|
Riflessioni sulla recente legge sull’indulto di Luigi Morsello (Ispettore della Polizia Penitenziaria in pensione)
Agenda Lodi, 5 settembre 2006
L’indulto ha avuto successo, anzi un successone, ma… nelle cose italiche c’è sempre un "ma", questa volta a ragione veduta. Intanto, i dati dei beneficiari si riferiscono ai detenuti e quindi ne sono esclusi gli ammessi in prova al servizio sociale, che all’atto della concessione del beneficio, sono scarcerati e dati in carico agli Uffici per l’esecuzione penale esterna. I dati forniti dall’Amministrazione penitenziaria sono relativi all’attività complessiva dei predetti ufficio (già Centri di Servizio Sociale per Adulti), non ci dicono quanti sono stati effettivamente ammessi al beneficio, anche se è facile affermare: tutti!. Per avere un’idea delle quantità, basti rilevare che nel 1° semestre 2006 i casi seguiti dagli Uepe. sono stati 24.883, solo relativamente all’affidamento in prova. La situazione si è azzerata, sia per i casi seguiti che per i detenuti effettivamente affidati. Più complessa la situazione relativa alla semilibertà (2.637 casi) e la detenzione domiciliare (9.655 casi), che qui non interessa specificamente, se non per evidenziare che anche da questo punto di vista è tempo di riordino, riassetto di questo settore fino a ieri abbastanza in ombra, ma tanto fondamentale da trovare un posto di riguardo nella legge di riforma della dirigenza penitenziaria. Inoltre, su 313.958 reati ascritti ai detenuti presenti negli istituti penitenziari solo il 3,8 % sono reati contro la pubblica amministrazione (8.228 reati) ed il 3,4% contro l’amministrazione della giustizia (7.328 reati), mentre i reati contro l’economia pubblica sono lo 0,4% (922 reati ascritti). Non sono noti dati relativi al numero di detenuti responsabili di tali reati, ma appare chiaro che l’incidenza è minima; correttamente osserva Roberto Ormanni (editoriale Diritto&Giustizi@ del 1.8.2006), con non poca ironia: " Dopo le indulgenze per il calcio truccato, sono arrivate quelle per i bilanci truccati. Perché, come è giusto, dovendo sfollare le carceri si è giustamente pensato di mettere fuori quelle centinaia di migliaia di colpevoli di reati finanziari. Che, come tutti sanno, sono di gran lunga superiori, per numero, a quelli accusati di furti e rapine. E per giunta assai meno pericolosi. Tutti questi povericristi costretti dall’ingiustizia della vita a far sparire qualche milione di euro per comprare pane e latte è anche ora che tornino alla società e si ricostruiscano una vita da persone per bene". Fin troppo vero. Fa da contraltare all’ironia del direttore Ormanni l’ex Ministro della Giustizia Roberto Castelli, il quale afferma (Il Giornale del 17.6.2006), non si capisce bene in base a quali dati, studi, proiezioni, quanto segue: "La gente non ha capito che l’indulto è una bomba a orologeria. Altro che 15-16mila persone, come si dice. Alla fine ad evitare completamente il carcere saranno in 2-300mila. E i benefici del provvedimento di clemenza riguarderanno un milione di responsabili di reati". L’ex ministro della Giustizia, Roberto Castelli, lancia l’allarme e spiega: "Non si è tenuto conto che l’indulto va esteso a tutti i reati compiuti prima del 2 maggio 2006, anche quelli che non sono stati ancora scoperti e per i quali i colpevoli rischiano di non fare neppure un giorno di prigione. Bisognerebbe chiamare le cose con il loro nome: non indulto, ma vera e propria sanatoria". Come dire: non sono noccioline! Purtroppo, potrebbero essere non pochi coloro i quali prendono per oro colato queste affermazioni. Il "ma" si concentra sul tipo di strumento utilizzato (una legge di concessione dell’indulto, che richiede una maggioranza qualificata che il Governo non possiede), mentre altri potevano essere gli strumenti legislativi che avrebbero prodotto un analogo effetto, mediante uno decreto-legge correttivo di distorsioni legislative della precedente legislatura e sulla circostanza che ciò ha obbligato a scendere a patti con l’opposizione ed accettarne, obtorto collo, le condizioni: l’inclusione di determinate categorie di reati, ormai ben note. Chi scrive osserva che, verosimilmente, gli effetti riportati prima non sarebbero stati così immediati e dirompenti, addirittura, se fosse stata seguita un’altra strada legislativa. Inoltre, l’attività legislativa per decretazione d’urgenza, trascurando qualche dubbio circa la sua ammissibilità costituzionale, avrebbe dovuto fare i conti con una maggioranza tenuissima al Senato, con inevitabile ricorso ad uno, o più ulteriori voti di fiducia. Ma le obiezioni restano valide. Sull’argomento soccorre un saggio di Roberto Oliveri del Castillo (Diritto&Giustizi@ 1.8.2006), il quale osserva l’irrilevanza sulla realtà carceraria dell’inserimento nel provvedimento d’indulto dei reati finanziari ed amministrativi. Si concorda. Poi invita a non mescolare la questione-sicurezza con i problemi della giustizia e nella specie della esecuzione penale nel suo complesso (purtroppo, è accaduto troppo spesso, vedasi a titolo di esempio la legge di riforma dell’ordinamento penitenziario del 1975). Significativamente egli osserva: "… quello spazio che nelle società democratiche e liberali trova la delinquenza, compreso il sistema delle garanzie processuali, è il prezzo che il cittadino paga per la sua stessa libertà e le sue stesse garanzie nei confronti dello stato e del processo penale.", un chiaro riferimento di contrarietà a leggi speciali. Definisce inoltre il carcere oggi una ‘discarica socialè, ma a chi vi è stato per 40anni a lavorare è fatto di chiedere: quando mai è stato altro, salvo rari periodi in controtendenza (vedasi la gestione Niccolò Amato), e Giancarlo Caselli cosa ha fatto durante la sua gestione (30 marzo 1999-28 febbraio 2001) per tentare di porvi un qualche rimedio? Le premesse del lavoro di Oliveri del Castillo portano ad affrontare in chiave fortemente scettica la idoneità del provvedimento di indulto a risolvere i problemi strutturali del sistema della esecuzione penale, che si avvicina molto ad un semplice "condono carcerario" e basta, mancando in esso l’aggancio a riforme strutturali in ambito sostanziale e processuale, riprendendo l’opinione espressa dal prof. Vittorio Grevi (Il Corriere della Sera 4.6.2006). È vero: "… senza un progetto politico ancorato alla visione del diritto penale minimo cui faccia riscontro un processo penale più rapido ed incisivo ma non meno garantito, anche amnistia e indulto assumono il ruolo della sanatoria ciclica segno dei tempi e della navigazione a vista, con evidenti ed immancabili riflessi negativi sulla credibilità del sistema-giustizia non meno che sulla credibilità del sistema politico", ma sembra a chi scrive di ricordare che il Ministro di Giustizia Clemente Mastella come primi atti ha provveduto ad insediare due commissioni di studio, l’una per la revisione del codice penale (presieduta dall’on.le avvocato Giuliano Pisapia) e l’altra di quello di procedura penale, presieduta dal prof. Giuseppe Riccio dell’Università di Napoli. Sono di certo iniziative di largo respiro, mentre viene auspicato l’ancoraggio del provvedimento di clemenza ad un "diritto penale minimo", a sua volta ancorato ad un processo penale più celere. Le due suddette commissioni, che hanno termini brevi, dovrebbero risolvere sia l’uno che l’altro problema. Cosa intenda Oliveri del Castillo per "diritto penale minimo" è desumibile dal prosieguo delle sue riflessioni, laddove egli critica la mancanza di una preliminare valutazione statistica dei flussi di reati per i quali si procede quotidianamente ad arresti in flagranza con conseguente incremento delle detenzioni cautelari, valutazione che si sarebbe dovuta porre a base di interventi attivi non solo su chi sconta una pena detentiva ma anche sui meccanismi normativi che aumentano gli ingressi in carcere in modo patologico. Sono argomentazioni condivisibili, che ci si augura che il Ministro Mastella prenda in seria considerazione alla ripesa dell’attività politica e legislativa. Gli interventi che propone Oliveri del Castillo riguardano la legge Bossi-Fini, che all’art. 14, comma 5 ter, autorizza il questore ad ordinare l’espulsione dell’extracomunitario privo di permesso di soggiorno, ordine la cui violazione comporta l’arresto in carcere. Ed ancora, egli punta la sua attenzione su alcune violazioni, marginali, della legge sulla droga così come modificata dalla legge Fini (equiparazione di droghe pesanti e droghe leggere, con punibilità dell’uso di gruppo). Ed ancora, la violazione dell’art. 9 legge n. 1436/56, che comporta gli arresti per chi viola le misure di prevenzione, in base alla modifica operata dal decreto antiterrorismo del 27.7.2005. Sono esempi di interventi minimi, che eliminerebbero alcune della cause di sovraffollamento delle carceri nel settore delle misure detentive precauzionali. Ma non basta. Oliveri del Castillo punta la sua attenzione anche sulla mancata previsione di specifici comportamenti risarcitori nei confronti parti lese. A questo proposito deve l’A. affermare che una persona non addetta ai lavori, una ‘quisque de populo’, la propria moglie, osservava e lamentava il mancato ancoraggio dell’indulto concesso ai responsabili di reati contro la pubblica amministrazione e quelli finanziari a tale obbligo risarcitorio, segno che la questione è sentita come esigenza morale minima da parte della opinione pubblica. Certo, l’intenzione di Oliveri del Castillo è di più ampio respiro, ma come la prima, quella della moglie dell’A., sembra cozzare contro principi costituzionali, la seconda invece non tiene conto della realtà dei poveracci, dei diseredati che affollano, anzi affollavano, le carceri italiane. In altri interventi l’A. ha segnalato la scarsa o nulla conoscenza che la magistratura nel suo complesso, non esclusa quella di sorveglianza, ha della realtà carceraria. Ciò giustifica prese di posizione del tutto teoriche o in linea di principio, come tali del tutto condivisibili, ma che cozzano contro la dura realtà di un sistema penitenziario in condizioni disastrose, per ragioni non strettamente connesse all’esecuzione penale. Basti sapere che alla data del 30.6.2006 la situazione statistica (detenuti presenti in carcere 61.264) era la seguente: 1) detenuti definitivi, quindi in esecuzione di pena 62%; 2) detenuti internati 2%; 3) detenuti imputati 36 %. Il dettaglio dei detenuti imputati era il seguente: 1) giudicabili 56,2 %; 2) appellanti 29,8 %; 3) ricorrenti 24 %. Un rapido calcolo percentuale porta questi risultati: 1) detenuti definitivi, in esecuzione di pena n. 37.983; 2) detenuti imputati n. 22.056; dei quali: 1) giudicabili n. 12.351; 2) appellanti n. 6.616; 3) ricorrenti n. 3.087. Non si ha la pretesa che i calcoli siano esattissimi, ma è significativo che vi sia un 36% di detenuti imputati, pari ad oltre ventiduemila detenuti. Inoltre, resteranno in carcere, al termine della acquisizione degli effetti immediati dell’indulto, oltre 20.000 detenuti in esecuzione di pena, complessivamente oltre quarantaduemila detenuti, più o meno la capienza stimata delle carceri italiane. Insomma, il sistema penitenziario può ripartire, dopo anni di asfissiante progressivo sovraffollamento. Ma con quali risorse? Prima di affrontare questo discorso vale la pena di ricordare che giace presso la Camera dei deputati un DDL stralcio, il n. 525 ter, che riguarda la concessione di un provvedimento di amnistia. In una intervista rilasciata al quotidiano La Repubblica del 3.8.2006 - pag. 14 - Nello Rossi, magistrato, segretario dell’ANM, suggeriva al Governo la prossima mossa da fare in merito alla questione della riforma della giustizia: un’amnistia selettiva. Il problema giustamente sollevato da Rossi è il seguente: l’indulto è inutile senza un’amnistia che impedisca al sistema giudiziario di dover fare decine di migliaia di processi che non potranno assolutamente portare ad una condanna, di fatto già "indultata" dall’indulto stesso. Si tratta, quindi, di riempire di contenuti il DDL stralcio di cui sopra. Il compito è arduo, perché la maggioranza necessaria per Costituzione è sempre dei due terzi del Parlamento, quindi siamo alle solite. La proposta è però anche intempestiva, perché non si sono ancora sopiti gli echi dell’indulto e la reazione delle forze politiche di governo è stata piuttosto freddina. Come si è già avuto modo di sostenere in latro lavoro, tuttavia la proposta ha una sua logica cristallina, l’evitare che si celebrino diecine di migliaia di processi che sono destinati al nulla per via dell’indulto che copre il periodo dal 2 maggio 2006 a ritroso: una zavorra intollerabile per le esauste forze della magistratura. Tuttavia, è una medicina assai amara, che Nello Rossi tenta di addolcire con l’argomento della amnistia selettiva. Anche qui dovrebbe soccorrere un sano e forte realismo, al di là ed al di fuori dei principi: la giustizia italiana, dopo cinque anni di governo del centro-destra, è allo stato comatoso. Salviamo i principi o salviamo l’ammalato? È una situazione speculare a quella del sovraffollamento delle carceri. Se ne dovrà discutere, si spera solo che non vi saranno altre ‘auto-sospensioni’: una basta ed avanza. Acquisito che una delle cause del fenomeno del sovraffollamento è la lentezza dei processi e che una cospicua parte di tali processi è destinata ad arrivare a sentenze di condanna inefficaci perché coperte dall’indulto, per cui una decisione in ordine all’amnistia dovrà essere adottata, pena il riformarsi del sovraffollamento; stabilito che occorre intervenire con provvedimenti veloci (la forma del decreto-legge va certamente tentata) per sterilizzare altre cause di sovraffollamento, come osserva acutamente Oliveri del Castillo, vi sono altri problemi che vanno esaminati. Ci si limita al mondo delle carceri. Ve n’è uno che è davvero cruciale, quella della fornitura di acqua calda in ogni cella. Lo stabilisce l’art. 7 (Servizi igienici) del d.p.r. 230/00 che recita: 1. I servizi igienici sono collocati in un vano annesso alla camera. 2. I vani in cui sono collocati i servizi igienici forniti di acqua corrente, calda e fredda, sono dotati di lavabo, di doccia e, in particolare negli istituti o sezioni femminili, anche di bidet, per le esigenze igieniche dei detenuti e internati. 3. Servizi igienici, lavabi e docce in numero adeguato devono essere, inoltre, collocati nelle adiacenze dei locali e delle aree dove si svolgono attività in comune". La portata di questa norma regolamentare è devastante: quasi nessun istituto è dotato di acqua calda e doccia nei servizi sanitari destinati ai detenuti, né nuovi né vecchi, mentre tutti gli istituti hanno servizi sanitari in ogni cella ed in più locali docce comuni. La nuova norma regolamentare dispone che i servizi igienici, allocati in un vano annesso alla camera (cella, n.d.r.) siano forniti di acqua calda corrente, oltre quella fredda che già c’è, e che siano dotati di lavabo, doccia e, negli istituti o sezioni femminili, di bidet. L’A. è a conoscenza che nella regione Lombarda il solo carcere di Lecco, per essere stato ristrutturato nel quinquennio di governo di centro-destra, è fornito di quanto sopra e si tratta di un piccolo istituto, che l’A. fu incaricato di mettere in funzione alla fine dell’anno 2004. Si pensi ai costi di un adeguamento di tale portata, per il quale non c’è nessuna programmazione. C’è di più. Nessun impianto di riscaldamento, rectius di produzione del calore è stato realizzato, anche nei nuovi istituti, in modo tale da rendere possibile l’erogazione dei vari servizi in obbedienza alle leggi sul contenimento dei consumi energetici (per ultimo: d.p.r. 23.8.1993 n. 412, legislazione iniziata nel 1977, con la famigerata crisi petrolifera), con la conseguenza che nessun direttore è al sicuro da critiche della Corte dei conti, specificamente da giudizi di responsabilità amministrativa per danno all’erario. Infatti, ogni istituto è dotato di infermeria detenuti mentre alcuni (pochi) hanno anche dei centri clinici che vanno riscaldati nel periodo invernale nelle 24 ore. Il problema è che nessuna centrale di produzione del calore ha impianti separati per ogni utilizzazione. Posto che, ad esempio, in Lombardia la durata delle ore di riscaldamento è fissata in ore 14 giornaliere, mentre il d.p.r. 626/94 (sicurezza sui posti di lavoro) impone di tenere conto del riscaldamento nelle ore notturne (le 10 ore giornaliere) escluse dalla regola delle 14 ore giornaliere, ciò significa impianti autonomi per le sezioni, capaci di riscaldare tutti gli ambienti nelle 14 ore e solo quelli praticati dal personale di sorveglianza (in pratica i corridoi ed il corpo di guardia per le 24 ore dei turni di servizio di sorveglianza). Una situazione oltremodo ingarbugliata, risolta di norma con l’erogazione del calore nelle 24 ore ad una temperatura media di 18° + ulteriori 2° di tolleranza, previste dal d.p.r. 142/94, il che viene reso difficile se non impedito da una interpretazione rigida della suddetta normativa. Quindi anche gli impianti di produzione del calore andrebbero adeguati, mentre i funzionari direttivi e dirigenziali sono sotto la spada di Damocle (risulta che abbia cominciato a colpire) del giudizio di responsabilità amministrativa per danno all’erario. Quali sono le risorse a disposizione del Ministro di Giustizia Mastella? Lo ha detto il Ministro Guardasigilli nella conferenza stampa del 2 agosto 2006: nessuna, solo debiti che si rincorrono di esercizio in esercizio. Se ne è occupato, di tale argomento, l’avv. Marco Ubertini (Diritto&Giustizi@ 1.8.2006), mentre è chiara la relazione del Ministro: vi sono debiti per 250 milioni di euro, in crescita. La lettura della situazione economica del servizio giustizia è sconfortante. Ecco, chi invoca i principi dovrebbe far i conti con questi numeri. Il sistema giustizia è un ammalato grave, in coma profondo, occorrono terapie d’urto. Speriamo venga capito.
|