Rassegna stampa 1 settembre

 

Indulto: Toscana; in 1 mese dimezzata la popolazione detenuta

 

Ansa, 1 settembre 2006

 

Diciannove istituti di pena in Toscana, tra carceri e case circondariali compreso l’ospedale psichiatrico giudiziario, per una popolazione detenuta attuale di 2629 unità (al 29 agosto 2006), pari ad una media, per istituto, di 213,42 unità. In fin dei conti, l’indulto ha portato fuori dalle carceri toscane 1.326 detenuti. I dati, presentati stamani dal garante per i diritti dei detenuti del Comune di Firenze Franco Corleone, parlano chiaro: l’indulto ha sostanzialmente sgonfiato gli istituti di pena toscani che, in alcuni casi - come Sollicciano - stavano per scoppiare.

Un esempio tra tutti proprio il carcere fiorentino che, con una capienza di 471 posti a luglio 2006 ospitava 984 detenuti. Oggi ce ne sono 548. L’unica sede dalla quale nessuno è uscito è l’ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, mentre gli esodi dagli altri istituti sono stati costanti. Ma, secondo Corleone, il processo potrebbe non fermarsi qui: c’è da mettere in conto anche le misure alternative che potrebbero, se applicate congruamente, potrebbero ulteriormente sfoltire la popolazione carceraria.

Pochissimi i rientri in Toscana, pochi in Italia mentre molte sono le speranze di veder arrivare i finanziamenti promessi dal sottosegretario alla giustizia Luigi Manconi per l’adeguamento - secondo ordinanza sindacale - dell’istituto di Sollicciano per il quale "é pronto un progetto da sottoporre alla Fondazione della Cassa di risparmio di Firenze" per ottenere ulteriori fondi. Restano i problemi legati a chi resta in carcere.

Ancora Sollicciano viene preso a modello: su una popolazione carcerario di 500 unità, 300 sono stranieri e 200 italiani. Corleone pensa all’istituzione della figura del mediatore culturale, ma anche al futuro degli stranieri in carcere. "Se il futuro per loro non è reinserimento ma espulsione - dice - dobbiamo pensare che si tratta di una contraddizione da risolvere". La legge quindi é da cambiare. Cambiare le leggi, poi cambiare il codice penale: è questa la chiave di accesso ad un nuovo sistema carcerario dopo l’indulto che, se è vero che ha "compiuto un miracolo", è solo una misura una tantum. Dunque, chiede Corleone, vanno rivedute le leggi come quella sulle droghe e sull’immigrazione e quella sulla recidiva, la famosa ex Cirielli. Ma l’auspicio è la riforma del codice penale, affidata alla Commissione Pisapia.

Lettere: Napoli; se non rivedrò mio figlio mi lascerò morire

 

Il Mattino, 1 settembre 2006

 

Riceviamo e pubblichiamo l’appello disperato di Fernanda Riccio, la donna che da due anni non vede il figlio Roberto, finito in ospedale psichiatrico giudiziario per avere accoltellato il padre Mario nell’abitazione di viale Cassiodoro.

"Non so a chi devo indirizzare questa mia, penso che vada ai giudici che hanno giudicato mio figlio e me l’hanno portato via per sempre in quanto sono sicura di non vederlo più. Napoli, per me, è irraggiungibile, specie per le condizioni in cui vivo e perché ho tanta paura di viaggiare. Ieri ho avuto le carte dell’udienza definitiva tenuta in Tribunale il 10 novembre 2005 e ho capito che sono stata penalizzata anche io, perché mio figlio dovrà restare in ospedale psichiatrico giudiziario 10 anni. Come farò senza vederlo?

Piango e mi dispero, perché non so se vivrò ancora altri 10 anni. Ho 77 anni, sono piena d’acciacchi, ho iniziato a non mangiare, la notte non dormo più di due ore, non posso rassegnarmi ad aver perso in pochi minuti le due persone che avevo tanto amato e con le quali speravo di passare gli ultimi anni della mia vita. I giudici l’hanno allontanato per sempre da me, ma purtroppo sono stati loro i primi a sbagliare quando in principio hanno mandato mio figlio per 1 anno e 2 mesi agli arresti domiciliari a vivere da solo in una casa di Catanzaro, allontanandolo da noi e mettendo in serio pericolo la mia vita che dovevo andare ogni giorno ad accudirlo e a portagli il pranzo e la cena perché lui non sapeva cucinare.

Vistosi abbandonato a se stesso si è messo a bere, buttando dalla finestra o nel water la maggior parte del cibo che gli portavo, e quando mi sono accorta di quanto stava succedendo e vedendolo ridotto malamente, a sua insaputa mi recai alla Questura e chiesi aiuto all’ispettore Formisano, che mi mandò il 118 per farlo portare in ospedale. Dopo aver lottato 4 ore, con l’aiuto di un carabiniere è stato accompagnato a Villa Bianca, dove dopo due ore è stato dichiarato in buone condizioni e trasferito in ospedale dove è rimasto 18 giorni. La diagnosi era "psicosi cronica e alcolismo" con prescrizione di un’assistenza psichiatrica periodica. Invece di mandarlo in una casa di cura, come io avevo chiesto, mio figlio fu fatto ritornare, anche se ammalato, agli arresti domiciliari.

Non ha bevuto più perché io non gli lasciavo soldi, ma penso che avrà incominciato ad odiare suo padre dal quale si sentiva trascurato, dato che per ordine del Tribunale non gli era concesso incontrarlo. Alla fine dell’anno e 2 mesi mio figlio ritornò a casa, ricominciò a bere, stava chiuso in se stesso, parlava poco, ma non ha mai litigato con noi perché non gli davamo motivo di farlo.

Però sapevamo che prima o poi qualcosa di brutto poteva succedere. Ed è veramente successo, il 29 novembre 2004. Mio marito se ne andò per sempre, mio figlio finì in carcere dove rimase un anno ancora una volta da solo, in isolamento. Da 10 mesi si trova a Napoli fra gente sconosciuta senza poter incontrare sua madre. Ho fatto 32 telefonate per poter parlare con i dottori o qualche assistente sociale, ma non sono stata messa in comunicazione con nessuno. Ora prego coloro che ci hanno condannato a non vederci più. Non è che voglio la libertà di mio figlio, ma vi chiedo la possibilità di un trasferimento a Catanzaro. Altrimenti cercherò di rivederlo all’altro mondo, perché non posso più soffrire oltre, sono stanca e sfiduciata.

Rovigo: in carcere arrivano i mediatori linguistico-culturali

 

Il Gazzettino, 1 settembre 2006

 

La Provincia e la Casa circondariale collaboreranno per dar vita a un servizio di mediazione linguistico culturale riservato agli stranieri detenuti in via Verdi. Il protocollo d’intesa sottoscritto dall’assessore provinciale ai Servizi sociali Tiziana Virgili e dal direttore del carcere rodigino Fabrizio Cacciabue prevede, come obiettivo del progetto, di favorire la comunicazione rimuovendo gli ostacoli culturali, e di fornire informazioni individuando le necessità e i bisogni dei detenuti che andranno soddisfatte anche in funzione della preparazione alla dimissione e alla successiva fase di assistenza post-penitenziaria. Il progetto scadrà alla fine del 2008.

Frosinone: serra e uliveto, detenuti al lavoro nel carcere

 

Il Messaggero, 1 settembre 2006

 

Due serre di 2.000 metri quadrati e un uliveto di 400 piante di ulivi: la Casa Circondariale di Frosinone da il via ad una nuova impresa agricola sperimentale, dove i detenuti coltiveranno fiori e frutta che verranno inseriti nel mercato libero. Il progetto, nato da circa 4 anni, ha preso piede in forma definitiva questa estate con l’aiuto della cooperativa "Agape". Buona l’idea alla base del progetto, che il direttore del carcere Lucio Lupo Ruggero e la dottoressa Filomena Moscato definiscono "Un’opportunità per chi vuole fare della reclusione un momento di riflessione e un percorso educativo per reinserirsi nella società".

Per ora sono solo due i detenuti che lavorano nella serra "Ne erano stati scelti cinque - specifica Lucio Cadrini, responsabile della cooperativa Agape - ma 3 sono usciti grazie l’indulto. Sono rimasti in due, ma solo perché il lavoro che c’è da fare ora prevede l’utilizzo di poche persone. L’11 settembre i lavori per la costruzione della serra termineranno, stiamo concimando il terreno per piantare stelle di natale e ciclamini, che distribuiremo nel mese di dicembre".

Palermo: riunito Tavolo tecnico, ex detenuti inseriti nei Pip

 

La Sicilia, 1 settembre 2006

 

Gli ex detenuti saranno inclusi nei Pip, i Piani di inserimento professionale. La notizia al termine del tavolo tecnico tenutosi ieri pomeriggio in prefettura alla presenza del governatore Totò Cuffaro, del sindaco Diego Cammarata, del questore Giuseppe Caruso e del prefetto Giosuè Marino. "Siamo soddisfatti - ha dichiarato Filippo Accetta, che ha guidato la protesta degli ex detenuti.

Adesso potremo andare a lavorare anche se non tutti come speravamo". Oggi si dovrebbe sapere quanti posti saranno disponibili, se i 186 di cui si parla da mesi, o una quota maggiore. Mercoledì prossimo Filippo Accetta si recherà in prefettura per presentare la lista di nomi di coloro che dovranno essere inseriti nei Pip.

Velletri: Festa dell’Ulivo, detenuti espongono i loro prodotti

 

Il Messaggero, 1 settembre 2006

 

Da oggi fino a domenica, nell’ambito della prima Festa dell’Ulivo organizzata a Nemi, ci sarà uno spazio, "Il cortile della creatività", che vedrà coinvolti alcuni rappresentanti della cultura e dell’artigianato locale ed anche artisti detenuti di vari istituti penitenziari del Lazio, tra cui quello di Velletri. Alle 16.30 di oggi, ci sarà la presentazione della collana editoriale "Quaderni dal carcere", mentre alle 17 di domenica sarà presentato il libro di A.S. e C.C., detenute a Latina, "Con gli occhi di Pandora", di cui saranno anche lette alcune poesie. Nella mostra-mercato, inoltre, saranno esposti anche i prodotti agricoli della cooperativa "Impronta verde", in attività presso la casa circondariale veliterna. "Tale iniziativa - dice il garante regionale dei diritti dei detenuti, Angiolo Marroni - si inquadra nella più generale attività che quotidianamente i collaboratori dell’ufficio svolgono negli istituti di pena di tutta la regione, cercando continuamente la collaborazione ed il confronto con il territorio per favorire al conoscenza delle problematiche connesse alla detenzione e, soprattutto, quelle del reinserimento sociale dei detenuti".

Ravenna: indulto, già tornati in carcere 20 dei 40 beneficiari

 

Corriere Adriatico, 1 settembre 2006

 

La metà delle persone scarcerate per effetto dell’indulto a Ravenna è già tornata in carcere. Il dato emerge a margine della visita a sorpresa compiuta ieri mattina dal parlamentare della Rosa del Pugno Marco Beltrandi nella casa circondariale di Port’Aurea.

Il deputato, accompagnato dagli esponenti locali del partito, Andrea Ansalone e Giuliana Bruni, si è presentato verso le 9,30 di ieri ai cancelli del carcere."Si tratta di una cifra significativa - ha dichiarato Beltrandi - circa 20 detenuti su un totale di 40 sono un dato che ci ha francamente sorpreso". Se da un lato dunque il provvedimento di clemenza ha in gran parte svuotato la struttura ravennate, rendendo più umane le condizioni dei detenuti, dall’altro si assiste al fallimento della espiazione pena come percorso formativo e rieducativo. "Aspetto - rimarca Beltrandi - esplicitamente richiesto dalla Costituzione".

Prima dell’approvazione della legge al Senato erano circa 120 le persone detenute a Ravenna, oggi sono 82. "Di queste la maggioranza sono stranieri (43), 39 sono italiani. Ma la cosa che sorprende maggiormente - aggiunge Beltrandi - è il fatto che solo 10 stiano scontando una pena definitiva.

Altri 57 sono in attesa del processo, 11 di una sentenza di secondo grado e 4 di una sentenza di Cassazione". Gli esponenti della Rosa del Pugno, hanno comunque sottolineato come nel carcere di Ravenna non ci siano situazioni preoccupanti soprattutto grazie all’indulto. "Il rapporto con la direzione e le guardie è buono - ha detto Beltrandi -.

Non si avverte quella tensione presente in altri istituti. Resta, nonostante tutto, il problema del sovraffollamento: ci sono stanze di 8 metri quadrati, con tre letti a castello, quando la Legge 230 del 2000 impone almeno 9 metri quadri a testa"."Ci è apparso tutto sommato positivo - ha aggiunto Giuliana Bruni - il rapporto con le istituzioni del territorio, come Ausl, Servizi Sociali e Sert".Le problematiche sembrano invece riguardare soprattutto la reale possibilità di poter avviare percorsi di riabilitazione all’interno del carcere.

"Se consideriamo la detenzione come un percorso - ha detto Andrea Ansalone -, allora non ci resta che constatare come quel percorso verso una nuova vita si sia inceppato a causa di burocrazie e inefficienze che di fatto negano ogni intervento. Ci sono stranieri che sono da mesi in carcere e non imparano l’italiano perché è impossibile avviare corsi di lingua, altri che potrebbero imparare un mestiere ma non ne hanno l’opportunità. Nonostante gli sforzi della direzione e dei servizi sociali che in questi anni hanno cercato di fare molto, penso al giardino interno". Un problema, quello della rieducazione, non solo ravennate, ma che a Ravenna ha quasi "vanificato" l’indulto. Un terzo dei detenuti aveva riottenuto la libertà, la metà di questi non ha saputo che farsene.

Immigrazione: Msf; lavoratori stagionali in condizioni indecenti

 

Redattore Sociale, 1 settembre 2006

 

L’organizzazione internazionale Medici Senza Frontiere (Msf) denuncia con forza le "inaccettabili condizioni di vita, salute e lavoro in cui, ormai da anni, migliaia di stranieri sono costretti nei campi dove lavorano come stagionali in Puglia e in altre regioni del Sud Italia". L’organizzazione torna sull’argomento dopo l’indagine condotta lo scorso anno (vedi lanci del 31.03.2005) e dopo aver sollevato ancora il problema nei giorni scorsi (vedi lanci del 30.08.2006), con un focus sulla Puglia e l’iniziativa "Avanti Pop Extra", in corso di svolgimento fino al 3 settembre a Foggia e provincia. Afferma Andrea Accardi, responsabile dei progetti italiani di Msf: "Nel nostro paese si continua a parlare di invasione puntando solo i riflettori su Lampedusa e giustificando così scelte politiche restrittive e repressive. Nessuno parla invece di dove vadano a finire queste persone una volta sbarcate. È dal 2003 che Msf si occupa del fenomeno degli immigrati impiegati come lavoratori stagionali. Negli ultimi tre anni, attraverso il nostro lavoro di assistenza sanitaria e umanitaria, abbiamo testimoniato come vengano trattate queste persone, risorsa fondamentale per l’agricoltura italiana". Anche nell’estate 2006 Msf si è vista costretta a continuare questo progetto. Gli operatori dell’organizzazione internazionale hanno monitorato come gli stranieri che arrivano sani in Italia si ammalano qui a causa delle indecenti condizioni che trovano all’arrivo nelle campagne. "Manca qualsiasi forma di accoglienza - continua Accardi -. Il sistema è totalmente ipocrita e vede la connivenza e il coinvolgimento di tutti gli attori a partire dalle autorità governative e dalle istituzioni locali fino ad arrivare alle organizzazioni di produttori e ai sindacati."

In un rapporto pubblicato da Msf nel 2005 sulle condizioni di vita e di lavoro degli stagionali, "I frutti dell’ipocrisia", già emergevano dati allarmanti: il 40% delle persone intervistate vive in edifici abbandonati; più del 50% non ha acqua corrente nel posto in cui vive; il 30% non ha elettricità; il 43,2% non dispone di servizi igienici. Buona parte di queste persone vive al di sotto degli standard minimi fissati dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati nei campi profughi in situazione di emergenza. Il 30% degli intervistati ha dichiarato di aver subito qualche forma di violenza, abuso o maltrattamento negli ultimi 6 mesi in Italia. Nell’82,5% dei casi l’aggressore era un italiano. Quasi a tutti gli immigrati che hanno richiesto una visita sono state effettivamente diagnosticate una o più patologie. Le principali malattie diagnosticate si riferiscono soprattutto a patologie dermatologiche (23,6%); parassiti intestinali e malattie del cavo orale (15,5% ciascuna); malattie respiratorie (14,3%) correlabili alle precarie condizioni di vita. "Ci appelliamo a tutte le istituzioni coinvolte e alla società civile perché simili situazioni non persistano in un paese che si definisce civile come l’Italia", conclude Accardi.

Droghe: delegazione governativa rumena incontra la Fict

 

Redattore Sociale, 1 settembre 2006

 

Un incontro importante quello di ieri tra i rappresentati del Consiglio direttivo della Federazione Italiana Comunità Terapeutiche e Pavel Abraham, presidente dell’Agenzia Nazionale Antidroga della Romania, associazione governativa creata nel 2003, in vista di un accordo di cooperazione tra Italia e Romania sulle tossicodipendenze, nel campo della ricerca e della formazione per operatori del settore. L’intento è di avviare un percorso di collaborazione in cui saranno coinvolti anche l’Istituto di Formazione e di Ricerca "Progetto uomo" (Ipu) della Fict e l’Università di Bucarest.

"Seguendo le direttive Onu, che indicherebbero come migliore il modello di intervento italiano nel settore delle tossicodipendenze in Europa, l’Agenzia Rumena ha preso contatti con le varie realtà nazionali che operano nel campo. - spiega la Fict - Il prof. Abraham ha avuto modo di illustrare il progetto Marra avviato in Romania e che avrà termine nel 2009.

Obiettivo del progetto è la creazione di 9 comunità terapeutiche che avranno lo scopo di creare un sistema integrato di prevenzione, cura e riabilitazione. In questo progetto è stata auspicata la collaborazione della Fict in termini di scambio di metodologie terapeutiche e sono programmate visite in Romania per tutti gli operatori in grado di dare il loro contributo di esperienza". La Delegazione della Agenzia Rumena ha incontrato anche la Comunità Incontro di Mons. Pietro Gelmini ad Amelia (Terni) e con la Comunità di San Patrignano (Rimini) fondata da Vincenzo Muccioli e attualmente gestita dal figlio Andrea. Hanno, inoltre, visitato il Centro Ce.I.S. "San Carlo" a Castel Gandolfo (Roma) e la Comunità di Santa Severa (Roma).

Droghe: overdose, le linee di indirizzo della Regione Umbria

 

Redattore Sociale, 1 settembre 2006

 

Ci sono anche delle "prime indicazioni" che i servizi socio sanitari umbri dovranno mettere in atto immediatamente nelle "Linee di indirizzo per la prevenzione dei decessi da overdose", approvate dalla Giunta regionale dell’Umbria. Umbria che, tra l’altro, è proprio una delle regioni italiane con il più alto tasso di morti da overdose.

"Il nostro intento - ha spiegato l’assessore alle Politiche sociali, Damiano Stufara - è di realizzare strategie coordinate di riduzione del danno e di prevenzione, allo scopo di arginare il fenomeno delle dipendenze e di cancellare il triste primato umbro delle morti da overdose".

Le Linee di intervento elencano le modalità e le misure di azione che debbono essere adottata dalle strutture del sistema sanitario pubblico. In linea con le raccomandazioni diffuse dall’Osservatorio europeo di Lisbona, si evidenzia la necessità della distribuzione, "più diffusa possibile", di naxolone da parte dei Sert, delle Unità di strada, del Centro a bassa soglia e, nei casi opportuni, delle comunità e servizi residenziali e semiresidenziali e degli operatori sanitari delle carceri. Una distribuzione da accompagnare con colloqui informativi e materiale documentario. Ma il provvedimento calca soprattutto sulla necessità che, dato il carattere prioritario degli interventi di emergenza, si dotino in maniera permanente del naxolone le Unità mobili del 118 ed i servizi di Guardia medica e Pronto soccorso.

Per quanto riguarda le misure di intervento a medio e lungo termine, l’atto prevede attività di informazione ed educazione rivolte ai consumatori e soggetti a rischio, il "rilancio del lavoro a rete", in particolare per lo sviluppo di un sistema di comunicazione tempestivo per il supporto a situazioni di rischio elevato, ed il potenziamento degli strumenti di gestione delle problematiche sociali.

"Il complesso delle azioni individuate dalla giunta regionale si colloca in un più ampio Piano di prevenzione dei decessi di overdose - è scritto in un nota della Regione -. In questo ambito verrà costituito un Tavolo permanente di confronto, con il coinvolgimento delle forze dell’ordine, per mettere a punto un monitoraggio che consenta anche di impostare interventi mirati alla prevenzione dei rischi, come ad esempio un sistema rapido di analisi e comunicazione in caso di partite di sostanze particolarmente pericolose. A ciò si aggiunge l’obiettivo di promuovere una strategia di riduzione del danno sulla base di una lettura aggiornata dei fenomeni di consumo delle sostanze, della integrazione di interventi di bassa soglia all’interno del sistema complessivo di intervento, di politiche intersettoriali, in particolare tra l’area sanitaria e dei servizi sociali, della sperimentazione di percorsi innovativi".

Parma: indulto; molto migliorate le condizioni di detenzione

 

Reporter.it, 1 settembre 2006

 

Indulto e situazione carceraria. Ma il provvedimento di clemenza ha davvero risolto i problemi della civile convivenza all’interno dei penitenziari e in particolare di quello di Reggio. Lo abbiamo chiesto al vice commissario Mauro Pellegrino, comandante della polizia penitenziaria della casa circondariale della Pulce.

 

Commissario, la legge sull’indulto ha risolto il problema di sovraffollamento nella casa circondariale?

"Il numero dei detenuti nella casa circondariale ha subito un rilevante calo, in misura anche superiore al dato inizialmente stimato. Ne consegue che lo stato di sovraffollamento non è più un problema. Le condizioni di vita che al momento possono essere garantite all’interno della struttura sono ovviamente migliori. Già precedentemente, però, nonostante le numerose presenze, la tutela dei diritti dei detenuti - integrità fisica, salute mentale, rapporti familiari e sociali, integrità morale e culturale - è sempre stato obiettivo primario della direzione e, in tal senso, nessuno degli operatori penitenziari si è risparmiato per realizzare condizioni generali di vita conformi ad umanità e rispettose della dignità della persona".

 

Si dice che questo indulto crei allarme sociale. Lei cosa ne pensa in merito?

"Credo sia naturale l’allarme sociale per il gran numero di scarcerazioni. Probabilmente, tale allarme è accentuato dal timore che i soggetti dimessi dalle carceri possano, anche repentinamente, commettere ulteriori reati. Si tratta pur sempre di un atto di clemenza a carattere generale, che naturalmente non ha potuto discriminare la sua applicazione in funzione delle singole posizioni. Voglio dire che ne hanno beneficiato ugualmente persone che avevano dimostrato capacità di adeguamento al minimo etico giuridico sociale e persone per le quali la prognosi di reinserimento sociale non era così favorevole, con probabilità di recidiva assai consistente. A Reggio si è cercato di consolidare la collaborazione con le istituzioni e la comunità esterna - ottenendo ottimi risultati - perché il reingresso nella libertà della popolazione detenuta avvenisse in termini di sicurezza dei cittadini".

 

Nella casa circondariale di cui lei è comandante, quanti sono i detenuti che con questa legge hanno riacquistato la libertà? E adesso, il personale di polizia penitenziaria andrà tutto in ferie?

"Dalla casa circondariale di Reggio, per effetto dell’indulto, sono stati dimessi complessivamente 113 detenuti. Di questi, circa il 27%, non ha ancora raggiunto da sentenza definitiva di condanna, è stato scarcerato per sopravvenuta revoca della custodia cautelare in carcere. Per ciò che concerne il personale di polizia penitenziaria non v’è stata alcuna modificazione profonda nella programmazione dei turni di ferie. I posti di servizio da assicurare sono rimasti invariati. In più, il personale in servizio nel periodo immediatamente successivo all’approvazione della legge ha dovuto concorrere al perfezionamento delle principali procedure connesse alla scarcerazione, non solo quelle matricolari e contabili, con un notevole aggravio di lavoro. Produttività ed efficienza nell’adempimento dei compiti e servizi, nonostante le eccezionali ed onerose condizioni lavorative, come spesso accade con i miei uomini, non hanno subito alcuna flessione".

 

Secondo lei, questa legge non doveva essere accompagnata da un ulteriore provvedimento a sostegno sociale dei detenuti una volta usciti dal carcere, anche per evitare che vi facciano ritorno molto presto perché disorientati per la mancanza di un lavoro o di una abitazione?

"Sono state impartite direttive ministeriale per l’individuazione delle condizioni di effettivo bisogno dei soggetti beneficiari dell’indulto e per l’interessamento degli enti pubblici e privati qualificati nell’assistenza sociale. Recentemente, poi, sono stati stanziati alcuni milioni di euro per il perfezionamento di progetti finalizzati al reinserimento post-detentivo, con riferimento particolare all’aspetto lavorativo. Non si può escludere - come accade per ogni remissione in libertà - che la mancanza di opportunità lavorative, di stabilità abitativa, di solidità dei legami familiari, creino disorientamento e possano costituire elementi sostanziali di uno scarso reinserimento nel tessuto sociale e determinare quella condizione di disadattamento e di antisocialità che spesso origina la commissione dei reati".

 

Si dice che questo provvedimento di indulto sia stato concepito e promulgato per restituire dignità alla popolazione detenuta che ormai a causa del sovraffollamento delle carceri l’aveva persa e per dare una boccata d’ossigeno alla polizia penitenziaria che a causa della cronica carenza d’organico era costretta a svolgere il servizio sotto stress psicologico. Cosa ne pensa?

"Il sovraffollamento delle carceri ha nel tempo accentuato il disagio di una vita costretta qual è quella del detenuto. Talvolta, ciò ha comportato una inevitabile ulteriore compressione della libertà personale, se non altro per effetto di una difficile convenienza forzata in spazi pensati e realizzati per un numero di persone nettamente inferiore. Qualche dubbio ritengo possa essere sollevato sul fatto che sia stata restituita dignità alle persone scarcerate.

Infatti, molte di esse, all’interno degli istituti penitenziari, hanno comunque potuto godere dei servizi di cui non avrebbero potuto beneficiare da liberi cittadini. Nella casa circondariale di Reggio, in particolare, si è sempre cercato di lenire il più possibile il disagio e di garantire in ogni caso alle persone detenute trattamenti improntati incondizionatamente ai principi costituzionalmente sanciti. Operare con una popolazione detenuta numericamente consistente è solo uno degli aspetti causa di stress nel personale di polizia penitenziaria, sebbene naturalmente la situazione attuale consenta un più sereno espletamento delle proprie funzioni.

Il fenomeno, però, è più complesso, risultante come è di un’azione sinergica di fattori individuali, di fattori collegati alla condizione lavorativa e di fattori determinati dalla situazione storico-politico-sociale. A livello organizzativo, ritengo che l’incremento dell’organico, l’automazione, l’informatizzazione e la razionalizzazione dei posti di servizio, possano essere considerati obiettivi d’eccellenza di una strategia che miri a modificare, o almeno ad attenuare, gli stressors di una così originale e logorante professione quale quella del poliziotto penitenziaria".

Stati Uniti: due condanne a morte, in Texas e Oklahoma

 

Agi, 1 settembre 2006

 

Due condanne a morte con iniezione letale sono state eseguite la scorsa notte negli Stati Uniti. Nel penitenziario di McAlester, in Oklahoma, è stato giustiziato James Malicoat, 31 anni, condannato per avere ucciso a botte nel 1997 la figlia di tredici mesi, approfittando dell’assenza della madre. Malicoat confessò di avere sbattuto per la testa la figlioletta Tessa contro una credenza qualche giorno prima e poi di averle sferrato un pugno allo stomaco che la uccise.

Disse che tentò di rianimarla, ma non riuscendoci la ripose nella culla e se ne andò a dormine. Quando la donna tornò dal lavoro e si accorse che la bambina non respirava la portò di corsa, accompagnata da Malicoat, ma non vi fu niente da fare. L’autopsia sulla piccola rivelò amatomi diffusi su tutto il corpo, segni di morsi e due costole rotte: prova che Tessa fu picchiata per giorni. La madre, Mary Ann Leadford, è stata condannata all’ergastolo, per complicità nell’omicidio. Malicoat è l’83esimo detenuto messo a morte in Oklahoma dal 1990, anno in cui è stata ripristinata la pena capitale.

Nel penitenziario di Huntsville è stato giustiziato Derrick Frazier, 29 anni, colpevole di avere ucciso nel 1997 Betsy e Cody Nutt, madre e figlio quindicenne aggrediti nel loro caravan. Frazier, all’epoca spacciatore di droga, e il suo complice Jermaine Herron avevano preteso un passaggio perché la loro macchina si era rotta. Harron fu giustiziato lo scorso maggio. Quella di Frazier è la ventesima condanna a morte eseguita dall’inizio dell’anno in Texas e la 375esima dal 1982, sei anni dopo il ripristino della pena capitale deciso dalla Corte suprema. I due dati collocano il Texas al primo posto negli Stati Uniti.

 

 

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