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Modena: detenuto 60enne in attesa di giudizio s’impicca in cella
Gazzetta di Modena, 4 aprile 2006
Un detenuto italiano 60enne si è ucciso nella cella del carcere di S. Anna, dove era detenuto in attesa di giudizio. L'uomo era stato arrestato qualche mese fa in un’altra città e accusato di rapina. Al S. Anna era stato trasferito circa tre mesi fa. Occupava una delle celle dei detenuti indagati e quindi non era con persone che potessero tenere un certo atteggiamento nei suoi confronti. Anche se nulla è trapelato dal carcere, sembra che l’uomo non avesse mai manifestato disagi o avesse avuto a che dire nemmeno con personale. Sabato scorso, intorno alle 18.30, mentre i detenuti che erano in cella con lui si trovavano nel cortile per l’ora d’aria, l’uomo si è tolto la vita. Quando uno degli agenti di polizia penitenziaria se accorto di quanto succedeva in cella ed è accorso chiamando in aiuto altri colleghi, per il poveretto ormai non vi era più nulla da fare. Inutile anche il tentativo di rianimarlo da parte dei responsabili del servizio sanitario di S. Anna, il medico non ha potuto far altro che constarne il decesso. La direzione ha subito informato dell’accaduto la procura. Da più di un anno non si registrava un suicidio a S. Anna, dal gennaio 2005 quando ad impiccarsi con un lenzuolo nella sua cella fu il boss mafioso Francesco Pastoia, 62 anni, accusato di essere uno dei gregari più fidati di Bernardo Provenzano. Giustizia: Berlusconi; pene più dure per violenze a donne e bimbi
Ansa, 4 aprile 2006
"Nel nostro programma c’è l’impegno a presentare un disegno di legge che preveda l’aumento della pena per chi commette violenza contro donne e bambini". Lo ha detto il premier Silvio Berlusconi nel faccia a faccia con Prodi, aggiungendo che "e necessario assicurare la certezza della pena" e respingere "troppi sconti". "Oggi mediamente la violenza contro le donne, per esempio, sono puniti di circa due anni e non è sufficiente", ha detto Berlusconi. Giustizia: Rutelli; certezza della pena, ma dico no a pena di morte
Ansa, 4 aprile 2006
Francesco Rutelli dice no alla pena di morte perché "da cittadino e da cattolico non credo che nessuno possa mai arrogarsi il diritto di togliere la vita a un’altra persona". La giustizia "deve essere severa verso chi compie delitti orribili, ma nessun essere umano può aver dentro di sé l’arroganza e la presunzione di dire io tolgo la vita a un’altra persona". Rutelli ribadisce ai microfoni di Radio Anch’io l’importanza della "certezza della pena, infinitamente meglio di pene scritte sulla carta che poi non vengono applicate". "Abbiamo casi nel Nostro Paese come quello di cui stiamo parlando (Tommaso, ndr) per cui un delitto compiuto sei anni per il quale quella persona è stata condannata in primo e secondo grado se fosse diventato una sentenza definitiva quella persona, lo voglio dire sommessamente, sarebbe stata in carcere e non avrebbe potuto compiere quello che ha compiuto nella provincia di Parma". "Non ho certo intenzione di pronunciarmi sulla formalità o legittimità di previsioni che riguardano religione cattolica - dice Rutelli rispondendo a un ascoltatore che gli chiede del rapporto tra catechismo e pena di morte - ricordo quello che ha fatto Giovanni Paolo II e ricordo di aver ascoltato tanti suoi richiami per l’abolizione della pena di morte nel mondo". Rutelli poi sottolinea anche come negli Stati Uniti nonostante la pena di morte il numero dei crimini non sia diminuito, per non parlare di quei casi in cui a distanza di tempo emerge l’innocenza del condannato: "Non vorrei trovarmi nei panni del giudice - dice il leader della Margherita - che credo a quel punto si interroghi sulla sua stessa vita". Giustizia: Castelli; su cifre dell'affollamento la sinistra mistifica
Ansa, 4 aprile 2006
"Anche per quanto riguarda le cifre sull’affollamento delle carceri c’è l’opera di mistificazione della sinistra". Lo ha detto il ministro leghista della Giustizia Roberto Castelli intervenendo a Radio Anch’io. "Dal ‘96 al 2001, quando ha governato la sinistra, i detenuti sono aumentati da 46 a 55 mila - ha detto il ministro - mentre oggi sono 60.800, ossia sono cresciuti la metà di quanto sono aumentati nella scorsa legislatura". Inoltre Castelli ha sottolineato che "è stata aumentata di 5000 nuovi posti la capienza carceraria e abbiamo rimandato nel paese di provenienza più di 4000 detenuti extracomunitari condannati a non più di due anni di reclusione". Castelli ha rilevato che "non è certo colpa del ministro se aumentano i clandestini che delinquono e se vengono condannati dalla magistratura". Con riferimento all’ipotesi di depenalizzare i reati e ampliare le misure alternative al carcere, Castelli ha detto che quella delle depenalizzazione "è una via percorribile, non tanto per svuotare le carceri, ma per decongestionare i tribunali penali: ci sono tanti reati non più percepiti come tali dall’opinione pubblica". Il ministro ha aggiunto che "fino a tre anni di carcere non si va in prigione, ci sono in Italia 170 mila persone condannate ma in prigione ce ne è solo un terzo". Giustizia: Matteoli; serve una riflessione contro sovraffollamento
Ansa, 4 aprile 2006
"In Italia il problema carcerario è notevole e su questo aspetto serve un profonda riflessione". Lo ha detto il ministro dell’Ambiente Altero Matteoli oggi a Firenze per una serie di iniziative elettorali tra cui la visita al carcere di Sollicciano. "Per un politico - ha aggiunto - e non solo per un ministro, è importante visitare questi luoghi e comprenderne meglio la situazione. In Italia le carceri sono sovraffollate e fa bene il ministro Castelli a dire che bisogna costruirne di nuove. Questi devono essere luoghi dove, civilmente, si cerca di reinserire nella società un uomo che ha sbagliato, ma queste persone non possono essere tenute in una condizione di così grave disagio". Giustizia: intervista a Castelli; se vinciamo rifaccio il ministro
Oggi, 4 aprile 2006
Ama i fiori. Parla con le piante. Gioca coi suoi quattro gatti. Sta preparando la stalla dove ospiterà due asinelli. Visto da vicino Roberto Castelli, ministro della Giustizia del governo uscente, è un’autentica sorpresa. Già la casa, una bella villa a picco sulla valle di San Martino, con un ettaro di parco che degrada verso valle, un po’ ti sorprende. E poi lui che parla di cedri e gerani, che spiega i vari tipi di legna adatti al camino... Ti aspetti il ministro dal volto inflessibile, che per cinque anni da via Arenula ha affrontato a muso duro il resto del mondo, e ti ritrovi un signore gentile e pacato, che accarezza il gatto e ti prepara il caffè. Uno che in un’altra vita faceva tutt’altro, era ingegnere acustico, aveva uno studio e un bei po’ di clienti. Poi l’incontro con Umberto Bossi, la folgorazione per la Lega, lo sbarco in Parlamento, e l’arrivo al ministero della Giustizia: cinque anni tempestosi che avrebbero steso chiunque. Ma non lui. Che ha tirato dritto. Ha scritto pure un libro. Maledetto ingegnere, in cui ha raccolto "insulti e contumelie" degli ultimi tempi. E ora, capolista per il Senato in Lombardia, Toscana e Umbria, sta affrontando gli ultimi dieci giorni di campagna elettorale.
Ministro, chi le vince queste elezioni? "Spero noi. Abbiamo un 15/20 per cento di indecisi. Saranno questi a determinare la partita. E quindi bisogna lottare fino all’ultimo".
La Lega quanti voti si aspetta? "Premetto che ormai di campagne elettorali ne ho fatte tante. E che quando uno va in giro pensa sempre di prendere il 90 per cento dei voti, perché alle serate arrivano i simpatizzanti. Ma anche facendo la tara su questa sensazione, sento un’atmosfera favorevole alla Lega. Sicuramente avremo un risultato migliore rispetto al 3,9 per cento del 2001".
Mettiamo che la Cdl vinca. Quali sono le priorità della Lega per i prossimi cinque anni? "Per noi è fondamentale che si vinca il referendum sulla riforma della Costituzione. Poi puntiamo al federalismo fiscale. Ogni regione deve diventare un centro di esazione delle tasse: parte le terrà per sé e parte le devolverà allo Stato centrale che dovrà redistribuirle".
La malattia di Bossi, e la sua prolungata assenza, quanto hanno pesato sulla Lega? "Affettivamente tantissimo. Ma politicamente non abbiamo perso nulla perché Bossi ci aveva indicato la via. Noi, i cosiddetti colonnelli, siamo .riusciti in due imprese di cui sono orgoglioso. La prima: non siamo caduti nella tentazione di litigare tra noi, siamo riusciti a dare un’idea di compattezza. La seconda: siamo stati capaci di andare avanti sugli obiettivi prefissati. Calderoli ha portato a termine la riforma costituzionale, Maroni le sue riforme su lavoro e pensioni, io le mie sull’ordinamento giudiziario. E adesso, fortunatamente. Bossi è tornato in piena efficienza e ci guida nella campagna elettorale".
Che cosa pensa di questa campagna elettorale al veleno? "Le campagne elettorali bipolari sono spietate ovunque. Da noi c’è una forte conflittualità anche perché, in questo preciso momento storico, c’è un’idea diversissima di società. Qui entrambi gli schieramenti pensano, forse a ragione, che se vincesse l’altro ci sarebbero gravi conseguenze".
Per esempio se vincesse l’Unione... "Se vincesse l’Unione si aprirebbero le frontiere a un’immigrazione indiscriminata. Loro darebbero il voto agli immigrati e creerebbero una situazione irreversibile. Avremmo un modello di società completamente diversa da come la vedo io".
In realtà dopo cinque anni di centrodestra il problema dell’immigrazione clandestina è tutt’altro che risolto. Non è che la Bossi-Fini, limitando l’ingresso a chi ha già un lavoro, rende fatale l’aumento dei clandestini? "I clandestini dovrebbero essere controllati alla frontiera. Io su questo punto sono critico coi partner di governo: hanno applicato la Bossi-Fini in maniera troppo lassista, Uno Stato sovrano non può non essere in grado di controllare i propri confini".
Parliamo di Berlusconi. Le è piaciuta la performance di Vicenza, davanti a Confìndustria? "Moltissimo. Montezemolo e Della Valle hanno fatto una scelta precisa: allearsi con l’Ulivo contro questo governo. E Berlusconi ha fatto un’operazione straordinaria: ha dimostrato che quella scelta è di vertice, ma non è condivisa dalla base. Io tanti anni fa. sono stato iscritto a Confìndustria come micro imprenditore e posso assicurare che Confindustria ha sempre vissuto questa dicotomia tra piccoli e grandi industriali. Sono in gioco interessi diversi, a volte contrastanti".
Però, a partire da Diego Della Valle, i vertici di Confindustria cinque anni fa erano con Berlusconi. Non sarà che, più semplicemente, questo governo ha deluso? "Guardi, io sto girando ovunque. E qui siamo in una zona dove c’è una partila Iva ogni 12 abitanti. Credo sia un record italiano, europeo e mondiale. Naturalmente non ho mai perso i contatti con le piccole e medie aziende che rappresentavano il mio mondo. E le assicuro che loro, mediamente, hanno apprezzato l’azione del governo. Poi, certo, capisco che le grandi aziende,| alcune in particolare, siano insoddisfatte. Erano abituate a chiedere provvedimenti in loro favore, provvedimenti che sicuramente col governo Berlusconi non hanno avuto".
Lei, Castelli, è stato per cinque anni in via Arenula. Se vincesse il Polo, tornerebbe volentieri alla Giustizia? "Sono combattuto da due sentimenti diversi. Uno di grande affaticamento: le lotte che ho combattuto in questi anni mi hanno segnato. Ma mi dispiacerebbe, dopo aver prodotto una serie di riforme, non poterne gestire gli effetti. Quindi alla fine sì, mi piacerebbe".
È pentito di non essere riuscito a costruire, in questi anni, un clima di dialogo con la magistratura? "Credo di avere la coscienza tranquilla. Finché ho potuto ho dialogato. Vorrei ricordare che nel 2002 Gaetano Pecorella amichevolmente mi accusò di voler riformare l’ordinamento giudiziario a quattro mani con la magistratura. Questo dimostra quanto io stessi dialogando. Poi, di fronte alla loro chiusura, ho dovuto prendere atto della situazione. Fin dall’inizio ho dichiarato che noi la riforma l’avremmo fatta, o con loro o senza di loro. Hanno scelto senza...".
Ha confessato di aver votato in passato, prima che nascesse la Lega, per repubblicani e radicali. Due forze laiche. Oggi la Lega è sempre più in prima linea nella difesa dei valori cattolici. Non è che state diventando più democristiani della vecchia De? "Noi siamo laici ma abbiamo sempre difeso la famiglia, nucleo fondante della società italiana. Essere cristiani non significa necessariamente essere cattolici praticanti. Oggi anche un non credente è di fatto cristiano perché viene da duemila anni di cultura che hanno forgiato un certo modo di considerare la società e i rapporti umani. E di fronte a questa aggressione dell’Islam integralista che vuole imporre le proprie idee difendere le proprie radici cristiane diventa fondamentale".
Lei è credente? "Non sono praticante. Neppure molto cattolico. Sento che Dio è nella natura. Nella bellezza della natura. A volte mi capita di parlare con le piante. C’è un cedro, nel giardino di casa mia, davanti al quale a volte mi siedo e ascolto. Lo sento vivo, sento che dentro di lui c’è la vita che scorre. Sono attratto dal panteismo. Cosa che dispiace molto a mia moglie Sara. Lei in questi ultimi anni è diventata rigorosa e devotissima".
Con Sara vi siete sposati l’anno scorso, dopo otto anni di convivenza. Perché? "È una questione di coerenza. Ho sempre dichiarato che sono contro i riconoscimenti delle unioni di fatto. Anche la mia lo era. Ma non ho mai preteso niente dallo Stato. Quando ho pensato che fosse meglio garantire la mia famiglia sotto certi punti di vista, ho sposato la mia compagna. Era il 7 febbraio dell’anno scorso. E il 28 febbraio si è sposato mio figlio Gabriele, che ha 32 anni. Per noi era obbligatorio sposarci civilmente, siamo entrambi divorziati, non potevamo farlo in chiesa. Per Gabriele invece è stata una scelta".
Fare per 5 anni il ministro della Giustizia quanto ha pesato sulla vita familiare? "Tanto. Io e Sarà le abbiamo provate tutte. Un anno lo abbiamo passato insieme a Roma, ma diventava faticosissimo fare avanti e indietro da Cisano Bergamasco. Alla fine ci abbiamo rinunciato. In questi cinque anni ci siamo visti davvero troppo poco. L’attività del ministro è sette giorni su sette. E la vita di coppia ne ha sofferto. Ma la politica è passione. Sono un ingegnere che s’è innamorato della politica e della Lega. E spero di vincere, il prossimo 9 aprile, per continuare il cammino". Tommaso Onofri: Castelli; chieste misure di tutela per gli arrestati
Agi, 4 aprile 2006
Il ministro della giustizia, Roberto Castelli, ha chiesto al dipartimento dell’amministrazione penitenziaria che vengano assicurate agli autori dell’omicidio del piccolo Tommaso misure di tutela straordinarie. Lo ha detto lo stesso ministro, a Pisa per una iniziativa elettorale della Lega Nord. "I detenuti hanno un codice di giustizia che non permette reati orrendi come questo - ha detto il guardasigilli - ma noi non possiamo consentirlo. L’applicazione di quella giustizia porterebbe pesanti conseguenze anche definitive. Ho chiesto al dipartimento che, oltre alle misure normali cui sono sottoposti i due detenuti, venga loro rafforzata la tutela perché credo che quei due avrebbero poche possibilità di sopravvivere". Tommaso Onofri: Cardinal Bertone; perdonare, ma solo chi è pentito
Secolo XIX, 4 aprile 2006
"Ciò che è ancora più terribile e meschino - dice il cardinale di Genova Tarcisio Bertone - al di là della barbarie di un omicidio, è la menzogna nella quale un crimine così violento è stato nascosto per intere settimane. Quanto è accaduto va oltre la comprensione degli uomini". Il porporato prega nella cappella dell’ospedale Giannina Gaslini (dove ieri mattina è stato inaugurato il nuovo reparto di Oncologia pediatrica) davanti a medici e personale infermieristico e tecnico, uomini e donne che lottano ogni giorno per aiutare i bambini che soffrono. E la mente corre a Tommaso che non c’è più. Bertone, dall’altare, scandisce le parole. "Davanti al pentimento, la giustizia di Dio è disarmata. Anche se la giustizia degli uomini deve comunque fare il suo corso. Come cristiani, siamo invitati a concedere il nostro perdono a chi si pente. E a pregare". Perdonare chi si pente, dice l’arcivescovo, e il sottinteso è forte: non ha diritto al perdono chi finge di chiedere la liberazione di un bambino dopo averlo ucciso ("Una menzogna peggiore dell’omicidio"). Non è richiesto nemmeno ai credenti un atto così estremo di comprensione. Però Bertone invita comunque a una preghiera eroica, riferendosi agli assassini di Tommaso: "Dobbiamo chiedere che il Signore cambi i loro cuori, con la forza di intercessione dei bambini che soffrono e di Giovanni Paolo II". Saluzzo: sondaggio elettorale in carcere, Prodi vince su Berlusconi
La Stampa, 4 aprile 2006
È bene dire subito che "il risultato non conta". Perché, come ammettono gli stessi promotori, era una consultazione "artigianale", "senza nessuna pretesa di scientificità". Al carcere della Felicina di Saluzzo si è "votato in anticipo". L’idea è nata dai redattori del giornalino del penitenziario: hanno preparato schede, improvvisato un’urna in una scatola di scarpe e proposto il sondaggio ai colleghi di cella. Su 380 reclusi, hanno partecipato sei sezioni, nelle quali 291 persone hanno risposto alla domanda: "Prodi o Berlusconi?". "Non è stato possibile – spiegano i promotori – raggiungere i ristretti semiprotetti, indagati, in isolamento e coloro che godono del beneficio della semilibertà e che lavorano all’esterno, i cosiddetti "articolo 21". Alle urne sono andati anche gli stranieri, che rappresentano la metà della popolazione carceraria a Saluzzo". Altissima la percentuale dei votanti, che ha sfiorato l’85 per cento. In tutto sono stati 247 i detenuti che hanno espresso la propria preferenza. Ha vinto Prodi, con due terzi dei voti, 160 a 83. "Netto l’orientamento verso il centrosinistra di cinque sezioni su sei, che sono a maggioranza straniera – chiariscono dal carcere –. Nell’unica sezione "italiana" i due candidati premier avrebbero pareggiato. E c’è stato chi ha chiesto di votare i Radicali". "L’alta partecipazione – osservano dalla redazione del periodico interno alla Felicina - dimostra, forse, quanto sia superiore l’interesse dei detenuti verso la politica, rispetto a quello dei politici nei confronti del carcere". Novara: i detenuti impegnati in recupero patrimonio ambientale
La Stampa, 4 aprile 2006
Un modo per rendersi utile alla società, e per riparare, anche se solo in parte, ai danni causati con il proprio comportamenti criminoso: i detenuti del carcere di Novara saranno di nuovo impegnati nel recupero del patrimonio ambientale, dopo le operazioni di bonifica portate a termine lo scorso anno e che hanno portato, tra l’altro, alla bonifica di una discarica vicino al mercato all’ingrosso. "Nel progetto - ha annunciato l’assessore ai servizi sociali del Comune di Novara Mario Ferullo - quest’anno abbiamo inserito anche il De Pagave. I detenuti hanno dimostrato di avere a cuore lo stato di manutenzione di Villa Segù, in pratica potremmo dire che l’hanno adottata". Il progetto di quest’anno prevede interventi in cinque zone diverse: ancora al parco di villa Segù, aree verdi del De Pagave, area dell’Agogna (nella zona dedicata agli spettacoli viaggianti), nell’area di piazza D’Armi, via Cascina Dominioni e collegamento con il Parco della Battaglia, via Panseri e viabilità del Cim. Nella progettazione sono studiati i vari momenti di bonifica, che prevedono la rimozione dei rifiuti, la raccolta delle foglie, la pulizia dei vialetti e il diserbo manuale, l’asportazione di infestanti e rovi. È stato stabilito anche il calendario di massima degli interventi, tra venerdì 31 marzo e il 14 dicembre, con una frequenza minima mensile, e interventi tra le 8 e le 16, con pausa pranzo al Centro sociale di viale Giulio Cesare. Onilde Guidi, direttrice del carcere di Novara: "Per i detenuti coinvolti nel progetto essere utili diventa una speranza per il futuro, un’occasione per sentirsi più vicini alla società". L’Assa, che si occupa dello smaltimento dei rifiuti, con il trasporto dell’immondizia, la dotazione dei mezzi necessari, la raccolta e l’assistenza a tutte le operazioni, è protagonista dell’operazione. Il progetto è curato da Comune di Novara, Provincia (all’incontro ha partecipato l’assessore Massimo Tosi), Magistratura di sorveglianza, Casa Circondariale, Ministero di Grazia a Giustizia, Assa. Modena: fare gli agenti in carcere? un lavoro duro e frustrante…
Gazzetta di Modena, 4 aprile 2006
Uno, Due, Tre, Quattro. Li abbiamo chiamati così, senza troppa fantasia. Ma qui c’è poco spazio per la fantasia: siamo infatti di fronte ad una dura realtà, quella del carcere. Guardata con gli occhi di chi la vive ogni giorno sulla propria pelle da più di dieci anni. Raccontata dalla voce di coloro che, in questa realtà conosciuta dai più solo per sentito dire, ci lavora otto ore al giorno. "Ma sono necessarie molte ore di straordinario per poter accontentare chi comanda. E il cui primo obiettivo è fare pubblicità all’istituto". I "quattro" - che scelgono di restare anonimi - sono rappresentanti Cgil della polizia penitenziaria, tutti sposati e originari del Sud Italia. Il carcere è la casa circondariale di Sant’Anna, spesso data in pasto alle infelici pagine di cronaca cittadina. Ordinamento penitenziario (legge 354 del 1975), smilitarizzazione del Corpo (legge 395 del 1990), ruolo direttivo dei commissari (legge 230 del 2000), recupero e reinserimento del detenuto, principio di uguaglianza, principi legali (articoli 27, 3, 25 della Costituzione): come funamboli, gli agenti di polizia penitenziaria camminano sul filo teso da una lunga serie di norme. Uno: È un lavoro in cui bisogna usare molto la testa e poco le mani. Due: Le mani lì dentro non si usano, se non quando ti devi difendere.
Capita spesso di doversi difendere? Due: Essere aggrediti non è una remota possibilità. Soprattutto nell’ultimo periodo. Tre: "Fa parte dei rischi del mestiere". Così ha risposto il direttore del carcere ai giornalisti che chiedevano delucidazioni in proposito. Mi sembra tutto fuorché una risposta adeguata. Potete anche immaginare l’effetto che una simile dichiarazione può avere sui detenuti, sempre attenti e ipersensibili all’atmosfera che si respira nella casa circondariale. Si sentono ancor più legittimati a sputarti in faccia o a mandarti a quel paese... È vero che quando fai questo lavoro, in un certo senso metti in conto di subire aggressioni, ma non deve diventare la norma o qualcosa di prevedibile ma inevitabile. Quattro: Nelle condizioni in cui ci troviamo, non è facile far rispettare le regole.
La giornata rischia di essere lasciata al caso. Perché, in quali condizioni vi trovate? Uno: Il nostro ruolo è quello di protagonisti nell’azione di recupero del detenuto. Lo osserviamo ogni giorno per favorirne la riabilitazione. Ma le nostre buone intenzioni sono messe a dura prova da una carenza di risorse quasi cronica: da una parte il personale è insufficiente, dall’altra i detenuti sono in continuo aumento.
Quanti sono? Ben oltre 400 in una struttura attrezzata per ospitarne 180. Inoltre, le attività trattamentali per il recupero dei detenuti sono tantissime. Possiamo raggrupparle in sei categorie: sport, teatro, religione, famiglia, scuola, lavoro. Due: Attività che non si riescono a garantire se non c’è personale... Tre: Non è vero. Si garantiscono eccome, ma a discapito della sicurezza. Inoltre, in questa situazione, pensare di poter far rispettare le regole in modo rigido, si rivela una battaglia persa in partenza. Bisogna saper essere elastici, sì, certo, è un’elasticità che va sempre rapportata alla legge e ai suoi regolamenti. "Protagonisti nell’azione di recupero". Senza dubbio suona molto meglio rispetto a "guardie carcerarie" o "secondini"... Vincenzo Santoro (Cgil Modena - responsabile comparto sicurezza della funzione pubblica). La smilitarizzazione e la sindacalizzazione del corpo hanno contribuito ad un’evoluzione nell’ambito del percorso di recupero del detenuto. Due: Un’evoluzione che ci appartiene, anche sul piano culturale. Molti di noi sono infatti laureati, perlopiù in giurisprudenza. Santoro: Il ruolo della polizia penitenziaria all’interno del carcere si è fatto più esplicito. Siamo passati dalla vecchia logica del secondino ad una forma di partecipazione più idonea a favorire il recupero e il reinserimento del detenuto. Ci si preoccupa di prevenire piuttosto che curare. Questo nonostante un reiterato conflitto con l’amministrazione. Che, a quanto sembra, in merito alle vostre esigenze fa orecchie da mercante. Uno: Quel che rivendichiamo è un’attenzione maggiore da parte delle istituzioni nei nostri confronti. Sì, ci sentiamo trascurati, ma non per questo frustrati. Riportare in seno alla società un detenuto riabilitato è una grande soddisfazione, ma bisogna che ci forniscano gli strumenti e le risorse per poterlo fare. Nell’ultimo decennio la situazione è andata peggiorando, mancano addirittura i soldi per acquistare le medicine. E pensare che Sant’Anna vanta un’ottima infermeria - una delle migliori in Italia - dove, ad esempio, i detenuti affetti da Hiv vengono seguiti al cento per cento. Abbiamo scuole medie e superiori e corsi di vario genere come quello per diventare elettricisti. Santoro: Quando una persona passa davanti al carcere, di solito distoglie lo sguardo. Lo stesso fa l’amministrazione in merito ai problemi che affliggono gli agenti della polizia penitenziaria e non solo. Esiste infatti un intero universo che orbita all’interno della casa circondariale, un universo composto da medici, infermieri, assistenti sociali, volontari, psicologi, educatori... L’impressione è che si tratti di un microcosmo ricco di potenzialità ma a rischio di collasso. Uno: Un collasso dichiarato dallo stesso ministro Castelli. E con l’approvazione della legge sulla droga - cos’è... la Fini-Giovanardi? - e l’ex Cirielli andrà sempre peggio: si prevedono ventimila detenuti in più. Qual è il vostro atteggiamento nei confronti dei detenuti? Due: Conosciamo il detenuto meglio di chiunque altro all’interno del carcere. E col tempo abbiamo acquisito un senso di legalità, e soprattutto di umanità, che ci permette di capire i bisogni dei diversi soggetti. Tre: Attualmente, a causa della profonda crisi di organico, si tende più ad aiutare il detenuto piuttosto che guardare ad una reale sicurezza. Uno: Certo, le difficoltà non mancano e - purtroppo devo dirlo - soprattutto con gli extracomunitari. Senza dubbio ti rispetta molto di più il tossicodipendente. Tre: Con l’extracomunitario discuti e ragioni con maggiore difficoltà. E gli atti di autolesionismo sono all’ordine del giorno. In che modo si feriscono? In qualsiasi modo... con le lamette... ma è sufficiente un foglio di carta. Purtroppo ci si fa l’abitudine. E negli ultimi tempi sono inoltre aumentate le aggressioni tra di loro, entrano infatti in contrapposizione l’uno con l’altro. Anche perché sono in continuo aumento. Quattro: Sentiamo molto la mancanza di un interprete. Ci farebbe davvero comodo, anche solo per notificare un atto giudiziario.
E i suicidi? Anche quelli sono all’ordine del giorno? Due: No, per fortuna! In passato qualche suicidio c’è stato. Qui è un po’ come stare in un ospedale... Tre: Sono situazioni prevedibili...
Situazioni prevedibili che però lasciano il segno. È così? Uno: Il nostro, dal punto di vista umano e psicologico, è un lavoro pesante, molto impegnativo. Passare otto ore - massimo nove e non di più, altrimenti vai fuori di testa - in costante contatto con i detenuti non è certo facile. E gli eventi critici, quali appunto suicidi e atti lesivi, in qualche modo e alla lunga ti segnano. Se mi è successo qualcosa che mi ha particolarmente toccato? Beh, mi ha turbato il fatto che un collega abbia dovuto vigilare da solo su sei reparti dislocati su tre piani diversi. Oppure che un uomo sia stato costretto a vigilare sulla sezione femminile per mancanza di personale: ci sono ventidue agenti donna, di cui solo quindici effettivi. Questo ci ha davvero sconvolto, tanto che abbiamo pure manifestato. Se siamo arrivati a un punto tale è perché c’è qualcosa che non funziona.
Quanti detenuti ospita ogni reparto della casa circondariale di Sant’Anna? Due: Settanta. Seguiti da un collega che da solo - sì... disponiamo di un solo agente di polizia penitenziaria per settanta detenuti - apre ventisei celle quando è il momento dell’ora d’aria. E si vede venire incontro una massa di persone piuttosto consistente. Questo solo di giorno. Durante i turni notturni infatti, i reparti di cui occuparsi raddoppiano.
Quante sono le ore d’aria? Due: Sono quattro.
I vostri compiti si limitano alle attività interne alla casa circondariale? Uno: No, ci occupiamo anche delle traduzioni e dei piantonamenti, ad esempio nei luoghi esterni di cura. È nostro compito garantire la presenza all’interno della struttura sanitaria. Prima del 1990 questo servizio lo svolgevano i carabinieri, oggi è completamente nostro. Il carico di lavoro negli ultimi tempi è aumentato e, anche solo per organizzare un concerto, il personale deve fare gli straordinari. Il direttore dovrebbe ringraziare lo sforzo enorme della polizia penitenziaria. Il nostro obiettivo resta quello di ridurre al minimo il rischio, ma qui a Sant’Anna ultimamente è andata male. Venezia: Ass. "Car.di.viola.", tutti insieme per i diritti dei carcerati
Il Gazzetino, 4 aprile 2006
Car.di.viola. Come: carcere diritti violati. È il nome dell’associazione presieduta dall’avvocato Marco Zanchi, costituita da poche settimane con l’obiettivo di raccogliere informazioni sull’attuale situazione carceraria, e di diventare un punto di riferimento per detenuti ed altri soggetti che siano rimasti vittime di una violazione dei diritti. L’associazione, che ha sede al 3078 di Dorsoduro, a Venezia (tel. 334 7709098) mette a disposizione consulenza e assistenza legale, medica e psicologica, e si propone di aprire momenti di dialogo e riflessione con le istituzioni sulle delicate tematiche relative al carcere e i diritti delle persone più deboli, troppo spesso sottoposte a violenze e soprusi di ogni genere. L’ambito di intervento è, per il momento, il Nord Italia, ma nei progetti vi è quello di estendere al più presto i confini. I soci fondatori sono un’ottantina, tra professori universitari, avvocati, agenti di polizia penitenziaria, ma anche alcune persone che hanno sofferto lunghe e ingiuste detenzioni per poi essere assolti con formula piena. "Ho pensato di costituire Cardiviola perché ad un certo punto ho capito che non era più sufficiente sostenere singole e brevi battaglie - spiega l’avvocato Zanchi - L’associazione ci consentirà di affrontare in maniera più organica i problemi di sovraffollamento delle carceri, in particolare di quello di Venezia; le gravi carenze dei Tribunali di sorveglianza; le mancanze legislative". Vicepresidente di Car.di.viola. è la dottoressa Teresa Lapis, già difensore civico di Venezia; segretario Cinzia Milani; tesoriere l’avvocato Francesca Lachin. Del direttivo fanno parte anche l’avvocato Mario Fortunato ed El Ghanami Abdelsamad, responsabile dell’Ufficio immigrazione della Cgil. Inizialmente aveva aderito anche Vincenzo Pipino ma, ieri, il "sindacalista delle carceri" ha annunciato la sua uscita dall’associazione (con la quale continuerà comunque a collaborare) per evitare una possibile confusione di ruoli. Genova: detenuti protestano per prezzi maggiorati del sopravvitto
Secolo XIX, 4 aprile 2006
La cresta sul sopravvitto. È la denuncia che i 700 (uno più, uno meno) carcerati di Marassi hanno inviato alla direzione della casa circondariale e al magistrato di sorveglianza per segnalare il rincaro, loro sostengono tra il 100% e il 40%, dei generi alimentari che comperano con i loro soldi e che vengono consegnati in cella. Segnalazione che il direttore del carcere, Salvatore Mazzeo, non ha preso affatto sotto gamba se, ieri mattina, ha inviato una guardia, armata di carta e penna, nel supermercato più vicino per fare la comparazione dei prezzi. Confronto che, tuttavia, sembra dare torto ai detenuti. La rivolta del sopravvitto è scoppiata a Marassi a metà marzo quando, secondo la denuncia dei carcerati, sono arrivate le provviste ordinate, ma con rincari non previsti. Vi chiederete: cos’è il sopravvitto? Istituzione solo italiana è la possibilità che hanno i detenuti di acquistare con denaro proprio delle provviste supplementari: carne, pasta, pesce che vengono cucinati direttamente in cella. A Marassi chi provvede all’acquisto del sopravvitto è la stessa impresa che provvede al mantenimento, ovvero ai cibi che vengono preparati nelle cucine del carcere e distribuiti a tutti. "Ci hanno negato la libertà di scegliere i prodotti pur usando i nostri quattrini - hanno denunciato i detenuti al magistrato di sorveglianza - Chiediamo il diritto alla consapevolezza di ciò che si compera: se sul vittuario è indicata una marca, quella deve essere comprata, non una sottomarca. Ci sono leggi che tutelano i detenuti sui prezzi del vitto che devono essere contenuti entro i limiti dei supermercati più vicini al carcere". E proprio in base a questa legge, ieri mattina, il direttore del carcere ha fatto eseguire il controllo: "I prezzi sono in linea - afferma Salvatore Mazzeo - ci può essere al massimo uno scostamento di 50 centesimi in più o in meno, a seconda del prodotto, e non certo il raddoppio come è stato indicato nella denuncia dei detenuti". Inchiesta lampo che, ora, rischia di avere dure conseguenze per la popolazione carceraria: "Ci sono gli estremi per un provvedimento disciplinare, ma siccome siamo vicini a Pasqua faremo finta di niente" conclude il direttore. Padova: "Viceversa" in concerto per i detenuti del circondariale
Il Gazzettino, 4 aprile 2006
La musica come linguaggio universale che rende possibile la comunicazione fra diverse culture e realtà lontane. È questo l’obiettivo del concerto che si terrà all’interno del Casa Circondariale di Padova stamattina alle 10. L’iniziativa, che fa parte di un progetto più ampio realizzato all’interno delle mura carcerarie, è stata organizzata dalla "Nuovi Spazi" Società Cooperativa Sociale in collaborazione con gli operatori penitenziari della Casa circondariale, grazie al patrocinio della Regione Veneto. Programmato in occasione delle festività pasquali, rappresenta un’occasione per prestare attenzione ad una realtà che vive all’interno del carcere e che ha voglia di comunicare con il mondo esterno. Il gruppo che si esibirà, chiamato "I Viceversa" e coordinato dal maestro di musica Luca Belano, è composto da persone provenienti da varie parti del mondo, ognuna delle quali ha apportato durante il percorso la propria cultura favorendo in questo modo un processo di integrazione. Droghe: stabiliti i limiti della detenzione per uso personale
Ansa, 4 aprile 2006
Il governo ha stabilito le quote di stupefacente che la nuova legge sulla droga considera per consumo personale e quindi non punibile: 500 milligrammi di cannabis; 750 milligrammi di cocaina; 250 milligrammi di eroina; 750 milligrammi di Mdma (ecstasy); 500 milligrammi amfetamina e 150 microgrammi di Lsd. Le quantità massime consentite sono decisamente superiori alle "modiche quantità giornaliere" stabilite dalla precedente legge, la Iervolino-Vassalli, e anche a quanto prevedeva il ddl Fini. La Iervolino-Vassalli consentiva infatti un massimo di 100 milligrammi di eroina (meno della metà); 150 di cocaina (un quinto rispetto alla nuova norma); mezzo grammo di cannabis, mezzo grammo di ecstasy; altrettanto di amfetamina e 50 microgrammi di Lsd. Il ddl Fini aveva aumentato i livelli di detenzione non punibili (200 mg di eroina, 500 mg di cocaina, 250 mg di cannabis, 300 mg di ecstasy) ma i livelli erano sempre minori di quelli previsti nell’odierna tabella. Droghe: Capezzone; il limite di 15 spinelli? a N.Y è 56 volte di più
Ansa, 4 aprile 2006
Il governo vuole sbattere ragazzi in carcere per 15 spinelli. A lanciare "l’allarme" è il segretario di Radicali Italiani Daniele Capezzone commentando i limiti stabili dal governo per la detenzione delle sostanze stupefacenti. A New York, aggiunge in una nota Capezzone, il limite è "56 volte più alto, a Mosca 40 volte e in Canada e nel resto d’Europa 30 volte". "L’Italia - prosegue - rischia di diventare paradiso dei trafficanti, e inferno dei ragazzi piccoli consumatori. È noto infatti che i ragazzi, proprio per non incontrare di frequente gli spacciatori e per non entrare costantemente in contatto con la criminalità, tendono ad acquistare qualche spinello in più". Capezzone lancia quindi un "appello" ai genitori: "Può magari dispiacervi che vostro figlio si faccia una canna. Ma non è peggio sapere che, per una simile sciocchezza, si rischia la perquisizione, l’arresto, il processo, la spesa di 4mila euro per l’avvocato e di altri 4mila per il perito, e poi 6 anni di carcere?". Droghe: Giovanardi; chi usa sostanze non va abbandonato
Il Gazzettino, 4 aprile 2006
"Per noi non esistono sostanze leggere o pesanti, ma solo stupefacenti che riducono troppi ragazzi in una sorta di schiavitù". "A nostro giudizio i tossicodipendenti sono vittime che non vanno colpevolizzate, ma la strumentalizzazione di una certa sinistra, che descrive come liberticidi i nostri provvedimenti, va stigmatizzata perché non rispecchia la realtà delle cose". Ha usato queste parole Carlo Giovanardi. Ieri infatti il ministro per i rapporti con il parlamento ha scelto infatti Camisano Vicentino per parlare della legge che porta il suo nome. Legge sulla tossicodipendenza che oggi diviene pienamente efficace grazie alla pubblicazione delle tabelle ministeriali le quali stabiliscono il quantitativo presunto che discerne tra spaccio e uso personale. Il ministro dell’Udc, in un teatro Lux quasi vuoto, ha voluto fare una premessa precisa: "Più di qualcuno ci ha rimproverato di aver voluto mettere in una unica categoria tutti gli stupefacenti. Bene - ha aggiunto il ministro - per noi non esistono droghe leggere o pesanti, ma solo droghe, le quali spesso riducono troppi ragazzi in una sorta di schiavitù. A dirlo è la maggior parte di agenzie internazionali che si occupano di questo problema". Argomentando la sua tesi sulla Giovanardi-Fini (conosciuta anche come legge 49/2006) il ministro ha sottolineato che "una delle nostre prime preoccupazioni è stata quella di portare le comunità in carcere, in modo da supportare quei detenuti tossicodipendenti, che non possono uscire di saltuariamente di galera perché hanno compiuto reati particolarmente gravi". Un ragionamento portato avanti affermando che "alla base della legge che porta il mio nome vi è però un principio cardine, quello per il quale chi fa uso di stupefacenti va recuperato e non abbandonato a sé stesso"; un risultato, quello dell’abbandono, che "si materializza con atteggiamenti troppo permissivi" come quelli "posti in essere in certe regioni come la Toscana". L’intervento ha poi analizzato nello specifico alcuni contenuti della legge come quello "per il quale si è mitigato moltissimo l’inasprimento della pena per fare in maniera di non mandare per forza in galera chi ha deciso di tentare il recupero in comunità". Il ministro emiliano, invitato a Camisano dalla sezione giovani del Vicentino, ha pure fornito qualche cifra secondo la quale: "in Italia, e il dato è uniforme in ogni provincia, fa uso di cocaina almeno il 3 per cento della popolazione". Droghe: nuova legge colpisce soprattutto fumatori marijuana
L’Unità, 4 aprile 2006
Mezzo grammo di cannabis, 750 milligrammi di cocaina, un quarto di grammo di eroina, 750 milligrammi di ecstasy, 500 milligrammi amfetamina e 150 microgrammi di Lsd: sono queste le nuove quantità massime consentite per il consumo personale di droga in base alle tabelle stabilite ora dal governo. Già, perché non dovrebbe essere più – come è stato finora – il giudice a stabilire il delicato confine tra uso personale e detenzione – punibile - di droga. Lo stabilisce la nuova legge antidroga varata a fine legislatura dal governo Berlusconi e sbandierata dallo stesso Berlusconi nell’ultimo confronto televisivo moderato da Bruno Vespa. Una legge che di fatto parifica uso di droghe leggere e pesanti, colpisce anche il consumo oltre allo spaccio, e che con queste tabelle entra pienamente in vigore. Le tabelle sono anche una parziale correzione del testo, che adesso appare però ancora più repressivo soprattutto per i fumatori di cannabis, che risultano punibili anche per il possesso di qualche canna. Ma quante? Forse una decina se si trattasse di marjuana di buona qualità finemente tritata e controllata dei farmaci consentiti in alcuni paesi tra cui l’Olanda per scopi terapeutici. Le tabelle parlano di "sostanza attiva" ma in pratica durante i controlli di polizia non è certo possibile effettuare un’analisi chimica delle foglie di marijuana o delle polveri trovate addosso alle persone fermate. Il peso delle quantità consentite risulta in ogni caso - assurdamente - inversamente proporzionale alla pesantezza degli effetti e alla pericolosità sociale della sostanza utilizzata. Da questo punto di vista balza agli occhi in particolare la differenza tra cannabis e cocaina. Secondo quanto affermato dal vice premier Gianfranco Fini sulle tabelle hanno deciso gli esperti. E dunque non è responsabilità dei politici se i fumatori di marijuana saranno più colpiti dei cocainomani. La commissione incaricata di stilare le quantità, dice infatti Fini, è composta "da esperti e non da politici", in tutto 11 consulenti tra professori di tossicologia e direttori generali del ministero della Salute incaricati dal governo di fissare i minimi di liceità nel possesso delle sostanze stupefacenti comunque in base alla nuova legge antidroga voluta dal governo. Sono questi undici "esperti" ad aver catalogato in tutto una decina di "principio attivi", tra sostanze allucinogene, oppiacei e sostanze psicotrope. Il ministro Carlo Giovanardi aveva inizialmente parlato "ventitre spinelli" come "modica quantità" consentita, senza però specificare con quanto "principio attivo" dentro, cioè quanto tetro-idro-cannabinolo o almeno quanta sostanza stupefacente disponibile sul mercato. Ora evidentemente la sua idea iniziale della pericolosità sociale del consumo di cannabis è stata corretta. È lo stesso Carlo Giovanardi, insieme al sottosegretario alla Salute Cesare Cursi, a Palazzo Chigi ad illustrare ora il decreto ministeriale con il quale vengono fissati i limiti quantitativi massimi di sostanze stupefacenti per la nuova legge sulle tossicodipendenze. Ma il ministro ne ha già parlato ieri da Vicenza ad un convegno di partito, il congresso nazionale del movimento giovanile Udc. Lì Giovanardi è peraltro intervenuto soprattutto a sostegno della "sua" legge. "Le tabelle relative alla quantità di stupefacente oltre la quale scatteranno le sanzioni penali previste dalla nuova legge – l’ha difesa - sono improntate a buon senso e misura. Sono state definite da illustri tossicologi e verranno presentate domani a Roma i una conferenza stampa". "Con questo - ha proseguito Giovanardi - la legge potrà essere compiutamente attivata in tutte le sue parti". È invece pretestuosa, secondo il ministro, la polemica di chi accusa il governo di aver studiato una legge che porterà più tossicodipendenti in carcere. "La legge non dice questo - continua a difenderla Giovanardi - anche se c’è ancora molta gente che lo sostiene non avendo letto bene il provvedimento. Per i tossicodipendenti ci saranno maggiore prevenzione e maggiori possibilità di recupero. La linea dura invece è riservata agli spacciatori e all’attività della criminalità organizzata. Gli spacciatori di morte troveranno - ha concluso Giovanardi - la linea dura dell’Italia". La legge viene duramente attaccata dagli antiproibizionisti, tra cui Vladimir Luxuria, attiva da anni nella comunità transgender romana, candidata di Rifondazione comunista e collaboratrice di Liberazione. "Essere antiproibizionisti -osserva Vladimir Luxuria - significa non condannare un ragazzo che fuma una canna al carcere né regalare soldi alle mafie". Luxuria, risponde poi alla malevolenza con cui è stato apostrofato ieri sera, senza possibilità di replica, dal presidente del consiglio Silvio Berlusconi durante il faccia a faccia televisivo con Romano Prodi. "Berlusconi ha dichiarato che io regalerei spinelli. Non ho mai regalato spinelli in vita mia né mai lo farò - replica stamattina Luxuria -. Il centrodestra ha capito di aver sbagliato tattica dopo avermi attaccata per il mio orientamento sessuale adesso mi vogliono dipingere come spacciatrice". Luxuria considera comunque la chiamata in causa indebita di Berlusconi come un segnale di nervosismo "la tipica agitazione da vigilia della sconfitta: lui sì che farebbe bene a farsi una canna".
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