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Roma: Garante dei detenuti; trans in fin di vita a Rebibbia
Apcom, 5 aprile 2006
Dovrebbe uscire dal carcere perché le sue condizioni di salute attuali la pongono a rischio immediato di vita più alto ogni giorno che passa, ma da una settimana è in vana attesa che il Giudice per le indagini preliminari decida sulla sospensione della sua pena e, dunque, sulla sua scarcerazione. È la storia, segnalata dal Garante Regionale dei Diritti dei Detenuti della Regione Lazio, Angiolo Marroni, di Valentina, una transessuale brasiliana di 30 anni reclusa in attesa di giudizio nella sezione B del braccio G8 del carcere di Rebibbia Nuovo Complesso. Valentina, affetta da hiv, ha visto le sue condizioni di salute precipitare drammaticamente nel giro di un mese, quando la notizia della morte del suo compagno (deceduto per l’epatite e l’hiv) l’ha fatta cadere in una depressione profondissima. In poco meno di tre settimane i valori CDT di Valentina (che segnalano lo stato dell’epatite e dell’hiv da cui è affetta) da anni stabili sono precipitati fino a sfondare la soglia minima di 100, sotto la quale c’è il rischio concreto di vita a causa di infezioni che potrebbero essere prese in tutte le condizioni di vita, e a maggior ragione in carcere. A quanto risulta all’Ufficio del Garante regionale dei Diritti dei Detenuti, lo scorso 28 marzo la Direzione sanitaria del carcere ha inviato tempestivamente una relazione al Giudice per le Indagini Preliminari competente con la quale si giudicava Valentina non idonea al regime carcerario per le sue condizioni di salute. A distanza di sette giorni un pronunciamento sulla sospensione della pena non è ancora arrivato. "Auspichiamo che il Gip decida presto, e con umanità, e lasci a Valentina la possibilità di avere cure adeguate lontano da una cella - ha detto Marroni - Per altro, la ragazza si è resa conto di quanto le sta accadendo ed ha chiesto anche di essere espulsa dall’Italia per morire a casa sua, in Brasile. In generale, quella delle transessuali detenute a Rebibbia è una situazione difficile, costrette come sono a vivere quasi isolate dal resto della popolazione carceraria e, nella maggior parte dei casi, lontane dalle proprie famiglie. A ciò si aggiungono tragedie come questa, in cui occorre avere una particolare sensibilità, necessaria per saper scegliere fra il rigore della pena e la pietà". Giustizia: Calvi (Ds) e Taormina (Fi); la legge Gozzini non si tocca
La Sicilia, 5 aprile 2006
Roma. La legge Gozzini non si tocca. Su questo concordano due avvocati penalisti di opposto orientamento politico, il senatore dei Ds Guido Calvi e il parlamentare e componente della segreteria politica del coordinamento nazionale di Forza Italia,Carlo Taormina, proprio mentre si torna a parlare di inasprimento delle pene e di limitazione dei benefici penitenziari. Ma è l’unico terreno che li unisce: mentre Calvi punta l’indice sulla politica della giustizia della Cdl, Taormina se la prende con i magistrati di sorveglianza: "Sono malpreparati,svogliati e applicano male la legge". "La legge Gozzini è stata una conquista di civiltà per il Paese e rispecchia il principio sancito dalla Costituzione per cui il carcere, la pena, deve essere strumento per il recupero sociale del condannato". Tommaso Onofri: perché Mario Alessi non era agli arresti?
La Provincia di Como, 5 aprile 2006
"Mi chiedo chi sia colui che ha autorizzato la conversione degli arresti domiciliari a Mario Alessi in obbligo di dimora in provincia di Parma. Mi chiedo quali siano le motivazioni che lo abbiano spinto a prendere questa decisione alla luce di quanto, nel 2000, affermò il gip di Agrigento ovvero che Alessi era: "Una personalità pericolosa e violenta che potrebbe tornare a delinquere". Lo afferma in una nota Roberto Calderoli, ex ministro leghista delle Riforme. "E mi chiedo soprattutto - aggiunge - se dopo quello che è accaduto, questo qualcuno riesca ancora a dormire la notte...". E intanto si moltiplicano le reazioni. Una raccolta di firme per l’istituzione della pena di morte dopo l’uccisione del piccolo Tommaso verrà proposta dalla Lega Nord/Mpa, l’alleanza elettorale tra il partito di Bossi e il movimento autonomistico di Lombardo. Oltre alla pena di morte per chi si macchia di questo tipo di ignobili omicidi verrà chiesta "anche la castrazione fisica per coloro che commettono reati di pedofilia". Sulla stessa lunghezza d’onda, anche ieri, si è espressa Alessandra Mussolini, presidente di Alternativa sociale, chiedendo un referendum popolare per l’istituzione della pena di morte per chi uccide i bambini". Secondo la Mussolini "l’attuale sistema penale e penitenziario non garantisce in alcun modo che chi ha commesso tali atroci delitti finisca la sua vita in carcere". Si tratta di una necessità "urlata da tanti italiani che dimostrano di essere più illuminati di diversi ministri ed esponenti politici". La dirigente di Alternativa sociale sostiene che "l’inadeguatezza" dell’attuale sistema penale e penitenziario è "sotto gli occhi di tutti. Occorre una svolta per scuotere le coscienze: lasciamo la parola agli italiani". Dalle richiesta forcaiole prende le distanze il ministro della Giustizia Roberto Castelli: "Credo che di fronte ad una tragedia del genere, al momento, si possa soltanto rispettare il dolore dei genitori e la morte di questo povero bambino". Incalzato dalle domande dei giornalisti su possibili pene alternative all’ergastolo, il guardasigilli ha spiegato: "Abbiamo un codice penale che ritengo sia adeguato ad un Paese civile, è previsto l’ergastolo per le pene più gravi, credo che vada bene così". Anche Francesco Rutelli invece dice no alla pena di morte perché "da cittadino, persona e da cattolico non credo che nessuno possa mai arrogarsi il diritto di togliere la vita a un’altra persona". La giustizia "deve essere severa verso chi compie delitti orribili, ma nessun essere umano può aver dentro di sé l’arroganza e la presunzione di dire io tolgo la vita a un’altra persona". Rutelli ribadisce l’importanza della "certezza della pena, infinitamente meglio di pene scritte sulla carta che poi non vengono applicate". Pierferdinando Casini ieri è ritornato sull’assassinio del piccolo Tommaso. "Sono stato rimproverato - ha detto - perché ho affermato che se non fossi cristiano sarei per la pena di morte davanti a quello che è successo ad un bambino che ha l’età di mia figlia. Ma non è possibile - ha aggiunto - che ci siano dei magistrati che sono più sensibili alle ragioni dei delinquenti che a quelli della gente perbene". Casini ha ricordato che "uno dei componenti la banda di Parma era già stato condannato due volte. E sono troppi i casi simili che si ripetono. Ecco, la celerità dei processi e la certezza della pena devono essere due priorità". Tommaso Onofri: Castelli; ispezione sul caso di Mario Alessi
La Sicilia, 5 aprile 2006
La notizia dell’ispezione disposta dal ministro Roberto Castelli per fare chiarezza sul caso di Mario Alessi, per capire per quali ragioni l’uomo fosse sostanzialmente libero nonostante una condanna a 6 anni di reclusione per stupro, sequestro di persona e rapina ai danni di una giovane compaesana, è stata accolta con sostanziale serenità negli ambienti giudiziari agrigentini. E non poteva essere diversamente se chi ha messo mano a questa brutta storia ha la coscienza pulita, sicuro di avere agito nel pieno e rigoroso rispetto delle legge. Ogni riferimento al giudice per le indagini preliminari Walter Carlisi non è affatto casuale anche perché sarà principalmente il suo operato ad essere posto sotto la lente d’ingrandimento degli ispettori ministeriali. Ai cronisti di mezza Italia che ieri lo hanno cercato nel suo ufficio al palazzo di giustizia per intervistarlo e chiedergli qualcosa di questa vicenda e del suo operato ha risposto solamente: "Quel che avevo da dire l’ho detto nei provvedimenti che ho emesso nei confronti di Alessi". Quindi ha garbatamente declinato gli inviti dei giornalisti non facendo così violenza al suo carattere schivo e riservato che lo contraddistingue da sempre. Sulla personalità di Alessi, il giudice Carlisi aveva detto delle cose ben precise già sei anni fa, quando l’aveva arrestato. Aveva parlato di "personalità pericolosa e violenta", in grado di "tornare a delinquere. Lo svolgimento dei fatti, per le loro modalità concrete e per la loro gravità, denota una personalità violenta tale da fare presumere il concretissimo pericolo di reiterazione di delitti dello stesso genere", scriveva nell’agosto del 2000 nell’ordinanza,accogliendo la richiesta di custodia cautelare in carcere avanzata dal sostituto procuratore Federico Romoli. Più di questo, cosa dire di Mario Alessi? Poco prima che scadessero i termini della custodia cautelare in carcere, il magistrato inquirente che coordinava la fase investigativa chiese al Gip una proroga di tre mesi sia della fese delle indagini preliminari - che non era ancora ultimata a causa di alcuni ritardi nella consegna delle consulenze ordinate dal Pm ai periti di parte - sia della stessa custodia cautelere in carcere. Il Gip Carlisi accolse tale richiesta, facendo proprie le esigenze proposte dal magistrato inquirente. Poco tempo dopo, il legale di fiducia di Mario Alessi, avvocato Domenico Russello, chiese la modifica della misura cautelare della detenzione carceraria con quella degli arresti domiciliari. Il giudice la accolse ma solo a condizione che lo stesso Alessi si allontanasse il più possibile dal suo paese e dalla sua regione. E così il manovale di San Biagio Platani finì ai domiciliari, "rinchiuso" nell’abitazione dei genitori della convivente - anch’essa finita nei guai per il sequestro e l’uccisione del piccolo Tommaso Onofri - in provincia di Parma. Scaduta la proroga dei tre mesi - e quindi anche il termine massimo della custodia cautelare previsto dalla legge - il giudice si vide costretto a disporre la scarcerazione di Mario Alessi. Tuttavia, ritenendolo un soggetto socialmente pericoloso e in grado di tornare a delinquere, gli applicò la misura dell’obbligo di dimora nello stesso comune dove aveva trascorso gli ultimi mesi agli arresti domiciliari. Dopo qualche mese, viste le oggettive difficoltà di spostamento alla ricerca di un lavoro che consentisse a Mario Alessi di poter mantenere la compagna e vivere in maniere dignitosa, il suo legale chiese un ulteriore affievolimento della misura che venne comunque mantenuta anche se fu trasformata in obbligo di dimora nella regione Emilia Romagna. Provvedimento, questo, mai revocato, al quale Mario Alessi è ancora oggi sottoposto e che gli impediva di stare fuori dalla sua abitazione dalle 22 alle 5. Probabilmente, quindi, le forze dell’ordine avrebbero potuto controllare in maniera più efficace i suoi movimenti, in particolare nelle ore notturne. "Una ispezione ministeriale? Incomprensibile. I giudici di Agrigento hanno fatto un lavoro esemplare. Andrebbero premiati". Così l’avvocato Giuseppe Sciarrotta, legale di parte civile della ragazza di San Biagio Platani violentata da Mario Alessi, ha commentato la decisione del guardasigilli di inviare gli ispettori al Tribunale di Agrigento. Il ministro ha disposto l’ispezione per capire come mai un imputato di un reato così grave, condannato in primo e in secondo grado non si trovasse rinchiuso in una cella di qualche carcere. La ragione va cercata nel fatto che la vicenda processuale non si è ancora conclusa: l’imputato, infatti, ha fatto ricorso in Cassazione e la III Sezione penale ha fissato l’udienza per il 23 giugno prossimo. La Suprema Corte, esaminato il ricorso proposto dalla difesa di Mario Alessi, dovrà valutare se convalidare (e quindi farla diventare definitiva e inappellabile) la condanna emessa dalla Corte di Appello di Palermo l’11 febbraio 2004. Il verdetto di primo grado, pure di condanna, era stato invece emesso il 26 marzo 2002. Giustizia: in 4 mesi il "41 bis" applicato in 23 nuovi casi
Apcom, 5 aprile 2006
Dal 1°dicembre 2005 le informazioni trasmesse dalla Dia (Direzione investigativa antimafia) al Dap (Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), hanno "contribuito alla sottoposizione, per la prima volta, di 23 detenuti al regime detentivo speciale" previsto dall’art. 41 bis per i mafiosi. Le informative - si legge nel Rapporto della Dia al Parlamento - hanno riguardato 6 affiliati ai clan di Cosa Nostra, 3 appartenenti alle cosche calabresi, 10 camorristi e 4 soggetti legati alla criminalità organizzata pugliese. Chiavari: carcere al collasso, ha bisogno di più personale
Secolo XIX, 5 aprile 2006
Quaranta persone per svolgere un lavoro che, sulla carta, dovrebbero fare in sessanta. Un organico ridotto talmente all’osso da far rischiare il collasso alla struttura. È questa, secondo il sindacato della polizia penitenziaria Sappe, la situazione nel carcere di Chiavari. E il sindacato ha lanciato un appello al ministro della Giustizia Roberto Castelli. "Se non sarà incrementato il personale della polizia penitenziaria non è escluso che il Sappe scenda in piazza per manifestare coinvolgendo la cittadinanza e le istituzioni locali, provinciali e regionali", dichiarano il segretario generale aggiunto del Sappe Roberto Martinelli e il segretario locale di Chiavari Massimiliano Mameli. "É vero, facciamo i salti mortali per concedere i turni di riposo e rispettare il lavoro delle persone, ma anche la sicurezza della struttura", dichiara la direttrice del carcere, Maria Milano. Dalla casa circondariale di via al Gasometro (dove per altro sono in corso lavori di ristrutturazione nella caserma e negli uffici) le lettere di richiesta per l’incremento del personale partono sistematicamente. Per altro, come conferma anche la nota del Sappe, la lista di attesa dei baschi azzurri che vorrebbero essere trasferiti nella piccola struttura di Chiavari (che ospita meno di cento carcerati) è lunga. "Se è vero che in tutti e sette i penitenziari liguri si registrano mancanza di poliziotti e strutture sovraffollate, è altrettanto vero che Chiavari sta attraversando uno dei periodi peggiori della sua storia - spiegano ancora i due sindacalisti - Se il carcere va avanti è grazie allo spirito di sacrificio ed alla professionalità del personale della polizia penitenziaria di via al Gasometro. E bisogna sperare che nessuno si ammali, altrimenti è il collasso". Giustizia: intesa con ministero Beni Culturali importante traguardo
Ansa, 5 aprile 2006
La sottoscrizione del Protocollo d’Intesa tra il Ministero della Giustizia ed il Ministero per i Beni Culturali per sostenere le attività di trattamento dei detenuti in materia di spettacolo "‘è un importante traguardo". È quanto sostiene il ministro Castelli che sottolinea come la firma giunga "a conclusione di un accordo quadro avviato da tempo e che fissa le linee guida di un’intensa attività di collaborazione tra due Amministrazioni, che insieme si spenderanno per migliorare qualitativamente, attraverso il teatro ed il cinema, gli interventi trattamentali rivolti ai detenuti". Non potendo partecipare alla cerimonia per "improcrastinabili motivi istituzionali", Castelli ha inviato un messaggio in cui si dice "profondamente convinto della forza educativa contenuta in attività culturali di questo genere", che "consentono di valorizzare ulteriormente le attività trattamentali dei detenuti, determinanti per un loro reinserimento nella società e nel mondo del lavoro". Il Guardasigilli ricorda che "il Ministero della Giustizia ha portato avanti in questi anni tale convinzione attraverso programmi di impegno sociale per il reinserimento dei reclusi, e a testimonianza di ciò vi sono le numerose convenzioni sottoscritte in questi 5 anni con enti pubblici e privati". "Iniziative come questa - conclude- che contribuiscono a dare maggiore visibilità ai progetti per i detenuti e che sempre più numerosamente si stanno realizzando all’interno della realtà penitenziaria ci consentono di attuare quello che è il nostro mandato istituzionale, il recupero del detenuto, così come detta l’art. 27 della Costituzione". Roma: Ferraro lancia la sua rock band; raccontiamo la galera...
La Repubblica, 5 aprile 2006
All’incontro si presentano in tre. Il più noto è Salvatore Ferraro, condannato per favoreggiamento nell’omicidio Marta Russo, oggi a piede libero. Poi c’è Stefano Bracci, che ha scontato vent’anni per associazione sovversiva e concorso morale in omicidio. All’epoca era un anarco-fascista, oggi è per Rifondazione comunista ("sono gli unici che parlano di politica", dice). il terzo è Marco Nasini, il cantante, l’unico incensurato ("perché a noi non ci piace "cantare"" scherzano gli altri due, "e poi perché con un po’ di romanticismo ci piaceva che a cantare fosse uno libero"). Sono tre dei sette componenti dei "Presi per caso", un gruppo nato otto anni fa nel carcere romano di Rebibbia. Oggi sono tutti liberi cittadini (qualcuno in misura alternativa, ovvero accesso alla libertà ma con delle limitazioni) e hanno deciso, per una promessa che si erano fatti in carcere, di continuare a suonare insieme. A breve Rai Trade pubblicherà il loro disco, ma questa sera per la prima volta la band si esibirà "all’estero", a Positano, ("finalmente un posto di sole") ospiti della rassegna Cartoons on the bay. Ma lei Ferraro, non ha paura di esporsi in pubblico? "Ma sì, può succedere che qualche giornalista dica ecco c’è Ferraro, è il caso più interessante, ma il fatto è che credo nella bontà di quello che facciamo. Del carcere bisogna parlare, io lavoro anche in un’associazione a favore dei detenuti. Quello che oggi manca alla giustizia è un serio dialogo con le carceri. Ancora si tende a svolgere una politica di totale isolamento. Per quanto mi riguarda spero che prevalga il senso del gruppo". Ferraro è quello che ha scritto testi e musiche. E sono decisamente spiazzanti. Si parla sfacciatamente di quello che accade in galera, con un’ironia da cabaret-demenziale. Si invoca Totti e una "botta alla Ferilli", si racconta di droghe e del Valium che è una panacea per le sofferenze da isolamento, c’è perfino un gospel. L’ironia è feroce, senza veli. Ma davvero c’è da ridere? Uno si aspetterebbe rabbia, rancore: "L’equazione è semplice, se vuoi raccontare delle cose così drammatiche devi farlo con ironia, ci sono crimini e misfatti della galera, ma se vogliamo far arrivare alla gente il senso di questa esperienza dobbiamo farlo con leggerezza". Bracci, il bassista, racconta degli anni della galera. È stato anche in Francia, prima latitante poi in galera, e lì ha imparato la possibilità di attività ricreative. Estradato in Italia si è battuto perché si riuscisse a fare qualcosa: "Abbiamo messo in piedi il gruppo e ovviamente la formazione cambiava sempre, ma la cosa assurda è che le defezioni erano accolte favorevolmente perché voleva dire che uno usciva dal carcere". I "Presi per caso" sono un misto di tutto. L’età dei componenti va dai 27 ai 54 anni, i gusti musicali sono tra i più diversi che si possano immaginare, così come l’estrazione sociale. Ferraro e Bracci sono i borghesi, ma ci sono anche altri che rappresentano la più tipica popolazione carceraria, quelli che entrano ed escono per microcriminalità: "Insieme facciamo una cinquantina da anni di reclusione" racconta Ferraro, "dagli otto mesi di chi ha rubato per drogarsi alle grandi associazioni di tipo eversivo. È nata come attività ricreativa, poi usciti fuori abbiamo messo in piedi due commedie musicali, io ho scritto le canzoni e ora ci proviamo come gruppo musicale. L’unica band che continua fuori dal carcere, l’unica con pezzi originali, in genere anche quando si fa teatro si prendono testi famosi; ma mi sembra abbastanza triste, invece noi abbiamo un vissuto preciso da raccontare". Caserta: arrestato agente, portava droga e telefonini ai reclusi
Ansa, 5 aprile 2006
Portava in carcere droga e telefonini per i detenuti e in cambio riceveva soldi o beni di consumo: protagonista un agente del penitenziario di Sollicciano. L’uomo, Salvatore Aiello, 36 anni, di Caserta, è stato arrestato con le accuse di concussione e spaccio di sostanze stupefacenti, in esecuzione di un’ordinanza di custodia cautelare emessa dal gip del Tribunale di Firenze Antonio Banci, su richiesta del sostituto procuratore Leopoldo De Gregorio. L’agente, da mesi, consegnava piccole dosi di hascisc, cocaina ed eroina ed aveva fatto avere ai detenuti anche due telefoni cellulari e varie schede. In cambio aveva soldi dai familiari dei carcerati e quando questa possibilità non c’era pretendeva beni materiali. Secondo gli investigatori, Aiello avrebbe chiesto anche un condizionatore e uno scooter, oltre a bottiglie di vino. L’ operazione, avviata alla fine del 2005, quando in carcere, durante perquisizioni straordinarie vennero trovate piccole quantità di droga, è stata condotta dagli agenti della sezione narcotici della squadra mobile di Firenze in collaborazione con gli uomini della polizia penitenziaria. Servizi di osservazione e tecnici hanno rilevato le responsabilità di Aiello. Droghe: spacciatori o tossicodipendenti? sono arrivate le "tabelle"
Redattore Sociale, 5 aprile 2006
La tanto attesa tabella unica con le quantità massime detenibili di droghe illegali finalmente è nota. Ci sono voluti tre anni di discussione del ddl Fini, arenato in commissione Sanità e Giustizia al Senato, una conferenza sulle droghe, quella di Palermo del dicembre 2005 boicottata dai Sert e dalle comunità del Cnca, uno stralcio e un emendamento inserito in zona Cesarini nel decreto legge sulle Olimpiadi. Approvato il 7 febbraio 2006 con voto di fiducia il decreto demandava i valori soglia della tabella ad un decreto del Ministero della Salute, sulla base delle indicazioni di una commissione di 8 tecnici, istituita l’11 febbraio. La commissione - che non conta un medico terapeutico, né un operatore di strada o un responsabile di comunità e dei cui membri 4 sono stati voluti da Alleanza Nazionale - ha presentato oggi i suoi dati. Ma adesso che anche l’ultima tappa della legge sulle droghe è stata approvata cosa aspetta i consumatori italiani di droghe, e in particolare i 4 milioni di cittadini (stima Censis) che fumano spinelli, ovvero il 26% dei giovani tra 15 e 44 anni (Relazione annuale al Parlamento sullo stato delle tossicodipendenze, 2004)? Innanzitutto un inasprimento delle pene, accompagnato ad una maggiore possibilità di accedere a misure alternative fuori dal carcere. Il Governo ha infatti abrogato l’articolo 94 bis della legge ex-Cirielli, voluta dallo stesso Governo, laddove prevedeva l’inasprimento delle pene detentive per i tossicodipendenti recidivi. Inoltre ha innalzato da 4 a 6 anni la durata massima della pena che il detenuto tossicodipendente può scontare in comunità anziché in carcere. Allo stesso tempo però l’unificazione in un’unica tabella di droghe leggere e pesanti ha provocato l’innalzamento delle pene detentive per quanto riguarda hashish e marijuana, la cui detenzione è oggi punita alla stregua di quella di cocaina o eroina. Per quanto riguarda il reato di cessione a terzi di sostanze stupefacenti (art. 73 legge 309/90) la norma precedente prevedeva la reclusione da 8 a 20 anni per le droghe pesanti e da 2 a 6 anni per la cannabis, oltre a multe rispettivamente da 50 a 500milioni di lire e da 10 a 150 milioni di lire. Se il fatto era di lieve entità le pene scendevano da 1 a 6 anni per le pesanti e da 6 mesi a 4 anni per le leggere. Il nuovo testo avendo unificato le sostanze ha unificato anche le pene. Da 6 a 20 anni e da 60mila a 260mila euro per tutti, salvo pene inferiori per i casi di lieve entità, ovvero di detenzione prossima al valore di soglia. Nel caso di detenzione per uso personale di cannabis era invece prevista la sospensione da 1 a 3 mesi della patente, del passaporto, o del permesso di soggiorno, ed il formale invito a non farne più uso. Con il nuovo testo il cittadino fermato dalla polizia in possesso di un quantitativo inferiore alla quantità massima consentita incorre nelle sanzioni un tempo previste per le droghe pesanti, ovvero: sospensione di patente, passaporto e permesso di soggiorno da 2 a 4 mesi, segnalazione al Prefetto, informazione della famiglia, nel caso di minorenni, sequestro del motorino e diffida a frequentare discoteche e altri luoghi pubblici. Il procedimento contro i consumatori potrà essere sospeso nel caso in cui i giovani decidano di iniziare un programma terapeutico presso un Sert e comunque il Prefetto li inviterà a farlo. Per ogni segnalazione inoltre - nel 2005 sono state 27.301 (Direzione centrale servizi antidroga) - il giudice dovrà attendere gli esami tossicologici della sostanza sequestrata per stabilire se il principio attivo in essa contenuto superi o meno la soglia tollerata per l’uso personale. Una prospettiva questa lontana dalla realtà descritta dalla letteratura scientifica, che distingue tra uso saltuario, uso problematico, abuso e dipendenza. Ma per il decreto Giovanardi, come per la precedente legge 309 Jervolino-Vassalli, la sola discriminante è quella tra spacciatori e tossicodipendenti. Secondo tale ottica l’Italia si accolla 4 milioni di cittadini tossicodipendenti, tanti sono i consumatori di cannabis stimati dal Censis, che vanno incontro a sanzioni amministrative e penali per la mera detenzione di una sostanza in un Paese dove 1.500.000 alcolisti (Eurispes) e 3-4.000 morti all’anno per cause legate all’abuso di alcol (Eurispes) non intaccano minimamente la cultura eno-gastronomica. Droghe: Fini; con le "tabelle" colmato un vuoto nella legge
Apcom, 5 aprile 2006
"Oggi si colma un vuoto legislativo. Abbiamo rispettato l’impegno e con questo ultimo adempimento la legge può e deve essere rispettata". Così il leader di An, Gianfranco Fini, ha commentato con i giornalisti a Torino, l’approvazione delle tabelle sulla detenzione delle sostanze stupefacenti. "Qualcuno aveva detto che senza questi elenchi c’era un vuoto legislativo ma oggi con l’approvazione delle tabelle viene meno anche quella eventuale polemica". Gianfranco Fini, però, essendo in Piemonte ha voluto criticare la giunta regionale di centrosinistra, che ieri ha approvato il piano sanitario, dicendo "la parte che riguarda le tossicodipendenze è ispirato a una filosofia diversa da quella della legge e questo non è corretto. Ferma restando l’autonomia della Regione sul piano sanitario - ha spiegato Fini - questo deve dar corso alla organizzazione della sanità e quindi al come organizzare nella Regione la fruizione del diritto alla salute. La legge (sulla droga, ndr) è una legge nazionale - ha concluso - e quindi deve essere rispettata anche dalle Regioni che per ragioni politiche non la condividono". Droghe: Antigone; in carcere già 20mila tossicodipendenti…
Redattore Sociale, 5 aprile 2006
"In carcere ci sono già 20mila tossicodipendenti. Quanti saranno l’anno prossimo?". Se lo chiede Patrizio Gonnella, presidente dell’Associazione Antigone, dopo che oggi sono state rese note ufficialmente le tabelle sulla droga. "Proprio nei giorni tragici dell’assassinio del piccolo Tommaso, il governo lascia intendere quali sono le sue priorità sulla sicurezza: punire con durezza i giovani consumatori di droghe leggere e/o pesanti. - scrive Gonnella - Polizie e giudici saranno impegnati nel perseguire centinaia di migliaia di ragazzi incensurati che hanno piccole dosi di hashish, marijuana o cocaina, piuttosto che i veri criminali. La commissione ministeriale - targata An - ha scelto il criterio del principio attivo e non il peso della sostanza. Il calcolo sul principio attivo lascerà i ragazzi nel dubbio. Comprando a peso non sai quanto principio attivo c’è nella droga comprata. Per poche canne si rischiano molti anni di galera". Droghe: Lila; tabelle ribadiscono carattere repressivo della legge
Redattore Sociale, 5 aprile 2006
"Le tabelle sulle sostanze stupefacenti ribadiscono il carattere repressivo della legge stralcio Giovanardi". E il commento di Stefano Carboni, responsabile dell’Area Riduzione del Danno della Lila Nazionale. "Per andare sul concreto e rispetto al grado di purezza delle sostanze che stanno circolando sul mercato illegale italiano si parla, ad esempio, di 6 grammi di hashish (scadente, con Thc all’8.22%) per rischiare l’accusa di spaccio. Se, invece, "vi trovano con della marijuana il possesso "consentito" scende a circa 3 grammi di sostanza (al 15% di Thc). Sotto i limiti stabiliti le sanzioni saranno di tipo amministrativo e, nello specifico, si parla di: sospensione della patente di guida, sospensione della licenza di porto d’armi, sospensione del passaporto, sospensione del permesso di soggiorno per motivi di turismo o divieto di conseguirlo se cittadino extracomunitario. Nei casi più gravi, invece: obbligo di presentarsi almeno due volte a settimana presso il locale ufficio della Polizia di Stato o presso il comando dell’Arma dei carabinieri territorialmente competente; obbligo di rientrare nella propria abitazione, o in altro luogo di privata dimora, entro una determinata ora e di non uscirne prima di altra ora prefissata; divieto di frequentare determinati locali pubblici; divieto di allontanarsi dal comune di residenza; obbligo di comparire in un ufficio o comando di polizia specificamente indicato, negli orari di entrata ed uscita dagli istituti scolastici; divieto di condurre veicoli a motore di qualsiasi genere". "Alla faccia - prosegue la Lila - di chi ha gridato allo scandalo per il lassismo della legge (leggi Moratti, Muccioli e soci) e per chi sta sbandierando il permissivismo delle tabelle di fatto molto superiori, nei limiti, della legge Iervolino-Vassalli. Di fatto la legge si dimostra per quello che realmente era: una vera e propria aggressione politica nei confronti dei consumatori italiani con il rischio di veder introdurre sul mercato ingenti quantitativi di cocaina a discapito della innocua marijuana. Per chi spaccerà coca invece di "fumo" il rischio è il medesimo, si guadagna di più e se ne può detenere di più prima di incorrere nelle sanzioni penali. La situazione è estremamente grave per tutti i consumatori e soprattutto per i ragazzi che rischiano seriamente di vedersi rovinare la vita per pochi grammi di "fumo". Il prossimo Governo dovrà impegnarsi a cancellare immediatamente una legge pericolosa ed anti europea come primissimo atto della nuova legislatura". Droghe: "Cartello"; tabelle pseudo scientifiche e contraddittorie
Redattore Sociale, 5 aprile 2006
Il cartello nazionale "Non incarcerate il nostro crescere" - che riunisce oltre quaranta organizzazioni nazionali dei servizi pubblici e del privato sociale, dei sindacati, dell’associazionismo, degli operatori della giustizia - ritiene che "la presentazione oggi a Palazzo Chigi, da parte del ministro Carlo Giovanardi, della tabella attraverso cui distinguere il consumo dallo spaccio di droghe confermi ampiamente i duri giudizi sul provvedimento espressi in più occasioni dalla nostra campagna". In particolare, secondo il cartello: "La presentazione della tabella a cinque giorni dalle elezioni esprime chiaramente la natura elettorale del provvedimento, mirando ad occupare spazio sui giornali e non a prendersi cura del disagio delle persone. L’affermazione fatta da Carlo Giovanardi in conferenza stampa, secondo cui l’alcol non da dipendenza manifesta ancora una volta l’assoluta incompetenza di un Ministro da cui dipenderà la sorte di alcune decine di migliaia di persone, che potranno essere accusate di spaccio e rischiare una pena da sei a venti anni di carcere. Ci sorprende che alcuni esperti delle dipendenze si siano prestati a questa manovra puramente elettorale". "L’indirizzo tutto politico e ideologico seguito dal Governo - continua il cartello - è poi confermato dall’esame della tabella. Sottolineiamo un solo dato: aver scelto, come soglia di principio attivo sopra la quale può scattare l’accusa di spaccio, 750 mg per la cocaina e 500 mg per la cannabis evidenzia il diverso atteggiamento assunto dal Governo rispetto alle due differenti sostanze. Infatti, 500 mg di cannabis corrispondono a 3-4 grammi della droga venduta in strada, mentre 750 mg di cocaina corrispondono a circa 5 grammi di droga venduta in strada (e non a 1,6 come detto e scritto dal Governo), una quantità assai più consistente e pericolosa. Lungi, dunque, dal considerare tutte le droghe eguali (e abolendo così qualunque distinzione tra "droghe leggere" e "droghe pesanti"), questo esecutivo è riuscito nella difficile impresa di punire più severamente sostanze meno pericolose e, viceversa, mostrarsi più tollerante rispetto a sostanze che presentano rischi maggiori. Ci chiediamo perché - continua - questa ansia punitiva si accanisca su hashish e marijuana quando la vera emergenza è oggi quella della cocaina e del ritorno all’uso di eroina: non è forse questo l’ennesimo segnale di una impostazione ideologica che vuole punire la sperimentazione e il disagio, i comportamenti trasgressivi, specie dei giovani? Oltretutto, il segnale che mandano le istituzioni, con la compilazione di una tale tabella, è questo: meglio assumere cocaina che marijuana, si rischia meno". "È chiaro, poi, a tutti gli addetti ai lavori che questo provvedimento non colpirà in alcun modo il vero spaccio di sostanze stupefacenti. Già oggi, come confermano le ultime grandi operazioni di polizia, lo spaccio avviene in strada per piccoli quantitativi. Proprio gli incredibili dati presenti nella tabella "scientifica" voluta dal Governo portano a questo risultato: la soglia dei 3-4 grammi di cannabis corrisponde a un valore sul mercato di 40 euro; la soglia dei 5 grammi per la cocaina assicura al (vero) spacciatore un introito di 400 euro: spacciare cocaina conviene dieci volte di più e si rischia molto meno. Infine, va detto che la definizione di una tabella rigida non assicurerà maggiore chiarezza nel giudizio della magistratura. Infatti, essa andrà sempre valutata insieme ad altri criteri. Se applicata rigidamente, invece, rischierebbe di punire soprattutto coloro che, in un gruppo, si prendono l’impegno dell’acquisto collettivo di cannabis". A fronte di questa ultima sciagurata iniziativa governativa, il cartello "Non incarcerate il nostro crescere" chiede: "A tutti i candidati alle prossime elezioni politiche di assumere l’impegno di abrogare, immediatamente, la legge Giovanardi-Fini-Berlusconi sulle droghe; di avviare immediatamente, subito dopo le elezioni, un tavolo di lavoro per scrivere una nuova legge sulle droghe, fondata su criteri essi sì scientifici e su valori etici ed educativi del tutto differenti, che troveranno la loro sede istituzionale di confronto e definizione in una vera Conferenza nazionale sulle droghe, da tenersi entro un anno dalla data delle elezioni politiche; alle Regioni e a tutti i servizi di attuare, sin da oggi, atti di disobbedienza civile nei confronti di una legge non solo sbagliata, ma vendicativa e ideologica. Ci auguriamo - conclude - di non dover misurare la follia di questa legge attraverso gli effetti devastanti - dalla stigmatizzazione al suicidio - che i numerosi accessi in carcere di persone "normali" certo provocheranno". Droghe: Gruppo Abele; tabelle confermano logica della legge
Redattore Sociale, 5 aprile 2006
"Le tabelle portano a compimento la logica della legge governativa che indica la cannabis fortemente penalizzata, con alto principio attivo, e l’intento di criminalizzarne il consumo ancor più che la dipendenza". Lo afferma il Gruppo Abele, che in una nota evidenzia come "in parte tenuto conto delle osservazioni apportate, in particolare per ciò che concerne la detenzione di pochi spinelli e per i quali si rischiava di incorrere in pene molto alte". "Ciò non preserva però da alcuni rischi - continua il Gruppo Abele -, vista la comunque limitata discrezionalità del giudice che viene applicata solo al di sotto della massima dose giornaliera e che quindi non esclude la fattispecie di spaccio. Pensiamo ad esempio ad una persona che detenga una quantità di cannabis, per un uso amicale di gruppo, e che magari può rientrare nella ‘quantità’ di spaccio, con relative pene". "A livello governativo è stato affermato che si deve tener conto di più fattori... Vedremo, a livello applicativo, quali reali possibilità discrezionali ci saranno. Alla luce di ciò - conclude -, nonostante si possa dedurre una maggiore tolleranza rispetto alla quantità posseduta per uso personale - che pare emergere dalla tabelle rese note, rispetto alla precedente legge Fini - non può che rimanere un giudizio negativo rispetto all’impianto complessivo della legge stessa". Droghe: Agnoletto; aumenteranno gli spacciatori di cocaina
Redattore Sociale, 5 aprile 2006
"I narcotrafficanti ringrazieranno il governo per il contributo ai propri affari, mentre aumenterà il rischio per la salute di migliaia di giovani". Questo, secondo Vittorio Agnoletto, europarlamentare della Sinistra unitaria europea, medico, fondatore della Lega italiana per la lotta contro l’Aids, il possibile risvolto pratico dell’applicazione della tabella relativa alle quantità massime consentite per il consumo personale. "Nelle strade aumenteranno gli spacciatori di cocaina: molti di coloro che oggi vendono ‘fumò sostituiranno la loro merce con cocaina. Avendo infatti il governo stabilito un’unica tabella, con sanzioni uguali per qualunque sostanza, non vi è dubbio che, di fronte allo stesso rischio, agli spacciatori converrà vendere la sostanza più redditizia. E non vi è dubbio che, con i valori soglia stabiliti per ogni sostanza dalla commissione governativa, d’ ora in poi sarà più redditizio spacciare cocaina", ha precisato Agnoletto. Quanto ai costi delle droghe e ai relativi guadagni, "sulla piazza - spiega Agnoletto - la quantità di sostanza pura contenuta in una bustina di un grammo di cocaina varia dal 20 al 40 per cento (200/400 mg) e costa circa 70/80 euro. È stata stabilita la soglia per la cocaina a 750 mg, questo significa che lo spacciatore potrà ottenere un guadagno tra 130 e 300 euro senza incorrere in sanzioni penali. Per la cannabis, nella medesima piazza, il costo di 1 grammo si aggira circa sui 5/6 euro, con una purezza tra il 10 e il 25 per cento; essendo stata stabilita una soglia a 500 mg, lo spacciatore potrà guadagnare tra i 12 e i 30 euro senza incorrere in sanzioni penali". "Eppure proprio recentemente gli operatori impegnati nel settore hanno lanciato un drammatico allarme: cresce il consumo della cocaina, sostanza decisamente pericolosa per la salute dei consumatori. Un allarme inascoltato - conclude Agnoletto -. Ora non resta che aspettarsi un significativo aumento delle patologie e dei decessi connessi all’uso della cocaina e ai rischi di overdose. Questo è il risultato di una commissione tecnica scelta con criteri politici, dalla quale sono stati esclusi coloro che realmente lavorano sul campo, nei servizi pubblici e nelle associazioni impegnate nel lavoro di strada. Chi ha stilato le tabelle non conosce la realtà delle piazze italiane". Droghe: Pisa, quando il futuro può ripartire da una bicicletta
Redattore Sociale, 5 aprile 2006
Le biciclette abbandonate? Si possono recuperare, rimettere in sesto e rivendere a pochi euro. E questa può diventare un"opportunità di lavoro per chi esce da una realtà di disagio e ha bisogno di costruire una vita nuova. Siamo a Pisa, e l’iniziativa di cui parliamo è promossa dall’associazione culturale "Alice" che ha sede sul territorio provinciale, a Lorenzana. Ecco il presupposto da cui è nata l’idea: l’azienda per la mobilità "Pisamo" Spa, nata nel 2004 a Pisa su impulso dell’amministrazione comunale, ogni mese sequestra nella zona della stazione le biciclette abbandonate, parcheggiate fuori dagli spazi appositi. Le bici, poco meno di cento quelle coinvolte in ogni "retata", vengono depositate presso un fondo del comune dove entro sei mesi i cittadini possono recarsi a riprenderle dimostrando la proprietà. Trascorso questo periodo di tempo le due ruote diventano di proprietà comunale. "Mi sono rivolto al comune proponendo di far riparare le biciclette, e poi di rimetterle in vendita, coinvolgendo persone provenienti da realtà di disagio, ex tossicodipendenti o ex detenuti - racconta Sabiano D’Asaro, presidente di Alice -. Il comune ha dato l’appoggio all’iniziativa e, prendendo contatti con la Pisamo, è stato individuato un fondo abbandonato, in via Carlo Cammeo 51 proprio vicino al parcheggio della società, che abbiamo risistemato e attrezzato come officina". È stato il Sert dell’Asl 5 di Pisa che, venuto a conoscenza del progetto, ha preso contatti con l’associazione Alice e ha proposto di coinvolgere un giovane ex tossicodipendente. "Su questa base - precisa D’Asaro - abbiamo firmato una convenzione con il Sert e la Provincia di Pisa, che contribuisce dando la possibilità di una borsa lavoro. Oggi, grazie a questo accordo, la persona segnalata dal Sert ha l’opportunità di lavorare per quattro mesi - ha cominciato il 13 marzo scorso - per quattro ore al giorno, svolgendo così un tirocinio formativo e percependo ogni mese 450 euro. È un’opportunità per imparare un mestiere e cominciare la strada verso l’autonomia. Il mercoledì di ogni settimana poi, dalle 14.30 alle 17.30, si svolge presso l’officina la vendita delle bici, a prezzi che vanno da un minimo di 10 ad un massimo di 35 euro. Le richieste sono numerosissime. E a tutti i nuovi proprietari rilasciamo una ricevuta perché possano dimostrare che hanno regolarmente acquistato la bici". Le bici che vengono portate all’officina per essere riparate sono dunque quelle già diventate di proprietà del comune, bici di un valore compreso tra i 5 e i 10 euro. L’idea è cercare di allargare l’esperienza, portando altre persone a lavorare nell’officina. "Stiamo pensando anche alla possibilità di un noleggio delle bici riparate, considerando le forti richieste da parte dei turisti - aggiunge D’Asaro -. Stiamo valutando l’ipotesi di partire ad esempio dalla zona di Via Pietrasantina, dove c’è il parcheggio scambiatore, e di estendersi poi ad altre aree della città". Droghe: le comunità terapeutiche del Veneto e le politiche regionali
Comunicato Stampa, 5 aprile 2006
Il Co.Ve.S.T. (Coordinamento Veneto Strutture Terapeutiche) rappresenta il maggior numero di comunità terapeutiche operanti sul territorio veneto e rende nota la propria posizione riguardo la politica regionale nell’ambito delle tossicodipendenze a fronte di altre posizioni manifestate recentemente da diverse organizzazioni sullo stesso tema le politiche regionali vanno valutate nel loro insieme e non parzialmente. Se da un lato è auspicabile che vengano migliorate le modalità di gestione delle risorse progettuali, con criteri e tempi maggiormente definiti, così da dare a tutti l’opportunità di una corretta informazione e partecipazione, dall’altro va riconosciuto che sono stati adottati provvedimenti (ad esempio la D.G.R. 445/06) che miglioreranno il Sistema delle Dipendenze, soprattutto per le comunità in quanto permetteranno: l’introduzione di nuove unità di offerta e nuove figure professionali, l’adeguamento delle rette e la programmazione regionale. la meta da raggiungere é una concertazione seria, pacata e costante con la Regione, in cui le organizzazioni del privato sociale abbiano un ruolo propositivo e siano in grado di confrontarsi liberamente con le istituzioni, indipendentemente dal colore politico di chi le rappresenta. Si ribadisce inoltre l’importanza della continuazione del percorso di integrazione tra i servizi pubblici e del privato sociale, entrambe parti indispensabili al buon funzionamento dell’intero Sistema delle Dipendenze in Veneto.
Il Presidente del Co.Ve.S.T., Fabio Ferrari
Ufficio di Presidenza Co.Ve.S.T. c/o Salita Fontana del Ferro 22/24 tel.045.8010688 fax 045.8009174 e-mail: direzione@ceisverona.it Immigrazione: minorenni stranieri, per loro diritti solo sulla carta
Redattore Sociale, 5 aprile 2006
Un fenomeno ormai rilevante ma forse ancora poco conosciuto quello dei minori stranieri non accompagnati entrati in modo irregolare in Italia: dove si trovano a vivere in una condizione di emarginazione che per molti di loro si traduce in devianza o sfruttamento. Un contributo importante per comprendere i comportamenti devianti degli adolescenti stranieri e i contesti in cui essi maturano viene da una ricerca nazionale curata da Alfredo Carlo Moro già presidente del Tribunale per minorenni di Roma e presidente del Centro nazionale di analisi per l’infanzia e adolescenza di Firenze, scomparso nel 2005, Roberto Maurizio ricercatore della Fondazione Zancan di Padova e Valerio Belotti sociologo dell’Università di Padova. La ricerca, promossa dalla Fondazione Ozanam - Vincenzo De Paoli di Roma e pubblicata recentemente nel volume "Minori stranieri in carcere", dalla "Guerini e Associati", è stata realizzata prendendo in esame presso i tribunali per minorenni di Torino, Milano, Venezia, Bologna, Roma, Bari e Lecce i fascicoli relativi a minori stranieri detenuti negli istituti penitenziari e attraverso interviste agli stessi ragazzi e ad alcuni testimoni qualificati come magistrati, cappellani delle carceri, direttori di istituti penali, operatori sociali. Sono stati presi anche in esame i dati nazionali diffusi periodicamente dal Ministero della Giustizia. Obiettivo: avere una visione più ampia sia delle difficoltà che i ragazzi incontrano nell’inserimento in Italia sia delle cause che li hanno portati al crimine, cercando di individuare strumenti e risorse nuove per riprendere "itinerari di inclusione sociale che la commissione di reati ha interrotto e pregiudicato". Secondo gli osservatori le caratteristiche dei minorenni stranieri che arrivano alle strutture e ai servizi della giustizia minorile sono le stesse dei coetanei italiani; cambia però il contesto di riferimento, la situazione, che per i ragazzi immigrati appare connotata da una forte precarietà sociale, "rafforzata dalla clandestinità e marcata da eventi di grande insuccesso raccolti nel percorso migratorio". Si emigra in Italia per sfuggire alla povertà, motivazione ancora più fortemente sentita dagli adolescenti che cercano nuove opportunità in un paese diverso da quello d’origine. A volte si sfugge da una famiglia totalmente assente sul piano affettivo e delle relazioni. Ma all’arrivo la frustrazione è forte, la realtà in cui ci si trova a vivere è assolutamente lontana da quella sognata o solo sperata. "Delusione frustrazione e rabbia di essere stati raggirati" i sentimenti più diffusi; delinquere l’unica strada che sembra possibile percorrere. Sono "ragazzi che vivono esclusivamente nel presente, perché non hanno un passato che li può sostenere e che non riescono ad intravedere un futuro", scrivono gli osservatori. Ma se il percorso che porta minorenni, italiani e non, a commettere un reato appare lo stesso, diverso è invece il trattamento a loro riservato. "Sorge il sospetto - si legge nel testo - che nell’immaginario collettivo i ragazzi italiani siano visti in modo totalmente diverso da come sono visti quelli stranieri: ai primi si riconoscono diritti, ci si preoccupa della loro promozione sociale, in caso di devianza si progettano percorsi di sostegno ed inclusione; gli stessi sforzi invece non appaiono affatto diretti ai secondi, lasciandoli nell’area dell’esclusione sociale, se non in quella della segregazione". Non si tratta di un riconoscimento dei diritti in senso astratto quanto piuttosto di "una forte divaricazione, quando non esplicito contrasto, tra il diritto che regola i flussi migratori e i diritti dell’infanzia e dell’adolescenza enunciati e sottoscritti", "tra risposte formali e risposte adeguate, tra sostegno e abbandono". Scrive Belotti: "Gli adolescenti stranieri tendono a vivere l’esperienza processuale e penali con grandi timori per le conseguenze; vivono l’evento carcerazione come un’umiliazione per sé e per la loro famiglia, un insuccesso e un fallimento personale. Alcuni manifestano la percezione di subire un’altra ingiustizia e discriminazione rispetto ai coetanei italiani". Secondo Carlo Alfredo Moro "non sempre del tutto convincente è la disciplina giuridica vigente in Italia per i minori stranieri non accompagnati. È vero che essi godono di protezione e assistenza come gli altri minori, perché ad essi di applicano tutte le norme di previste dalla Convenzione Onu che non fa distinzione tra cittadini e stranieri. Tuttavia non sempre lo specifico trattamento giuridico tiene conto delle loro esigenze più profonde di sviluppo globale". Se dunque l’ordinamento giuridico italiano non discrimina i ragazzi stranieri nei confronti dei ragazzi italiani, di fatto i loro diritti rimangono più declamati che esigibili. Non sembrano sufficienti a colmare questo iato le iniziative del privato sociale che hanno cominciato d organizzare strutture di accoglienza per questi ragazzi, né quelle di alcuni enti locali che hanno cercato di affrontare questa realtà programmando interventi seri sul territorio. Secondo questo studio occorrerebbe ripensare il ruolo del Comitato per i minori stranieri, ad oggi lo strumento primo delle politiche di sostegno. "Dopo anni di esperienza, sembra potersi rilevare che un simile organismo amministrativo non solo sviluppa di rado un’attività efficace a favore di soggetti in situazione di grave difficoltà, ma spesso è venuto assumendo posizioni giuridicamente non accettabili perché contra legem". In discussione l’opportunità di affidare"funzioni così incidenti ad un organo fortemente centralizzato e così influenzato per la sua stessa composizione dagli interessi amministrativi nazionali e locali". Utile anche una "più compiuta disciplina giuridica dell’asilo politico", mentre appare "non procrastinabile l’imposizione di nominare immediatamente un tutore per il minore straniero, privo, per qualsiasi motivo, dei suoi legali rappresentanti".
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