Rassegna stampa 25 settembre

 

Imperia: un detenuto rumeno di 32 anni trovato impiccato

 

Ansa, 25 settembre 2006

 

Marius Landau Dacian, 30 anni, il detenuto del carcere di Imperia che ieri sera si è impiccato nella propria cella (in isolamento) utilizzando alcuni brandelli di lenzuolo appesi alla grata della cella, non presentava apparenti segni violenza o percosse. Nel confermare che, almeno per il momento, tutti gli elementi convergono verso l’ipotesi del suicidio, il sostituto procuratore di Imperia, Filippo Maffeo, non ha escluso la possibilità di disporre, tra breve, l’autopsia sulla salma del detenuto, per chiarire la dinamica del gesto.

Stando alle prime risultanze investigative, il giovane, recluso a Imperia da pochi giorni su ordine dell’autorità giudiziaria savonese con l’accusa di sfruttamento della prostituzione, non avrebbe lasciato alcun messaggio per annunciare le proprie volontà. Tra l’altro, non avrebbe mai mostrato segni di sofferenza dovuti alla vita carceraria, volontà suicide o sintomi di depressione. Così come gli altri detenuti, anche Marius era stato sottoposto a una forma periodica di controllo per la quale non si sarebbero registrate violazioni.

Giustizia: dopo l’indulto l’Unione riparte dal vertice del Dap

di Patrizio Gonnella (Presidente Associazione Antigone)

 

Il Manifesto, 25 settembre 2006

 

Finalmente una buona notizia. Le carceri non sono sovraffollate: i detenuti sono circa 38 mila, qualche migliaio in meno rispetto alla capienza regolamentare. Non capitava dal 1992. C’è qualche chance, oggi, per chi entra in galera di vedere rispettati i propri diritti umani. È giunta l’occasione per programmare politiche penali e penitenziarie che non riproducano la drammatica situazione pre-indulto.

L’intervista di ieri sul manifesto di Luigi Manconi segna una discontinuità rispetto al passato. Se ne doglierà Marco Travaglio. Vanno abrogate la ex Cirielli sulla recidiva, la Fini-Giovanardi sulle droghe, la Bossi-Fini. Giuliano Pisapia è stato incaricato di riscrivere il codice penale. Ci sono tutte le premesse per una riforma nel segno della minimizzazione dei reati e delle pene.

Ci aspettiamo che vi sia una anticipazione sui tempi di lavoro. L’amministrazione penitenziaria, nel frattempo, ha una occasione storica: mettere mano a tutto il sistema, applicare finalmente le leggi dimenticate (sanità, lavoro, regolamento sugli standard di vita interni), restituire senso al trattamento penitenziario, assicurare il rispetto dei diritti e una condizione di detenzione conforme alle norme interne e internazionali.

Ma un obiettivo di tale portata non può essere lasciato nelle mani di chi è stato nominato dall’ex ministro Castelli per non governare il sistema penitenziario e lasciarlo decadere nell’oblio, di chi non ha fiatato quando le carceri venivano definite provocatoriamente dal ministro leghista "hotel a 5 stelle", di chi non ha fatto nulla di nulla per ripristinare la legalità penitenziaria, di chi ha creato organismi oscuri di intelligence carceraria, di chi infine ha definito noi di Antigone contigui agli anarco-insurrezionalisti e quindi pericolosi per la sicurezza.

Giovanni Tinebra tra qualche settimana dovrebbe tornare a fare il procuratore. Non può dunque essere lui il capo del Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria (Dap) dell’Unione al governo ma non può neanche esserlo chi ha condiviso le sue politiche. In questi mesi sono circolati nomi diversi, si parla di ritorni illustri, di illustri sconosciuti, di persone da sistemare.

Il metodo non può essere questo. Con l’unica eccezione di Alessandro Margara, nominato da Flick nel ‘97, i capi del Dap sono stati di due categorie: magistrati a cui bisognava trovare una collocazione e magistrati amici mai interessatisi alla questione penitenziaria. E i risultati si sono visti. Le carceri sono fuorilegge e nessuno si è preoccupato di applicare le norme, come se l’illegalità fosse funzionale alla sicurezza. Oggi l’indulto offre un’occasione storica che non va vanificata. Nominare la persona sbagliata significa gettarla via, dando argomenti forti a chi ha contrastato il provvedimento di clemenza.

Non abbiamo bisogno di un capo del Dap che tolleri a fatica l’articolo 27 della Costituzione secondo cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato e non deve consistere in trattamenti contrari al senso di umanità. Non abbiamo bisogno di un capo del Dap che sia per forza magistrato. Qualunque sia la sua provenienza - giudice, procuratore, manager, professore, funzionario, esperto - deve usare la Costituzione e le leggi come il vangelo, deve avere uno staff che non remi contro, deve essere capace di governare un’organizzazione complessa come non poche. La legislatura berlusconiana si è aperta con i fatti di Genova e con le violenze tollerate (dai capi) dei poliziotti penitenziari a Bolzaneto. Speriamo che in questa legislatura cose del genere non accadano. Speriamo che la tortura divenga reato e chi da anni lotta per contrastarla non sia considerato un nemico. La teoria delle mele marce è una teoria auto-assolutoria. Una mela diventa marcia quando qualcuno l’ha fatta maturare troppo.

Giustizia: intervista a Manconi; indulto, allarmi ingiustificati

 

Il Manifesto, 25 settembre 2006

 

Sottosegretario Manconi, inizierei con una provocazione. Dopo l’indulto l’emergenza carcere può dirsi finita?

Nell’immediato e per un breve periodo si è molto ridotta. Perché quell’emergenza non era dovuta semplicemente alla sofferenza dei detenuti per il sovraffollamento. Un carcere sovraffollato significa un’assistenza sanitaria gravemente deficitaria, le possibilità di lavoro, formazione, istruzione e trattamento ridotte al lumicino, condizioni igieniche spesso spaventose e in generale condizioni di vita difficilissime per tutto il personale che opera negli istituti. Il sovraffollamento però rendeva impossibile qualunque progetto di riforma del sistema penitenziario e della giustizia nel suo insieme: per questo l’indulto era ineludibile e indifferibile. Con le carceri finalmente più agibili, per esempio, intendo promuovere una commissione sull’applicazione del regolamento penitenziario, ovvero come è stato realizzata, o meglio, disattesa la riforma del 2000.

 

Sui giornali però è scattata subito l’emergenza sicurezza. È un dato reale?

I mezzi di informazione pressoché all’unanimità hanno descritto il mese di agosto come un periodo ad altissima densità criminale. È completamente falso. Il numero degli arrestati è inferiore a quello dello scorso anno. E la recidiva dei beneficiari di indulto è pari all’1,8%. È certamente destinata ad aumentare ma non va dimenticato che il tasso "fisiologico" supera ordinariamente il 70%. L’"emergenza sicurezza", se esiste, non si deve di certo all’indulto. I media invece fin dall’inizio hanno galvanizzato e mobilitato i sentimenti di allarme presenti nell’opinione pubblica. Scrivere che Pietro Maso beneficerà dell’indulto senza dire che uscirà nel 2015 e non nel 2018 fa di certo notizia ma è estremamente poco serio.

 

Perché è accaduto?

Abbiamo assistito a un caso straordinario di conformismo. Con la sola eccezione di Liberazione e di qualche organo di stampa cattolico tutti si sono adeguati a un’idea della pena e del carcere sostanzialmente reazionaria. La questione era elementare: su un piatto della bilancia c’erano 15mila "poveri cristi", sull’altro qualche decina di corruttori e malversatori. Bisognava scegliere: non si potevano salvare i 15mila senza salvare anche gli altri. Una parte molto significativa della sinistra ha deciso che non voleva farlo e preferiva affondare entrambi, così quello che è stato un atto politico "di sinistra" come pochi altri nella recente storia d’Italia è stato rifiutato, malamente sopportato o, nel migliore dei casi, subito. Si è persa insomma una grande occasione per riflettere tutti sul senso della pena.

 

Quali sono le leggi più urgenti da riformare per non ritrovarci daccapo?

Nel programma ci sono almeno quattro punti precisi che sarebbero già una mano santa: il superamento della legge Cirielli, che è una legge liberticida che va respinta innanzitutto sul versante della recidiva. La Bossi-Fini, che nel 2005 ha portato in carcere 11mila stranieri solo per violazione delle norme sull’ingresso e sul soggiorno. Una violazione che in origine è un puro illecito amministrativo e non un reato. E poi va ripensata la legge sulle droghe perché è del tutto irrazionale. In pochi mesi alcune migliaia di persone trovate con una quantità di stupefacenti "ritenuta" eccedente le tabelle sono rimaste in carcere mediamente 15 giorni perché il magistrato non conferma l’arresto. Quelle due settimane di galera sono un puro intasamento delle carceri, un’afflizione immotivata e non convalidata dalla magistratura. Infine c’è la grande questione della depenalizzazione e decarcerizzazione. Dalla "commissione Pisapia" ci attendiamo che riduca le fattispecie penali in generale e soprattutto che proponga la cella come un’extrema ratio riservata alle persone socialmente più pericolose.

 

Questa maggioranza le sembra in grado di portare avanti un programma del genere?

Ci sono certamente componenti di tipo autoritario che hanno difficoltà ad accogliere queste idee ma credo che gran parte dei parlamentari le condivida. Sull’indulto del resto ci sono stati molti dissensi anche nel Pdci e nell’Italia dei valori.

 

Mediaset intende girare un "reality" in carcere. Che ne pensa?

La mia personale posizione è che sono contrario. In una recente interpellanza lei ha confermato l’esistenza di un anomalo sistema di "acquisizione e trattamento di informazioni" in carcere da parte di strutture del Dap.

 

In un’interpellanza parlamentare si era riservato ulteriori approfondimenti. Sono stati compiuti?

È una questione molto complessa. Posso dire che sono ancora in corso.

 

Non crede che senza un cambiamento al vertice del Dap è difficile portare avanti le riforme che intendete promuovere?

L’attuale capo del dipartimento è già stato designato dal Csm ad altro incarico. Un cambiamento dunque ci sarà e dovrà essere scelta una personalità davvero capace di scelte innovative.

 

È ipotizzabile una riorganizzazione del Dap, diventato nel corso degli anni una struttura elefantiaca e iper-centralizzata?

Se ne parla da più parti. Alcuni sindacati l’hanno anche sollecitata. Io penso che vada attentamente studiato un progetto di riforma complessiva anche decentralizzando alcune sue funzioni.

Giustizia: Storace; nessun indulto per i mandanti politici

 

Apcom, 25 settembre 2006

 

"Bonelli ha ragione. Per le intercettazioni illegali, per tutte le intercettazioni illegali, vanno scoperti i mandanti. E se sono politici, non può esserci indulto che tenga: non ci deve essere nessuna clemenza per chi deve rappresentare il popolo. Né per le intercettazioni, né per qualsiasi tipo di reato". Lo dichiara il senatore di An Francesco Storace. "Se c’è la volontà politica basta aggiungere una riga al decreto: l’indulto non si applica ai membri del Parlamento. Per chi spia, per chi ruba, per chi gioca in borsa - conclude - per chiunque".

Giustizia: Montezemolo; l’indulto è una legge orribile

 

Apcom, 25 settembre 2006

 

"L’unico vero accordo che maggioranza e opposizione sono riuscite a prendere in questi mesi è stato per una cosa che, come cittadino, ho trovato orribile: l’indulto": lo ha detto il presidente della Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo, durante la relazione che ha tenuto stamattina ad una conferenza della Confindustria che si è svolta a Imperia.

Napoli: lettera cardinal Sepe ai detenuti di Secondigliano

 

Il Mattino, 25 settembre 2006

 

Libertà interiore come il valore supremo da ricercare, per un cambiamento profondo che spinga chi uscirà un giorno dal carcere ad integrarsi nella società e a non ricadere negli errori fin qui commessi. È il messaggio che il cardinale Crescenzio Sepe consegna ai detenuti ospiti della casa penitenziaria di Secondigliano, insieme a tante parole di conforto e di incoraggiamento che l’arcivescovo profonde tra strette di mano e lunghi abbracci non privi di commozione, a margine della messa celebrata in palestra e nella visita agli ammalati.

"Abbiate il coraggio di rompere le catene del male - dice il porporato - non ci può essere liberazione fisica se prima non c’è quella interiore". Strategici, in questo senso, sono i percorsi di formazione e di studio nel carcere che possano un giorno assicurare un futuro più dignitoso agli ex detenuti. Punto dolente, visto che non sempre a questi percorsi si associano reali opportunità occupazionali. Tant’è che uno dei reclusi, vestito da ministrante, lo sottolinea nel saluto al termine della messa. E non a caso la direttrice del carcere, Laura Passaretti, sottolinea questa necessità commentando l’applicazione dell’indulto che ha riguardato 700 reclusi a Secondigliano.

Di qui il nuovo appello del cardinale Sepe, già lanciato da Poggioreale, perché le istituzioni intessano una rete capace di offrire concrete opportunità e perché gli imprenditori tendano una mano. Una richiesta che finora sembra cadere nel vuoto: lo lascia intendere chiaramente il segretario regionale Uil Anna Rea. "La formazione c’è. In verità il passaggio successivo sembra essere quello più complicato. Non mi pare che molte aziende si siano attivate in tal senso.

D’altro canto, in occasione del primo maggio a Scampia fu annunciato l’inserimento nel mondo lavorativo, dopo una fase di formazione, di 20 giovani del quartiere. Poi non è successo nulla". Dal canto loro, gli imprenditori si difendono e il presidente dell’Unione industriali Gianni Lettieri sottolinea: "Noi abbiamo aderito all’appello del cardinale. Per questo gli ho già scritto una lettera. Ieri avevo un impegno in Confindustria, perciò non ero a Secondigliano, però abbiamo già fissato un incontro con l’arcivescovo proprio per parlare di questi problemi. E non dimentichiamo: sul fronte sociale siamo particolarmente sensibili, con il progetto Quadrifoglio, per la formazione e l’inserimento dedicato alle fasce sociali medio-basse".

Padova: il Sindaco; muro antispaccio di Via Anelli sarà abbattuto

 

La Repubblica, 25 settembre 2006

 

L’annuncio del sindaco diessino Flavio Zanonato con una lettera al "Mattino" ("Abbatteremo il muro della discordia. Lo prometto") a Padova non è servito a placare gli animi. Cariche della polizia, fermi, lacrimogeni, agenti e manifestanti contusi: in serata è finita così, tra sirene di ambulanze e volteggio di elicotteri, il corteo di protesta organizzato dai centri sociali del Nordest contro il muro anti-spaccio di via Anelli, la strada diventata simbolo del ghetto padovano.

Una manifestazione preceduta dai tam tam bellicosi del movimento No Global, sostenuto nell’occasione dai Verdi, che promettevano di "assaltare il muro della vergogna", accusando la giunta unionista del sindaco Zanonato di perseguire una "strategia autoritaria e razzista". Un clima molto pesante che ha indotto la giunta patavina a fare dietrofront. Ieri la tensione nell’aria aveva indotto il questore Alessandro Marangoni a proibire lo svolgimento della manifestazione in prossimità del muro e nell’area delle palazzine multietniche, confinando i disobbedienti nell’adiacente via Grassi. Una decisione che ha infiammato ancor più gli animi -.

"L’Ulivo e la polizia hanno trasformato un quartiere di migranti in un Cpt", ha tuonato il portavoce del centro sociale Pedro, Max Gallob, invitando alla mobilitazione dai microfoni di radio Sherwood - inducendo il prefetto Paolo Padoin a rafforzare le misure di sicurezza intorno alla zona, chiusa al traffico per tutto il pomeriggio. Cinquecento giovani No Global, un migliaio di immigrati defilati e divisi in gruppetti. Sul palco, musica ribelle: la band di culto Assalti Frontali e gli East Rodeo. Forfait, all’ultimo istante, dell’attesissimo rapper Caparezza che si è limitato a inviare un messaggio di sostegno.

Tutt’intorno, un robusto cordone di poliziotti e carabinieri in assetto anti-sommossa. Slogan, striscioni, canzoni a tutto volume, centinaia di curiosi assiepati dietro le transenne. Tutto è filato liscio per un paio d’ore, fino alle 17. Poi, la prima scintilla. Il rappresentante del comitato dei residenti di zona, Paolo Manfrin, vicino allo Sdi e dichiaratamente favorevole all’estensione del famigerato muro all’intero rione, è stato affrontato a muso duro da Gallob: parole grosse, spintoni, calci e pugni. Ad avere la peggio l’esponente socialista, malmenato tra gli applausi dei manifestanti e, infine, tratto in salvo dai poliziotti.

Guidati da Luca Casarini, i disobbedienti, caschi da moto e aste di bandiera, hanno improvvisamente sfoderato una "testuggine" metallica decisi a sfondare la "zona rossa" e a raggiungere il muro. Immediata la replica delle forze dell’ordine che hanno caricato con decisione alternando le manganellate al lancio di lacrimogeni, mentre dal comando dell’Arma si alzava in volo un elicottero. Tra i due fronti il contatto è stato breve ma violento: i No Global hanno risposto alla carica esplodendo petardi e bengala contro gli agenti, quindi - dopo un corpo a corpo che ha costretto alle cure ospedaliere due celerini e quattro ragazzi - sono ripiegati verso l’incrocio stradale della Stanga, il più trafficato di Padova, dove la circolazione è rimasta completamente bloccata fino a notte.

Genova: Sappe; poliziotto aggredito, appello al ministro

 

Comunicato stampa, 25 settembre 2006

 

Ieri un poliziotto penitenziario in servizio nella Casa Circondariale di Genova Marassi ha subìto una vera e propria aggressione da parte di un detenuto comune italiano. E il Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria Sappe, il più rappresentativo della Categoria con 12mila poliziotti, "legge" con preoccupazione questo episodio, ennesimo sintomo di criticità del penitenziario genovese nonostante la recente approvazione dell’indulto, che ha fatto uscire da Marassi circa 400 detenuti.

"Vogliamo per prima cosa esprimere la nostra solidarietà al Collega aggredito" commenta Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto "che ha contenuto l’aggressività del detenuto ed ha impedito che la situazione degenerasse. E questo episodio non può che essere contestualizzato in una situazione critica a Marassi più volte rappresentata dal Sappe, dove le carenze organiche di Polizia Penitenziaria sono decisamente allarmanti e dove assistiamo ad aggressioni di detenuti ad agenti con una cadenza pressoché mensile. Le tensioni in carcere permangono, nonostante l’indulto.

Non bisogna nascondersi dietro un dito: le difficoltà di lavoro delle donne e degli uomini della Polizia Penitenziaria, la loro stessa incolumità personale, sono una vera e propria emergenza e per tanto è auspicabile che questo tema sia posto tra le priorità di intervento del ministro della Giustizia Clemente Mastella, del Sottosegretario delegato alle carceri Luigi Manconi e del Capo dell’Amministrazione Penitenziaria Tinebra.

Questo grave episodio deve fare riflettere chi pensava che con l’approvazione dell’indulto i problemi penitenziari italiani fossero risolti. Non è possibile che le donne e gli uomini della Polizia Penitenziaria in servizio nelle sezioni detentive del carcere di Marassi e dei penitenziari del Paese debbano fronteggiare con le nudi mani alle aggressioni fisiche nei loro confronti poiché non hanno a disposizione alcuno strumento di coercizione fisica durante i turni di vigilanza!"

Usa: nano fa causa al carcere perché il lavello è troppo alto

 

Ansa, 25 settembre 2006

 

Byron Rhodan, un carcerato nano detenuto all’interno del penitenziario dello stato della Georgia, ha fatto causa alla struttura perché i lavelli della sua cella sono troppo alti. Noto fra i detenuti con il nomignolo di "Lil Dirty" (piccolo sporco), per via del suo metro e 20 di altezza e per la sua scarsa attitudine a lavarsi, l’uomo ha deciso di trascinare l’istituto davanti ad un giudice quando due guardie lo hanno obbligato ad arrampicarsi sul lavandino per darsi una lavata.

Questa richiesta, difficile da soddisfare per ovvi impedimenti fisici, è costata a Rhodan una caduta e una serie di contusioni. Per il piccolo e sporco uomo, che ora rifiuta di curare la propria igiene, si configurerebbe una vera e propria violazione della legge federale che obbliga le carceri ad assecondare le particolari necessità delle persone disabili negli edifici pubblici.

 

 

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