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Giustizia: pm Grasso; la mafia ha tante manifestazioni
Il Sole 24 Ore, 3 aprile 2007
"È un’ottica sbagliata dire che la mafia c’è o non c’è. La mafia ha tante manifestazioni". Lo ha detto oggi il Procuratore Nazionale Antimafia, Piero Grasso, intervenuto a Verona alla seconda Giornata della "Gerbera Gialla", nel corso di un incontro davanti ad una platea gremita di studenti delle scuole superiori. Grasso ha ribadito che la mafia "si manifesta in un certo modo nei luoghi d’origine, al Sud soprattutto; al Nord invece sono i luoghi dove i capitali mafiosi hanno maggiore possibilità di redditività negli investimenti e quindi bisogna cercare forme diverse di manifestazione della mafia attraverso gli affari, gli interessi che riescono a trasferire in realtà come queste". "È un modo di testimoniare - ha aggiunto il Procuratore Grasso, in riferimento all’iniziativa odierna tesa a contrastare le coltivazioni e i traffici di droga - un impegno da parte delle istituzioni che rappresentiamo e cercare di essere un punto di riferimento per tanti giovani, che devono vedere nelle istituzioni e negli adulti coloro che cercano di spianare la strada al loro futuro". "Perché si ha un bel dire - ha concluso Grasso - che i giovani sono il nostro futuro, ma sono gli adulti che lo devono aiutare". "Credo che questa iniziativa - ha sottolineato il procuratore di Verona, Guido Papalia - sia la dimostrazione che i giovani vogliono essere protagonisti di questo problema della legalità".
In Calabria 33 intimidazioni al giorno
Trentatré intimidazioni al giorno, tutti i giorni: compresi sabati, domeniche e festivi. Messi uno dietro l’altro fanno i2mila azioni intimidatorie - solo nel 2006 - ai danni di politici e amministratori pubblici della Calabria. Il conto - sbagliato per difetto perché bisogna aggiungere poi le intimidazioni a danno di giudici, dirigenti sanitari e delle Forze dell’Ordine - è stato dichiarato dal Procuratore nazionale antimafia, Pietro Grasso, due mesi fa nel corso di un’audizione della Commissione parlamentare antimafia. Infinitamente meno i gesti denunciati: Legautonomie Calabria per il 2006 ha calcolato (sulla sola fonte dei quotidiani locali) 73 atti intimidatori, con in testa le province di Catanzaro e Reggio Calabria. Per dare l’idea della pervasività delle ‘ndrine basti ricordare ancora un ultimo dato: tra il 1991 e il 2006 - sempre secondo il rapporto di Legautonomie Calabria - sono stati sciolti per infiltrazione mafiosa 35 Comuni. Il fenomeno delle intimidazioni ai politici-comunque lo si voglia conteggiare - appare meno grave di quello che pesa su commercianti e imprese, Secondo quanto si legge nella relazione del consigliere della Direzione nazionale antimafia, Emilio Ledonne, presentata a fine 2006 - nella quale ha anche rielaborato il rapporto Confesercenti "Sos Impresa" - i commercianti taglieggiati in regione sono ottomila: uno su due. Le "zone rosse" - riporta Ledonne - sono Reggio Calabria, il Vibonese e il Lametino. Meno rischio il Cosentino e il Crotonese. Il fatto drammatico - nella protervia della ‘ndrangheta che secondo il rapporto 2004 di Eurispes Calabria fattura 36 miliardi all’anno grazie al (quasi) monopolio del traffico della cocaina e ricicla oramai gran parte dei ricavi al Nord in attività lecite - è che nulla è cambiato rispetto a 20 anni fa. Anzi. La memoria va al grande processo contro la cosca Mancuso, celebratosi davanti alla Corte d’Assise di Catanzaro e concluso con sentenza il 18 luglio 1986. Furono condannati per associazione mafiosa e per una serie di omicidi gran parte degli imputati, poi andati assolti nei successivi gradi di giudizio. Scrivevano all’epoca i giudici: "Il terrore della morte: se davvero in questo processo non bastassero i fatti stessi a rappresentare un’intera collettività assediata dall’angoscia, giovano allora le voci della paura per intendere, sia pure in una fuggevole per quanto ossessiva panoramica; il controllo e il dominio cui è soggetto l’uomo in una società a forte presenza mafiosa. La Corte pone particolare attenzione a tanta paura diffusa nella comunità, a tanta polvere di paura che si solleva attorno a ogni delitto e lo ricopre. Qui, assenza di vita democratica, incapacità, inettitudine, incredulità abdicativa di pubblici poteri hanno comportato la dissoluzione delle garanzie protettrici dello Stato e l’assolutizzazione del puro e semplice dominio mafioso". Parole che non basterebbero a descrivere la situazione odierna in cui la realtà supera la fantasia. Tutti i mezzi sono leciti per mangiare quel che rimane dell’economia e della dignità umana. Il controllo del territorio - ad esempio - a Locri è passato attraverso l’acquisizione da parte della ‘ndrangheta nel 2003 di una schedina vincente del superenalotto per 8 milioni. Le cosche contattarono il titolare della vincita per corrispondergli la somma sull’unghia, in cambio della schedina giocata, al fine di riciclare i proventi illeciti provenienti dal narcotraffico. Come dice il magistrato antimafia, Antonio Maruccia, "il problema della ‘ndrangheta oggi non è se ma come riciclare la gigantesca messe annua di risorse". È per questo che soprattutto il settore delle costruzioni edili (e delle loro imprese) è in quote sempre più alte in mano ai prestanome delle cosche: dall’Emilia alla Toscana, dalla Liguria al Piemonte, dalle Marche al Veneto. Del resto ce n’è per arricchire tutti. Nel rapporto sul Programma Calabria, il prefetto di Reggio, Luigi De Sena, ha reso noto che in Calabria ci sono 133 famiglie mafiose. Giustizia: il Dap lancia un allarme sulle revoche dei "41-bis"
Italia Oggi, 3 aprile 2007
C’era una volta il 41 bis, il carcere duro per i boss mafiosi. Una volta, perché adesso è molto più semplice per i capi mafia tornare al regime di detenzione ordinaria. Baste fare ricorso al tribunale di sorveglianza contro il decreto di applicazione del regime di sicurezza del ministero della giustizia. Che di solito accoglie. Con buona pace degli obiettivi di prevenzione e di interruzione del collegamento tra i boss e l’esterno. Nell’ultimo anno il numero dei decreti del ministro della giustizia dichiarati inefficaci è stato di 69 e alcuni hanno riguardato "alcuni tra gli storici boss di cosa nostra, detenuti da lungo tempo, rispetto ai quali il consistente numero di anni trascorso in stato di carcerazione è stato valutato dall’autorità giudiziaria come elemento per sostenere il non più attuale collegamento con l’associazione malavitosa di appartenenza". Il campanello d’allarme è contenuto nella prima relazione triennale al parlamento del dipartimento dell’amministrazione penitenziaria del ministero della giustizia. Il motivo di questa tagliola sta nella interpretazione che viene fatta dai giudici di sorveglianza della nuova legge che ha stabilizzato il regime di carcere duro (prima disciplinato con leggi di proroga), approvato in maniera bipartisan nella scorsa legislatura (legge 279/2002). Una legge che ha avuto l’effetto di moltiplicare il numero dei ricorsi da parte dei boss. Tre le interpretazioni dei giudici sotto accusa. La prima sta nei requisiti richiesti a fini della proroga dei decreti di applicazione. Per il ministero è necessario e sufficiente che ci sia una presunzione di persistenza dei collegamenti con il gruppo criminale, presunzione che può essere dissolta se si dia prova del mutamento delle esigenze già dimostrate al momento del primo decreto. Non così per i tribunali di sorveglianza, diciamo "più garantisti". In seconda battuta, i giudici di sorveglianza insistono sulla funzione di espiazione del regime speciale con la conseguenza che nel caso di condanne per più reati si ritiene che il regime debba persistere fintanto che il detenuto sconti quella porzione di pena relativa alla condanna di uno dei reati. In altre parole, spiega il Dap, "può accadere che un capo mafia il quale abbia subito una condanna a trent’anni di reclusione di cui sei per associazione mafiosa e ventiquattro per omicidio commesso in epoca antecedente scontato sei anni ottenga la proroga del regime". Un "equivoco" visto che il carcere duro non deve richiamarsi alla funzione retributiva della pena quanto a quella preventiva, per evitare il passaggi di flussi di comunicazione verso l’esterno. Infine, si sta facendo strada una interpretazione formalistica della finalità di agevolazione mafiosa. Ci sono diversi tribunali di sorveglianza che non ritengono applicabili il 41 bis per i reati per i quali manchi la espressa contestazione dell’aggravante dell’articolo 7 della legge 203/91 anche se di fatto appaiono chiaramente connotati da modalità mafiosa. Una simile impostazione, denuncia il Dap, ha condotto all’annullamento del regime di carcere duro nei confronti dell’autore (accertato in appello) della strage di via D’Amelio, Francesco Tagliavia. Una situazione che, pur non dichiarandolo, il Dap considera insostenibile parlando di "effetti irretrattabili di annullamento" da cui deriva sempre il trasferimento del detenuto a un diverso carcere con la sua immissione in altri contesti, l’instaurazione di nuovi contatti, possibilità i di comunicare e ricevere disposizioni. Giustizia: ddl sulle intercettazioni, slitta il voto della Camera
Corriere della Sera, 3 aprile 2007
Rischia di slittare ancora l’ok della Camera al disegno di legge di riforma delle intercettazioni telefoniche. Il ddl è in lista d’attesa in aula da oltre due mesi e se anche, come previsto, dovesse approdare oggi a Montecitorio per il via libera, il voto arriverà comunque dopo Pasqua. A rischio è anche l’accordo tra maggioranza e opposizione sulla riforma, accordo che sembrava raggiunto fino a che, ieri, non si sono riaccese le polemiche. Al centro della discussione la volontà della Cdl di inserire pene più severe per chi pubblica il contenuto di intercettazioni coperte da segreto o illecite. In pratica, anziché l’arresto fino a 30 giorni e l’ammenda da 51 a 258 euro (come stabilisce oggi il codice penale), l’opposizione chiede per i cronisti che pubblicano atti segreti sei mesi di carcere (secondo An) o un anno (per Fi), con multe record fino a un milione e mezzo di euro. Una levata di scudi che non è piaciuta al relatore del provvedimento Lanfranco Tenaglia (DI) e alla maggioranza. "Sono convinto - ha detto Tenaglia - che sia sufficiente quanto scritto nel testo approvato in commissione. Del resto - ha aggiunto - c’è già un reticolo chiaro di norme e divieti di pubblicazioni e sono già previste sanzioni a mio avviso sufficienti". Critiche alle proposte di inasprimento punitivo avanzate da An e Forza Italia sono venute anche dal diessino Paolo Gambescia, ex direttore del Messaggero, secondo cui sanzioni eccessive spingerebbero gli editori a mettere a riposo le "penne in vena di scoop". Intanto, questa mattina si riunirà alla Camera il Comitato dei nove, che esaminerà nuovamente la questione. In caso di fumata nera damarle del Comitato, a sciogliere il nodo sarà il voto dell’aula. C’è intesa invece (con qualche perplessità da parte dell’Italia dei valori) sull’ulteriore stretta al diritto di cronaca prevista dal ddl: il divieto di pubblicare il contenuto delle intercettazioni prima che inizi il processo riguarderà anche le conversazioni trasfuse nell’ordinanza di custodia cautelare, anche se già conosciuta dal difensore. "Nella pratica - ha minimizzato Tenaglia - significa il rinvio dell’esercizio del diritto di cronaca per non più di un anno e mezzo". Giustizia: pedofilo va agli arresti domiciliari tra le polemiche
La Repubblica, 3 aprile 2007
Violentò 17 bimbi, esce dal carcere. Ha un tumore, va ai domiciliari. Reggio Emilia, aveva chiesto la castrazione: "Se mi liberano lo rifaccio". "Procedete alla mia castrazione chimica, perché se esco dal carcere, torno a caccia di bambini". Questo aveva dichiarato Natale Terzo, più di un anno fa, qualche giorno prima della lettura della sentenza che lo condannava a quindici anni per violenza sessuale. Pena comminata per aver abusato di diciassette bambini. Ora, quello che fu ribattezzato dai media il "mostro del camper", da qualche giorno, è tornato a casa. A sessantadue anni ha un tumore ai polmoni. E per il giudice la sua malattia è grave ed "incompatibile" con il carcere. Il suo avvocato è riuscito ad ottenere tale provvedimento grazie a una consulenza medica secondo la quale il carcere non è idoneo per lo stato di salute di Natale Terzo. "Lì fumano tutti - ha spiegato il legale - e il mio assistito potrebbe ulteriormente aggravarsi". Per l’avvocato Alessandro Verona, poi, Natale Terzo non è affatto pericoloso: "È talmente debilitato da essere innocuo". E anche questo avrebbe influito sulla relazione medica e sulla decisione presa del magistrato. Terzo sconterà la pena agli arresti domiciliari, e potrà recarsi in ospedale per le terapie. Sarà assistito da alcuni familiari che si sono detti disponibili in questo momento particolare della sua vita ad occuparsi di lui. Non tutti approvano la decisione. "Scandaloso - commenta la notizia uno degli avvocati di parte civile, Donatella Ferretti - questo provvedimento neutralizza la forza della sentenza che era stata esemplare nella sua durezza. È stato provato in sede processuale, che per più di venti anni quest’uomo si è macchiato di gravi reati di pedofilia. D’accordo, ora è gravemente malato. Ma, prima del provvedimento che concede gli arresti domiciliari, forse sarebbe stato opportuno valutare una lunga terapia in carcere o in ospedale. Del resto, quanti sono i malati gravi in Italia detenuti in carcere?". Tace invece, il sostituto procuratore Lucia Russo, che sostenne con grande determinazione l’accusa al processo. "Non intendo commentare questa decisione" ha risposto il sostituto procuratore. A lei era toccato il compito di ricostruire le storie violente di Natale Terzo e raccogliere le testimonianze dei bambini. Il processo, ovviamente aveva suscitato gravi tensioni. Una delle madri delle vittime, il giorno della sentenza, aveva dichiarato davanti alle telecamere: "Se esce di galera e me lo trovo di fronte, lo uccido con le mie mani". "Io non sono un mostro - aveva replicato invece Natale Terzo in una recente intervista - sono solo malato. Ho agito sempre in base a un impulso più forte di me. Ma non cerco di giustificarmi. So che ho fatto del male e che qualche genitore se potesse, mi ammazzerebbe. Lo capisco. Eppure so che se uscissi di galera, la prima cosa che farei è mettermi di nuovo alla ricerca di ragazzini. Mai costringendoli con la forza però, questo non l’ho mai fatto. Perché ad un pedofilo - aveva sottolineato - la forza serve fino a un certo punto. Un bambino te lo porti dietro anche con le caramelle. Oppure regalandogli biglietti per la giostra". Come fece lui, con un ragazzino, una delle sue tante vittime, di cui abusò già nel lontano 1971, quando Terzo aveva 26 anni. "Fu la mia prima volta...". Giustizia: Sappe scrive lettera di protesta a Mastella e Manconi
Comunicato Sappe, 3 aprile 2007
Il Sappe proclama lo stato d’agitazione della Polizia penitenziaria! Dura lettera di protesta al Ministro Mastella e al Sottosegretario delegato Manconi. "L’Amministrazione Penitenziaria calpesta clamorosamente le relazioni sindacali e delegittima il ruolo dei Sindacati! Tutto ciò è inaccettabile e il Sappe proclama da subito lo stato di agitazione del Personale di Polizia Penitenziaria e preannuncia fin d’ora l’intenzione di ricorrere a tutti gli strumenti consentiti, giudiziari, giurisdizionali, politici e di piazza per contrastare e contestare iniziative dell’Amministrazione Penitenziaria che violano addirittura la Costituzione della Repubblica". Durissima presa di posizione del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il più rappresentativo del Corpo con 12mila iscritti, alla decisione arbitraria dell’Amministrazione Penitenziaria di convocare oggi a Roma una fantomatica rappresentanza di Ispettori già Comandanti di Reparto, avvicendati in questi giorni nell’incarico dai appartenenti ai ruoli dei Funzionari del Corpo. "Questa del Capo del Dap Ferrara è una decisione gravissima ed abbiamo espresso in una nota al Ministro della Giustizia Clemente Mastella ed al Sottosegretario delegato Luigi Manconi una ferma e vibrante protesta per l’iniziativa assunta, fortemente lesiva dei diritti e delle prerogative delle OO.SS. rappresentative del personale." Spiega il Segretario Generale Sappe Donato Capece: "Come Organizzazione sindacale maggiormente rappresentativa del personale del corpo di polizia penitenziaria siamo i primi a ritenere che la problematica degli Ispettori già Comandanti di Reparto debba essere immediatamente valutata e risolta, ma da primi testimoni storici delle relazioni sindacali con il Dap non possiamo non dirci stupiti e sconvolti di fronte ad un’iniziativa totalmente irrispettosa delle corrette procedure delle relazioni sindacali e tale da surrettiziamente indurre alla delegittimazione delle organizzazioni sindacali. Siamo indignati poi per il fatto che i rapporti tra l’Amministrazione centrale e non meglio delineate rappresentanze "di categoria" (in questo caso gli Ispettori già Comandanti di reparto), sprovviste della minima legittimazione ad esprimersi in nome e per conto del personale del Corpo, ma portatrici di interessi propri ben individuati, .vengano resi noti "in anteprima" ad una minoritaria O.S. come quella che ne ha dato notizia in data 30 marzo u.s. È innegabile come anche tale circostanza appaia indicativa della scarsa considerazione del Dap per la corretta e trasparente applicazione delle procedure di confronto sindacale e sia esplicativa di ingiustificabili rapporti privilegiati tra quella O.S. e l’Amministrazione Penitenziaria (o parte di essa); impressione peraltro rafforzata dal fatto che, proprio in questi ultimi mesi, quella stessa O.S. ha diffuso più volte notizie ed informazioni in anticipo rispetto alle comunicazioni ufficiali del Dap. Di fronte a tali evenienze, ma soprattutto di fronte all’illegittimo tentativo di codesta Amministrazione di contrattare con illegittime rappresentanze del personale, dal quale consegue inevitabilmente una grave delegittimazione delle OO.SS. maggiormente rappresentative del personale, il Sappe preannuncia fin d’ora l’intenzione di ricorrere a tutti gli strumenti consentiti, giudiziari, giurisdizionali, politici e di piazza per contrastare e contestare iniziative di Codesta Amministrazione che violano addirittura la Costituzione della Repubblica." Il Sappe, che si riserva di intraprendere a breve ogni azione di autotutela, chiede al Ministro Mastella ed al Sottosegretario delegato Manconi "di intervenire nel merito, avendo cura di far conoscere gli sviluppi della vicenda e le ragioni per le quali una minoritaria O.S. ha potuto avere un accesso privilegiato ad informazioni riguardanti il personale". Veneto: la Regione taglia fondi per formazione dei detenuti
Gente Veneta, 3 aprile 2007
La Regione glissa. L’amaro succo è questo: pare ormai certo il taglio del finanziamento (350mila euro lo scorso anno) che da trent’anni veniva destinato ai corsi di formazione professionale in carcere. Ci si era accorti a dicembre mentre si formavano i capitoli del bilancio regionale, che i soldi per i corsi in carcere non erano più previsti. Le pressioni fatte nei giorni successivi da parte delle realtà del volontariato carcerario avevano portato a mozioni e promesse di reinserimento del finanziamento. Ma alle parole non hanno fatto seguito i fatti: i soldi non compaiono nei documenti che accompagnano il bilancio ormai approvato. E anche qualche vaga promessa di trovare nuovi rivoli, fatta dall’assessorato regionale alla Formazione professionale, sembra molto debole. La ricostruzione della vicenda e la denuncia dell’improvviso stop ai corsi viene dalla cooperativa Rio Terà dei Pensieri, che a Venezia da 12 anni promuove la formazione e il lavoro per i detenuti e le detenute. Dalla nascita della coop ad oggi i detenuti/e iscritti ai corsi professionali ammontano a 1.185 (nel 2006 sono stati 211), quelli che hanno terminato i corsi 690 (nel 2006 sono stati 105). I corsi di Rio Terà riguardano 11 specialità: editoria elettronica, serigrafia, pelletteria, orlatura tomaie, sartoria, falegnameria, calzoleria, orto, cosmetica, legatoria e oggettistica varia. Ma oggi, e per tutto il 2007, si affievoliscono le prospettive di continuare questa attività, che dà un senso alle giornate dei detenuti e almeno un po’ li aiuta a costruire un domani dignitoso. Per dar comunque vita a qualche iniziativa ci sono delle generose disponibilità, come quella della San Vincenzo veneziana e del Comitato per il Premio Giovanni XXIII. Ma senza i soldi pubblici sarà difficile mantenere il livello degli anni passati. Massa Carrara: nel lanificio del carcere al lavoro 15 detenuti
In Toscana, 3 aprile 2007
Calde e accoglienti coperte di lana merinos, soffici asciugamani in doppia spugna, morbidi tessuti dipinti con i colori della primavera… non è il campionario dei prodotti di qualche famosa industria tessile, ma il risultato dell’impegno di una quindicina di reclusi impiegati nel grande lanificio della Casa di Reclusione di Massa. Che il carcere oggi sia anche luogo di produzione è fatto risaputo. Meno conosciuta è la tipologia e la qualità dei manufatti che la popolazione detenuta confeziona ogni giorno nelle industrie di molti degli istituti penitenziari del nostro Paese. Un esempio per tutti è il lanificio della Casa di Reclusione di Massa, presso cui lavorano, dopo un adeguato periodo di apprendistato, quindici detenuti sotto la direzione e la supervisione di un consulente tessile civile e di un tecnico tessile dell’Amministrazione Penitenziaria. Entrando nel lanificio ci si trova davanti ad una vera e propria filiera di lavoro: dall’orditoio per la preparazione dei subbi di filato pronti per essere tessuti a sedici telai a nastro con i quali viene prodotto il tessuto greggio per la confezione delle lenzuola, dai telai Jacquard utilizzati per la produzione di coperte, a quelli per la realizzazione di federe e spugne. Ma non finisce qui. Il lavoro del lanificio è infatti implementato da un reparto di sartoria, nel quale i tessuti vengono ricamati e confezionati per poi essere destinati alla distribuzione. Il lavoro dei detenuti del lanificio dell’Istituto massese si allinea con quello delle modernissime macchine impiegate per la tessitura ed il ricamo. Un vero e proprio parco tecnologico per la produzione dell’industria tessile e che vanta tra i suoi gioielli anche il modernissimo telaio ad aria. Ma cos’è un telaio ad aria? E soprattutto quali sono le sue caratteristiche? Semplicissimo. Questo macchinario inserisce le trame dell’ordito per mezzo di ugelli che soffiano aria, e l’intero meccanismo è gestito tramite un computer che, in modo automatico, ottimizza il processo lavorativo del telaio che, grazie alle sue specifiche ed innovative caratteristiche tecniche, consente di dar luogo ad una produzione 4/5 volte maggiore rispetto ad un normale telaio a pinza. Mezzi tecnologici quindi che, insieme al lavoro dei detenuti, rispondono al fabbisogno di coperte, lenzuola, federe, coperte, copriletto e asciugamani sia per la popolazione detenuta, sia per il personale del Corpo di polizia Penitenziaria degli istituti italiani. Ma non solo. Il lanificio del carcere di Massa infatti confeziona prodotti tessili di altissima qualità destinati alla distribuzione sul mercato. Lenzuola, coperte in lana merinos, plaids in stile country, sets di asciugamani a nido d’ape e teli da mare con disegni Jacquard in doppia spugna. Tutti prodotti di altissima qualità, soffici e colorati e che testimoniano che un modo di ricominciare c’è, partendo dal lavoro, dal reinserimento sociale che passa da attività di gruppo, dalle responsabilità dei ruoli. Prodotti dell’industria tessile con forte valore sociale aggiunto, un valore in più che non incide sul "prezzo" e che non costa niente al consumatore ma che regala autostima alle persone che ogni giorno lavorano nel lanificio. Lodi: ex detenuti chiedono lavoro, casa e assistenza legale
Redattore Sociale, 3 aprile 2007
Le esigenze poste allo Sportello informativo promosso dall’Ufficio esecuzione penale esterna di Milano e Lodi. Su 174 utenti, 110 erano usciti con l’indulto. Lavoro, casa e assistenza legale: sono queste le richieste degli ex detenuti che si sono rivolti nel 2006 allo Spin, lo Sportello informativo promosso dall’Ufficio esecuzione penale esterna di Milano e Lodi e da nove tra enti e associazioni che si occupano di carcere. Allo Spin, situato a un centinaio di metri da San Vittore, storico carcere del centro di Milano, nei primi nove mesi di attività (il servizio è iniziato in via sperimentale a maggio; ndr) si sono presentate 174 persone: 110 erano usciti con l’indulto, 39 avevano scontato tutta la pena, 18 erano sottoposti a misure alternative, 2 erano fuori dall’istituto penitenziario per un permesso. Si sono rivolti allo sportello anche 10 erano familiari di detenuti e tre operatori di associazioni. "L’indulto è stato il nostro battesimo del fuoco - afferma Anna Muschitiello, responsabile dello Sportello -. Ci siamo ritrovati ad agosto a fare anche quindici colloqui al giorno". "Gli otto addetti presenti tre giorni alla settimana facevano un colloquio con il detenuto e poi lo indirizzavano ad una delle associazioni che hanno promosso lo sportello -racconta Andrea Serpi, coordinatore esecutivo dello Spin-. Ciascuna di loro in questi anni ha sviluppato buoni servizi su temi specifici e noi abbiamo nella maggior parte dei casi solo la funzione di valutare le reali esigenze delle persone e mandarle all’associazione giusta". Lo sportello è stato promosso da cooperativa A&I, Agesol, Asl Città di Milano, Bambini senza sbarre, Cad, Caritas Ambrosiana, City Angels Lombardia, Nova Spes, Sesta Opera San Fedele. Gli ex detenuti che si sono rivolti allo Spin avevano spesso più di una richiesta. Il 46% aveva bisogno di un lavoro, il 31% di una casa, il 23% di assistenza legale, il 16% si trovava in una situazione di emergenza (per esempio un posto letto per la notte), il 5% cure mediche e il 3% problemi familiari come separazione o rapporti difficili con i figli. "La maggior parte aveva meno di cinquant’anni, era maschio ed italiano - aggiunge Andrea Serpi-. Non siamo riusciti ad intercettare gli stranieri, nonostante nella carceri siano ormai tanti: cercheremo nei prossimi anni di arrivare anche a loro". Trovare un lavoro e una casa non è facile per nessuno, figurarsi per un ex carcerato. "Capita che si presentino e vogliano subito una soluzione ai loro problemi -racconta Beppe Guzzeloni, uno degli operatori dello Spin-. Il colloquio serve anche per aiutare l’ex detenuto ha capire cosa deve fare per risolverli senza aspettarsi miracoli. Per esempio un uomo che ha più di cinquant’anni, in parte passati in galera, ha ben poche possibilità di inserirsi nel mondo lavorativo. Esistono però le cooperative sociali, alle quali lo inviamo e con le quali potrà pian piano ricostruirsi una vita". La Spezia: visita di Rc; meno detenuti e più privacy in cella
Secolo XIX, 3 aprile 2007
Drastica riduzione del numero dei detenuti, nuove celle più moderne e spaziose che garantiscono la privacy e un clima sereno compatibilmente con la struttura carceraria. È questa la situazione che ha trovato ieri nel carcere di Villa Andreino una delegazione di Rifondazione comunista guidata dall’on. Sergio Oliveri e composta dalla senatrice Heidi Giuliani, da Giorgio Barisone, responsabile regionale dei problemi carcerari per Rc, e dall’avvocato Donatella Sica. Una visita non annunciata, che fa seguito a quella di un anno fa. "Rispetto ad allora il numero dei detenuti si è ridotto da oltre 150 agli attuali 50 - spiega Olivieri - e cioè avvenuto per due motivi: da un lato è l’effetto dell’indulto, ma dall’altro è dovuto ai lavori di ristrutturazione ed ampliamento del carcere che sono attualmente in corso per cui i nuovi detenuti vengono dirottati altrove". La delegazione ha potuto visitare alcune delle nuove celle, che ospitano la maggior parte dei detenuti, dove è stato realizzato un piccolo vano separato per doccia e wc. "Auspico che i lavori finiscano in fretta - commenta Olivieri - e che la struttura moderna ed efficiente venga resa funzionante al più presto per spostare l’accento dall’espiazione della pena al recupero dei detenuti". Olivieri sottolinea anche il rapporto positivo che si è istaurato tra la struttura carceraria, diretta da Maria Cristina Bigi, e gli enti locali. Genova: su Marassi il Sappe chiede l'intervento di Napolitano
Comunicato Sappe, 3 aprile 2007
"L’Amministrazione Penitenziaria ha dato seguito alla nostra dura protesta del 25 marzo scorso, con cui abbiamo rappresentato l’emergenza che caratterizza gli organici di Polizia Penitenziaria della Casa Circondariale di Genova Marassi e chiedemmo al Ministro della Giustizia Mastella di disporre un’ispezione ministeriale sull’argomento. Oggi è arrivato un nuovo provvedimento di trasferimento temporaneo per una unità da destinare a Roma, alla sorveglianza varchi del Palazzo di Giustizia. Ci sentiamo letteralmente presi in giro e a questo punto ci rivolgiamo direttamente alla sensibilità del Capo dello Stato Giorgio Napolitano perché, come servitori dello Stato, non possiamo sopportare oltre questi paradossi". Lo denuncia Donato Capece, segretario generale del Sindacato autonomo di Polizia Penitenziaria Sappe, che a Marassi conta più di 300 iscritti. "Sembra davvero una barzelletta se non fosse una sconsolante e drammatica realtà. Da anni denunciamo la grave situazione della Polizia Penitenziaria di Marassi, che è sotto organico di più di 100 agenti. E dal Ministero, anziché provvedere a inviare rinforzi, arrivano provvedimenti beffa di trasferimento temporaneo di alcuni dei pochi agenti rimasti per potenziare (!) presidi del Centro-Sud Italia. Come, ad esempio, i varchi d’accesso del Palazzo di Giustizia di Roma, la squadra di calcio dell’Astrea, l’Istituto per minorenni di Firenze o addirittura il Gruppo Operativo Mobile, che dovrebbe rappresentare l’èlite del Corpo ma a cui continuano ad essere aggregate unità di Polizia Penitenziaria senza alcuna esperienza professionale, scelte non si sa in base a quali criteri, visto che da anni non viene fatto nessun interpello trasparente per l’assegnazione del Personale. E al danno si aggiunge la beffa, visto che i destinatari di questi provvedimenti sono quasi sempre persone con pochi anni di servizio, mentre colleghi più anziani e con gravi problemi familiari non riescono ad ottenere un provvedimento di distacco temporaneo o un trasferimento in altre sedi penitenziarie, fattispecie per altro previste dal nostro Contratto di lavoro. Noi non intendiamo affatto contestare i distacchi per art. 7 del Contratto (assegnazioni temporanee per gravissimi motivi di carattere familiare), per legge 104/92 (assistenza familiari disabili) e/o per mandato elettorale, ma deve però essere altrettanto chiaro che deve essere concessa un’alternanza tra il personale, perché abbiamo colleghi con gravi situazioni familiari che non possono accedere neanche temporaneamente alla mobilità di sede". Il Sappe si appella dunque "all’autorevolezza e sensibilità del Presidente della Repubblica Napolitano affinché intervenga sulle gravi carenze di organico del Personale di Polizia Penitenziaria del carcere di Marassi e chieda conto dell’elevato numero di distacchi disposti dall’Amministrazione Penitenziaria ad unità di personale inviate a prestare servizio presso le sedi più disparate e tutti comunque disposti al di fuori dei criteri di mobilità temporanea previsti contrattualmente e/o normativamente". Informazione: Radio Carcere domani esce con "Il Riformista"
Comunicato stampa, 3 aprile 2007
Radio Carcere, rubrica di informazione su giustizia penale e detenzione di Riccardo Arena, oltre ad essere una rubrica radiofonica su Radio Radicale (il martedì alle 21) è diventata anche una pagina settimanale su Il Riformista (ogni Mercoledì). Nella prossima pagina di Radio Carcere su Il Riformista, in edicola mercoledì 4 aprile, si affronta la realtà, o parte di essa, della Magistratura di Sorveglianza. Nella prossima pagina di Radio Carcere: Il racconto di Andrea, ex detenuto ora in misura alternativa. Le difficoltà e i ritardi che ha dovuto affrontare; due editoriali, di due magistrati di Sorveglianza, quello scritto dal dott. Alberto Marcheselli e dal dott. Giulio Romano. In particolare il Dott. Marcheselli si sofferma sulla questione dell’accesso alle misure alternative al carcere da parte dei soggetti detenuti. Ed evidenzia, tra le altre cose, la necessità che l’istruttoria ad esse dedicata sia più tempestiva e dettagliata. Il Dott. Romano si sofferma invece sulla necessità di migliorare i controlli dopo la concessione della misura ed auspica una riforma nel senso di mettere a disposizione del magistrato della sorveglianza una sua polizia giudiziaria specializzata. Sul sito www.radiocarcere.com si possono poi votare i candidati della settimana al premio La Pantegana d’oro. I candidati sono: Il Presidente del Tar di Roma che si è pronunciato in merito al ricorso del dott. Carbone, evitando di astenersi. Entrambi, amichevolmente, siedono nella Commissione tributaria centrale. Forse la scelta del Primo presidente della Cassazione richiederebbe maggiori cautele. Marco Tronchetti Provera, per il quale la massima di esperienza ambrosiana: "Non poteva non sapere" proprio non vale. Non ditelo al Cavaliere. Francesco La Licata, simpatico giornalista de La Stampa, che giovedì 29 marzo ha ricordato i nomi di: De Filippo, Orlando, Sansa e Luongo, per difendere la bontà delle indagine di H.J. Woodcock. Strano però che il Pm anglo-napoletano aveva chiesto l’arresto per tutti e quattro. Ancora più strano che tutti e quattro sono stati assolti. Ma! Tipico esempio di difesa suicida. (da domani vota il vincitore su www.radiocarcere.com) Cosenza: dal Comune un Protocollo a garanzia dei detenuti
Quotidiano di Calabria, 3 aprile 2007
L’Amministrazione comunale di Cosenza ha firmato un protocollo d’intesa, il "Progetto C.I.E.Lo.", con il Ministero di Grazia e Giustizia-Ufficio di Esecuzione Penale Esterna di Cosenza e la Casa Circondariale "Sergio Cosmai". Il progetto, Convenzioni Integrate Enti Locali, ha lo scopo di promuovere azioni di sensibilizzazione della comunità locale rispetto al sostegno e al reinserimento di persone in esecuzione penale; di promuovere la conoscenza e lo sviluppo di attività riparative a favore della collettività; di favorire la costituzione di una rete di risorse che accolgano i soggetti in misura alternativa che abbiano aderito ad un progetto riparativo; di avviare una collaborazione per la risoluzione delle problematiche inerenti lo specifico settore dei detenuti, internati, ex-detenuti, condannati in esecuzione penale esterna, al fine di assicurare e/o promuovere il reinserimento sociale, lavorativo dei soggetti e dei loro familiari. Insieme all’UEPE, il Comune si è impegnato ad attivare uno sportello informativo sulle problematiche dei soggetti in esecuzione penale, sia di natura socio-assistenziale, sia, più in generale, su problematiche riguardanti la giustizia. "Con il protocollo d’intesa - hanno commentato gi Assessori Giovanni De Rose, con delega alla sicurezza, legalità e diritti dei cittadini, e Alessandra La Valle, con delega al Welfare - si costituisce un organismo che avrà, nella sostanza, i compiti propri della figura del garante dei detenuti. L’intervento del Comune, tra l’altro, consentirà di ottenere questo risultato praticamente a costo zero, visto che i soggetti saranno individuati tra i funzionari dell’Amministrazione Comunale di Cosenza. Concepito in tal modo - hanno concluso gli assessori De Rose e Lavalle - il Progetto C.I.E.LO. potrà avere accesso a finanziamenti nazionali e comunitari". Roma: stasera i detenuti vanno in scena al Teatro Parioli
Comunicato stampa, 3 aprile 2007
Stasera, alle ore 21, il teatro Parioli ospita la storica Compagnia "Stabile Assai" della casa di reclusione di Roma Rebibbia, che presenta lo spettacolo "Tutti i colori della notte". Lo spettacolo era già stato presentato al teatro Parioli il 6 gennaio scorso, mentre un’anteprima era stata presentata il 2 agosto, nello spazio teatrale del carcere, cui aveva assistito il ministro della Giustizia Clemente Mastella, all’indomani della lunga notte che aveva preceduto l’entrata in vigore dell’indulto. Lo spettacolo "Tutti i colori della notte" è dedicato alle suggestioni evocate dalla notte, una notte in cui si liberano voci che parlano della vita, dell’attesa, dell’amore, del tradimento e dell’attesa. I temi dello spettacolo sono dunque le paure, le ansie, le attese, le speranze, emozioni poste al centro di un itinerario emotivo che si snoda attraverso testi poetici, monologhi e brani musicali. I luoghi della memoria sono quelli della storia, dell’amore, della follia, della diversità. Tutte le citazioni sono accompagnate da una colonna sonora, da cui emergono alcuni brani inediti della compagnia. Hanno contribuito alla stesura del testo il Direttore della Casa di Reclusione di Rebibbia Stefano Ricca, il responsabile delle attività teatrali dell’Istituto, l’Educatore Antonio Turco e la psicologa Sandra Vitolo, con il sostegno dell’intera area trattamentale e della Polizia Penitenziaria. La regia è di Antonio Lauritano. La lunga storia della Compagnia risale agli inizi del 1982, anno in cui venne fondato il Teatro Gruppo, la prima forma organizzata di laboratorio teatrale promossa all’interno degli Istituti di pena italiani. Napoli: oggi al carcere militare la "Passione" di Cristo
Il Mattino, 3 aprile 2007
Martedì Santo, 3 aprile 2007, nell’ambito delle attività trattamentali rivolte al personale recluso nel Carcere Militare, sarà rappresentata la drammatizzazione della Passione di Nostro Signore Gesù. La sacra rappresentazione, organizzata dal laboratorio teatrale del Carcere Militare che fa capo al Cappellano, Fra Giuseppe Palesano ed alle specialiste del Nucleo di Osservazione Scientifica della personalità (Dr.ssa Elisa Bosco, Dr.ssa Augusta Taddeo, coordinate dal Comandante del Carcere), vedrà tra gli interpreti molti detenuti ed alcuni caporali vigilatori e vigilatrici. Anche questa manifestazione sta diventando un "classico" (come il Presepe vivente) presso il Carcere Militare. È l’ennesima dimostrazione di come si riesca a con-vivere e con-dividere le esperienze (di carcerazione da parte dei reclusi, di controllo e custodia da parte del personale quadro del Carcere Militare), in sintonia ed in simbiosi, in un unico disegno d’intenti: recuperare e risocializzare. Accolte dai "padroni di casa": Vice Comandante della Organizzazione Penitenziaria Militare (Col. Francesco Ruggiero) e dal Comandante del Carcere (Ten. Col. Antonio del Monaco) sono previste molte presenze: associazioni d’arma e volontariato, personalità cittadine e provinciali, autorità civili e militari (sarebbe prevista, qualora gli impegni istituzionali glielo consentiranno, anche la presenza del Presidente del Consiglio Regionale della Campania, On. Sandra Lonardo Mastella). Sarà un momento di riflessione nel periodo più "forte" della fede cattolica per meditare sul mistero della sofferenza del Dio fatto uomo nel Mistero della Sua Morte e resurrezione di salvezza degli uomini, di tutti gli uomini. Nelle riflessioni che accompagneranno la rappresentazione (che si snoderà dal Cenacolo, all’Orto del Getsemani, alla Via Crucis fino a giungere al Golgota) si è fatto cenno al Cristo arrestato, carcerato, condannato e giustiziato, ma che risorge per liberare l’uomo dalle tante "carcerazioni" che lo attanagliano nell’esistenza (materialismo, malattie, sofferenze, alcool, droga, passioni edonistiche, egoismi, ecc.). È una grande occasione di penitenza e di riscoperta dei valori più puri della fede, della cultura della legalità e del sapere stare insieme, nonostante le divisioni e nonostante le circostanze. L’attività, come accennato, s’inserisce nell’ottica globale delle attività trattamentali e di reinserimento sociale che vengono svolte a favore dei detenuti ed al fine di concepire la restrizione come "iter di rieducazione e rivalutazione dei vissuti personali". Droghe: la cocaina aumenta di cinque volte il rischio di ictus
Corriere della Sera, 3 aprile 2007
L’uso di sostanze psicostimolanti, come cocaina o anfetamine può aumentare molto il rischio di ictus. Lo indica uno studio pubblicato sul numero di Aprile della rivista medica americana Archives of General Psychiatry. "I dati accumulati negli ultimi vent’anni danno sostegno al legame tra l’abuso di sostanze psicostimolanti e ictus nei giovani" scrivono gli autori dell’articolo. Cocaina, anfetamine e altri stimolanti possono aumentare il rischio di ictus incrementando la pressione arteriosa e favorendo il restringimento del vasi sanguigni per lo spasmo delle loro pareti. Lo studio - Arthur N. Westover, dell’University of Texas Medical Center di Dallas e suoi collaboratori hanno esaminato un archivio di 3.148.165 schede di dimissione da ospedali texani tra il 2000 e il 2003 per verificare se fosse possibile stabilire effettivamente un’associazione tra abuso di droghe e ictus. Nel periodo considerato i ricercatori hanno riscontrato 8.369 ictus. Nello stesso arco di tempo l’abuso di cocaina è stato secondo solo a quello di alcol, con le anfetamine, al quinto posto di questa "classifica", che hanno fatto segnare un aumento significativo così come gli oppiodi e la cannabis. Diversi tipi di ictus - Per l’anno 2003 i codici di dimissione ospedaliera hanno consentito di distinguere i casi di ictus emorragico e ischemico (nel primo caso i vasi sanguigni del cervello si rompono e il sangue allaga il tessuto nervoso, nel secondo i vasi si occludono e il sangue non arriva più ad alcune parti del cervello). La distinzione ha permesso ai ricercatori di stabilire che l’abuso di anfetamine e cocaina ha aumentato di cinque volte il rischio di ictus emorragico e che l’abuso di cocaina ha raddoppiato il rischio di ictus sia ischemico che emorragico. Significato - "Le implicazioni di questo risultato a livello di salute pubblica e di politiche sociali sono molto importanti" hanno sottolineato gli autori della ricerca, "Soprattutto in ragione della sempre maggiore diffusione di droghe amfetamino-simili". "Questo studio conferma per la prima volta in termini epidemiologici, e con numeri importanti, quello che sospettavamo in termini fisiopatologici" commenta il professor Silvio Garattini, direttore dell’Istituto Mario Negri, di Milano. "Sapevamo infatti che la cocaina causa problemi ai vasi e al cuore. Era noto il suo effetto in termini di tachicardia e ipertensione. Il riscontro di un aumentato rischio, in particolare di ictus emorragico, è assolutamente coerente con quanto già sapevamo, sia per la cocaina che per le anfetamine". Preoccupazione per il futuro - "Ma la preoccupazione maggiore riguarda il futuro. Infatti questi dati, anche se solo di pochi anni fa, si riferiscono a un periodo in cui la diffusione di queste droghe, ma soprattutto di cocaina, erano molto inferiori a quella di oggi. Il problema è che oggi la cocaina non è più la "droga dei ricchi", ma ha una diffusione capillare nella società, a tutti i livelli. Non solo: il consumo di cocaina è visto come qualcosa di giustificabile, dato "lo stress della vita moderna", quando non addirittura percepito come uno "status symbol" qualcosa che conferisce un certo senso di appartenenza culturale e sociale". "I dati di questo studio" conclude l’esperto, "purtroppo corroborano la forte preoccupazione che la sempre maggiore diffusione dell’suo di questa droga, ma anche delle altre droghe amfetamino-simili, come l’ecstasy, possa comportare problemi davvero notevoli in termini di patologie gravi nella popolazione. È certamente l’ora che si avviino serie strategie a livello medico, scolastico e politico per arginare il problema".
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