|
Giustizia: Ardita (Dap); oggi il carcere non fa più prevenzione
Redattore Sociale, 30 marzo 2006
Vecchi armadi traboccanti di emergenze. Lo sono diventati le nostre carceri, "dove un terzo dei detenuti è tossicodipendente, compreso chi abusa di alcol". A ribadire un allarme noto da tempo è uno dei maggior responsabili del sistema penitenziario italiano, Sebastiano Ardita (Direttore generale Dap Roma), intervenuto oggi a Milano in occasione del convegno "Alcol e carcere - Un progetto di cura per detenuti alcolisti". "La situazione carceraria è un welfare mascherato in cui si spendono risorse per centinaia di migliaia di euro che potrebbero essere investiti sul territorio - ha ribadito Luigi Pagano, provveditore dell’amministrazione penitenziaria della Lombardia". "Il carcere ha perduto il senso dell’azione preventiva, diventando un grosso contenitore entro cui continuiamo a far transitare gente, senza consapevolezza dei compiti che deve assolvere - ha proseguito Ardita-. La popolazione carceraria italiana si aggira attorno alle 60mila unità, il numero più alto dalla Riforma Togliatti. Un terzo dei detenuti sono extracomunitari, molti soffrono di disturbi psichici. Ma 60mila è il dato medio, non quello effettivo di quanti conoscono l’esperienza penitenziaria - precisa Ardita-. I nostri numeri dicono che ogni anno entrano in carcere 90mila persone e ne escono 88mila: attualmente abbiamo circa 25mila detenuti in attesa di giudizio che non sono gli stessi di un mese fa, perché cambiano di continuo". In queste condizioni, "la sicurezza sociale va cercata nella prevenzione - dice Ardita-: molti commettono reati che sono frutto della deprivazione e di condizioni sociali inadeguate. Abbiamo un codice penale che risale a 70 anni fa e la situazione attuale tende ad aumentare l’utilizzo dello strumento carcerario, ma non sarebbe meglio creare un’area più ristretta delle azioni penalmente rilevanti? Se un tossicodipendente finisce nella rete di una grande organizzazione criminale e arriva a spacciare rischia 20 anni di carcere: è la schizofrenia di un sistema che vorrebbe tutelare il tossicodipendente, ma finisce per punirlo". Giustizia: Castelli; l’amnistia sarebbe una resa dello Stato
Agi, 30 marzo 2006
"Io non sono assolutamente d’accordo sull’amnistia, perché non credo che uno Stato responsabile si debba arrendere e dichiarare: non siamo in grado di garantire la sicurezza e di mantenere i condannati. Lasciarli liberi sarebbe la resa più clamorosa dello Stato". Ribadisce la sua posizione sull’amnistia il ministro della Giustizia, Roberto Castelli, a margine di un incontro a Lecco. Castelli ne approfitta per lanciare una stoccata, anche in seguito alle dichiarazioni di Massimo D’Alema, favorevole ad un’amnistia per umanizzare le carceri, a tutti coloro che "parlano e poi quando vanno in Parlamento, votano sempre al contrario. Votino conseguentemente a quello che dicono. Perché ogni volta tirano fuori questo problema che mette in agitazione i detenuti, crea in loro false speranze e poi in Parlamento votano sempre al contrario di quanto affermano? Da Castelli l’invito dunque alla "coerenza una volta per tutte". "La smettano - conclude il ministro - di giocare sulle speranze di gente che ha già molti problemi e soffre". Giustizia: Berselli (An); niente permessi a condannati per omicidio
Adnkronos 30 marzo 2006
Il Sottosegretario alla Difesa e Coordinatore Regionale di An, Filippo Berselli, accompagnato dal senatore Alberto Balboni di Ferrara, si recherà lunedì in visita alla Compagnia Carabinieri di Comacchio per esprimere al Comandante ed a tutti i suoi collaboratori solidarietà per l’omicidio del Carabinieri Cristiano Scantamburlo da parte di un pregiudicato in permesso premio. Nell’occasione saranno presenti anche i familiari del Carabiniere Scantamburlo. Berselli e Balboni ritengono che il prossimo Parlamento avrà l’inderogabile compito di rivedere la Legge Gozzini per evitare che simili episodi possano in futuro nuovamente ripetersi. Secondo Berselli e Balboni, "per chi sia stato condannato per omicidio, i permessi premio non dovranno essere più concessi se non in occasioni davvero straordinarie. Non dovranno quindi essere più la regola come purtroppo avviene ora". Giustizia: Castelli; i magistrati considerino la certezza della pena
Adnkronos 30 marzo 2006
Sul tema dei benefici carcerari concessi dalla magistratura di sorveglianza "c’è una questione culturale aperta: c’è una parte più buonista e una parte del Paese che vorrebbe maggior rigore. La "battaglia culturale" è quella di "cercare di far capire che la volontà del Paese va verso quella che viene definita la ‘certezza della pena". Lo ha detto Lo ha detto il ministro della Giustizia Roberto Castelli, intervenuto ad Adnkronos Confronti al palazzo dell’Informazione. "Su Izzo - ha aggiunto- erano state fatte analisi psicologiche approfondite, da cui nasceva un profilo da cittadino esemplare: un’analisi psicologica completamente sbagliata, legata a un fatto culturale". Castelli è del parere "che il sistema non vada radicalmente mutato. La legge dà la capacita di intervento al magistrato, che deve valutare caso per caso. Non possiamo ingabbiare la magistratura in una serie di paletti e controlli rigidi, dobbiamo lasciare la valutazione al buon senso del magistrato. Con il ministro della Giustizia, prende parte a Adnkronos Confronti l’on. Anna Finocchiaro, dei Ds. Conduce Alessia Lautone. Ospiti in studio, Bruno Miserendino de "L’Unità", Massimo Martinelli de "Il Messaggero" ed Anna Arcuri dell’agenzia Adnkronos. Giustizia: Finocchiaro; per l'applicazione dei benefici servono risorse
Adnkronos 30 marzo 2006
L’Italia ha un sistema normativo "avanzato" ma sulle misure alternative al carcere e ai cosiddetti benefici "si devono trovare le risorse" perché il magistrato di sorveglianza "non può essere lasciato di fronte a carte e informazioni che non possono orientare la sua decisione". Così Anna Finocchiaro dei Ds, ai Confronti Adnkronos al Palazzo dell’Informazione di Piazza Mastai, risponde a una domanda sui benefici di legge concessi dalla magistratura. "La magistratura di sorveglianza opera spesso -sottolinea- in una condizione nella quale gli elementi e le informazioni necessarie per l’applicazione di misure alternative non sono garantite da una rete che funzioni. Il paese ha un sistema avanzato, ma per essere applicato occorre che il magistrato di sorveglianza abbia le informazioni giuste". "Il paese che ha una legislazione seria ha bisogno di avere una applicazione non stentata del suo quadro normativo. Per questo le risorse - scandisce - si devono trovare". Giustizia: Finocchiaro; bisogna riqualificare la polizia penitenziaria
Adnkronos 30 marzo 2006
Bisogna "qualificare la polizia penitenziaria" e migliorare "l’organizzazione", evitando che la polizia penitenziaria continui a svolgere "un ruolo di supplenza di altre figure". Lo ha detto Anna Finocchiaro dei Ds, ai Confronti Adnkronos al Palazzo dell’Informazione di Piazza Mastai. Oggi in Italia "abbiamo un sistema di polizia penitenziaria che supplisce a una serie di carenze e svolge il ruolo anche di altre figure", sottolinea Finocchiaro. Tra "le disfunzioni della macchina processuale e i compiti della polizia penitenziaria c’è un nesso strettissimo", avverte l’esponente Ds che fa tre proposte: primo, "fare in modo che la polizia penitenziaria sia restituita al suo lavoro evitando i compiti di supplenza"; secondo, una "qualificazione della polizia penitenziaria" e terzo, "una migliore organizzazione". Milano: carcere minorile, cambia la direttrice del "Beccaria"
Vita, 30 marzo 2006
Discusso siluramento di Stefania Ciavattini, al suo posto Daniela Giustiniani. Ore di burrasca al carcere minorile Beccaria di Milano, che da ieri ha un nuovo direttore. Si tratta di Daniela Giustiniani, fino ad oggi direttrice del Centro di prima accoglienza del capoluogo lombardo. La Giustiniani succede a Stefania Ciavattini. Del possibile avvicendamento però si parlava già da qualche giorno. Il 2 marzo il quotidiano "Il Giorno" infatti ha pubblicato un articolo in cui si denunciavano diversi atti di violenza avvenuti fra i detenuti del penitenziario. Da qui la scelta del Ministero che avrebbe deciso di sollevare dall’incarico l’ex direttrice, come per altro richiesto da alcuni agenti ed educatori. Un’altra parte degli operatori impegnati al Beccaria ha invece manifestato la sua solidarietà all’ex direttrice, sottolineando come la gestione Ciavattini abbia costituito un modello positivo sul piano del trattamento e del reinserimento sociale dei detenuti. Roma: il teatro come percorso di reinserimento sociale
Redattore Sociale, 30 marzo 2006
A scuola di teatro e audiovisivi negli istituti penitenziari: i ministeri di Grazia e Giustizia e Beni Culturali sottoscriveranno il 3 aprile una convenzione che fissa le linee generali della promozione e realizzazione di attività formative in carcere legate al mondo dello spettacolo. Un accordo siglato in modo simbolico nell’ambito dell’VIII Settimana della Cultura che dedica proprio la giornata del 3 al tema della giustizia. Si tratta di un’intesa interministeriale che impegna i due dicasteri a promuovere iniziative di qualità all’interno del sistema penitenziario e a sostenere una "coerente politica di reinserimento sociale che, valorizzando le esperienze maturate e le risorse investite nell’attività trattamentale, sia capace di formare professionalmente e dare prospettiva fuori dal carcere". È quanto è successo ad esempio alla Compagnia della Fortezza di Volterra, il gruppo di detenuti-attori guidato da Armando Punzo, nata nell’88 all’interno della casa di reclusione e ad oggi in tourné in tutta Italia. Nella serata del 3 aprile presenteranno al teatro Valle "I Pescecani, ovvero quello che resta di Bertolt Brecht", spettacolo liberamente ispirato all’opera del drammaturgo tedesco. Presentato nei maggiori teatri italiani dal 2004, lo spettacolo ha ottenuto prestigiosi riconoscimenti come il Premio Ubu, il Premio Associazione Nazionale Critici di Teatro ed il Premio Carmelo Bene. Lo spettacolo è stato inserito nel cartellone 2006 di "Palcoscenico", la rubrica di Rai Due dedicata al Teatro e che a breve programmerà la messa in onda della riduzione televisiva. Nella giornata in programma anche il seminario internazionale del Progetto dell’Unione Europea "Teatro e carcere in Europa. Formazione, sviluppo e divulgazione di metodologie innovative", ai cui lavori partecipano, oltre all’Italia, le delegazioni di Francia, Svezia, Germania, Inghilterra e Austria che giungeranno a Roma per l’occasione. Parma: il carcere si trasforma in un percorso podistico
Redattore Sociale, 30 marzo 2006
Il carcere di Parma, per un pomeriggio, si trasforma in un percorso podistico. Anche i detenuti di via Burla saranno infatti protagonisti della XXIII edizione di Vivicittà, la corsa di tutti, promossa dalla Provincia, Uisp (Unione italiana sport per tutti) e Istituti penitenziari per lo sport in carcere, che si correrà domenica 2 aprile nei boschi di Carrega. In occasione della gara, la corsa entrerà all’interno del carcere domani, 31 marzo, per la particolare manifestazione sportiva - giunta alla sua terza edizione - dedicata ai detenuti: è stato infatti allestito all’interno dell’istituto penitenziario un percorso che gira intorno al campo da calcio (si comincia alle 13.30). Quest’anno Vivicittà è dedicata al tema della convivenza multietnica, che caratterizza - sottolineano dalla Provincia di Parma - ormai tutte le città per il quale lo sport può rappresentare un momento in cui ritrovarsi insieme, senza distinzioni di sorta, facilitando il dialogo e la partecipazione. "Questa è un’iniziativa di grande civiltà - sottolinea Tiziana Mozzoni, assessore provinciale alle Politiche sociali e sanitarie - per costruire la relazione fra il mondo che sta dentro e quello che sta fuori, e si colloca all’interno di un progetto più ampio per lo sport in carcere". Vivicittà è infatti la prima delle azioni in cui è articolato un progetto di attività motoria all’interno del carcere promosso da Uisp in collaborazione con l’Istituto Penitenziario della città di Parma e con la Provincia. Seguirà un torneo di calcio arbitrato dai detenuti che hanno seguito il corso organizzato dal settore tecnico arbitrale dell’Uisp e una partita di calcio tra Amministratori del territorio provinciale e detenuti. "L’obiettivo di questo programma - conclude l’assessore Mozzoni - è quello di creare nel carcere un luogo di aggregazione e di incontro tra i detenuti e gli operatori coinvolti nelle iniziative, per agevolare dinamiche relazionali positive, scambiare idee, instaurare rapporti equilibrati e, nello stesso tempo, offrire un servizio per il mantenimento della buona salute". Salerno: progetto del Comitato provinciale della Croce Rossa
Ansa, 30 marzo 2006
Rafforzare la fiducia in se stessi e negli altri e prevenire determinate patologie tipicamente femminili. Sono due degli obiettivi del progetto Carcere e vita promosso dal Comitato provinciale della Croce Rossa. Il progetto sarà attivato nella casa circondariale di Salerno grazie anche alla sensibilità ed alla disponibilità de direttore dell’istituto penitenziario Alfredo Stendardo. Nel dettaglio il progetto Carcere e vita ha come finalità: rafforzare nei detenuti la fiducia in se e negli altri, abituare al lavoro di gruppo, affinare la manualità, utilizzare l’attività di laboratorio per favorire la manifestazione di sentimenti ed emozioni per ridurre lo stato ansioso tipico di chi vive l’esperienza della detenzione. Obiettivo fondamentale è sicuramente quello di promuovere un fattivo processo d’integrazione del carcere con il territorio. Il progetto oltre ad una finalità sociale vede anche la prevenzione delle malattie tipicamente femminili (Tumori al seno e all’utero). A tal fine saranno attivati dei laboratori sanitari dove le detenute potranno sottoporsi a visite specialistiche. La prevenzione partirà il prossimo 28 aprile. L’attività di prevenzione sarà effettuata dalle infermiere volontarie della Cri di Salerno, ostetriche coordinate dalla ginecologa Maria Aloide Tonin. L’intero progetto sarà coordinato dall’ispettrice del Comitato Femminile della Cri Rita D’Ancora. Alla prevenzione sarà affiancata l’attivazione del laboratorio di decoupage (guidato dalle volontarie Elisabetta Iogha e Giovanna Villano) e di fotografia (gestito da Fortunato Palombo). Milano: progetto dell'Asl; l’alcolismo si cura anche in carcere
Redattore sociale, 30 marzo 2006
L’alcolismo in carcere si cura al di là delle sbarre. Concluso il progetto sperimentale "Alcol e carcere", che ha coinvolto le unità carcerarie dell’Asl di Milano, i tre Noa della città, la comunità terapeutica Saman e il gruppo di auto aiuto degli Alcolisti anonimi, in un lavoro dedicato al recupero dei detenuti alcolisti delle carceri di San Vittore e Bollate. In tre anni sono state prese in carico 384 persone, diagnosticati 174 casi di alcolismo e avviati 104 percorsi terapeutici, al 99% attraverso inserimenti in comunità. I risultati del progetto sono stati illustrati questa mattina a Milano, in occasione del convegno nazionale "Alcol e carcere - Un progetto di cura per detenuti alcolisti". Gli altri attori sono stati il gruppo alcologico dell’equipe carcere di Milano (entrati sperimentando nuove forme di protocolli operativi) e di tutta Italia e i gruppi di auto aiuto, scelti gli alcolisti anonimi perché ritenuti i più adatti a lavorare all’interno di San Vittore. Il progetto - "A fine anni novanta avevamo pensato a percorsi di cura per soggetti alcoldipendenti, eravamo un po’ pionieri perché non si sapeva come curare queste persone – racconta Rosanna Giove, Direttore servizio area penale e carceri Asl città di Milano-. In via sperimentale è partito un gruppo di operatori che, affiancato dalla cooperativa Articolo 3, ha iniziato a valutare queste richieste. Questo progetto sperimentale, che non godeva di finanziamenti, ha iniziato a portare avanti e tracciare linee guida per un progetto vero e proprio, che riuscimmo a fare nel 2002 grazie ai fondi per la lotta alla droga previsti dalla legge 45/99. Si costituì una vera equipe, per prendere in carico i pazienti, venne siglato un protocollo con gli alcolisti e l’istituto di medicina legale dell’università degli Studi di Milano che ci ha permesso di calcolare il parametro ematico della Cdt, con cui fare più facilmente una diagnosi e avere la prova certa dell’alcoldipendenza". Alcol e carcere si inserisce in un progetto multidisciplinare, che coinvolge l’Unità operativa del carcere di San Vittore, gli operatori dell’area penale presso il Tribunale di Milano (che interviene in occasione dei processi per direttissima, informando l’imputato dell’esistenza dei percorsi di recupero alternativi al carcere; ndr), quelli dell’area minori presso il carcere minorile Beccaria di Milano e dell’area carcere presso la seconda casa di reclusione di Bollate. "All’interno di San Vittore il nostro servizio opera nel reparto Coc, al centro clinico e al reparto femminile e al cosiddetto reparto dei protetti, in cui gran parte della popolazione è alcoldipendente. Poi c’è il nostro fiore all’occhiello, il reparto La Nave per trattamento avanzato di persone con problemi di abuso. All’interno di San Vittore le attività sono molto varie e contemplano anche l’agopuntura. Non mancano attività di tipo psicologico, sociale e riabilitativo: per aiutare questi ragazzi a non stare in cella a piangersi addosso vengono organizzate attività di musica, teatro e giardinaggio, come accade a Bollate. La cura riguarda i soggetto sia tossico che alcoldipendenti ed è stata creata una commissione finalizzata ad accertamenti della diagnosi di tossicodipendenza, con un medico, uno psicologo e un educatore che ripercorrono l’iter del paziente durante la carcerazione. Nel carcere di Bollate non ci sono trattamenti sostitutivi perché ospita detenuti di secondo livello. Presso l’istituto per minori Beccaria è attivo un gruppo di educatori sanitari in collaborazione con il privato sociale: anche tra i giovani, infatti, si registra una grossa incidenza di patologie di abuso alcolico. Infine, per quanto riguarda l’area attiva presso il Tribunale, nel 2005 ci sono stati 3865 casi per direttissima, a partire da quali sono stati effettuati 425 colloqui di accoglienza e avviati 230 programmi terapeutici per persone non transitate nel circuito penitenziario". I dati – "Nel 2005 a San Vittore erano presenti circa 1400 detenuti, stranieri al 60%, in una struttura dalla capienza di 800 persone con un flusso di 450 nuovi ingressi al mese, di cui 300 stranieri" dice Laura Formigoni, educatrice professionale dell’equipe Area Alcol Asl-Città di Milano, definendo il contesto in cui si è realizzato il progetto Alcol e carcere. "La segnalazione dei possibili casi di alcoldipendenza viene fatta dai medici e psicologi dei nuovi giunti, dagli operatori dell’Asl, dai medici del Pronto soccorso del carcere, dagli agenti di polizia penitenziaria, dai Noa territoriali e su autosegnalazione", spiega Formigoni. Dal 2002 al 2005 i casi segnalati al gruppo di lavoro sono stati 842 (al 62% stranieri), al 99,1% maschi. "Si conferma la tendenza rilevata all’esterno - dice Formigoni -: lo 0,9% di casi rilevati tra le donne testimonia che l’alcolismo femminile è un fenomeno nascosto". Le persone prese in carico sono state 384, "un numero inferiore alle segnalazioni, dovuto in gran parte al turnover delle persone che passano da San Vittore - dice Formigoni-. Infatti dopo un primo periodo abbiamo deciso di considerare soltanto i detenuti arrivati da meno di sei mesi, per evitare richieste strumentali". Su 174 casi diagnosticati, sono stati avviati 104 percorsi terapeutici tra avviati alla comunità ("il 99%", dice Formigoni), Noa territoriali e percorsi di recupero intrapresi a fine pena. Il gruppo di lavoro ha anche stilato una statistica dei reati commessi dai detenuti alcolisti: si tratta soprattutto furti (25%), maltrattamenti familiari (20%), reati sessuali (15%), risse e aggressioni (15%). "Se uno dei fattori che hanno determinato questi reati è l’alcol, se le persone vengono curate forse la recidiva diminuisce - dice Formigoni, che conclude- : dei 104 che hanno intrapreso un percorso terapeutico, solo in 5 sono tornati a San Vittore". Spoleto: detenuti - scenografi gemellati con il carcere di Dublino
Il Messaggero, 30 marzo 2006
Dal carcere di Maiano di Spoleto al carcere di Mountjoy di Dublino in Irlanda (entrambi di massima sicurezza) nasce un singolare gemellaggio: i detenuti, a distanza ma insieme, costruiscono le scenografie a grandezza reale per il Gaiety Theatre per la prima di questa originale edizione della Boheme di Puccini che debutterà il 19 novembre 2006 a Dublino. I tre atti, da un’idea di un detenuto di Maiano, saranno ambientati nella Parigi del 1977 e di conseguenza anche i diciannove costumi principali che saranno indossati dal cast di professionisti irlandesi che eseguiranno l’opera. Seggiole, lampioni, finestre, porte, fondali dipinti, impianti scenici alti sei metri: le falegnamerie dei due carceri lavorano a pieno ritmo sotto la direzione della regista Porzia Addobbo per l’Italia e del direttore artistico di Opera Ireland, Dieter Kaegi, per l’Irlanda. Il progetto è dell’assessorato alla cultura della Provincia di Perugia che già nel 2003 aveva promosso e finanziato la realizzazione di un film nel carcere di Maiano in cui i detenuti oltre a conoscere musica e libretto di Boheme avevano costruito alcuni modellini delle scene ed alcuni costumi. Da qui il partenariato con il Governo irlandese e la nascita della coproduzione con la Provincia di Perugia per la realizzazione dell’opera. La senatrice Mary Henry, parlamentare europea, è capofila del progetto di parte irlandese. Da anni si spende per migliorare le condizioni di vita nelle prigioni, del reinserimento di chi ha scontato la pena, soprattutto dei giovani ai quali offre l’insegnamento di un mestiere quale progetto di vita alternativa. La sede del carcere di Mountjoy è una roccaforte che funziona da prigione dal 1850, mentre quello femminile, poco distante, è modernissimo: le detenute (93) per lo più giovani e in gran parte minorenni, vivono in case dove ciascuna ha una propria stanza con servizi igienici; hanno come luogo comune una grande cucina dove alla sera possono riunirsi per cucinare e stare insieme. Quello maschile ospita circa 400 detenuti in condizioni di grande disagio rispetto alla struttura edilizia per la quale - dice la senatrice Mary Henry - si stanno reperendo stanziamenti con grande difficoltà, per costruire un carcere moderno come quello femminile. Il carcere di Maiano (circa 430 detenuti) funziona dal 1971, periodo del trasferimento dalla Rocca albornoziana di Spoleto. La direzione del carcere ha da molti anni realizzato una collaborazione con l’Istituto d’Arte di Spoleto i cui docenti tengono regolari lezioni con la possibilità per i detenuti anche di conseguire il diploma di maturità. È a questi insegnanti che va il maggiore merito della realizzazione delle scenografie di Boheme perché sono loro che seguono passo passo i detenuti nella costruzione dei progetti e dei disegni. Un progetto così complesso a cui partecipa anche l’Accademia delle Belle Arti di Perugia, non sarebbe stato possibile senza la sensibilità dei vertici dell’ordinamento penitenziario in Italia come in Irlanda. Sulmona: un ex detenuto torna in carcere per presentare un Cd
Il Messaggero, 30 marzo 2006
Una bella manifestazione ieri nel carcere di via Lamaccio. Un ex detenuto, Antonio Piserchia, che era stato a Sulmona per un breve periodo, è tornato per presentare, insieme al gruppo di detenuti con i quali aveva costituito un complesso musicale, i brani che avevano composto. Ieri è stata l’occasione giusta per girare anche un videoclip per lanciare il Cd con i brani realizzati. C’è da sottolineare, e non è cosa da poco, che tutto il ricavato andrà in beneficenza all’Unicef. Alla manifestazione, promossa dal direttore Giacinto Siciliano, ha presenziato anche un rappresentante dell’Unicef. Insomma una bella notizia che, insieme alle tante altre che escono da questo istituto, dimostra come anche in carcere l’uomo non dimentica la solidarietà. Brescia: tossicodipendente evade da domiciliari e chiede il carcere
Ansa, 30 marzo 2006
Si è consegnato alla polizia, dopo essere evaso dai domiciliari, chiedendo di essere portato in carcere. Ma la sua richiesta non è stata accolta e così è stato costretto a tornare nella sua abitazione. Protagonista un 34 enne di Coccaglio (Brescia) che stava scontando agli arresti domiciliari una condanna a sei mesi di carcere per droga. La scorsa notte ha lasciato la propria abitazione ed è andato a Brescia. Lì, secondo quanto ha poi dichiarato alla polizia, si sarebbe iniettato una dose di eroina. Subito dopo ha deciso di costituirsi chiedendo alla polizia di poter andare in carcere. La Procura ha però disposto nei suoi confronti gli arresti domiciliari. Stati Uniti: gatto aggredisce i vicini di casa; agli arresti domiciliari
La Repubblica, 30 marzo 2006
Sottoposto a misure restrittive come un criminale, solo che ha quattro zampe e quando è di buon umore può fare le fusa. Il gatto Lewis, cinque anni, pelo lungo bianco e nero, è diventato un pericolo pubblico, quando a Fairfield, una tranquilla piccola città della provincia americana, ha aggredito almeno sei persone e teso un agguato in piena regola a una venditrice a domicilio. È la prima volta che una simile ordinanza viene emessa nei confronti di un gatto. A Fairfield le gesta di Lewis sono diventate il mito della cittadina, tanto che ormai è chiamato "il terrore di Sunset Circle" il quartiere delle sue malefatte. "Sembra il personaggio dei fumetti, Felix il gatto - dice una delle vittime del felino, accreditato anche di un’anomalia anatomica - ha sei dita con artigli lunghissimi che usa come armi letali". Quel che colpisce in Lewis è però l’astuzia con cui ha preparato le sue sortite, da vero genio del male, visto che ha messo tutte le sue vittime con le spalle al muro in un cul de sac. "Ti arriva alle spalle, si attacca alle gambe e graffia e morde - riferisce un’altra vittima - quando ho cercato di cacciarlo è saltato come una molla, attaccandosi all’altra gamba". Le sue vittime sono finite in ospedale con graffi e morsi e l’ufficiale del servizio di controllo animali è corso ai ripari, ordinando che Lewis debba restare chiuso in casa. Nei guai è finita anche la proprietaria, Ruth Cisero, che è stata multata per incauta custodia e per non aver osservato l’ordine dell’ufficiale. La donna ha cercato di sedare il gatto, senza successo: Lewis ha eluso la sorveglianza ed è uscito, aggredendo un’altra persona. "L’ho raccolto dalla strada tre anni fa - dice la proprietaria del felino malefico - non ha mai fatto del male a nessuno della famiglia. È però capitato che la gente lo abbia tormentato e secondo me si sta solo difendendo". Uno dei vicini però la pensa diversamente: "La gente è terrorizzata. Lewis è capace di fissarti a lungo con cattiveria, non si sa mai che cosa farà dopo". Sappe: si è concluso a Fiuggi il IV Congresso Nazionale
Comunicato stampa, 30 marzo 2006
|