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Giustizia: Radicali; su nuove carceri Rutelli è come Castelli?
Ansa, 23 settembre 2006
"Non vorremmo che Rutelli seguisse la scia tracciata dall’ex ministro della Giustizia, l’ing. Roberto Castelli, che aveva fatto della costruzione di nuove carceri il suo cavallo di battaglia, prevedendo addirittura un sistema di leasing per la copertura delle spese": lo affermano i deputati della Rosa nel Pugno, Bruno Mellano e Sergio D’Elia, dopo l’annuncio fatto ieri dal vice premier Francesco Rutelli, rispondendo ad un’interrogazione, che il governo ha dato il via libera alla costruzione di nove nuove carceri: Rieti, Marsala, Savona, Rovigo, Sassari, Cagliari, Tempio Pausania, Oristano e Forlì. Nel definire "puramente demagogica" la politica del precedente governo sull’ edilizia penitenziaria, i due parlamentari osservano che "se è vero che in situazioni come quella di Savona la ristrutturazione dell’ attuale carcere risulterebbe assai difficoltosa e dispendiosa, in molti altri casi il miglioramento dell’esistente presenterebbe aspetti assai positivi, non solo dal punto di vista economico". "Inoltre - fanno notare - la presenza del carcere nel cuore della città favorisce la presa in carico dei suoi problemi da parte dell’intera comunità; le nuove carceri, se collocate nelle estreme periferie, diventeranno invisibili, veri e propri ghetti dove ci si illude di isolare il male". "Vogliamo discutere il piano di edilizia penitenziaria nell’ottica di una razionalizzazione del sistema - concludono - che consenta finalmente l’ applicazione della legge Gozzini, soprattutto nella parte riguardante il reinserimento lavorativo, per offrire reali percorsi riabilitativi. Dopo Rutelli, attendiamo alla Camera Mastella, per la risposta alla nostra interpellanza sulla situazione attuale della CdA". Giustizia: intercettazioni illegali; pene fino a 5 anni di carcere
Il Sole 24 Ore, 23 settembre 2006
Forti sanzioni per giornalisti ed editori che pubblicano intercettazioni illegali, reclusione fino a 5 anni per chi le detiene: il Consiglio dei ministri ha varato un decreto legge contro le intercettazioni illegali. "Vogliamo garantire serenità al cittadino italiano - spiega Clemente Mastella, ministro della Giustizia - non è possibile che chiunque telefoni debba aver paura di filtri indebiti e interferenze illegali". Il decreto, costituito da 5 articoli, compresa l’entrata in vigore, prevede forti sanzioni in caso le intercettazioni illegali arrivino in prima pagina: con procedimento camerale il giudice può comminare al direttore, al vicedirettore e all’editore, in solido, una sanzione di 50 centesimi per ogni copia stampata o da 50mila a un milione di euro, in base al bacino di diffusione radiofonica, televisiva o telematica. La sanzione, comunque, non è mai inferiore a 20mila euro. Per fare un esempio, anche chi stampa 15 copie diffondendo intercettazioni illegali paga minimo 20mila euro. La sanzione, inoltre, si somma al normale risarcimento normale previsto dal Codice civile. Prevista la reclusione da sei mesi a quattro anni per chi detiene illecitamente gli atti o i documenti intercettati illegalmente. La pena si aggrava da uno fino a cinque anni di reclusione se il fatto è commesso da un pubblico ufficiale o da incaricato di pubblico servizio. La disciplina è agganciata a quella già esistente nel Codice di procedura penale sulle dichiarazioni anonime, ma dati e contenuti di conversazioni o comunicazioni passate attraverso traffico telefonico o telematico illegalmente intercettato hanno un trattamento più severo: è vietato fare copie, utilizzare le intercettazioni illegali a fini processuali o investigative. "Il materiale - dice il ministro Amato - a nella pattumiera direttamente perché da essa è uscito e in essa deve rientrare. Deve essere distrutto". Il materiale illecitamente acquisito non può essere neppure detenuto e il materiale non costituisce notizia di reato. Se il materiale viene sottratto alla distruzione si commette reato. Viene di fatto punita penalmente la detenzione, civilmente la pubblicazione. Il decreto legge entra in vigore dal 23 settembre. Indulto: Roberti (Dda); questa legge si poteva fare meglio
Ansa, 23 settembre 2006
L’indulto, Franco Roberti, coordinatore della Dda della Procura di Napoli, non lo definisce un passo falso ma dice, però, che "magari si poteva pensare di fare meglio la legge per evitare che insieme ai poveracci uscissero fior di mafiosi e camorristi". Alla Festa Regionale della Margherita, in corso di svolgimento a Pontecagnano Faiano (Salerno), Roberti, a margine di un convegno sulla criminalità, parla di vicinanza delle istituzioni ai napoletani ma anche di un senso di insicurezza sempre maggiore tra la gente. E la responsabilità è anche dell’indulto. "Anche se dalle statistiche risulta che non sono aumentati dopo l’indulto, in termini percentuali, i delitti di criminalità diffusa - ha detto Roberti - l’indulto ha ingenerato, da un lato, un senso di insicurezza nei cittadini e dall’altro ha ingenerato, o rischia di ingenerare, un senso di impunità nei malviventi. E questo va contro quella che è l’esigenza del contrasto alla criminalità, perché la collaborazione dei cittadini può essere inficiata dal senso di insicurezza e, naturalmente, il senso di impunità può accrescere l’arroganza della criminalità e quindi può, oggettivamente, contribuire alla diffusione del crimine". Indulto, dunque, un passo falso? "Non dico questo, ho molto rispetto per la politica, per le scelte del Parlamento - ha aggiunto - non mi permetto di dire che è stato un passo falso, è stata una scelta di cui si potevano prevedere queste conseguenze. Naturalmente l’indulto poteva anche servire per i motivi per i quali è stato adottato, almeno quelli ufficiali, a deflazionare la popolazione carceraria: a far uscire tanti poveracci, il che è avvenuto". "Magari si poteva pensare di fare meglio la legge per evitare - ha sottolineato - che insieme ai poveracci uscissero fior di mafiosi e camorristi". A chi gli chiede dell’annunciato aumento delle forze dell’ordine per la città di Napoli, Roberti ha risposto: "Una maggiore attenzione da parte degli organismi centrali istituzionali serve sempre in termini di persone, risorse mezzi e strutture che possono essere aumentate per il contrasto alla criminalità". Indulto: Laziogate; la Procura di Roma non chiede più arresti
Apcom, 23 settembre 2006
Il sostituto procuratore Francesco Ciardi e l’aggiunto Italo Ormanni hanno ritirato l’impugnazione del rigetto opposto dal Gip alla richiesta di quattro misure cautelari nell’ambito dell’inchiesta sul cosiddetto Laziogate. L’udienza per la discussione era stata fissata per il 24 ottobre. La decisione degli inquirenti è dovuta al fatto che la pena che potrebbe comminata agli indagati è stata cancellata dalla legge sull’indulto. In particolare gli arresti erano stati richiesti per Nicolò Accame, ex portavoce dell’ex presidente della Regione Francesco Storace, di Mirko Maceri, ex direttore tecnico di Laziomatica e dei due detective privati Pierpaolo Pasqua, Gaspare Gallo, indagati, a seconda delle singole posizioni processuali, per associazione a delinquere, violazione della legge elettorale ed accesso abusivo ad un sistema informatico. L’inchiesta era nata alla luce di diverse irregolarità avvenute in occasione delle elezioni regionali dello scorso anno con riferimento alle liste di Alternativa sociale e all’ipotesi di spionaggio che sarebbe stato fatto, tra gli altri, nei confronti di Piero Marrazzo. Indulto: Luigi Chiatti ne chiede applicazione, fissata udienza
Ansa, 23 settembre 2006
Chiede l’applicazione dell’indulto e quindi lo sconto di pena previsto dalla normativa Luigi Chiatti, il geometra folignate che sta scontando 30 anni di reclusione per avere ucciso Simone Allegretti e Lorenzo Paolucci. La sua istanza sarà esaminata dalla Corte d’assise d’appello di Perugia il 27 settembre prossimo come riporta oggi la Nazione. A rappresentare Chiatti saranno i suoi difensori storici, gli avvocati Claudio Franceschini e Guido Bacino. "Svolgeremo la nostra attività nell’ambito del mandato difensivo che ci è stato conferito" ha detto stamani quest’ultimo parlando con l’Ansa. Il geometra che si definì il "mostro di Foligno" venne condannato in primo grado all’ergastolo, pena ridotta a 30 anni di reclusione in appello dopo il riconoscimento della seminfermità mentale. Sentenza poi definitivamente confermata in Cassazione. Per questo il giudice di riferimento per l’applicazione dell’indulto è stato ritenuto quello d’appello. Chiatti è in carcere dall’agosto del 1993, venne infatti arrestato subito dopo il secondo delitto. In base alla sentenza d’appello al termine della reclusione dovrà essere valutata la sua pericolosità sociale e potrebbe quindi essere eventualmente ricoverato in una casa di cura per almeno due anni come misura di sicurezza. Difficile stabilire quando effettivamente Chiatti potrebbe uscire dal carcere potendo beneficiare periodicamente dalle normali riduzioni previste dalla legge Gozzini. Riguardo all’applicazione dell’indulto davanti alla Corte d’assise d’appello di Perugia dovrà essere esaminata la questione degli allora atti di libidine che gli vennero contestati in relazione all’uccisione di Simone Allegretti. Reato poi però assorbito come specifica aggravante nel reato di omicidio. Lo sconto di pena non si applica infatti per la violenza sessuale. Indulto: Chiatti; legale famiglie, la questione è sua pericolosità
Ansa, 23 settembre 2006
Non si sorprende per la richiesta di applicazione dell’indulto da parte di Luigi Chiatti, ma sottolinea che il problema rimane la sua pericolosità sociale l’avvocato Giovanni Picuti, legale di parte civile per conto dei familiari di Simone Allegretti e Lorenzo Paolucci. "L’istanza per lo sconto di pena - ha detto oggi l’avvocato Picuti - lascia il tempo che trova. Perché non penso che possa avere riflessi sulla possibilità di Chiatti di tornare libero. La vera garanzia è rappresentata dalla valutazione della pericolosità sociale prevista dalla sentenza di appello". Una pericolosità che secondo il legale "rimane altissima e allarmante". "Voglio proprio vedere - ha concluso l’avvocato Picuti - chi si prenderà la responsabilità di far tornare effettivamente libero Chiatti". Negli ultimi tempi il geometra folignate, oggi trentottenne, ha più volte chiesto al giudice di sorveglianza di Firenze (è infatti rinchiuso nel carcere di Prato) la concessione dei permessi premio ma le sue istanze sono state sempre respinte. Chiatti ha quindi fatto ricorso anche in Cassazione ma la sua istanza è stata giudicata inammissibile. Indulto: comunicato del Volontariato Giustizia della Liguria
Comunicato stampa, 23 settembre 2006
In quest’ultimo mese l’indulto ha progressivamente rischiato di abbandonare il suo naturale inquadramento tra i provvedimenti di clemenza, per essere sempre più percepito come una vera e propria emergenza sociale. Una misura in astratto finalizzata a riconciliare, o quantomeno ad avvicinare, la popolazione carceraria alla società esterna ha riaperto, in assenza di un’adeguata preparazione in capo ai soggetti pubblici competenti, nuove ferite e disagi. Gran parte dei detenuti che hanno beneficiato dell’indulto, molti dei quali - occorre rammentarlo - sono tossicodipendenti, sieropositivi o comunque affetti da forme più o meno marcate di disagio psichico, si è ritrovata di colpo, dall’oggi al domani, senza un tetto né un soldo in tasca né tanto meno un’occupazione. Soprattutto senza una prospettiva di reinserimento nella società. Il tutto nel silenzio delle istituzioni, tanto solerti nell’affollare i tavoli nel frattempo convocati quanto colpevolmente silenti ed inadempienti allorché il disagio esigeva risposte rapide ed efficienti. Questa è stata, in fin dei conti, la maggiore difficoltà che la cosiddetta "società civile" ha incontrato e patito in questo mese e mezzo: la totale e sostanziale solitudine in cui ha visto operare le associazioni di volontariato, le organizzazioni del terzo settore e, in generale, tutti i gruppi deputati all’assistenza e al reinserimento dei detenuti. Nella concreta gestione dell’emergenza, il mondo del volontariato era solo e non ha potuto contare su nessun’altra forza che non fosse la propria. Soggetti pubblici quali i distretti sociali e i dipartimenti di salute mentale non hanno sicuramente brillato per efficienza né per rapidità degli interventi: profondamente sordi dinnanzi alle petizioni provenienti dal mondo del volontariato, si sono rivelati irrimediabilmente inadeguati di fronte alle richieste d’aiuto invocate dagli stessi diretti beneficiari. Da un altro angolo visuale, poi, le istituzioni, gli enti pubblici e le amministrazioni locali, che in simili evenienze avrebbero dovuto assumere un ruolo decisivo, in primis di coordinamento e di propulsione, sono stati intenti ad accaparrarsi fondi più per i propri servizi che non per dar vita ad un nuovo sistema integrato di assistenza sociale, basato sulla collaborazione e sulla sinergia tra il privato sociale e il pubblico, tra organizzazioni non governative ed istituzioni. Fortunatamente, la presenza sul territorio genovese e ligure dello Sportello informativo per il detenuti (Sp.In.) - in cui sono presenti soggetti pubblici e privati, operatori professionisti e semplici volontari - ha potuto scongiurare il peggio, svolgendo quella funzione di regia, di coordinamento, di cui si avvertiva la mancanza. Grazie alla propria indiscussa competenza, esso è stato l’unico tra gli attori sociali presenti sul territorio in grado di attivare prontamente la quanto mai necessaria rete di assistenza, il solo capace di reperire e successivamente indirizzare le risorse indispensabili per far fronte a quella condizione di disagio e solitudine che si andava delineando. Esperienze come quella dello Sp.In., che mettono al centro della propria azione la persona con i suoi problemi e le sue richieste d’aiuto, e che sono avvertite dagli stessi fruitori come strutture vicine e in un certo senso amiche, sono certamente le più titolate a capire in poco tempo quali siano i bisogni e come questi possano essere soddisfatti. Tuttavia, certo è che né il ruolo di coordinamento assunto dallo Sportello Informativo né l’efficienza dimostrata dal mondo del volontariato dovranno essere considerate dalle Istituzioni come un alibi per giustificare le proprie manchevolezze, la propria inerzia. È necessario, anzi, che queste tornino ad assumere pienamente le proprie responsabilità, in un’ottica di tutela dei diritti individuali, dal momento che la gestione della sofferenza e del disagio non possono essere interamente affidate - come purtroppo sta avvenendo - al privato sociale, alle associazione e via discorrendo. Queste ultime, infatti, potranno svolgere meglio la propria missione solo in un contesto di partecipazione e di interazione di più ampio respiro, che veda le Istituzioni impegnate direttamente, in prima persona accanto alla società civile, nell’esercizio della funzione pubblica.
Conferenza Regionale Volontariato Giustizia La Presidente, Maria Teresa Figari Fossombrone: attività sospese, sciopero e tensioni in carcere
Corriere Adriatico, 23 settembre 2006
Una nuova direttrice è appena arrivata. In missione dall’istituto di pena di Forlì. In sostituzione della precedente approdata a Fossombrone al posto di Giacobbe Pantaleone. Un avvicendarsi che desta qualche apprensione. Anche all’esterno. Dove arrivano, molto filtrate, indiscrezioni che lasciano intuire che non tutto fila per il verso migliore. Si è saputo che ai reclusi è stato requisito il computer dopo che le stesse apparecchiature erano state acquistate e date in uso nel rispetto delle norme. I reclusi, in particolare i lavoranti, stanno effettuando lo sciopero. Lo stesso succede nei confronti degli acquisti nello spaccio interno. Fin qui tutto in termini pacifici ma in chiave di evidente contestazione per le restrizioni imposte. Si è saputo anche che il clima tra reclusi è andato surriscaldandosi. C’è stato qualche diverbio. In alcuni frangenti anche qualcosa di più. Dopo che erano stati individuati coloro che non avevano accettato di firmare una lettera di protesta nei confronti della direttrice che è già stata trasferita dopo solo un paio di mesi di permanenza. È forte la preoccupazione che l’istituto di pena della cittadina metaurense perda quel clima di serenità che lo ha contraddistinto sempre e ancor più negli ultimi anni. A cominciare dalla attività teatrali o dagli incontri di studio di livello elevato. In considerazione che alcuni detenuti sono studenti universitari. C’era poi stata la sperimentazione in stretta collaborazione con l’università di Urbino per quanto attiene la pratica motoria. Questo per dire che importanti stimoli era maturati grazie anche al direttore Pantaleone Giacobbe che ha sempre ritenuto importante che la vita interna fosse in grado di offrire nuovi sbocchi e prospettive. Per non parlare poi dei volontari e della pubblicazione del giornale dei detenuti da loro stessi redatto. Quel "Mondo a quadretti" ricco di aspettative si sarebbe afflosciato quasi un colpo di vento improvviso avesse reciso un albero con poche radici e ormai secco. La verità non è però questa. Lo hanno visto coloro che in diverse occasioni sono stati invitati ad assistere ai diversi eventi maturati nella sala del teatro del carcere. Si resta in attesa di notizie consolanti. Che riportino la necessaria tranquillità. E i reclusi a riprendere i normali ritmi quotidiani. Si comprende bene che parlare dall’esterno non tutto è facile e scontato come vivere dentro. In verità chi osserva preoccupato l’andamento della vita penitenziaria sa bene con quale attenzione il rapporto di convivenza con la cittadina metaurense sia sempre esistito. Da una parte perché, come sempre si è detto e sostenuto anche da parte di osservatori qualificati, la realtà carceraria per Fossombrone è un forte risorsa in termini economici e di occupazione. Dall’altra non si possono dimenticare le belle promozioni umane e culturali maturate nel tempo. Lazio: valorizzazione delle produzioni agricole nelle carceri
Il Tempo, 23 settembre 2006
DA oggi, i 14 istituti penitenziari del Lazio, tra i quali quello anche quelli di Frosinone e Cassino, entrano a far parte, con le loro produzioni orto-florovivaistiche, del progetto di commercializzazione regionale. L’enoteca regionale "Palatium" diventa punto di vendita. È stato infatti firmato, all’interno dell’enoteca regionale di via Frattina, il primo protocollo d’intesa tra il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria, il provveditorato regionale del Lazio, l’assessorato all’Agricoltura della regione e l’Arsial, per la valorizzazione delle produzioni agricole delle case circondariali del Lazio. Il documento è stato siglato dall’assessore all’Agricoltura Daniela Valentini, dal Commissario straordinario dell’Arsial Fabio Massimo Pallottini, dal provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Ettore Ziccone e dal Garante regionale per i diritti dei detenuti Angelo Marroni. Parla di "sostegno e valorizzazione delle produzioni locali di qualità" l’assessore Valentini secondo cui "l’agricoltura può trovare una soluzione a molte problematiche, anche sociali". Nel corso del suo intervento l’assessore ha fatto riferimento al nuovo "Piano di Sviluppo Rurale", un progetto di programmazione finanziaria. "Nel Psr - ha concluso - abbiamo lasciato un capitolo significativo per l’agricoltura nel sociale". Secondo Pallottini, con questo protocollo si favorisce "la formazione dei detenuti, si mette a disposizione la nostra assistenza tecnica e si valorizzano le microproduzioni attraverso la commercializzazione di prodotti tramite l’enoteca regionale". Secondo il provveditore Ettore Ziccone "con questa convenzione si vuole anche creare un "gruppo di lavoro" che sia in grado di selezionare le produzioni" al fine "di specializzarle ed evitare che si generi concorrenza tra i vari istituti della regione". Tra i prodotti principalmente realizzati: miele, confetture, olio extravergine, conserve, ma anche ortaggi misti e generi alimentari da allevamento. Attualmente, dei 14 istituti laziali 6 hanno aderito al progetto: le case circondariali di Velletri e Viterbo, quella di reclusione di Civitavecchia e di Roma, la casa circondariale Rebibbia di Roma e la case circondariale Femminile di Roma. La casa circondariale di Frosinone ha avviato un progetto triennale orientato alla creazione di un’azienda agricola intramuraria. "Con questo protocollo - ha aggiunto Pallottini - si valorizza ulteriormente il ruolo dell’agricoltura. La regione Lazio intende valorizzare l’agricoltura come strumento di promozione nel reinserimento sociale, dedicandosi all’assistenza delle aziende agricole delle case circondariali attraverso il proprio ente strumentale". Secondo Angelo Marroni "nel mondo penitenziario bisogna far camminare la cultura del lavoro e della professionalità e soprattutto cambiare l’immagine che l’opinione pubblica ha delle carceri".
Dal carcere al mercato la frutta dei detenuti
Il più noto è il "Fuggiasco", il vino novello prodotto dai detenuti di Velletri. Ma ci sono ortaggi, olio, frutta confettura, conserve alimentari, piante ornamentali, patale, oli essenziali e piante aromatiche. Li producono i detenuti-contadini impegnati nelle aziende agricole presenti in sei penitenziari della Regione. Adesso con un protocollo che punta a valorizzare le produzioni e a commercializzarle attraverso la filiera corta, la Regione l’Arsial e le amministrazioni penitenziarie, danno vita a un progetto di orientamento al lavoro e reinserimento sociale dei detenuti attraverso attività collegate al mondo agricolo. Infatti, un protocollo per la valorizzazione delle produzioni agricole di qualità è stato siglato tra l’assessore Regionale all’Agricoltura, Daniela Valentini, il commissario dell’Arsial Massimo Pallottini, il provveditore regionale dell’amministrazione penitenziaria Ettore Ziccone e il garante dei detenuti Angelo Marroni, presso l’enoteca Palatium di via Frattina. "Il progetto - ha spiegato l’assessore Valentini - prevede la formazione dei detenuti in carcere, la dotazione di strumenti gratuiti per far svolgere al meglio il lavoro, e anche l’inserimento dei prodotti sul mercato. "Cosa quest’ultima abbastanza complicata - è intervenuto Ziccone - visto che le carcere non possono fatturare ed è quindi necessario stipulare accordi esterni per entrare sul mercato, intendendo per questo prevalentemente negozi di settore e mercati rionali, non certo la grande distribuzione". Soddisfatto il commissario Arsial, Pallottini, che ha sottolineato come l’iniziativa "è il frutto di una collaborazione con l’amministrazione della giustizia partita un anno fa per valorizzare anche l’attività delle case circondariali, come già avviene ad esempio nelle cooperative antimafia e nelle strutture di recupero dei tossicodipendenti". Immigrazione: Ferrero; per ora è impossibile chiudere i Cpt
Agi, 23 settembre 2006
"I Cpt non saranno chiusi, bisogna prima modificare la Bossi-Fini e le regole che determinano la clandestinità, obiettivo al momento impossibile". Così si è espresso il ministro della Solidarietà sociale Paolo Ferrero ai microfoni di Ecoradio aggiungendo però che "possiamo modificare le regole attuali dei Cpt, rendendoli trasparenti e visitabili come le carceri e riducendo il periodo di permanenza di 60 giorni, tempo forse inutile per l’identificazione. Bisogna cambiare i meccanismi d’ingresso - ha concluso Ferrero - per garantire ai lavoratori emigranti di non essere gli unici a pagare questa condizione". Indonesia: assaltato carcere Palu, agenti presi a sassate
Associated Press, 23 settembre 2006
Un assalto al carcere, sassaiole contro la polizia, la casa di un magistrato in fiamme: esplode la rabbia dei cristiani in Indonesia, dopo l’esecuzione l’altro ieri di tre correligionari accusati di aver guidato la caccia ai musulmani che tra il 1998 e il 2001 insanguinò l’isola di Sulawesi. Violenze che evocano lo spettro di nuove "jihad" e crociate, nelle regioni dell’arcipelago asiatico dove sono più fragili gli equilibri tra le principali confessioni del Paese. E si intrecciano alla richiesta avanzata da tre islamici condannati a morte per gli attentati di Bali nel 2002: nessuna fucilazione - ha fatto sapere ieri il loro avvocato - vogliono essere decapitati come dei mujaheddin, dei combattenti. Fabianus Tibo, Marianus Riwu e Domingus Silva erano stati fucilati giovedì nella chiesa di Santa Maria a Palu, capoluogo nel cuore di Sulawesi. L’accusa nei loro confronti era di aver guidato una faida costata la vita a oltre 200 studenti islamici. Nel distretto centrale di Poso, sono scesi in strada a centinaia. Hanno messo in piedi barricate, dato alle fiamme pneumatici e bersagliato con sassi agenti in assetto antisommossa. Per evitare che le violenze degenerassero le autorità hanno deciso di dispiegare 4.000 poliziotti. Il vescovo di Palu Joseph Suwatan ha chiesto ai fedeli di mantenere la calma, mentre un altro prelato locale ha annunciato le dimissioni in segno di protesta. "È una promessa che avevo fatto a Fabianus Tibo il 10 gennaio 2001" ha spiegato Rinaldy Damanik. Il rifiuto delle autorità indonesiane di consentire la sepoltura dei tre uomini giustiziati nella chiesa di Santa Maria ha alimentato la rabbia. Un sentimento che ha contagiato anche Timor Ovest, regione a forte presenza cristiana dove in un recente passato sono state numerose le moschee date alle fiamme. A Palu, dove erano dispiegati oltre 2.000 poliziotti e soldati, la situazione è tranquilla e nella chiesa di St. Mary circa mille fedeli hanno partecipato a un requiem per i tre giustiziati. I disordini sono scoppiati altrove: nella città centrale di Poso e nei villaggi di Tentenna e Lage. Manifestazioni e violenze anche nella provincia di Nusa Tenggara est. Nella città natale di Silva, uno dei condannati, all’assalto hanno partecipato circa mille persone. I manifestanti hanno appiccato un incendio all’abitazione del procuratore locale e fatto irruzione nel carcere: sono fuggiti così 200 detenuti, solo 20 dei quali sono stati ripresi e ricondotti in cella. Proteste di piazza e pressioni internazionali rispetto alle quali Giakarta ha dovuto prendere posizione. "Siamo preoccupati che la popolazione non abbia compreso", ha detto il vicepresidente Jusuf Kalla. "Non si è trattato di una questione di carattere religioso o etnico, ma solo legale". La vicenda rischia, comunque, di dividere un Paese di faglia, lacerato da tensioni allo stesso tempo sociali e confessionali. L’avvocato incaricato della difesa degli islamici responsabili degli attentati che a Bali, nel 2001, provocarono la morte di oltre 200 persone ha evocato lo spettro di una rappresaglia. Dopo le violenze di Sulawesi - ha detto Muhammad Mahendradatta - "siamo in allarme perché si vuole accelerare l’esecuzione di Amrozi, Mukhlas e Samudra". Dovevano essere giustiziati il mese scorso ma hanno ottenuto un ultimo appello, gli attentatori di Bali. Ora chiedono una punizione differente da quella riservata ai cristiani fucilati a Palu. "I nostri clienti - ha detto il loro legale - vogliono essere sottoposti a una pena più umana. L’esecuzione dovrebbe avvenire in accordo con la legge islamica, cioè attraverso decapitazione". Le esecuzioni sono avvenute nonostante gli appelli giunti sia da ambienti cristiani sia da leader musulmani, oltre che da organizzazioni non governative come Amnesty International che hanno denunciato un "processo ingiusto". Sconcerto è stato espresso anche dall’Unione Europea. "La presidenza - si legge in una nota di Bruxelles - ha appreso con disappunto delle esecuzioni, avvenute nonostante i numerosi moniti dell’Ue alle autorità dell’Indonesia". Prodi ha espresso "rammarico perché le autorità indonesiane non hanno ritenuto di accogliere i numerosi appelli giunti da ogni parte del mondo". Il presidente del Consiglio si era espresso con durezza in un colloquio con il ministro degli esteri indonesiano, avvenuto alle Nazioni Unite e aveva registrato l’atteggiamento "inamovibile" del suo interlocutore. La presidenza di turno finlandese dell’Unione europea ha espresso "sdegno" e ribadito "la posizione di principio contro la pena di morte". L’esecuzione ha scatenato un’ondata di violenze nella provincia di origine dei giustiziati.
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