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Frosinone: detenuto morto a Ferragosto, interrogazione in Regione
Il Messaggero, 2 settembre 2006
Non si scioglie il mistero del giovane detenuto nel carcere di Frosinone trovato morto a ferragosto. I Ds regionali interrogano l’assessore regionale agli Affari istituzionali e sollecitano l’intervento della giunta. "La giunta regionale si attivi per avere informazioni sulle cause che hanno provocato il decesso di un detenuto nel carcere di Frosinone, un giovane di 21 anni trovato morto il 15 agosto e intervenga per rendere più vivibile la situazione dei penitenziari del Lazio" scrive Luisa Laurelli, consigliera regionale dei Ds e presidente della commissione sicurezza, in un’interrogazione rivolta all’assessore agli Affari Istituzionali, Regino Brachetti. "Dal 15 agosto - scrive la diossina - non si è saputo più nulla, si sa soltanto che è in corso un’inchiesta per stabilire se si sia trattato di un suicidio o di un omicidio. La nostra Regione ha sempre dimostrato sensibilità per i problemi dei detenuti, come si evince dall’istituzione del garante e da vari provvedimenti legislativi già adottati o in corso di approvazione. Quindi chiedo all’assessore di intervenire, nell’ambito delle proprie competenze, per rendere più vivibile le carceri del Lazio". Risponde l’assessore Brachetti: "Per quanto riguarda la necessità di avere informazioni precise sulle cause del decesso, fermo restando che sarà mia cura recarmi presso l’istituto nei prossimi giorni per acquisire notizie sul posto, in accordo con la Commissione Consiliare presieduta da Laurelli e con il Garante regionale per i diritti dei detenuti Marroni, sono intenzionato ad adottare tutti gli atti di mia competenza". Rieti: indulto, solo il volontariato ha aiutato gli ex detenuti
Il Messaggero, 2 settembre 2006
Per i carcerati né buonismo né carità fine a se stessi. Il problema è di ordine sociale, grazie quindi al sindaco Giuseppe Emili per la sensibilità e il livello socio-politico che lo distingue. Fino ad oggi sono usciti dalle carceri italiane oltre ventimila detenuti tra coloro che avevano condanne definitive e reclusi in attesa di giudizio per reati rientranti nei tre anni di pena previsti dall’indulto. Per le stesse motivazioni giudiziali sono usciti dal carcere reatino di Santa Scolastica ventisette detenuti, di cui dieci residenti a Rieti. Un provvedimento umanitario e in parte demagogico, poiché doveva essere preso per sfoltire le carceri italiane strapiene e incivili, ma non si liberano ventimila detenuti alla vigilia di Ferragosto e si mettono fuori dai portoni senza nessun programma di aiuto e di reinserimento sociale. Il solo intervento di certo è venuto dal volontariato e nel caso di Rieti dal Movimento Cristiano Lavoratori, dal Volontariato Vincenziano, dalla Caritas Diocesana e dalla Sezione Femminile della Croce Rossa Italiana. Molti dei detenuti, anche quelli residenti fuori Rieti sono assistiti dal nostro volontariato con soldi, vestiario, alimentari, ricerca di lavoro e di casa. Non si tratta né di buonismo né di carità fine a se stessi, sappiamo che il 97 per cento degli italiani è contrario a questo provvedimento ed ha paura degli ex-detenuti in libertà. La nostra attenzione è di carità cristiana, ma soprattutto di ordine sociale, poiché se i detenuti non vengono aiutati a reinserirsi, fanno ulteriore danno a se stessi ed alla società civile, alle loro ed alle nostre famiglie. Ringrazio pubblicamente il sindaco Giuseppe Emili per la sensibilità cristiana ed umana, per il livello socio-politico che lo distingue, per essersi fatto carico di borse-lavoro necessarie per far lavorare i detenuti e per l’accoglienza abitativa. È buonismo? No, è saggezza sociale e politica che gli egoisti non possono comprendere, peccato per loro.
Nazzareno Figorilli, presidente Movimento Cristiano Lavoratori Napoli: l’indulto cancella anche la pena di Duilio Poggiolini
Il Mattino, 2 settembre 2006
La stagione di Tangentopoli gli aveva lasciato sulle spalle una condanna per corruzione e due anni da trascorrere in regime di affidamento in prova ai servizi sociali. Ma tre giorni fa, grazie all’indulto, l’ex direttore generale del ministero della Sanità, Duilio Poggiolini, ha saldato i conti che ancora aveva in sospeso con la giustizia. Dal 30 agosto la pena residua, che sarebbe giunta a conclusione nel 2008, è stata cancellata. E dunque si chiude così uno dei capitoli più celebri della letteratura di Mani pulite, esploso nel 1993 con il ritrovamento delle banconote nascoste all’interno di un pouf in casa e ritenute provento di mazzette. Una storia, e un’inchiesta, che fecero tremare i palazzi del potere e trascinarono nella rete l’allora potentissimo direttore generale del ministero della Sanità e anche sua moglie, Pierr Di Maria. Tutto iniziò con le indagini che, in quei giorni, la Procura di Napoli aveva avviato sulle tangenti versate per condizionare l’aumento del prezzo dei medicinali. L’inchiesta, condotta dai pm Alfonso D’Avino, Antonio D’Amato, Nunzio Fragliasso e Arcibaldo Miller (attuale capo degli ispettori del ministero della Giustizia) individuò ben presto nell’influente dirigente statale il suo protagonista numero uno. Poggiolini finì in cella dopo aver trascorso in Svizzera un breve periodo di latitanza. La perquisizione ordinata dai magistrati fece venire alla luce un vero e proprio tesoro, lingotti d’oro compresi. Il caso fece rapidamente il giro d’Italia. Una volta dietro le sbarre, Poggiolini iniziò a rispondere alle domande dei magistrati, riferendo moltissime circostanze che contribuirono a integrare l’impianto accusatorio delineato dagli accertamenti condotti dagli investigatori. Per interrogare l’indagato arrivò a Napoli anche l’allora pm di Milano Antonio Di Pietro, che lo ascoltò per diverse ore in una saletta del carcere di Poggioreale, dove Poggiolini rimase in custodia cautelare per oltre sette mesi, il massimo previsto all’epoca dalla legge. Nel carcere femminile di Pozzuoli fu rinchiusa invece la moglie, con la quale il dirigente fu anche messo faccia a faccia nel corso di un lungo e drammatico confronto. L’interesse dei media per quella indagine e per le vicende giudiziarie della coppia raggiunse vette altissime, Poggiolini finì col diventare uno dei simboli di quel malcostume contro il quale, sull’onda dell’azione della magistratura, si riversava l’indignazione dell’opinione pubblica. Ma anche quando le luci di Tangentopoli si spensero, il giudizio, pur con l’iter tradizionalmente lungo e complesso che caratterizza il nostro processo penale, andò avanti riuscendo a giungere fino alla sentenza definitiva. In primo grado, l’imputato fu assolto dall’accusa di associazione per delinquere e da venti casi di corruzione, ma venne condannato a sette anni e mezzo di reclusione per altri venti episodi di tangenti. Condanna ridotta in appello a 4 anni e quattro mesi, con altre assoluzioni parziali e la prescrizione per alcuni capi d’imputazione. Il verdetto è stato poi confermata dalla corte di Cassazione, che dispose anche la confisca di svariati milioni di euro sequestrati a Poggiolini e alla moglie. Ma se Pierr di Maria è riuscita ad uscire dal processo con una lieve condanna, che le ha consentito di usufruire della sospensione condizionale della pena, dopo la sentenza della Cassazione il marito ha invece dovuto fare i conti con l’ultimo strascico della vicenda giudiziaria iniziata negli anni ‘90 e terminata solo adesso. I sette mesi trascorsi dietro le sbarre nella fase delle indagini preliminari non bastavano infatti a evitargli il ritorno agli arresti. La Procura generale di Napoli però gli concesse la detenzione domiciliare per ragioni di salute. Da circa quattro mesi, dopo averne trascorsi nove da detenuto in casa, era tornato libero ed era stato affidato ai servizi sociali. In tutti questi anni, l’ex direttore generale del ministero della Sanità ha ulteriormente accentuato lo stile di vita schivo e riservato che già lo contraddistingueva prima della bufera giudiziaria. Ora è arrivato l’indulto, e anche Poggiolini può voltare pagina. Campobasso: indulto; 180 detenuti lasciano carceri del Molise
Il Tempo, 2 settembre 2006
Indulto, oltre 180 detenuti sono stati scarcerati dai penitenziari del Molise, tornando in libertà prima dello scadere della pena, usufruendo di un beneficio accordato in Italia a circa 23.000 carcerati, di cui 8.000 stranieri, contro la previsione iniziale di 12.000 interessati. A comunicarlo è Aldo Di Giacomo, segretario del Sappe. Nel Molise dei 180 detenuti che hanno usufruito dell’indulto (tra loro 50 stranieri) 32 sono usciti dal carcere di Campobasso, 46 da quello di Isernia, 102 da quello di Larino. A questi vanno aggiunti ulteriori 35 detenuti, che hanno usufruito dalle misure alternative, per un totale di 215 beneficiari. "La portata dell’atto di clemenza è storica - ha concluso Di Giacomo - e le scarcerazioni continueranno fino a fine anno. Per non rendere vano questo provvedimento è necessario che Governo e Parlamento pensino ad interventi strutturali che rivedano il sistema carcerario: il potenziamento dell’area penale esterna un maggior ricorso alle misure alternative, una legge che faciliti l’espulsione degli extracomunitari piuttosto che la loro detenzione in Italia". Cremona: era uscito con l’indulto da tre giorni, ritrovato morto
La Provincia di Cremona, 2 settembre 2006
Questa mattina alle 8 Giorgio Azzini accompagnato dalle figlie sarà all’obitorio di Milano per il riconoscimento della salma rinvenuta martedì sera ai giardini pubblici del capoluogo lombardo. Secondo gli uomini della Questura che hanno rinvenuto il cadavere dovrebbe trattarsi di Roberto Azzini, 43enne molto conosciuto a Casalmaggiore sebbene mancasse dalla città da alcuni anni. A portare le forze dell’ordine verso questa prima identificazione è stato il fatto che accanto alla salma è stato trovato uno zainetto con alcuni documenti intestati allo stesso Azzini. Il 43enne, grazie all’indulto, era stato scarcerato il 28 agosto da un penitenziario siciliano in cui si trovava per un vecchio reato. Ai familiari aveva scritto che si sarebbe diretto verso una comunità, dal momento che già da tempo era seguito dai servizi sociali e aveva manifestato la volontà di superare i problemi legati alla tossicodipendenza. Proprio per questo appare strana la sua eventuale presenza a Milano. Subito dopo il riconoscimento, se ci sarà, sarà eseguita l’autopsia per stabilire la causa del decesso. La notizia - pur se da confermare - della scomparsa di Azzini si è subito sparsa in città: l’uomo era molto conosciuto e in molti ricordano che prima di avere problemi con gli stupefacenti e cadere in quel tunnel maledetto era un bravo ragazzo e un grande lavoratore. Il più vecchio dei sei figli di Azzini, Roberto, si è sempre preso cura delle sorelle e del fratello inoltre ha lavorato come meccanico da ‘Capelli’ e come imbianchino mettendo a disposizione della famiglia il suo stipendio. Varese: è ora di tornare a parlare del carcere dei Miogni
Varese News, 2 settembre 2006
Alessio Nicoletti, leader di Movimento Libero, riapre il dibattito sul nuovo carcere. "Che il nuovo carcere, afferma Nicoletti, sia un’esigenza di tutto il territorio e non solo della Città di Varese, credo sia chiaro e condiviso da tutti. Ma, come spesso accade, le cose vanno nel dimenticatoio e se qualcuno non sollecita tutto il mondo politico e istituzionale si rischia di rimanere al palo. L’attuale carcere varesino, quello dei Miogni (nella foto), non è all’altezza da tempo di affrontare la situazione carceraria". "Movimento Libero vuole rilanciare, con questo intervento politico, l’importanza e l’esigenza di un nuovo carcere in città, confidando che si possa dare un’accelerazione alla risoluzione di una questione che sembra passata nel dimenticatoio". "Sicuramente è stato un bene che non sia andato in porto il nuovo carcere sull’area di Bizzozzero, un’area che va salvaguardata e valorizzata dal punto di vista paesaggistico - ambientale. Resta il fatto, continua ancora Nicoletti, della necessità di un nuovo carcere. Noi proponiamo la riqualificazione e il miglioramento di quello attuale. In poche parole il recupero e l’adeguamento dei Miogni potrebbe essere la via giusta da perseguire". "Credo, conclude Nicoletti, che serva la volontà politica e istituzionale di tutti gli attori del territorio e non, che speriamo risponda positivamente alla nostra sollecitazione". Napoli: adesso più impegno per il reinserimento dei detenuti
Il Mattino, 2 settembre 2006
A Poggioreale sono 800 detenuti in meno e si vede. Non ci sono più le cataste di brande nelle celle, i corridoi sono più ordinati, i reclusi sembrano più tranquilli. "Non c’è dubbio: gli effetti dell’indulto nelle carceri napoletane sono evidenti, spiega Tommaso Pellegrino, giovane deputato dei Verdi alla sua seconda visita alla casa circondariale di Poggioreale a distanza di poche settimane. "Sono stato qui il giorno dopo il sì della Camera all’indulto. C’erano 2300 detenuti. Ora ce ne sono 1596. Le condizioni sono molto migliorate e questo è dovuto anche al grosso sforzo che stanno facendo la direzione del carcere e le guardie penitenziarie". Pellegrino plaude anche all’efficienza delle misure rieducative "Ci sono corsi di musica e teatro. Mi ha colpito molto la storia di Caiazzo che sta cercando di vivere con serenità la detenzione pur portandosi sulle spalle il peso di un delitto così grave. Bisogna però fare di più: soprattutto per il reinserimento di chi lascia le sbarre. Gli ex detenuti non devono sentirsi smarriti e deboli perché senza un lavoro, altrimenti è facile che ricadano nel giro che li aveva portati in galera". Milano: Caritas; solo 10% degli stupri compiuti da sconosciuti
Redattore Sociale, 2 settembre 2006
In questi giorni di "allarme stupro" non ci si è soffermati abbastanza su un dato indicativo: solo il 10% dei casi di violenza sessuale sono compiuti da sconosciuti. Giornali, radio e televisioni hanno fomentato la credenza che i violentatori siano in gran parte uomini sconosciuti che si aggirano per le città con l’intenzione di assalire le donne sole. Ma le statistiche rivelano un’altra verità: il 90% delle violenze è compiuta in famiglia o da conoscenti. La denuncia di questa distorsione mediatica arriva dalla Caritas Ambrosiana. "Ci sembra di ravvisare in questo tipo di comunicazione- si legge nella lettera aperta redatta dall’associazione - una prima rappresentazione distorta della realtà, destinata a suscitare sentimenti di profonda insicurezza, se non di vero e proprio allarme nell’opinione pubblica e in particolare tra le donne. Con questo non si intende negare la gravità di questi episodi, tuttavia la sensazione è quella che il fenomeno della violenza alle donne abbia improvvisamente assunto i tratti di un’emergenza, come in altre occasioni, e che poi, passato qualche tempo, ricada nella dimenticanza." Secondo la Caritas Ambrosiana i media oltre a creare allarmismo tra le donne, "enfatizzano il fatto che l’aggressore sia uno straniero clandestino, avallando in modo acritico l’associazione tra questa condizione e una presunta propensione ad un crimine considerato tra i più gravi." In questo modo "si rinforza il pregiudizio che non solo gli stranieri sarebbero particolarmente inclini alla delinquenza, ma che il loro atteggiamento nei confronti del genere femminile sia inguaribilmente improntato ad una logica di sopraffazione non compatibile, neanche in prospettiva, con la società occidentale e il concetto di pari opportunità. Il fenomeno della violenza nei confronti delle donne, invece, coinvolge uomini e donne di tutti i paesi e le culture, è molto complesso e al contrario di quanto comunemente si pensa, si manifesta, in Italia e a Milano, soprattutto in ambito familiare. Infatti, la maggior parte delle violenze sono commesse da una persona in rapporti di intimità (come il partner, il padre, fratelli, zii, etc.) o da conoscenti (amici,colleghi, etc.). È inoltre un fenomeno trasversale, che riguarda tutte le classi sociali, le religioni, senza distinzione di istruzione, reddito, età." "Lo stupro, nell’ambito della violenza di genere,- spiega il comunicato- rappresenta la massima espressione di aggressività nei confronti delle donne e comprensibilmente suscita una forte reazione emotiva, anche in una logica di possibile identificazione. La violenza agita e subita all’interno delle mura domestiche o nella cerchia delle proprie conoscenze è, invece, un fenomeno al quale non viene data un’adeguata visibilità e ancora oggi è poco riconosciuta." La Caritas si occupa da molti anni di donne maltrattate e che subiscono violenza e mette a disposizione di tutti il Servizio disagio donne (Sed), che offre consulenze telefoniche e colloqui, orientamento ai servizi e alle risorse, presa in carico ed elaborazione di progetti individuali e invio in strutture di accoglienza. Per informazioni: 02.76037353 - 351. Milano: Moratti; in città le violenze sulle donne sono diminuite
Redattore Sociale, 2 settembre 2006
Milano cerca di difendersi dalla recente ondata di violenza che ha colpito la città, in particolare attraverso odiosi reati a sfondo sessuale. Questa mattina il sindaco Letizia Moratti ha presentato li pacchetto di misure scaturito dalla riunione odierna del Comitato per l’Ordine e la Sicurezza, composto da Comune, Prefettura, Provincia, e Regione. Il piano è articolato in base a tre direttrici (prevenzione, sicurezza e rivitalizzazione della città), a cui si aggiungeranno una serie di richieste al Governo, tra cui l’istituzione del processo per direttissima a quanti sono accusati di aggressione per stupro e la possibilità per la Polizia Municipale di accedere al sistema informatico di Polizia e Carabinieri. Prevenire - Tra le proposte presentate da Letizia Moratti la strutturazione dell’attività dell’Ufficio assistenza vittime, anche con forme di collaborazione delle Asl per servizi di assistenza sanitaria; la razionalizzazione della presenza dei vigili di quartiere per dislocarli nelle aree già mappate. Tra le novità più significative anche una più intensa collaborazione con Aler per investire ulteriormente sulle figure dei portieri sociali: oltre ai 2 milioni di euro già investiti per 40 nuovi operatori, altri 4 milioni di euro dovrebbero provenire da detrazioni dell’Ici che l’Aler corrisponde al Comune. Verranno inoltre interamente mappate le aree dismesse: ai loro proprietari verrà chiesto di mettere in sicurezza le aree durante le fasi della riqualificazione. Palazzo Marino intende inoltre mettere a disposizione delle Forze dell’Ordine presenti sul territorio un numero maggiore di alloggi, accordando con la regione un cambio del proprio regolamento che stabilisce la disponibilità di alloggi di edilizia popolare per il 10% del personale e una revisione della fascia di reddito per avervi accesso, in modo da aumentare la loro presenza sul territorio. Moratti intende anche aumentare l’impegno tra Comune e associazioni di volontariato, per verificare l’attuazione dei progetti avviati dai Servizi sociali e promuoverne di nuovi. Investire in sicurezza - Dal punto di vista della sicurezza, il primo passo sarà un’analisi degli organici delle Forze dell’Ordine presenti sul territorio, alla luce dei cambiamenti dei bisogni dei cittadini. Altra iniziativa è la creazione di una rete di punti di segnalazione delle situazioni di pericolo diffusa sul territorio, a partire dalle fermate Atm, insieme ad accorgimenti quali il montaggio sui semafori di un pulsante di allarme collegato con la rete di sorveglianza della Polizia locale e il coinvolgimento di edicole ed esercizi commerciali come punti di riferimento per la richiesta di aiuto. Allo studio anche possibili finanziamenti per quanti potenziano l’illuminazione notturna. In ogni caso, il sindaco ha ricordato che "Secondo i dati della Questura le violenze sono in diminuzione e secondo la Prefettura 95% dei reati viene punito". Nonostante questo, ha proseguito la Moratti, "è aumentata la percezione di insicurezza". Dare più vita alla città - Anche per modificare questa sensazione, tra le intenzioni della Giunta Moratti anche quella di rivitalizzare le zone della città esposte a maggior rischio sociale, con un programma di eventi e un nuovo piano di socializzazione per chi abita in quartieri difficili, come le vie attorno alla Stazione Centrale. Proprio in prossimità dello scalo ferroviario verranno installate due tensostrutture per realizzare incontri, convegni ed eventi d’intrattenimento. Una via per Hina - "Il pacchetto di misure proposto da Letizia Moratti in materia di sicurezza va verificato sul campo in fase di attuazione - dicono Marilena Adamo e Pierfrancesco Maran, rispettivamente capogruppo e consigliere dei Ds a Palazzo Marino -. Su alcuni punti, a cominciare dalla messa in sicurezza delle aree dismesse del Comune, si poteva tuttavia cominciare prima. In particolare nell’area di Porta Vittoria, dopo il recente stupro, sarebbe stato opportuno provvedere quantomeno alla rimozione delle erbacce che avevano protetto lo stupratore dalla vista dei passanti (un imminente intervento in questo senso è stato annunciato dal sindaco in conferenza stampa). Non viene invece trattato a sufficienza il tema della lotta alla cultura machista alla base delle violenze alle donne, che non può essere identificato completamente né solo con i temi della sicurezza, tantomeno con i temi dell’immigrazione. È necessario lanciare programmi, che comincino in età scolare, anche data la giovane età di alcune delle persone coinvolte in questi giorni, che insegnino un maggiore rispetto verso le donne e la loro libertà, coinvolgendo nella programmazione degli interventi le donne dei Centri Antiviolenza e le altre associazioni che si occupano del tema, che non sono ancora state ascoltate dal Sindaco, nonostante la nostra espressa richiesta. Come gesto simbolico proponiamo al Comune di Milano di ricordare attraverso una targa, un albero o una via, Hina, la ragazza pakistana recentemente uccisa, come simbolo della libertà femminile". Immigrazione: Daniel, attraversare il Sahara a 15 giorni di età
Redattore Sociale, 2 settembre 2006
Attraversare il Sahara a 15 giorni di età. Non basta ad entrare nel Guinness dei Primati, però serve per entrare in Europa. Il bambino si chiama Daniel, viene dall’Eritrea. Stretto al petto della madre e appeso al vigile sguardo del padre, sopra un fuoristrada pick-up con altre 32 persone a bordo, senza sosta, tra le dune, sotto il sole di giorno e nella morsa del gelo la notte, per tre giorni. Non contento del primato nel deserto ha fatto per due volte la traversata del Canale di Sicilia dalla Libia. La prima fu nell’estate 2005, dopotutto aveva già 4 mesi. Il motore della nave però smise di girare a metà tragitto. Fortunatamente l’imbarcazione, che intanto prendeva acqua, venne avvistata da una nave della piattaforma petrolifera off shore del progetto Western libyan gas dell’Eni, a Bahr Essalam, 110 km al largo della costa libica. L’equipaggio volle caricare solo donne e bambini, mandando a dire agli altri che potevano anche annegare, e scomparve all’orizzonte. Così Daniel si risvegliò in braccio alla madre sul ponte della nave che li stava riportando in Libia, mentre il padre che nel frattempo era riuscito a salvarsi con gli altri, provava a spiegare alla polizia di Caltanissetta che gli operai di una piattaforma in mezzo al Mediterraneo gli avevano sequestrato la moglie e il figlio piccolo e che dovevano cercarli perché se li portavano in Libia poteva succedere loro di tutto. I timori di Manuel erano fondati. Mamma e bambino vennero infatti arrestati appena sbarcati a Tripoli e quindi trasferiti nel carcere di Kufrah, nel sud est del Paese, noto per le pessime condizioni di detenzione e la frequenza di abusi e torture ai danni dei detenuti. Fortunatamente gli ultimi risparmi rimasti furono sufficienti a corrompere alcune guardie per evadere e guadagnare di nuovo la strada per Zuwarah. Oggi Daniel vive in un palazzo occupato alla periferia di Roma, con mamma e papà. È arrivato a Lampedusa a fine luglio. Qui non c’è il deserto, non ci sono le sbarre di una galera, divise che strillano e voci che piangono in camerate di gente ammucchiata ore su ore. Daniel ha un anno e mezzo e saprà abituarsi. Gioca con una micro machine e ancora non sa quanto sia stato fortunato. Una bambina della sua stessa età, 18 mesi, è morta intorno alla metà di agosto. Con lei se ne sono andati altri due bambini. La nave su cui viaggiavano con i genitori e altri migranti ha perso la rotta al largo della Libia ed è riuscita a rientrare al porto di Zuwarah, da dove era partita, solo dopo 5 giorni di navigazione, senza acqua né cibo. Tre dei 4 bambini a bordo non ce l’hanno fatto. I loro corpi sono stati lasciati in mezzo al mare. Così hanno deciso i genitori insieme agli altri passeggeri. Della loro storia si è saputo soltanto una settimana dopo, il 25 agosto, quando la coppia, della Sierra Leone, è arrivata a Lampedusa, imbarcandosi per una seconda volta. I genitori degli altri due bambini invece non se la sono sentita di tornare in mare dopo quello che è successo. Secondo Fortress Europe, hanno perso la vita nel deserto del Sahara almeno 146 migranti diretti in Europa. Ma stando alle testimonianze dei sopravvissuti, quasi ogni viaggio sui pick up e sui camion lungo le piste di sabbia conta i suoi morti. Le 146 vittime censite dalla stampa potrebbero quindi essere solo una sottostima. In Libia inoltre si registrano gravi episodi di violenze contro i migranti. Non esistono dati sulla cronaca nera, ma è noto che nelle sommosse anti stranieri esplose nel settembre 2000 a Zawiyah, nel nord-ovest del Paese, vennero uccisi almeno 560 migranti. Nel Canale di Sicilia invece si ha notizia di almeno 1.815 vittime, tra cui 1.088 dispersi. Drammatico il bilancio dell'ultimo mese. Ad Agosto sono morti al largo di Lampedusa 84 migranti, di cui 63 dispersi. Tra i morti, anche 13 bambini.
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