Rassegna stampa 29 marzo

 

Giustizia: il "caso Paradisi" e il diritto alla salute in carcere

 

Ass. "Il detenuto ignoto", 29 marzo 2006

 

Giorgio Paradisi, detenuto presso il carcere di Secondigliano, è gravemente malato di tumore. Ed è cieco. Vegeta passivamente dentro una cella mentre il suo corpo si indebolisce e degenera, assistito, quando possibile, da un collega detenuto che fa da piantone. Ma in concreto, nessuna cura.

Una perizia disposta recentemente dal Tribunale ha appurato le sue gravissime condizioni di salute riscontrando un "grave stato di deperimento organico, un peso di 38 kg, cardiopatia ischemica cronica, con triplice bypass aortocoronarico con pregresso infarto miocardio acuto, maculopatia degenerativa nell’occhio destro, fibrosi retinica diffusa in quello sinistra, epatopatia cronica Hbv correlata e sindrome ansioso depressiva". In una lettera resa pubblica ieri a Radiocarcere, rubrica settimanale di Radio Radicale, i familiari e gli amici di Giorgio Paradisi chiedono che allo stesso sia data voce affinché gli venga, quanto prima, garantito il minimo di assistenza sanitaria reale. Noi non conosciamo Giorgio Paradisi se non per le cronache dei suoi misfatti, e pur non avvallando in alcun modo la sua condotta nella società, non possiamo non essere solidali, in questo caso, con la richiesta che arriva dai suoi familiari. Non è una richiesta di libertà, né di sconti di pena. Qui si chiede che un essere umano possa, quanto prima, essere trasferito da un centro diagnostico, dove poco di nuovo c’è da diagnosticare, a un centro clinico, dove molto ancora si può fare per salvare la vita a una persona. Perché non ci risulta che in Italia la pena di morte sia ancora vigente.

Noi dell’associazione "Il detenuto ignoto" ci appelliamo alle stesse istituzioni che hanno condannato Giorgio Paradisi e che in base a delle regole di diritto dovrebbero regolarne il rapporto esecutivo, affinché si sforzino a osservare sempre quelle stesse regole che riconoscono al detenuto il diritto di essere curato, assistito.

Elezioni: per i detenuti un meccanismo di "cancellazione sociale"

 

Ass. "Il detenuto ignoto", 29 marzo 2006

 

Registriamo, con costernazione e amarezza, che, a quasi dieci giorni dal voto, nulla si stia facendo per evitare che si concretizzi l’ennesimo, illegittimo, controproducente meccanismo di "cancellazione sociale" che priva, di fatto, migliaia di cittadini detenuti del diritto di esprimere le proprie preferenze politiche.

Sono, questi, cittadini aventi pieno diritto al voto in quanto presunti innocenti "cautelativamente custoditi" o perché condannati in via definitiva per reati, però, sentenziati come "non ostativi". Allo stato, non risultano essere stati predisposti invii di schede elettorali, organizzazione di seggi "dentro le mura" o altro che faccia pensare a una volontà pubblica di rendere, queste soggettività, partecipi al voto: L’elezioni politiche 2006 ( e si teme, a questo punto, anche quelle amministrative),sembrano pertanto, avviarsi a scrivere l’ennesimo, mortificante, capitolo che vede un sistema giustizia e penitenziario incapace di rendere praticabile per i detenuti un essenziale e autentico percorso di risocializzazione.

Lettere: Pordenone; in carcere è davvero possibile "ricostruirsi?"

 

Il Gazzettino, 29 marzo 2006

 

Credo fondamentalmente in due principi: il primo è che ognuno debba farsi carico dei propri errori, esserne consapevole e pagare fino in fondo il proprio debito con la società; il secondo è che la società debba avere la capacità di distinguere tra i soggetti che dimostrano una reale volontà di "ricostruirsi" e quelli che invece non lo fanno, offrendo quindi ai primi una seconda opportunità, che in termini concreti significa null’altro che valutare il singolo individuo, le sue potenzialità e il suo desiderio di reinserirsi, al di là d’ogni pregiudizio.

Il carcere non è una realtà da nascondere, da evitare o peggio, da denigrare. Esso è a tutti gli effetti parte della società, poiché da essa governato attraverso uomini e donne che, del loro operato, rispondono alla società stessa. Il buon esito del reinserimento delle persone ex detenute rappresenta senza dubbio lo specchio di questo operato. Ogni qualvolta questo buon esito venga disatteso, istituzione e società hanno il dovere di interrogarsi profondamente ed indagare se davvero tutte le cause del fallimento sono da imputarsi unicamente al soggetto che ha fallito, oppure se vi è qualcosa di più.

Le persone detenute che accettano di prendere un percorso di riabilitazione fanno una scelta che spesso significa doversi letteralmente sradicare da un ambiente che riescono a riconoscere come deleterio. Si tratta di una scelta difficile poiché il mondo della delinquenza è spesso l’unico che hanno conosciuto e che paradossalmente rappresenta una sicurezza, poiché è solo all’interno di quel mondo che essi hanno imparato a muoversi ed a procurarsi il necessario per vivere. Il dolore è il prezzo imprescindibile e necessario di questa scelta, che si traduce anche nel dover accettare consapevolmente il distacco dai proprio affetti, quando necessario, e di trovare altrove il sostegno morale e materiale necessario a completare il percorso intrapreso.

Questo processo di "ricostruzione" dell’individuo però, non potrà mai aver luogo in un istituto di pena se esso è disorganizzato, sovraffollato, se la brutalità viene elargita in modo stupido e ottuso finendo inevitabilmente con il colpire solo i soggetti più deboli, se gli operatori sono scoordinati o assenti del tutto, se all’apparenza vengono concessi spazi di studio, di riflessione, di attività professionali ma gli stessi sono più puntualmente ed inesorabilmente revocati adducendo motivazioni futili, oppure snaturati da una sorveglianza inutilmente oppressiva e se, infine, risulta troppo facile per le persone detenute cadere nel tranello della delazione, quando viene spacciata come facile soluzione che tutto perdona, offre privilegi e rappresenta una scorciatoia verso la libertà.

Difficilmente si potranno recuperare persone alle quali viene insegnato a puntare ingiustamente il dito contro il compagno di stanza dietro la ricompensa di un pacchetto di sigarette, o alle quali viene negato il permesso di una telefonata alla madre o alla fidanzata come mezzo di coercizione, oppure ancora alle quali viene negata la possibilità di vivere una vita dignitosa perché una volta usciti dal carcere trovano il vuoto attorno a sé, spesso anche quando è certo l’abbandono dei disvalori che avevano traviato le loro vite.

Più specificatamente, riguardo il carcere di Pordenone, possiamo dire senza tema di smentita di trovarci in una situazione migliore rispetto a quella di molti altri istituti penitenziari, in quanto non si riscontrano la maggior parte delle problematiche appena esposte. Non ci si può esimere inoltre dall’esprimere un sincero apprezzamento sia nei confronti dell’amministrazione penitenziaria, la quale si sforza di sfruttare tutte le risorse disponibili a favore della rieducazione nonostante le evidenti carenze della struttura carceraria, sia nei confronti del personale che opera in condizioni disagevoli ma tuttavia è sostanzialmente consapevole dell’importanza del proprio ruolo e attento alle necessità dei detenuti al cui "ricostruzione", è bene ricordarlo, spesso deve partire dall’acquisizione dei più elementari rudimenti del vivere civile, conciliando ciò con le esigenze di sicurezza e custodia.

L’aria che si respira all’interno dell’istituto restituisce una sensazione di crescente sensibilità dei cittadini di Pordenone verso questo carcere che, lungi dall’essere un ricettacolo della criminalità organizzata, quella di cui sentiamo quotidianamente notizia e che incute timore e rabbia, è soltanto un contenitore di persone umane che potrebbe potenzialmente dare molto, ma per fare ciò hanno tanto, tantissimo bisogno di essere aiutate e soprattutto guidate. La strada intrapresa, mi sento di dire, è quella giusta, prova né sia il fatto che oggi tante persone siano qui riunite a discuterne. Noi siamo qui, al castello, ma vi sentiamo vicini con il cuore. Grazie a tutti, indistintamente.

 

Un detenuto del carcere di Pordenone

San Severo (FG): si è dimesso il garante dei diritti dei detenuti

 

Gazzetta del Mezzogiorno, 29 marzo 2006

 

"Troppe promesse non mantenute": il consigliere comunale Roberto Prattichizzo si dimette dall’incarico di "garante dei detenuti". Il rappresentante diessino ha deciso di uscire di scena per protestare contro il sindaco Michele Santarelli, il quale, per mesi, avrebbe boicottato l’iniziativa. L’esponente diessino critica, inoltre, i dirigenti dei Democratici di sinistra perché non lo avrebbero sostenuto nella realizzazione del piano. Anzi, negli ultimi tempo secondo il consigliere Prattichizzo alcuni esponenti del suo partito avrebbero addirittura "tramato" alle sue spalle per mettere le mani sul progetto. Quanto basta per infiammare il dibattito politico all’interno della coalizione di centrosinistra che governa la città. Come si ricorderà il 10 febbraio 2005 il consiglio comunale ha approvato lo statuto relativo "garante dei diritti delle persone private della libertà personale". Una figura istituzionale, unica in provincia, con il compito di stabilire un contatto concreto con i sanseveresi detenuti al fine di stimolarne il recupero una volta espiata la pena e favorirne l’inserimento a pieno titolo nella società. Con successivo atto monocratico il sindaco Santarelli, ha nominato "Garante" il consigliere comunale Roberto Prattichizzo. Ma un anno di immobilismo è stato sufficiente al consigliere diessino per trarre le conclusioni e dimettersi dall’incarico. "Senza risorse economiche e boicottato da tutti - commenta il consigliere Prattichizzo - ho preferito dimettermi dall’incarico di "garante" dei diritti dei detenuti. A distanza di un anno dalla decisione del consiglio comunale di approvare l’iniziativa, l’amministrazione comunale non ha manifestato alcun interesse a far decollare il progetto. Il piano, secondo molti, si sarebbe rivelata un vero e proprio fiore all’occhiello per l’amministrazione Santarelli. Evidentemente i problemi dei detenuti sanseveresi non interessano a questa maggioranza".

Roma: attori-detenuti protagonisti sul palco del Teatro Valle

 

Adnkronos, 29 marzo 2006

 

Una compagnia che è diventata il principale esempio di un teatro socialmente impegnato inaugurerà la scena riservata dal Teatro Valle all’VIII Settimana della Cultura: a salire sul prestigioso palco romano la Compagnia della Fortezza, storico gruppo formato dai 20 detenuti-attori attualmente in tournèe, invitati nei più importanti e prestigiosi cartelloni di festival e teatri italiani, con 18 anni di esperienza maturata nel carcere di Volterra. L’appuntamento con la compagine guidata da Armando Punzo è fissato per il 3 aprile, alle ore 21.00, quando il sipario si alzerà su " I Pescecani - ovvero quello che resta di Bertolt Brecht", ultima produzione pluri-riconosciuta (Ubu 2004, Premio Associazione Nazionale Critici di Teatro, Premio Carmelo Bene della Rivista Lo Straniero). "I Pescecani è un delirante grido di denuncia contro la folle malattia che sta contagiando il mondo - dice il regista - Ingiustizie, prevaricazioni, arroganza e soprattutto sete di denaro e potere sono tipiche dei pescecani che stanno ormai divorando tutto".

Bollate: sul palcoscenico i detenuti alle prese col "Riccardo III"

 

Il Cittadino, 29 marzo 2006

 

Ogni tanto capita che il carcere metta il naso fuori dalle sbarre. Che scriva, come accade con "Uomini liberi" per i detenuti di Lodi oppure, come nel caso della casa circondariale di Bollate, che salga sul palcoscenico. Ecco, solo allora pare che "chi sta fuori" si accorga della sua esistenza. Bebo Storti, ottimo attore che si è spesso prestato al sociale, ha messo insieme, con l’aiuto del regista Bruno Bigoni, un riadattamento dal "Riccardo III" di Shakespeare, completamente interpretato da un gruppo di detenuti del carcere di Bollate. Lo spettacolo è piaciuto ed è stato filmato: oggi questa clip sta facendo il giro di Milano e dell’hinterland per dimostrare che il carcere non è solo il luogo della pena ma della rieducazione. Sabato pomeriggio lo spettacolo, che si intitola semplicemente "Riccardo", sarà proiettato in sala Previato, a San Giuliano (dalle ore 15.30, ingresso libero). Un’occasione per vedere all’opera Storti, uno dei migliori talenti della stagione teatrale dei trentacinquenni, e soprattutto loro, i "detenuti".

Non più dietro le sbarre, ma su uno schermo, per testimoniare che la scrittura e il teatro, oltre ad attività lavorative che nobilitano la presenza in cella, non sono fantasie ma possono essere realizzate. Il dibattito sulla rieducazione e sul ruolo del carcere all’interno delle città è ancora aperto, così come il problema del sovraffollamento e dell’indulto. Ne parleranno lo stesso Bebo Storti, il regista Bruno Bigoni e, insieme a un rappresentante della direzione del carcere di Bollate, anche Adriano Todaro, che è direttore di "Carte Bollate", un periodico realizzato dai detenuti all’interno della casa circondariale.

Sappe: i casi di Pesaro e Fossombrone al congresso nazionale

 

Il Messaggero, 29 marzo 2006

 

"Porterò all’attenzione delle autorità nazionali la difficile situazione delle carceri di Ancona, Pesaro e Fossombrone". Il sindacalista regionale, Aldo Di Giacomo, spiega così il suo intervento al quarto congresso nazionale del Sappe, sindacato autonomo polizia penitenziaria, che si terrà da oggi fino al 31 marzo, a Fiuggi. Nella duplice veste di consigliere nazionale e regionale, nel corso del convegno "Polizia penitenziaria, società, giustizia e sicurezza" il sindacalista esporrà le preoccupazioni per le condizioni in cui versano gli istituti carcerari nazionali, tra carenze di organico e sovraffollamento delle carceri.

Un fenomeno negativo che si ripete anche a Pesaro e Fossombrone e che verrà illustrato ai vertici nazionali della polizia penitenziaria e alle numerose autorità politiche presenti:il sottosegretario alla giustizia, Iole Santelli, il vice ministro alle infrastrutture, Mario Tassone, il sottosegretario dell’economia, Michele Vietti, gli onorevoli Maurizio Gasparri, Luciano Violante e Antonio Di Pietro. "Aspettando che la legge ex-Cirielli faccia sentire i propri effetti - continua Di Giacomo - in Italia abbiamo toccato il picco storico di 60.600 detenuti, a fronte di sempre meno agenti penitenziari. Cifre che, in proporzione, trovano riscontro negli istituti della nostra provincia, dove forse la situazione è anche peggiore".

Latina: in carcere affollamento e carenze, i problemi di sempre

 

Il Messaggero, 29 marzo 2006

 

Dalla sua ennesima visita al carcere di Latina Angiolo Marroni, garante dei detenuti del Lazio, esce con la stessa, avvilente idea. Che questa è una struttura da demolire e ricostruire altrove. E che tutti gli interventi, le ristrutturazioni e i timidi finanziamenti, che pure hanno contribuito a creare nuovi piccoli spazi, servono a poco o a nulla se in una cella di nove metri quadrati continuano a vivere almeno sei detenuti, se manca un’adeguata assistenza sanitaria, se l’organico di polizia penitenziaria è gravemente sottodimensionato rispetto alle esigenze. Qui la realtà resta ben lontana dai numeri scritti sulla carta, quelli che indicano precise proporzioni matematiche tra numero di persone chiuse in cella e personale, tra detenuti e spazi vivibili.

Qui, come in molte altre strutture penitenziarie italiane, la dimensione del sovraffollamento quasi non si conta più, la vivibilità è un miraggio. E diventa normale, perfino, ammettere con rassegnazione che "il carcere è impraticabile, che si fa poco trattamento, che l’assistenza medica è scarsa e inadeguata". Meno drammatica la condizione nell’ala di massima sicurezza femminile, dove vivono 34 donne, circa due per cella, detenute che scontano condanne lunghissime, senza mai vedere la luce del sole. Ma nel reparto maschile, lì molti dei 123 carcerati dormono con i materassi per terra. Sono "di passaggio". Qualcuno, in attesa del periodico sfollamento, prenderà la via di altri penitenziari. Altri invece, da mesi, aspettano il processo.

Ma qui il 60% della popolazione è costituita da cittadini extracomunitari, "una media altissima – commenta Marroni, accompagnato nella sua visita dal segretario dei Ds Enrico Forte e da Sesa Amici, candidata alla Camera – superiore a quella delle altre strutture, per reati essenzialmente legati alle tossicodipendenze". Nessuna assistenza specifica, neppure per i malati psichici, che dividono i pochi metri quadri con i compagni di cella, come tutti. Marroni, con il suo lungo passato da volontario nei penitenziari italiani, ha lo stomaco forte e non si stupisce più di nulla, ma torna a ripetere, senza riserve, che la struttura di via Aspromonte, "fatiscente e inadeguata", è da demolire. Accanto a lui c’è Blanca Girgenti, educatrice. Anche lei ha visto di tutto, "ma a Latina – dice – la situazione è più drammatica che altrove". Poi però ricorda i passi avanti, i nuovi spazi creati con le due ultime ristrutturazioni, la piccola palestra e il teatro che si trasforma all’occorrenza in una chiesa, il corso di yoga, il giornalino dei detenuti, la raccolta di poesie scritte dalle donne.

Vasto: la Caritas aprirà una casa d’accoglienza per ex detenuti

 

Il Messaggero, 29 marzo 2006

 

Sessantamila euro per completare, in località San Lorenzo a Vasto, la casa d’accoglienza Caritas per ex detenuti e familiari dei reclusi del carcere di Torre Sinello. È questa la cifra dello stanziamento proposto dall’assessore provinciale di Chieti, Luciano Lapenna, alla giunta Coletti che si riunirà in questi giorni. "In tal modo - afferma Lapenna in una nota - accoglieremo la richiesta di don Andrea Sciascia, cappellano della casa circondariale di Vasto. Si tratta di una somma necessaria ad ultimare una struttura di cui la Caritas ha bisogno per svolgere un fondamentale servizio d’assistenza verso chi deve reinserirsi all’interno della società e nei riguardi dei familiari di chi deve ancora terminare il proprio percorso di riparazione e rieducazione". Da tempo si lavora, a Vasto, per dotare la città di una casa d’accoglienza in grado di arginare il disagio di chi, lontano dai luoghi d’origine, va incontro alla non facile esperienza del carcere.

Immigrazione: misure alternative anche per immigrati irregolari

 

Altalex, 29 marzo 2006

 

Per le Sezioni unite potranno essere affidati in prova ai servizi sociali i detenuti extracomunitari irregolari. Esaminate anche le questioni del decreto del Gip sulla prosecuzione delle indagini e delle riprese visive nel "domicilio". Via libera della Cassazione alla concessione dei benefici alternativi al carcere per i clandestini condannati definitivamente nel nostro Paese ad una pena detentiva. In pratica d’ora in poi, al detenuto extracomunitario irregolare - cioè privo di permesso di soggiorno - potranno essere applicate misure alternative alla galera, come l’affidamento in prova ai servizio sociali.

È quanto emerge dall’informativa provvisoria n. 8 diffusa ieri dalla Sezioni unite penali della Suprema corte al termine della camera di consiglio con la quale il massimo Consesso ha dato soluzione "affermativa" al seguente quesito: "Se, in materia di esecuzione della pena, le misure alternative alla detenzione in carcere (nella specie: affidamento in prova al servizio sociale) possano essere applicate allo straniero extracomunitario che sia entrato illegalmente in Italia e sia privo di permesso di soggiorno". Soltanto con il deposito delle motivazioni, però, sarà chiaro il percorso argomentativo che ha portato le Sezioni unite a ritenere compatibile lo status del detenuto clandestino con l’applicazione dei benefici alternativi.

La tesi permissiva è stata, infatti, sostenuta dalla prima sezione penale nell’ordinanza 44368/05 (depositata il 5 dicembre 2005 e qui leggibile tra gli allegati) con la quale ha rimesso la questione di diritto al massimo Consesso di piazza Cavour. Il caso per il quale è stato chiesto l’intervento delle Sezioni unite è nato dal ricorso della Pg presso la Corte d’appello di Cagliari contro l’affidamento in prova concesso a un carcerato magrebino in espiazione di pena. Ad avviso della pubblica accusa ricorrente tali misure non sono applicabili per i clandestini data la "incompatibilità delle modalità esecutive di dette misure con le norme che regolano l’ingresso, il soggiorno e l’allontanamento dal territorio dello Stato delle persone appartenenti a paesi estranei all’Unione Europea". Linea condivisa anche dalla Procura del "Palazzaccio" secondo cui esiste una "ontologica incompatibilità tra lo status di straniero non regolarmente soggiornante nel nostro Stato e l’applicazione del beneficio alternativo".

Ad essere contro corrente, rispetto alla tesi dei pubblici ministeri, è stata la stessa sezione rimettete che ha dato atto dell’esistenza nella giurisprudenza di legittimità di un orientamento secondo il quale da un excursus delle norme sull’immigrazione emergerebbe che esse non contengono divieti di applicare le misure alternative ai clandestini, che - anzi - un simile differenziato trattamento contrasterebbe con la funzione rieducativa della pena. Pensiero, stando all’informativa n.8, condiviso ieri dalla Sezioni unite.

 

 

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