|
Biella: 33enne s’impicca in cella, lo aveva scritto all’avvocato
Gazzetta del Sud, 5 febbraio 2006
Il suo proposito lo aveva comunicato al suo avvocato difensore Filippo Gramatica di Genova. "Un suicidio annunciato - spiega il legale - sin dal momento dell’arresto. Del resto, quando era stato fermato a Genova aveva affermato che si era recato laggiù per annegare in mare e al primo interrogatorio aveva chiesto al giudice che lo stava interrogando, del cianuro. Ora vogliamo sapere come era stato curato in queste ultime settimane nel carcere di Biella". Santangelo si sarebbe tolto la vita poco prima delle 18 quando è stato scoperto dagli agenti con la testa infilata in una busta di nylon e stretta intorno al collo. Il polso era debolissimo e sono stati subito chiamati i soccorsi. La procura ha disposto per lunedì l’autopsia e ci sarà anche un perito di parte che affiancherà quello del tribunale. Emiliano Santangelo, 33 anni, di Carema (Torino), è accusato di aver ucciso a coltellate Deborah Rizzato e poi di averla investita con la sua stessa auto a Trivero (Biella). Nel 2001 Santangelo, titolare di una pensione di invalidità civile al 75% per depressione medio-grave, era già stato condannato dal Tribunale di Biella a tre anni e due mesi di carcere per abusi sessuali nei confronti di Deborah e di altre due ragazze biellesi. Negli anni precedenti erano state numerose le giovani, in alcuni casi anche minorenni, vittime di suoi abusi, violenze, minacce, tentativi di estorsione alle famiglie con filmini erotici delle proprie figlie. Lo scorso 27 gennaio Santangelo aveva subito una condanna a un anno e otto mesi per tentata violenza carnale nei confronti della madre di Deborah: nel 2000, secondo la ricostruzione, le aveva gentilmente offerto un passaggio e, una volta in auto, le aveva toccato le gambe e i fianchi, fino a chiederle un rapporto sessuale orale. Una volta a casa, la donna aveva riconosciuto il suo aggressore nella foto di un ex fidanzato di Deborah, a quel tempo assieme a una sua amica, cui la ragazza aveva subito chiesto di interrompere la relazione, ricevendone in cambio, da lui, minacce di morte. L’uomo, però, anche durante il processo, ha sempre negato tutto, accusando la famiglia Rizzato di perseguitarlo con "una macchinazione" finalizzata soltanto alla sua incarcerazione. Santangelo era anche in attesa di una perizia psichiatrica per un altro processo che lo vedeva accusato di essersi spacciato per poliziotto e di aver minacciato due minorenni che, con una pistola giocattolo, sparavano ai colombi in piazza del Duomo, a Biella. Sull’omicidio di Deborah Rizzato, invece, Santangelo ha sempre detto di non ricordare nulla. L’assassinio di Deborah era avvenuto al termine di dodici anni di molestie, minacce e ossessivi tentativi di riprendere la relazione, che gli erano valsi anche una diffida dall’incontrare la ragazza. Castiglione delle Stiviere: giallo sul suicidio di una ragazza all’Opg
Secolo XIX, 5 febbraio 2006
"Voglio sapere cosa hanno fatto a mia figlia. Io non credo che si sia suicidata, sospetto che sia stata uccisa". Al ministro guardasigilli Roberto Castelli, sceso a Savona, la mamma coraggio che vuole giustizia parla tremando, con il pianto negli occhi e nella voce, ma con lo sguardo dritto in quello dell’interlocutore. E avanza richieste nette e precise. Vuole la verità sulla scomparsa della figlia nella sezione Arcobaleno del manicomio giudiziario di Castiglione dello Stiviere. Non crede al referto ufficiale che parla di suicidio e chiede un’indagine approfondita: intanto, ha ottenuto l’autopsia (i cui risultati si stanno aspettando) e racconta al ministro i dubbi, raccolti in un dossier. Nessun nome, in questa vicenda: c’è una bimba, figlia della giovane donna, che ha già molto sofferto ed ha il diritto di sperare in un futuro diverso. "Mia figlia tra poco sarebbe tornata a casa, invece ho dovuto riportarla giù in una scatola di legno", dice la donna. La ragazza era finita dietro le sbarre già minorenne, poi la sua vita si era complicata sempre di più, persa dentro la spirale della droga. Il 19 agosto 2004 era finita a Sollicciano, il carcere fiorentino. Qui aveva tentato il suicidio, al pronto soccorso aveva tentato di ferire un’infermiera con una siringa, c’era stata una piccola rissa. Poi la svolta che ha segnato definitivamente la sua vita tragica: "Fu violentata da tre addetti - dice la madre - ma il risultato della sua denuncia fu il trasferimento a Castiglione dello Stiviere". A Sollicciano, in realtà, i medici riscontrarono alla ragazza disturbi psichici che richiedevano cure migliori di quelle che poteva garantire il carcere. A Castiglione fu rinchiusa nella sezione Arcobaleno, per compagna di stanza una ragazza con la quale stabilì un legame fortissimo. "Ma telefonava sempre più spesso - racconta la mamma - diceva di essere minacciata, picchiata". Poi la separazione dell’amica del cuore: "Una separazione priva di alcuna spiegazione, immotivata, una cattiveria. Io penso che volessero togliere una possibile testimone da intorno a mia figlia". Fatto è che, il giorno seguente, la ragazza è trovata morta: è il 16 novembre. Alle ventidue l’infermiera la vede regolarmente nella sua stanza. Alle 22,30 non c’è più. La ricerca dura poco, appena dieci minuti, e si conclude in tragedia: alle 22,40 la giovane viene scoperta nel giardino interno della struttura, impiccata con il lenzuolo ad una recinzione. "Ma cosa è successo quella sera?", si chiede la mamma. La donna, il giorno seguente, cerca la figlia: "Ma nessuno mi avverte di quanto era accaduto". Deve arrivare il giorno successivo perché le svelino la tragica verità: "Sua figlia ha fatto una "birichinata", mi dicono". La donna si precipita a Castiglione: "Me l’hanno fatta vedere, tirandola fuori dalla cella frigorifera, per poco tempo. Ma è stato sufficiente per notare che aveva solo un piccolo segno rosso sul collo. Immagino che il lenzuolo, se quello era stato il mezzo del soffocamento, avrebbe dovuto lasciare segni ben più visibili". Poi, la donna chiede l’autopsia. Ma, racconta ancora, non gliela vogliono concedere: "Ci sono voluti giorni e giorni per ottenerla. Pare che qualcosa di anomalo sia stato riscontrato. Ora aspettiamo le relazioni dei periti". Al ministro, la donna arriva attraverso il consigliere provinciale leghista Roberto Nicolick: "È un caso atroce - dice - siamo di fronte ad una donna fatta, caparbia, che non si piegava. Non c’è dubbio che entrava spesso in conflitto con il sistema e questo gliel’ha sempre fatta pagare".
"Mia figlia non si è uccisa"
Il comizio, in albergo, è terminato, è notte. Una donna si avvicina al ministro Roberto Castelli: tremante, negli occhi il pianto, la voce che non esce dalla gola. Sono due mesi che sua figlia non c’è più e lei non se ne fa una ragione: 32 anni, la giovane è morta impiccata nella sezione Arcobaleno del manicomio giudiziario di Castiglione dello Stiviere (Mantova). "Suicidio", fu la sentenza immediata. Ma lei, la mamma, la ritiene una versione di comodo, ed i suoi dubbi - "aveva paura, diceva di essere minacciata" - li ha esternati in una denuncia a carabinieri e polizia. Ha ottenuto, con una lotta caparbia, che sul corpo venisse eseguita l’autopsia della quale ora si attendono i risultati. È una mamma, una mamma disperata. Tanto basta perché Castelli - già informato della vicenda dal consigliere leghista Roberto Nicolick - raccolga il dossier che la donna consegna, perché prometta il suo interessamento. In questa storia è meglio non far nomi perché di mezzo c’è una ragazzina che aveva già sofferto tanto e che ora ha perso la mamma. La donna (ufficialmente) suicida aveva una storia difficile, fatta di una lunga lotta con la droga. La sua famiglia abita nel levante savonese. La prima piccola condanna, davanti ad un tribunale, arriva ancora da minorenne. Poi la sua vita sempre più difficile si aggroviglia su se stessa sino a spedirla dritta, il 19 agosto 2004, nel carcere di Sollicciano (Firenze), per furto e resistenza a pubblico ufficiale. Lì tenterà anche il suicidio. Ma nel penitenziario, a un certo punto, la donna denuncia di essere stata stuprata da tre uomini del personale di sorveglianza. Le vengono diagnosticati alcuni disturbi mentali, si profila la necessità di una cura più appropriata di quella che può fornire il carcere ed ecco apparire all’orizzonte Castiglione dello Stiviere: "Non era una ragazza remissiva - dice Nicolick - ma una donna fatta che male accettava le imposizioni del carcere e cercava, a torto o ragione, di tenere sempre la testa alta. Questo, probabilmente, le ha procurato molti guai". Aggiunge la mamma: "Sarebbe venuta a casa tra pochi mesi e tutto sarebbe finito. A casa invece me la sono riportata dentro una scatola di legno, povera la figlia mia". La donna, da Castiglione dello Stiviere, telefona alla madre sempre più spesso: "Mamma, vienimi a prendere perché ho paura che mi accada qualcosa di brutto". La madre racconta di minacce e vessazioni vere o presunte. La situazione precipita quando la detenuta viene separata forzatamente da una ragazza con la quale aveva fraternizzato. Il giorno dopo la trovano impiccata ad una recinzione metallica: sono le 22,40 del 16 novembre 2005, quaranta minuti prima era ancora nella sua stanza. Ai carabinieri della città di residenza, la comunicazione ufficiale arriva la mattina del 19. E, infatti, anche la madre sostiene di non essere stata avvertita subito. Non solo: di aver chiamato al telefono, "ma nessuno mi ha detto niente". E aggiunge: "Solo 24 ore dopo mi hanno detto che mia figlia aveva fatto una "birichinata". Era morta". Lei, nella sua disperazione di mamma, non crede alla versione ufficiale, dà corpo alle paure che la figlia aveva espresso nelle sue telefonate, non mette neppure in conto il suicidio: "Era troppo attaccata alla sua bambina per pensare di uccidersi". La madre mette in fila i sospetti: "Me l’hanno tirata fuori dalla cella frigo per mezzo minuto. Ho solo notato un piccolo segno rosso sul collo, quando mi hanno raccontato che si è uccisa con il lenzuolo ed il segno avrebbe dovuto essere ben più grande. Troppe cose non tornano". Non resta che aspettare i risultati dell’autopsia: "Ottenuta - dice la madre - dopo alcuni giorni di battaglia, anche questo molto strano". E spera nell’aiuto del ministro Castelli: "Voglio giustizia". Marche: la situazione del personale penitenziario è gravissima
Il Messaggero, 5 febbraio 2006
"L’attuale situazione degli istituti penitenziari marchigiani è di estrema gravità, con particolare riferimento a Pesaro, Fossombrone ed Ancona". Parola di Aldo Di Giacomo, segretario regionale del Sappe (sindacato autonomo di polizia penitenziaria) che sottolinea come la carenza di agenti in questi istituti abbia raggiunto un livello di criticità tale da comprometterne la funzionalità e soprattutto la sicurezza. La conferma alle parole del sindacalista giunge direttamente dal commissario della casa circondariale di Pesaro, Riccardo Secci "La situazione è gravissima. Basti pensare che abbiamo un solo agente per controllare una sezione che ospita 50 detenuti. Credo che per assicurare un servizio efficiente, all’attuale organico, che conta circa 150 uomini, manchino indicativamente almeno 40 agenti di servizio". Il conteggio del personale di cui necessita ogni istituto viene svolto periodicamente dal dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che, in base al numero di detenuti, definisce l’organico nazionale e successivamente determina il numero di agenti da assegnare ad ogni carcere. Sfortunatamente, però, dall’ultimo conteggio, che ha comunque riconosciuto una carenza organica per l’istituto penitenziario di Pesaro di 19 unità (per ora mai viste a Pesaro), molti fattori sono intervenuti a determinare l’attuale situazione di emergenza. "Tengo a precisare - afferma il comissario Secci - che dei 150 uomini dell’organico, alcuni sono adibiti agli uffici amministrativi, altri ai piantonamenti e non possono perciò essere utilizzati per la sorveglianza dei detenuti. Inoltre, molti agenti sono andati in pensione oppure hanno avuto un avanzamento di carriera". Ad aumentare le preoccupazioni del commissario Secci contribuiscono anche le conseguenze negative della legge ex Cirielli che, inasprendo le pene per la recidiva, aumenterà il numero di detenuti. "Le carceri, che attualmente ospitano 250 detenuti, si sovraffolleranno non appena la nuova legge farà sentire i propri effetti". Una possibile soluzione al problema potrebbe essere l’esternalizzazione di alcuni servizi. "Credo - conferma Secci - che imitare un modello come quello americano possa essere una valida alternativa. Magari si potrebbe affidare il servizio svolto dagli uffici amministrativi ad una ditta esterna, con un notevole risparmio di agenti da impiegare nella sorveglianza della popolazione carceraria".
A Fossombrone anche la beffa, un errore alla base dell’organico
Sulla stessa linea si pone Giacobbe Pantaleone, direttore dell’altro istituto chiamato in causa, quello di Fossombrone. "Anche da noi la situazione è grave. Secondo la normativa, ai 96 agenti che prestano servizio nel carcere se ne dovrebbero affiancare almeno altri 50, ma io mi accontenterei di averne solo 20 in più". Il rammarico del direttore è amplificato dal fatto che la definizione dell’organico per l’istituto di Fossombrone si basa su un conteggio errato. "Al momento del calcolo dei detenuti - spiega - diverse sezioni del carcere erano vuote per lavori di ristrutturazione, ma di ciò non si è tenuto conto nell’assegnazione degli agenti, anzi è risultato che rispetto ai detenuti c’era persino eccedenza di personale. A fine 2005 ho fatto presente tutto ciò ed il dipartimento dell’amministrazione penitenziaria ha riconosciuto l’errore ma ha anche aggiunto che essendoci un decreto ministeriale di mezzo si trova nell’impossibilità di modificare la situazione". Un paradosso che non solleva il morale degli addetti ai lavori preoccupati anche per le recenti esternazioni del ministro Castelli, come sottolinea Aldo Di Giacomo. "La costruzione di nuove carceri non è una soluzione al problema, penso che abbia solo uno scopo propagandistico considerando che in Italia servono almeno 15 anni per l’espletamento delle pratiche burocratiche". E alle carceri della provincia di Pesaro servono risposte più immediate. Pesaro: agente aggredito, è il terzo caso in due mesi
Il Messaggero, 5 febbraio 2006
Una testa "calda" e anche parecchio dura, quella del detenuto che ieri mattina ha aggredito un agente della polizia penitenziaria del carcere di Villa Fastiggi. È accaduto tra le 8.30 e le 9. F.T., operatore della casa circondariale, ha fatto appena in tempo ad aprire la porta della cella, che il detenuto, un 35enne marocchino, approfittando di un attimo di disattenzione, si è scagliato contro il poliziotto colpendolo in pieno volto con una testata. Una pericolosa distrazione che poteva costare a F.T. ben più di una contusione al labbro. Per fortuna, alcuni colleghi nelle vicinanze sono subito intervenuti immobilizzando l’extracomunitario che in preda all’ira minacciava di colpire ancora F.T. tramortito dal dolore e incapace di reagire. Intanto cresce l’allarme nella casa circondariale di Pesaro e nel super carcere di Fossombrone: il sovraffollamento di detenuti e la carenza di organico stanno creando situazioni esplosive. Le denunce arrivano dai sindacati della polizia penitenziaria. Sanremo: dieci detenuti impegnati a pulire il Cimitero della Foce
Ansa, 5 febbraio 2006
Dieci detenuti del carcere di valle Armea, accompagnati da volontari della cooperativa La Speranza e da un gruppo di amministratori comunali, parteciperanno oggi alla pulizia volontaria del cimitero monumentale della Foce, a Sanremo. Si tratta della seconda tappa di un percorso che mira a una rivalutazione del sito, in termini non soltanto di pulizia, ma anche di cultura. Nel corso della mattinata verrà illustrato un progetto del Sert per una guida turistica al cimitero, finanziata con una borsa lavoro del Comune di Sanremo alla cooperativa La Speranza. Al cimitero sono sepolti, oltre ai sindaci più importanti della città dei fiori, anche l’avvocato e senatore Orazio Raimondo, il poeta inglese Edward Lear e diversi personaggi della nobiltà locale e internazionale, soprattutto russa. Tra le iniziative future: l’ipotesi di una rappresentazione teatrale all’interno del cimitero monumentale. Savona: la Regione approva il progetto per il nuovo carcere
Secolo XIX, 5 febbraio 2006
Operazione da 30 milioni per un penitenziario da 250 posti. L’assessore Ruggeri: "Lavori tra un anno". La fine di una vergogna: per il vecchio Sant’Agostino, penitenziario degno di un girone dantesco, sembra davvero vicino il momento della pensione. La Regione, infatti, ha approvato ieri mattina il progetto esecutivo per il nuovo carcere di Savona che verrà realizzato in località Passeggi. Si tratta di un atto che chiude il cerchio del complesso iter autorizzativo, durato alcuni anni, e apre la strada perché la conferenza dei servizi, convocata in sede deliberante il 9 febbraio a Genova, metta il timbro definitivo sul progetto. Poi la palla passerà al ministero di Grazia e Giustizia (che ha calcolato di spendere oltre 30 milioni nell’operazione) per l’appalto e l’inizio dei lavori: "Se tutto va bene - ha annunciato Carlo Ruggeri, che ha seguito tutto il tormentato iter della pratica, prima come sindaco ed ora come assessore regionale - il cantiere potrà aprire prima di un anno". Il nuovo carcere sorgerà in località Passeggi, nella zona a monte della sede Ata, tra il tracciato dell’autostrada Torino-Savona e il confine con il comune di Quiliano. I lavori interesseranno un’area vastissima e sarà impressionante vedere lo scavo quando questo sarà avviato: l’edificazione insisterà infatti su 183 mila 660 metri quadrati di terreno, in buona parte proprietà della Società Autostrade, dell’Eni e in piccola parte di privati. Trattandosi di un carcere il progetto, con la disposizione delle parti interne, è stato secretato dal Ministero. Si sa però che comprenderà una parte chiusa tra altre mura, al cui interno si troveranno l’accoglienza, la sezione maschile, le cucine, le lavanderie, tutti i servizi e numerosi spazi per le attività previste all’aria aperta. Fuori dalle mura si troveranno invece, tra il resto, la caserma agenti, le due palazzine per gli alloggi del personale, la portineria, la direzione, il centro direzionale con tutti gli uffici, la sezione femminile ed un campo da calcio. Verrà anche realizzata ex novo una strada, che andrà a raccordarsi con quella che scorre a valle. Il penitenziario potrà ospitare 250 detenuti, 15 semiliberi, 150 guardie. La Regione ha inserito, nell’approvare il progetto, alcune prescrizioni sulla movimentazione del terreno (che sarà molto massiccia) e sul ripristino del verde (in particolare con alberi tipici della macchia ligure) dopo lo scavo. L’assessore regionale Ruggeri esprime grande soddisfazione per l’epilogo della vicenda: "L’ho seguita passo passo come sindaco, a partire dalle difficoltà per la localizzazione del sito, e ora posso vedere la conclusione dell’iter come assessore regionale. Mettiamo fine ad una situazione incresciosa, quella del vecchio Sant’Agostino, per la cui chiusura tanti si sono adoperati".
Sant’Agostino, una "vergogna nazionale"
L’attuale carcere di Savona è collocato nella zona di Monticello, in edifici antichi di secoli, del tutto inadatti ad ospitare un penitenziario e a garantire condizioni igieniche e sanitarie adeguate a chi vi è detenuto e a chi vi lavora. È quanto da tempo vanno ripetendo larghi strati della Savona che conta e no, ma anche voci importanti da fuori città. Per un nuovo carcere, dignitoso per chi vi è rinchiuso, si è battuto ad esempio il vescovo Domenico Calcagno. A sostenere che "a Savona c’è un carcere che non è degno di un paese civile"è stata, nel corso della festa della polizia penitenziaria a metà dicembre, la stessa direttrice Maria Isabella De Gennaro. Il carcere di Sant’Agostino ha un organico di una cinquantina di agenti, per circa sessanta detenuti, con picchi sino a novanta, e una capienza di appena trentacinque. A metà dello scorso anno era stato l’eurodeputato Vittorio Agnoletto, accompagnato dall’assessore regionale del Prc Franco Zunino, a visitare il penitenziario e a dire che "di tutti i carceri visitati in Italia è il meno adatto a essere un carcere". Tortuoso l’iter che ha portato al progetto esecutivo per il nuovo carcere in località Passeggi: in ballottaggio erano state anche le località Albamare, l’ex Metalmetron, addirittura il Santuario. Milano: stare in casa con mia moglie? meglio il carcere…
Corriere della Sera, 5 febbraio 2006
"In carcere, almeno, c’è l’ora d’aria". Meglio la cella, quella vera. Con le sbarre, i letti a castello e le guardie. "Meglio di mia moglie", sbotta il pregiudicato siciliano, di fronte al carabiniere di Cassano D’Adda. "Evasione dagli arresti domiciliari - sentenzia il militare - lei torna in carcere". Sorriso: "Grazie. Finalmente". Evasione alla rovescia. Pregiudicato di Caltanissetta, 3 anni e 9 mesi da scontare, fugge dalla casa dove vive con la moglie, e dove il giudice gli ha concesso di trascorrere la pena. Esausto, esasperato, dopo mesi di urla e liti. Perderà il privilegio: è quello che vuole. All’alba dell’altro giorno confessa ai carabinieri: "Sono scappato dai domiciliari per scappare da quella lì". Il portone di San Vittore gli si chiude alle spalle.
Storie di reclusi volontari
Agosto 2005: pregiudicato ai domiciliari, 35 anni, passa l’intero giorno davanti alla televisione, fino a notte fonda. La sorella vuole che spenga alle 11. Una sera, dopo l’ennesima lite, bussa al commissariato: "Portatemi in carcere, così potrò vedermi la Tv in pace". Accontentato. Pavia, 2002. Operaio, 40 anni, condannato per furto, una notte di novembre mette i vestiti in valigia e si incammina verso la caserma. Con tono esasperato, spiega: "Mia suocera è un’ossessione. Fatemi tornare in carcere. Lì, nessuno mi offenderà più". Desiderio esaudito. Non sempre va liscia. Monza, 2003. Piccolo spacciatore evade dai domiciliari e si presenta alla guardiola del penitenziario: "Mettetemi dentro". Prego? "Mia madre è una rompiscatole". Risponde l’agente: "Se vuole tornare in carcere, il suo avvocato deve fare un’istanza". Deluso. Lo spacciatore viene riportato nella casa-galera. Psichiatria: il Forum Salute Mentale scrive a presidenti Regionali
Redattore Sociale, 5 febbraio 2006
"La diatriba sulla 180 è un falso problema". Il Forum nazionale della Salute Mentale, apertosi ieri a Milano, invia una "Lettera aperta ai Presidenti delle Regioni italiane". Tra le questioni sollevate nella lettera, la mancata attuazione in concreto della 180, "oggi ancora applicata in Italia a macchia di leopardo, con servizi per la salute mentale sovente inadeguati, con sperequazioni di budget (la chimera del 5% della spesa sanitaria) evidenti tra le regioni e tra territori di una stessa regione". Rilanciata anche l’opposizione a ogni privatizzazione della sofferenza mentale. "Caro presidente - esordisce il documento -, come lei sa, il Ministro della Sanità ha annunciato l’intenzione di rivedere la legge 180 del 1978 in materia di assistenza psichiatrica. Anche negli anni passati le sarà giunta eco di analoghe intenzioni espresse in vario modo, da più soggetti (leggi in particolar modo i vari ddl Burani Procaccino..) e con diverse proposte di legge, e avrà rilevato che la maggior parte delle forze politiche si è sempre opposta alla revisione della 180, difendendone sia lo spirito che la sostanza". La 180 è sostenuta solo a parole, ora servono i fatti. "Anche oggi la legge è sostenuta da un ampio schieramento politico, trasversale a quasi tutti i partiti. Però notiamo che, a fronte di dichiarazioni costantemente espresse in difesa della legge, non si registrino comportamenti altrettanto coerenti - sottolinea il Forum nazionale della Salute mentale -. Così, mentre possiamo comprendere chi critica apertamente la 180 e ne vuole modificare il testo, non capiamo chi si schiera politicamente, culturalmente e tecnicamente a favore della legge ma non addotta comportamenti adeguati, provvedimenti coerenti, politiche organiche e strumenti amministrativi idonei all’effettiva applicazione della legge. Questa inadeguatezza offre argomenti non di poco conto agli oppositori della legge". Basaglia applicata a macchia di leopardo. "Noi dobbiamo constatare che la gran parte delle Regioni italiane sono ancora lontane dall’aver svolto i propri compiti ed esercitato i propri obblighi in materia. Eppure compete esclusivamente ad esse la titolarità, la responsabilità e la possibilità di organizzare adeguatamente i servizi territoriali integralmente sostitutivi dell’ospedale psichiatrico". Servizi per la salute mentale ancora inadeguati. "Invece in molte Regioni, sotto il profilo quantitativo i servizi allestiti sono complessivamente insufficienti o non equilibrati. Ma il quadro è del tutto inadeguato soprattutto sotto il profilo della qualità e della appropriata allocazione delle risorse alle singole strutture – evidenzia il Forum -. A soffrirne è l’organizzazione complessiva, i singoli servizi e la loro specifica rilevanza". La lettera punta l’attenzione su quella che definisce "la chimera del 5% della spesa sanitaria e le sperequazioni non solo tra una regione e l’altra, ma spesso addirittura tra territori della stessa regione". "È stato più volte sottolineato, anche in documenti sottoscritti dalla Conferenza Stato Regioni – si afferma -, che occorreva destinare ai servizi di salute mentale una quota orientativamente dell’ordine del 5% dell’intera spesa sanitaria. Ciò sta accadendo solo in poche regioni e, comunque, quasi sempre con ingiustificabili differenze anche tra le aree della stessa regione". Altro punto fermo del Forum: la non privatizzazione della sofferenza mentale. "La legge 180 non prevedeva l’utilizzo di cliniche private per il ricovero di pazienti psichiatrici, mentre in molte regioni questo avviene di norma e sotto le più varie denominazioni - denuncia il Forum nazionale Salute mentale -. La legge consentiva il ricovero, in ambiente ospedaliero e in appositi servizi psichiatrici, solo in casi di assoluta necessità, visto che la cura e la riabilitazione devono avvenire di norma nelle strutture territoriali". Ad oggi, poi, per il Forum "alcuni ospedali non hanno nulla da invidiare ai lager manicomiali". "Al contrario, la carenza quantitativa di queste strutture determina nella gran parte delle regioni un utilizzo indiscriminato, e inevitabilmente foriero di gravissimo degrado, delle strutture ospedaliere trasformate in luoghi invivibili che nulla hanno da invidiare per l’abuso di contenzione, violenza e antiterapeuticità, agli aspetti più deteriori degli ospedali psichiatrici". Ed allora, nella lettera si evidenzia la necessità di un nuovo modello, più adeguato, di servizi per la salute mentale. Questi, allora, i nodi cruciali del decalogo presentato dal Forum nazionale per la Salute mentale. Eccoli. "Uno strutturato Dipartimento di salute mentale (Dsm) per ogni Azienda Sanitaria con un’unica responsabilità di budget e di indirizzo clinico, il cui responsabile risponde direttamente alla direzione generale dell’ASL e può essere rimosso se non adeguato al compito; Centri di salute mentale (Csm) funzionanti ciascuno 24 ore su 24, 7 giorni su 7 e dotati di posti letto nella misura di non più di 1 posto letto ogni 10.000 abitanti, disposti in aree orientativamente di 50/80.000 abitanti e comunque di regola nella proporzione di 1 (un) CSM ogni Distretto Sanitario. Oltre a svolgere attività ambulatoriale e domiciliare i CSM devono garantire la presa in carico e la continuità terapeutica nella comunità. I Centri di Salute Mentale devono poter rispondere alla crisi e ospitare presso le proprie sedi persone anche in Trattamento Sanitario Obbligatorio (Tso). Ogni Centro deve essere dotato di 25/30 operatori tra medici, infermieri, psicologi e altre figure professionali; un Servizio Ospedaliero Psichiatrico di diagnosi e cura per ogni 200/300.000 abitanti, con non più di 15 posti letto (ma possibilmente di meno), che dovrebbe funzionare solo come pronto soccorso psichiatrico, per poi trasferire quasi immediatamente al Centro di Salute Mentale dell’area di provenienza chi ha bisogno di ulteriori trattamenti sulle 24 ore o prolungati". Ed ancora: "Una rete di "Case Famiglia" atte ad ospitare poche persone ciascuna, non più di 8, supportate da graduate forme di assistenza per coloro che per lungo o lunghissimo tempo non possono vivere in famiglia o da soli; una rete di Cooperative sociali e di laboratori di attività per favorire ogni forma di integrazione lavorativa o di occupazione delle persone coinvolte; sostegno alle famiglie, sia attraverso i servizi domiciliari che attraverso il supporto alla dimensione associativa; promozione e sostegno alle iniziative di auto-aiuto tra le persone coinvolte". Infine: "Messa in opera di forme di sostegno al reddito, alla socialità, ad appropriate politiche per la casa nell’ambito del rapporto tra Aziende Sanitarie ed Enti Locali; attività di formazione permanente per gli operatori e il Terzo Settore coinvolto in azioni complementari, dentro le linee puntualmente indicate dall’Organizzazione Mondiale della Sanità come indicazione al più elevato standard di efficacia; programmi per gli interventi di diagnosi, consulenza e presa in carico delle persone con disturbo mentale detenute negli Istituti Penitenziari e per avviare percorsi di riabilitazione in alternativa all’internamento in Ospedale Psichiatrico Giudiziario (Opg)". Secondo il Forum, infatti, attraverso queste "azioni coordinate e integrate è possibile superare l’utilizzo di cliniche private, di residenze ad elevata concentrazione di utenti, di posti letto non accreditati o non sensatamente accreditabili". Oltre a ciò attuare il Decalogo significa per il Forum anche "abolire ogni forma di contenzione fisica, azzerare l’invio di pazienti fuori del territorio di competenza delle rispettive Aziende Sanitarie, eliminare di fatto il ricorso all’Ospedale Psichiatrico Giudiziario" ed infine "dare ai cittadini un adeguato sostegno sociosanitario". Tale "modello organizzativo dei servizi" esplicitato attraverso il Decalogo è "già presente da anni e con provata efficacia in alcune aree del paese - sottolinea ancora il Forum -, è del tutto praticabile e sostenibile, finanziariamente compatibile e per nulla di difficile attuazione, se chiaramente voluto e perseguito con adeguata determinazione". "Premesso tutto ciò - conclude la lettera aperta del Forum ai presidenti delle Regioni italiane -, noi firmatari, piuttosto che scandalizzarci nei confronti di coloro che avanzano proposte di legge di contro riforma, auspichiamo che lei voglia valutare" se… "finora la sua Regione si è davvero fatta carico dei propri compiti e lei delle sue responsabilità in materia". In assenza di una ferma e concreta presa di posizione in tal senso, il Forum invita i presidenti delle Regioni italiane a voler "dichiarare apertamente che la legge 180 va cambiata". Droghe: Corleone; avremo la legislazione più arretrata d’Europa
Redattore Sociale, 5 febbraio 2006
Coltivare un vigna sarà illegale quanto coltivare canapa dopo l’approvazione definitiva della nuova legge sulla tossicodipendenza. Lo ha ribadito stamane l’associazione Itaca del cartello "Non incarcerate il nostro crescere", alla conferenza stampa indetta in occasione del passaggio alla Camera del cosiddetto "Stralcio Giovanardi". Sotto la lente d’ingrandimento dell’associazione in particolare l’articolo del decreto che definisce i criteri per la formazione delle tabelle delle sostanze illegali (art. 4 vicies ter, art. 14): oppio e derivati, foglie di coca e anfetamine, ma anche "ogni altra sostanza che produca effetti sul sistema nervoso centrale ed abbia capacità di determinare dipendenza fisica o psichica dello stesso ordine o di ordine superiore a quelle precedentemente elencate" (punto 4) e "ogni pianta i cui principi attivi possono provocare allucinazioni o gravi distorsioni sensoriali e tutte le sostanze ottenute per estrazione o per sintesi chimica che provocano la stessa tipologia di effetti a carico del sistema nervoso centrale" (punto 7). Tutti effetti prodotti anche dall’alcol, che secondo Itaca rientrerà a pieno titolo tra le sostanze illegali all’approvazione della legge, che dovrebbe essere inserita all’ordine del giorno martedì prossimo e vincolata a voto di fiducia. Ma non basta, per assurdo rischiano l’illegalità anche le vigne italiane. Il decreto sancisce che "è vietata nel territorio dello Stato la coltivazione delle piante comprese nella tabella 1 di cui all’articolo 14". Non si tratta evidentemente di una crociata del Governo contro i produttori italiani, ma piuttosto secondo Itaca di un macroscopico esempio di quanto sia fatta male la legge. Una legge "cialtrona", complicata e peggiorata stralcio dopo stralcio, nata senza una reale consultazione con associazioni, istituzioni e operatori. Franco Corleone, Garante dei diritti dei detenuti a Firenze e presidente di Forum droghe, ha ricordato che nel 2004 sono state segnalate per detenzione di sostanze stupefacenti circa 80mila persone (80% per cannabis): uno degli effetti prevedibili della nuova legge sarà dunque che migliaia di persone entreranno nel circuito penale con l’accusa di spaccio e per 4 o 5 grammi di cannabis dovranno dichiararsi "tossicodipendenti" e, farsi "recuperare" in strutture chiuse, isolandosi per molto tempo dalle proprie normali relazioni. "Con questa legge - ha detto - l’Italia diventa il paese con la legislazione più arretrata d’Europa" e ha aggiunto "La persecuzione penale fa più male del consumo di droghe. (…) Chiediamo che nella prossima legislatura sia fatto immediatamente un decreto che blocchi la legge Fini-Giovanardi e che si apra immediatamente il percorso per arrivare ad approvare una nuova legge sulle droghe". Il Cnca si chiede in che modo si potranno gestire in una comunità "un tossicomane che ha oltre 10 anni di consumo di droghe sulle spalle e un diciottenne che ha fumato uno spinello con gli amici" . Il coordinamento ha ribadito che non accetterà nelle proprie comunità giovani e adulti "sottoposti alle misure punitive di questa legge" e che non certificherà lo stato di tossicodipendenza: "questo è un compito che non può essere demandato ai privati". Usa: tornano i cacciatori di taglie, spuntano i cartelli "wanted"
La Repubblica, 5 febbraio 2006
Abituati a immagini di ragazze alte e bionde con un fustino di detersivo in mano, oppure di famigliole felici che entrano in un fuoristrada della General Motors, gli automobilisti di Dallas, nel Texas, sono rimasti di stucco quando hanno visto ai bordi dell’autostrada una gigantografia di un poco di buono - un gangster - con la scritta "Wanted", ricercato. Dopo appena due settimane l’uomo è stato arrestato. Era accusato di omicidio e rapina a mano armata. "Funziona, funziona!", si sono detti i detective texani, ormai convertitisi, come i colleghi poliziotti di ogni angolo degli States, alla vecchia strategia del West. Ricordate? Per acchiappare Billy the Kid (alias Henry McCarty) o altri banditi, o ladri di cavalli, rapinatori di banche, stupratori e imbroglioni, gli sceriffi facevano stampare (e attaccare per strada) le locandine con il nome e il ritratto del "brutto e cattivo". In calce c’era anche la taglia e la dizione "dead or alive", vivo o morto. I tempi sono cambiati. Di esecuzioni sommarie non si parla più. Ma la strategia del "Wanted" fa presa anche nell’America di George W. Bush, dell’iPod e del ventunesimo secolo. Sono sempre più numerosi gli stati che espongono i volti dei fuorilegge su giganteschi cartelli nelle città e soprattutto lungo i bordi delle highways, le autostrade. Sotto alle immagini c’è il numero verde di telefono da chiamare per annunciare l’avvistamento e, magari, ottenere una parte dei soldi. Una taglia che, secondo quanto promette l’Fbi (www. fbi. gov), a volte può essere molto generosa: 25 milioni di dollari per Osama Bin Laden e 1 milione per James Bulger, un narcotrafficante con probabili collegamenti italiani. Avviata due anni fa nel Missouri, con dieci gigantografie con il volto di altrettanti omicidi, l’iniziativa ha portato all’arresto di otto ricercati (di cui sette sicuramente per effetto del "Wanted") e quindi a una diffusione a livello nazionale di iniziative simili. Alcuni avvocati hanno subito protestato. "Il potere delle immagini dei maxi-poster è così persistente - spiegano - da influenzare i giurati durante il processo, rendendo più facile la condanna". E non c’è dubbio che le gigantografie stradali, molto diverse dai piccoli manifesti artigianali affissi una volta nelle strade del Colorado o del New Mexico, influenzano il pubblico. D’altra parte funzionano. Consentono agli automobilisti di riconoscere più facilmente il ricercato grazie all’alta visibilità delle immagini. L’impatto delle gigantografie ha sorpreso persino i curatori del programma "Americàs Most Wanted", uno dei più seguiti al di là dell’Atlantico e specializzato nel individuazione e nell’arresto dei ricercati. Ma perché stupirsi? Nello stato di Washington, dopo un’evasione a fine novembre nel carcere della contea di Yakima, le autorità decisero di esporre sui cartelloni i volti di due detenuti scappati. Dopo due settimane erano già tornati in cella. La Carolina del nord si è già convertita alla strategia dei "Wanted", mentre lo stato di New York, a dispetto delle sue tradizioni liberal, dovrebbe imboccare la stessa strada sin dalla prossima settimana.
|