessore criminale.

Alla polizia compete invece il controllo dei detenuti domiciliari; tuttavia poiché il loro numero è divenuto ingente a seguito di una riforma del 1998, i magistrati di sorveglianza sono consapevoli che la vigilanza non può che essere saltuaria e casuale.

Ancora va segnalato che capita spessissimo di rilevare come la differenza di preparazione degli assistenti sociali e delle forze dell’ordine conduca ad un diverso modo di operare. I primi, più sensibili al recupero sociale tendono a volte ad attribuire minor rilievo al fattore prevenzione-sicurezza, le seconde, più attente a quest’ultimo, possono invece a volte intervenire con modalità che rischiano di danneggiare il processo di reinserimento.

Per tirare le somme, se il giudice sapesse di poter contare su personale specializzato da inviare ad hoc per controlli mirati e più assidui, del tutto verosimilmente ammetterebbe ai benefici un numero maggiore di persone.

Occorre allora dare alla magistratura di sorveglianza la diretta disponibilità di personale dotato per un verso delle prerogative delle forze dell’ordine, per un altro di formazione e sensibilità adeguate rispetto alla peculiarità dei compiti, che possa effettuare con celerità accertamenti e controlli secondo le specifiche indicazioni del giudice che cura l’esecuzione del beneficio e che dunque meglio di chiunque altro è in grado di indirizzarne l’attività.

A tal fine si dovrebbe fornire a questi magistrati la diretta disponibilità di sezioni di polizia, sul modello di quelle previste per le procure della Repubblica, ma composte principalmente da personale della polizia penitenziaria. Questo personale infatti sta acquisendo sempre più consapevolezza sia rispetto ai compiti di vigilanza propri di una forza di polizia e secondo le prerogative che solo essa può avere, sia riguardo all’obiettivo del reinserimento, che è invece peculiare di chi deve istituzionalmente rapportarsi con dei condannati. Ad esso dovrebbero essere affiancati, per evidenti ragioni di utilità, i rappresentanti dell’assistenza sociale e degli altri corpi di polizia.

 

Giulio Romano, Componente Csm

Giustizia: dopo 14 mesi e 3 udienze... ora sono in affidamento!

 

www.radiocarcere.com, 4 aprile 2007

 

Ho 36 anni e, dopo 4 lunghi anni di detenzione, sono passato dal carcere all’affidamento in prova al servizio sociale. Se hai un lavoro fuori e se ti mancano da scontare tre anni, tu detenuto puoi chiedere di scontare la pena lavorando e tornando a dormire a casa. È sempre una pena, anche perché sei sottoposto a tanti controlli.

Polizia che si presenta a casa nel cuore della notte. Non puoi uscire dalle 19 alle 7. Colloqui con l’assistente sociale, che dovrebbe verificare che con i reati hai smesso. Una pena che però sconti fuori. Ora io mi sveglio la mattina alle 7, prendo l’autobus per andare al lavoro, mi confondo con i cittadini liberi e, alle 19 in punto, devo tornare a casa.

Ho ricominciato a vivere. Uno dei pochi fortunati che dal carcere è riuscito ad ottenere quello che la legge prevede. Dico questo perché un conto è ciò che prevede la legge e un conto e riuscirlo ad ottenere.

È stato difficile. Avevo tutte le carte in regola, sarei potuto uscire prima, ma tra documenti che mancavano e rinvii delle udienze, mi hanno concesso la misura alternativa con più di un anno di ritardo. 14 mesi di attesa che per me sono stati un ulteriore condanna.

Dopo circa 3 anni che ero detenuto mi sono attivato per far cercare ai miei familiari un lavoro fuori. Lavoro che è necessario per avere la misura alternativa. Poi ho iniziato a tempestare l’educatore di domandine. Dovevo dimostrare che ero pentito, che non ero più un criminale. Gli chiedevo di venirmi a trovare, di seguirmi, di iniziare la sintesi. Sintesi: una delle tante parolacce che girano in carcere.

L’educatore deve sintetizzarti, cioè fare un riassunto del tuo comportamento in carcere. Sarà pure una parolaccia, ma perché un detenuto abbia la sintesi iniziata e finita, spesso ci vuole l’intero tempo della pena che deve scontare. Una follia. Una follia necessaria perché il magistrato di sorveglianza senza sintesi non decide su di te. E tu detenuto stai lì che aspetti. Domandi e aspetti. Spesso aspetti e basta.

Un giorno, dopo decine di domandine, mi viene a trovare l’educatore. A me tremavano le mani per l’emozione. Lui per venti minuti mi parla. Dice che la mia condotta in carcere è ottima. Dice che il contratto di assunzione per il lavoro va bene. Dice che tutto è a posto e che posso fare l’istanza al Tribunale per una misura alternativa. Lui dice così e io faccio l’istanza. Dopo un circa 5 mesi mi fissano l’udienza davanti al Tribunale di Sorveglianza. Per me, che mi fidavo di quello che l’educatore mi aveva detto, quell’udienza era l’anticamera della libertà. Arriva il mio turno.

Il Presidente neanche mi guarda e dice: "Si rinvia a nuovo ruolo per mancanza della sintesi!". Io sbigottito, vengo ammanettato, rimesso sul furgone e riportato in cella. Per diversi giorni non mi sono mosso dalla mia branda. Lo sconforto stava consumando la mia tenacia. Quando sei detenuto tutto è più difficile e nessuno in carcere ti aiuta. Mi sentivo tradito e abbandonato. Abbandonato proprio da chi dovrebbe invece accompagnarti verso una misura alternativa. Tanti detenuti nella mia stessa situazione si sono abbandonati a loro stessi. Io per fortuna, e solo per fortuna, mi sono fatto coraggio.

Volevo sapere dall’educatore perché non aveva mandato la sintesi. Beh, solo per poter rivedere l’educatore ho dovuto fare 8 domandine e aspettare 3 settimane. Quando finalmente lo incontro lui mi dice: "Si ha ragione, purtroppo non ho fatto in tempo a mandare la sintesi per il giorno dell’udienza. Scusi."

Mi mostra la sintesi. Due paginette. Quel giorno ho faticato per stare calmo. Torno nella mia cella. Rifaccio l’istanza al Tribunale di Sorveglianza. Dopo 4 mesi mi rifissano l’udienza. Sono lì davanti ai giudici. Uno di loro parla con il cancelliere. Poi sfoglia il mio fascicolo. Sembra contrariato, quasi dispiaciuto. C’è qualcosa che non va. Chiudo gli occhi. Il Presidente: "Si rinvia a nuovo ruolo per mancanza del rapporto dei carabinieri del Comune di appartenenza del detenuto".

Io: "Ma, scusi Presidente, l’altra volta il rapporto c’era!". "L’udienza è tolta". E di nuovo manette, furgone, cella. Sono seguiti 4 mesi di vita sospesa, di non risposte. Io in cella e il mio domani che dipendeva da un pezzo di carta da ritrovare. Non si può dire… (Andrea si interrompe, poi riprende a parlare). Ora, da qualche mese, sono fuori. Devo osservare le prescrizioni stabilite dal giudice. Mi hanno spiegato che è una prova e che solo se la supero tornerò libero. Se non la supero invece torno in carcere.

Così pure se non osservo le prescrizioni. La mattina vado a lavorare e alle 19 torno a casa da mia moglie. La notte non posso uscire. Non posso lasciare la Provincia. Ogni tanto, nel cuore della notte, arrivano i Carabinieri a controllare se sono in casa. Mia moglie gli fa il caffè. Una volta ogni tanto vedo l’assistente sociale. Faccio delle chiacchierate inutili, che durano pochi minuti. E aspetto che la prova finisca.

 

Andrea, 36 anni

Giustizia: Sappe; carcere da ripensare, con più pene alternative

 

Comunicato Sappe, 4 aprile 2007

 

"I dati sull’indulto e la recidiva aggiornati al 31 marzo 2007 evidenziano come non siano stati affatto programmati dal Governo quegli interventi strutturali per il sistema carcere - chiesti anche dal Capo dello Stato Napolitano - necessari per non vanificare in pochi mesi gli effetti di questo atto di clemenza.

Parliamo di provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci e potenzino gli organici di Polizia Penitenziaria cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale. Di un maggior ricorso all’area penale esterna, destinando i soggetti a misure alternative alla detenzione e impiegandoli in lavori socialmente utili non retribuiti.

Di una revisione della legge sugli extracomunitari che permetta espulsioni più facili piuttosto che la detenzione in Italia. Era davvero necessario "ripensare" il carcere, ma dobbiamo constatare che nulla di tutto ciò è stato fatto."

È l’auspicio della Segreteria Generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, l’Organizzazione più rappresentativa del Personale con 12mila iscritti, a commento dei dati relativi all’indulto ed alla recidiva aggiornati al 3 marzo 2007.

"Dispiace che sia passato inascoltato quanto detto dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano, che più volte ha detto che bisogna adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario."

"Ad oggi" conclude Capece "non ci risulta che classe politica e governativa abbiano fatto seguire all’indulto i necessari interventi strutturali sull’esecuzione della pena, che garantiscano la giusta sanzione a chi commette reati soprattutto a tutela delle vittime della criminalità e che rendano la pena uno strumento efficace per ripagare la società del reato commesso.

A cominciare dall’individuazione di provvedimenti legislativi che potenzino maggiormente l’area penale esterna e dall’incremento degli organici della Polizia Penitenziaria, unico Corpo di Polizia cui affidare completamente l’esecuzione penale esterna a tutto vantaggio della cittadinanza, destinando le unità di Carabinieri e Polizia di Stato oggi impiegate in tali compiti nella prevenzione e repressione dei reati, specie di quelli di criminalità diffusa".

Giustizia: pedofilo ottiene i domiciliari; Paolucci, non è giusto

 

Ansa, 4 aprile 2007

 

"Chissà quali sono le sofferenze per i bambini che hanno subito le violenze. Non si può permettere una cosa del genere": Luciano Paolucci, padre di una delle vittime del "mostro di Foligno", commenta così il caso del pensionato di Novellara (Reggio Emilia) condannato a 15 anni di reclusione per violenza sessuale su 17 bambini del Reggiano e del Modenese al quale sono stati concessi gli arresti domiciliari per motivi di salute. Secondo Paolucci "non serve inasprire le leggi ma bisogna far rispettare quelle che ci sono".

"Non discuto che si debba curare quella persona - ha proseguito parlando con l’Ansa - ma bisognava farlo senza farlo uscire dal carcere. Per me non dovrebbe uscire nemmeno per un minuto. E chi ha deciso che può lasciare la cella deve assumersi la responsabilità della decisione, venendo punito in maniera esemplare se chi esce dovesse tornare a violentare i bambini".

Il pensiero di Paolucci è comunque prima di tutto per le vittime delle violenze. "Perché i bambini quando vengono violentati e uccisi soffrono tanto" ha detto. "Vorrei sapere - ha aggiunto - quale attenzione lo Stato ha avuto nei loro confronti e delle famiglie (che quasi sempre vengono invece lasciate sole e alle prese con tante difficoltà). In questo caso e come in tutti gli altri analoghi". Secondo Paolucci, impegnato alla guida di un movimento per la tutela dell’infanzia, "è arrivato il momento di cominciare a cambiare le cose perché tra la gente c’è sfiducia per come vanno le cose".

Uno Bianca: Gugliotta chiede via libera al permesso premio

 

Ansa, 4 aprile 2007

 

Una istanza di esecuzione del permesso premio concesso dal giudice di sorveglianza (ma poi bloccato dalla Procura) a Pietro Gugliotta, uno dei poliziotti della "banda della Uno bianca", è stata presentato all’amministrazione carceraria dall’avvocatessa Stefania Mannino, che difende l’ex agente delle "volanti".

In pratica Mannino chiede al direttore della casa circondariale della Dozza di Bologna, dove Gugliotta è rinchiuso, di rendere operativo il permesso perché il Tribunale di sorveglianza non ha pronunciato una decisione entro 10 giorni. L’istanza è stata trasmessa per conoscenza anche alla Procura e al Tribunale di Sorveglianza.

Gugliotta aveva ottenuto dal giudice di sorveglianza Maria Longo un permesso di cinque giorni per andare dalle 9 alle 19 a lavorare nella struttura di don Giovanni Nicolini, sacerdote molto noto a Bologna per il suo impegno nell’assistenza ai più bisognosi e già responsabile della Caritas diocesana.

La Procura il 21 marzo però si era opposta con quello che tecnicamente si chiama "reclamo" e aveva di fatto bloccato il permesso. A pronunciarsi definitivamente sul permesso spetta al Tribunale di sorveglianza in composizione collegiale. In base alla normativa in materia, la decisione deve avvenire entro 10 giorni, altrimenti il permesso premio, secondo l’avv. Mannino, deve essere eseguito.

Il Tribunale di sorveglianza con decreto del 26 marzo ha però fissato l’udienza per il 17 aprile. Secondo Mannino i dieci giorni sono così scaduti il 31 marzo e quindi Gugliotta deve usufruire del permesso. Gugliotta, in carcere dal ‘94, era stato condannato a 15 anni per i fatti bolognesi della banda e a 13 per quelli riminesi: la Corte d’Assise d’appello però, nel 2000 gli ha riconosciuto la continuazione, così i 28 anni sono diventati 20.

In carcere Gugliotta ne ha passati 12. Grazie all’effetto dello ‘scontò di pena di tre anni che gli è garantito dall’indulto e degli altri benefici, la sua pena dovrebbe concludersi a fine estate 2008. Gugliotta era un agente in servizio alla centrale operativa della Questura, ed è stato condannato per rapine, tra cui la partecipazione al sanguinoso assalto alle poste di via Mazzini a Bologna con decine di feriti, ma non per i più efferati fatti di sangue di una banda composta da poliziotti che tra la metà del 1987 e l’autunno del 1994 si lasciò dietro 24 morti e oltre cento feriti tra Bologna, la Romagna e le Marche, rapinando banche, uffici postali e supermercati, sparando a testimoni o a chi, come unica "colpa", era nomade o extracomunitario.

Lettere: detenuti da tutta Italia scrivono a "Radio carcere"

 

www.radiocarcere.com, 4 aprile 2007

 

Claudio e Antonio dal carcere di Piacenza

 

Caro Arena, ti scriviamo per dirti come viviamo noi dei detenuti nella sezione di alta sicurezza del carcere di Piacenza. Nella nostra sezione le celle sono fatte per ospitare un solo detenuto ma dentro ci siamo in due. Lo spazio per muoverci è limitatissimo perché abbiamo un tavolo fissato al muro che non possiamo spostare e dall’altra parte un armadietto. Sta di fatto che per muoverci o solo per sederci a mangiare dobbiamo fare delle vere e proprie acrobazie. Cuciniamo in cella, usando vecchie pentole perché quelle messe in vendita dal carcere sono di alluminio leggero e durano talmente poco che non vale la pena per noi spendere soldi,soprattutto per quanto ce le fanno pagare. Nelle sale colloqui,qui nel carcere di Piacenza, abbiamo ancora il vetro divisorio, che è vietato per legge. E d’estate noi e i nostri familiari soffochiamo dal caldo perché è tutto chiuso e non c’è neanche un ventilatore. Per quanto riguarda la salute, solo per avere un dentista devi aspettare mesi e mesi e non è detto che arrivi. Ho visto gente impazzire dal dolore per un mal

di denti,lasciata lì a farselo passare! Poi per comprare, e dico comprare, delle semplici medicine dobbiamo arrivare a protestare perché il medico non ci dà il nulla osta. Non ti parlo delle continue perquisizioni e delle continue battiture delle sbarre. Battiture che non servono a nulla se non a farci sentire meno di quello che siamo. Ascoltiamo Radio Carcere da una piccola radiolina, che hanno bucato e sigillato con il piombo renditi conto. Infine la ciliegina sulla torta: ci hanno tolto le cinture dei pantaloni per evitare che uno si impicca, ma poi ci hanno lasciato i lacci delle scarpe e in più altri lacci li possiamo comprare… che vuol dire? Che ci possiamo impiccare ma con maggiore abilità? Ti salutiamo con stima.

 

Claudio Carcere Opera di Milano

 

Cara Radio Carcere,mi trovo nel carcere di Opera,sono detenuto dal 2002 e il mio fine pena è 2008. Sono in carcere per un cumulo relativo a diversi reati,alcuni dei quali molto vecchi. Come avrai capito potrei già ottenere una misura alternativa al carcere e ho già fatto la richiesta per il lavoro all’esterno come prescrive la legge. Se la giustizia funzionasse io potrei ora star con la mia famiglia, perché ho tutto in regola per ottenere la misura alternativa. E invece so che dovrò aspettare tanto. Ma sai come funziona in carcere,un conto è poter avere un diritto e un conto è ottenerlo. Fino a poco tempo fa ero detenuto nel carcere di Bollate,dove andavo regolarmente in permesso e dove la mia sintesi comportamentale era finita. Una volta arrivato nel carcere di Opera ho dovuto ricominciare da capo… una vera beffa. Qui a Opera ci sono arrivato perché le mie condizioni di salute sono peggiorate e così mi hanno messo nel famoso centro clinico. Qui dentro mi sento abbandonato e non vedo mai nessuno. Dopo tanti anni di carcere vorrei solo scontare l’ultima parte della mia pena in misura alternativa, lavorando e rifacendomi una vita, ma forse chiedo troppo. Ti auguro ogni bene.

 

Giancarlo, Renzo e Maurizio Reparto g 11 di Rebibbia, Roma

 

Caro Riccardo, siamo tre detenuti nella stessa cella e ti raccontiamo perché siamo qui. Per esempio io Giancarlo, mi trovo in carcere perché mi avevano dato gli arresti domiciliari. Una notte, come tante, sono passati i carabinieri per controllare se ero a casa. Era tardi e io dormivo. Sta di fatto che non ho sentito il citofono. Il giorno dopo mi hanno portato in carcere per rispondere del reato di evasione. Il processo è stato facile, la loro parola contro la mia!! Vi sembra giusto tutto questo? Io Maurizio invece mi trovo in carcere da circa quattro anni per un cumulo di pene. I miei reati sempre gli stessi: la vendita dei cosiddetti cd pirata. Il problema è che se beccano un extracomunitario gli danno per lo stesso reato 20 giorni e a me ogni volta mi hanno condannato a 6 mesi. Così sono arrivato a 4 anni di galera! Io Renzo mi trovo in carcere per scontare una pena di circa due anni. Il mio reato è ricettazione di auto. Il problema è che mentre l’avvocato del mio coimputato ha fatto appello ed è stato assolto,il mio avvocato ha pensato bene di dimenticarsi di fare appello e io sto in galera. Come me la chiamate questa,giustizia?

 

Giuseppe Carcere di Belluno

 

Cara Radio Carcere, ho 43 anni e mi trovo in carcere dal 2002. Grazie all’indulto, il mio fine pena sarà tra 16 mesi e credimi non vedo l’ora. Io vivevo e lavoravo a Varese, prima ero detenuto nel carcere di Alessandria ma ora mi trovo in quello di Belluno.

Inutile dirti quante sofferenze devo patire per essere detenuto in un posto lontano dalla mia famiglia. Purtroppo qui dal carcere di Belluno non posso portarti buone notizie, anche dopo l’indulto. Siamo abbandonati a noi stessi. Intorno a noi c’è solo degrado. L’igiene, l’assistenza sanitaria è fatiscente e chiedo tramite Radio Carcere che qualche deputato venga qui per vedere come siamo trattati. Non abbandonateci. L’indulto è nulla se non si cambiano le cose.

Milano: un anno di Sportello "Spin", con Uepe e privato sociale

 

Asca, 4 aprile 2007

 

L’esperienza carceraria è sicuramente dura e drammatica per chi viene recluso, ma molto spesso può diventare un problema anche per chi rimane fuori.

All’interno delle case circondariali di pena c’è, infatti, una fitta rete di contatti e punti di riferimento (come il direttore, il compagno di cella, l’assistente spirituale, lo psicologo, il medico o le guardia carcerarie) che permettono a chi per la prima volta finisce dietro le sbarre di avere informazioni, conoscenze, di imparare regole e diritti. Per parenti e famigliari del recluso, invece, non è così facile reperire le necessarie informazioni, come ad esempio gli orari dei colloqui, la gestione della posta personale e altre piccole incombenze che però pesano come macigni su chi si trova per la prima volta di fronte a questo tipo d’esperienza.

Per non parlare poi del recluso che finalmente può tornare in libertà e si trova ad affrontare all’improvviso e senza aiuto problemi importanti come quello della casa, della ricerca di un lavoro, oltre che del disbrigo di diverse pratiche burocratiche e legali.

Da circa un anno a Milano c’è uno sportello informativo che si rivolge proprio a queste persone in difficoltà, cercando di accompagnarle ad una rapida ed efficace risoluzione dei loro problemi. Spin, questo è il nome del servizio promosso dal Ministero della Giustizia attraverso l’Ufficio si Esecuzione Penale Esterna di Milano e da una serie di enti, associazioni e cooperative sociali di Milano come la Asl, Bambini Senza Sbarre, la Caritas Ambrosiana, i City Angels e l’Opera San Fedele, che nell’ultimo anno ha dato assistenza ad alcune migliaia di persone.

Finanziato dalla Regione Lombardia, lo sportello Spin ha sede in via Numa Pompilio 14, proprio a due passi dal carcere di San Vittore. Come spiegano i responsabili del centro: "diamo assistenza a soggetti con procedimento penale in corso, ma anche a soggetti liberi in attesa di scontare la pena. A detenuti ammessi alle misure alternative e a ex detenuti, ma anche ai loro famigliari".

Diversi gli ambiti in cui gli operatori di Spin si sono prodigati in questi mesi: dal lavoro alla casa, dalla salute alla consulenza legale. Sono stati numerosi, ad esempio, gli ex detenuti che si sono rivolti allo sportello per un sostegno nella ricerca di un posto di lavoro o per essere informati su eventuali agevolazioni di legge o sussidi di disoccupazione. Molti hanno chiesto come accedere ai bandi per l’assegnazione degli alloggi popolari, ma si sono verificati anche casi di persone in emergenza con la necessità di ospitalità notturna.

Alcuni ex detenuti hanno fatto ricorso a Spin per avere informazioni relative ad ambulatori medici. Molti, invece, quelli che hanno chiesto interventi di prevenzione e cura per problemi di dipendenze da droga e alcol. Molto attiva anche la consulenza legale (aiuto nella compilazione di istanze per misure alternative e benefici e richiesta del gratuito patrocinio).

Nei confronti dei famigliari si è invece lavorato soprattutto nell’agevolare incontri in carcere, l’accompagnamento dei figli ai colloqui con i genitori e il sostegno psicologico. Soddisfatto per quanto finora fatto dallo sportello, l’ex direttore del carcere di San Vittore, oggi provveditore regionale dell’Amministrazione Penitenziaria Luigi Pagano: "Prima dell’indulto questo sportello affrontava contemporaneamente fino a 1.700 casi. Segno che se ne sentiva profondamente il bisogno".

"Oggi fortunatamente le persone seguite sono di meno - conclude Pagano -, ma occorre comunque fare uno sforzo supplettivo per far sì che chi è uscito la scorsa estate con l’indulto non ricada più negli errori che l’avevano portato in carcere. E questo sportello è lo strumento giusto per dare una mano in questo senso".

Bologna: dal Garante una guida ai diritti e doveri dei detenuti

 

Romagna Oggi, 4 aprile 2007

 

Alla privazione della libertà personale non deve accompagnarsi la perdita di altri diritti, tra cui quello ad essere informati. Con questo intento l’ufficio del Garante dei diritti dei detenuti di Bologna, in collaborazione con l’associazione Giuristi democratici hanno pensato e realizzato con il contributo della Giunta della Regione Emilia Romagna la pubblicazione di un libro dal titolo "Dentro e fuori. Informazione sul carcere".

Una sorta di vademecum per chi si trova dietro le sbarre come detenuto, ma anche per chi opera nel carcere, al fine di agevolare i detenuti nella comprensione delle leggi penitenziarie italiane e delle regole che disciplinano il regime penitenziario. Il libro verrà presentato domani presso la sala Savonuzzi del Comune di Bologna.

Gli ideatori dell’iniziativa sottolineano come a volte la durata stessa della detenzione potrebbe ridursi o addirittura venire meno "se solo ci fosse più informazione su ciò che si può fare dentro e fuori dal carcere". Le persone ristrette, a maggior ragione gli stranieri incontrano difficoltà per comprendere al realtà che li circonda e non riescono di frequente a esercitare i diritti loro riconosciuti dall’ordinamento e infine non vengono a conoscenza di opportunità di studio, formazione e lavoro.

La guida, per ora disponibile in italiano verrà successivamente pubblicata in altre 6 lingue, ossia albanese, arabo, francese, inglese, serbo-croato e spagnolo. La pubblicazione stampata all’interno della casa circondariale di Bologna dalla tipografia "Il profumo delle parole".

Spoleto: un progetto per il reinserimento degli ex detenuti

 

Spoleto on-line, 4 aprile 2007

 

Nell’ambito del progetto "Il Lampadiere", finanziato dalla Regione dell’Umbria, si è svolto lunedì 2 aprile un incontro presso la Casa di Reclusione di Maiano tra i rappresentanti del Comune di Spoleto, la Direzione della Casa di Reclusione e l’Ufficio territoriale del Ministro della Giustizia.

Presenti anche le rappresentanze sindacali, i rappresentanti delle associazioni di categoria (particolare riferimento alla Associazione Industriali di Spoleto), gli operatori impegnati nel Servizio di Accompagnamento al Lavoro (SAL) e nel Primo Intervento Detenuti (PID) del Comune di Spoleto che, insieme agli educatori della struttura carceraria ed alle cooperative sociali di tipo B, operano ormai da anni sul territorio e all’interno della stessa Casa di Reclusione.

All’incontro, a cui sono intervenuti il Direttore Ernesto Padovani e la responsabile del progetto Patrizia Costantini di Arci Solidarietà, ha partecipato l’Assessore alla Formazione, Istruzione e Lavoro del Comune di Spoleto Patrizia Cristofori: "Nella nostra realtà la tematica del reinserimento socio-lavorativo dei detenuti, ed in generale delle cosiddette fasce deboli, rientra a pieno titolo nella più complessiva azione di promozione dello sviluppo socio-economico dell’intera città".

"Questa, come altre progettualità sviluppate sul territorio - ha continuato la Cristofori - partono dalla convinzione che nella marginalità e nel disagio sociale attecchisca la devianza e il non rispetto delle regole. Per questo dare opportunità ad un ex detenuto, affinché lo stesso possa reinserirsi proficuamente nella società attraverso un lavoro, è non solo utile alla sua riabilitazione, ma anche alla sicurezza e al benessere dell’intera collettività".

Il Progetto, già attivo da alcuni mesi, prevede infatti la realizzazione, su scala regionale, di azioni di sistema tese a sperimentare e diffondere modalità e percorsi innovativi finalizzati al reinserimento socio-lavorativo dei detenuti, ex detenuti e persone in pena alternativa alla detenzione.

Tra le attività finora sviluppate, la costituzione di un forum regionale, composto dai rappresentanti delle istituzioni e dei soggetti del privato sociale e del mondo del volontariato, che in questa fase è impegnato nella elaborazione di una proposta di legge regionale che regoli l’intera tematica.

Il progetto prevede, inoltre, un’azione di sensibilizzazione e di informazione rivolta alle aziende del territorio e alle diverse associazioni di categoria, finalizzata a favorire un reale accesso al lavoro degli ex detenuti quale fondamentale veicolo di restituita dignità. L’incontro, che ha riscosso un notevole interesse nei partecipanti, si è concluso con una visita guidata ai laboratori della grafica multimediale e stampa, della falegnameria e della sartoria che rappresentano, per la città di Spoleto, un notevolissimo patrimonio fatto di strutture, tecnologie e sviluppate competenze tecniche.

Padova: la colomba della solidarietà, dal carcere al Pedrocchi

 

Padova News, 4 aprile 2007

 

La colomba è simbolo universale di pace e di speranza: ricordarlo è quasi una banalità. Ma le colombe che si trovano in vendita al Caffè Pedrocchi in questo periodo per chi le ha prodotte sono qualcosa di più di un simbolo. E rappresentano ben di più che una speranza generica.

Realizzate nel laboratorio di pasticceria della Casa di Reclusione "Due Palazzi" di Padova con tecniche artigianali e ingredienti di prima qualità, diventano veicolo di reinserimento sociale degli otto detenuti pasticceri attualmente coinvolti nel progetto, gestito dal consorzio di cooperative sociali Rebus di Padova e che si presenta sul mercato insieme ad altri prodotti dolciari con il marchio I dolci di Giotto.

La pasticceria inoltre quest’anno ha potenziato la produzione. Anzitutto nei quantitativi: sono circa quattromila le colombe sfornate dietro le sbarre, a fronte delle 3200 dell’anno scorso. Il prodotto poi è stato differenziato. Non c’è più solo la colomba Classica, con lievitazione naturale, mandorle, zucchero e canditi, ricca di gusto e fragranza. I detenuti propongono anche la Delicata con il suo impasto senza canditi avvolto da una glassa croccante e saporita e, per i più golosi, la Prelibata: la tipica glassa si unisce con il morbido impasto arricchito dal vellutato gusto del cioccolato in gocce.

"Attenzione al sociale per noi non vuol dire trascurare la qualità", spiega Luca Passarin, presidente della cooperativa sociale Work crossing aderente al consorzio Rebus, "siamo maestri pasticceri da quasi due decenni". La lavorazione del dolce pasquale è caratterizzata da un altro contenuto di manualità. "Deve lievitare per più di 24 ore e poi riposare altre 50 ore "a testa in giù". Solo così diventa veramente fragrante e riconoscibile al primo assaggio rispetto a tanti altri prodotti presenti sul mercato".

Ecco il perché quindi del nuovo marchio, I dolci di Giotto, per qualificare ancor più l’offerta anche in relazione al territorio padovano. "Non per niente le tre versioni delle colombe vengono proposte al pari degli altri prodotti top del gusto al Caffè Pedrocchi, oltre che nel nostro ristorante Forcellini".

Vari anche i tipi di presentazione del prodotto. Si va dalla confezione semplice ma elegante in carta colorata con manici in corda, alla scatola e organza con nastri e fiori, fino al prodotto al vertice della gamma, presentata in una scatola raffigurante gli affreschi della cappella degli Scrovegni e realizzata in carcere dal laboratorio di cartotecnica in cui lavorano i detenuti. Sono disponibili anche bauletti con colomba, bottiglia di vino e ovetti di cioccolato. Per prenotazioni ed informazioni: Keti Giraldo: cell. 329.6372349 tel. 049.8033100 e-mail: info@forcellini.it.

Pistoia: una cappella per favorire la riflessione e il dialogo

 

Toscana In, 4 aprile 2007

 

Un nuovo luogo di preghiera all’interno del Carcere di Pistoia, per rendere più accessibile la partecipazione delle persone detenuti che desiderano assistere alle funzioni religiose.

Favorire il dialogo con se stessi, il raccoglimento, ed il contatto tra realtà esterna e realtà spirituale. Da qui nasce l’esigenza di fornire i detenuti del Carcere di Pistoia, di un luogo di preghiera, inaugurato lo scorso 21 marzo. È noto infatti che nel mondo carcerario le esigenze di riflessione e di spiritualità sono forti e sentite ed a volte risultano l’unico canale attraverso il quale l’individuo detenuto, già gravato dai problemi di realtà quotidiana che la detenzione impone, ritrova un dialogo " il più possibile profondo" con se stesso.

Ed il momento del raccoglimento e del "sacro" per alcuni detenuti può diventare il primo autentico passo per rivedere la propria esistenza e per gettare le basi per una revisione della propria vita. È su queste basi che si fonda il progetto da cui è nato un lavoro, improntato anche su contenuti prettamente artistici, che impregna lo stile della Cappella della Casa Circondariale di Pistoia che oggi, rivista e corretta, grazie al prezioso contributo del prof. Adriano Mancini - professore all’Istituto d’Arte di Pistoia, ed artista, racchiude in sé la realizzazione di una nuova dimensione del "Sacro" come dimostrano le panche e l’altare posti in diagonale e gli spazi liberi distribuiti su di una pianta originale, così da permettere, al contempo, la fruizione alla celebrazione della Messa a più detenuti possibile. Poi, una serie di sculture raffiguranti le stazioni della "Via Crucis" esalta l’originalità del progetto stesso, dove in tutto e per tutto prevale un senso di equilibrio geometrico e di forte religiosità. Infatti , la scelta, non casuale (trattandosi dello spazio religioso di un carcere ), - di privilegiare scene tratte dalla "Via Crucis" connota con forte drammaticità l’atmosfera della Cappella dando però , al tempo stesso, la speranza per chi vive la detenzione di riuscire a ritrovare la propria strada nella vita, attingere dalla propria forza interiore e ricominciare una nuova esistenza.

Il progetto che ha riscosso una larga partecipazione, è stato reso possibile con il contributo del Ministero della Giustizia - Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ed arricchita dalla cooperazione di significative realtà del territorio quali sono la Diocesi di Pistoia, la Fondazione Cassa di Risparmio di Pistoia e Pescia; la Banca di Credito Cooperativo di Mariano , la Banca di Credito Cooperativo di Pistoia., oltre che dall’attenzione dimostrata dalle ditte A.P.A.S. - Salvatori Arte ed il Laboratorio Pesaro che hanno curato rispettivamente gli arredi, i lavori di falegnameria e per le formelle in Gres della Cappella.

Chiude il quadro di un progetto "partecipato" la collaborazione espressa della direzione, degli operatori ed anche di alcuni detenuti che hanno lavorato nelle opere muratura e di pavimentazione.

Treviso: i detenuti musulmani non vogliono gli imam "esterni"

 

Il Gazzettino, 4 aprile 2007

 

Da qualche tempo gli imam non sono più richiesti dai detenuti musulmani della casa circondariale di Santa Bona. Che, nei momenti di preghiera, preferiscono eleggere tra di loro un capo che conduca le orazioni. Ad essere ammessi sono solo i mediatori culturali che quasi ogni giorno frequentano il carcere.

Questo perché i detenuti non avrebbero più acconsentito alle pressioni psicologiche degli imam su chi è in carcere soprattutto per motivi legati alla droga, severamente proibita per la corrente musulmana più intransigente. E allora, per non sentirsi accusati rendendo più gravosa la permanenza nel penitenziario, i musulmani preferiscono arrangiarsi ed eleggere al momento della preghiera un "imam" tra di loro.

Nella casa circondariale di Santa Bona, secondo i dati forniti ieri dal direttore Francesco Massimo e dal comandante della polizia Giovanni Ministeri, si trovano adesso 176 detenuti, quaranta in più rispetto alla capienza massima che è di 136. Molti meno comunque rispetto all’anno scorso, quando prima del provvedimento di indulto erano quasi 280. Dopo il condono, sono rientrate in carcere 6 persone, mentre ben 60 sono state assegnate a Treviso dal penitenziario di Padova.

"Questo crea un superlavoro per quanto riguarda le matricole e le traduzioni fino al tribunale di Padova in caso di processi - ha dichiarato Ministeri -. Tuttavia il carcere di Treviso è uno dei migliori in Italia per gestione delle problematiche, del personale e dei detenuti". Gli agenti della Polizia penitenziaria di contro sono sotto organico: 150 contro i 186 previsti. "Alcuni purtroppo - ha spiegato il direttore Massimo - devono dedicarsi anche ad attività amministrativa, perché i funzionari civili mancano in maniera costante ed alcune funzioni burocratiche vanno mantenute per forza".

Ieri mattina c’è stata anche la stretta di mano tra Massimo, Ministeri e i rappresentanti sindacali del Sappe Giovanni Vona e Franco Attardo. Dopo alcune incomprensioni legate a carenze organiche e disomogeneità nei turni di servizio, le due parti si sono chiarite e questo ha consentito una migliore organizzazione dei carichi di lavoro, comunque significativi, per gli agenti.

"Siamo contenti - hanno detto Vona e Attardo - perché con un dialogo costruttivo Treviso è diventata una realtà dove lavorare è più agevole, nonostante le difficoltà. Questo in altri penitenziari non è stato possibile, mentre in questo caso c’è stata la volontà di tutti per risolvere il problema in tempi stretti".

"Purtroppo spesso si possono generare degli equivoci perché in questa realtà a volte bisogna prendere decisioni in maniera immediata - sono le parole del comandante Ministeri - Sono felice che il problema si sia risolto perché è nell’interesse di tutti creare un ambiente tranquillo e che lavori nella legalità". A volte purtroppo ci sono degli incidenti: come quello, avvenuto qualche giorno fa, di un detenuto extracomunitario che, sotto l’effetto della droga, ha ferito un agente mandandolo al pronto soccorso.

 

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