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Giustizia: D’Elia; indulto per 21mila, adesso serve l’amnistia
Il Giornale, 30 agosto 2006
Prima erano cinque, massimo diecimila, poi sono diventati 12mila, ma qualcuno già immaginava che il numero sarebbe salito ancora. Ora Sergio D’Elia, ex terrorista rosso attualmente parlamentare e segretario della Camera dei Deputati, dà i "numeri". Quelli giusti però: oltre 21mila i detenuti scarcerati per effetto dell’indulto. Tanto che attualmente le prigioni italiane, con quasi seimila posti liberi, sono "sotto affollate". Ma siccome l’appetito vien mangiando, l’esponente della Rosa nel Pugno rilancia: amnistia, abrogazione della Bossi-Fini sull’immigrazione, liberalizzazione delle droghe leggere e "decriminalizzazione" dei reati commessi dai tossicodipendenti. Non si fa mancare nulla il parlamentare radical-socialista che l’altro giorno era in visita alla casa circondariale "Castello" di Pordenone. Che dalla sua, giova dirlo, ha però un dato confortante: i detenuti scarcerati che sono tornati a delinquere sono una esigua minoranza. Forse con un eccesso di ottimismo parla di una decina di casi, mentre le cronache parlando di "ritorni" dietro le sbarre assai più consistenti. Ma torniamo alle dichiarazioni di D’Elia, anzi andiamo a quelle del ministro guardasigilli Clemente Mastella quando presentò il progetto. L’uomo di Ceppaloni illustrò la storia dei provvedimenti di clemenza in Italia a partire dall’amnistia Togliatti del 1946. Da allora se ne sono succedute altre 21: l’ultima nel 1990 che, accompagnata da indulto, consentì a circa 12mila detenuti di uscire dalle carceri. In base alle proiezioni di Mastella dunque, sarebbero tornati in libertà tra i 5 e i 10mila detenuti. Cifre ben presto corrette a 12mila. Ma già a Ferragosto, un paio di settimane dopo l’introduzione del provvedimento, avevamo sfiorato quota 16mila, ipotizzando di arrivare a 17mila a settembre. Senza contare quelli che per effetto dell’indulto, anticipavano i termini per la concessione dei benefici della legge Gozzini, semilibertà e libertà vigilata, e della Simeone, affido in prova ai servizi sociali. Ma ora D’Elia ci informa che addì 28 agosto avevano lasciato le patrie galere 21.126 detenuti, e dietro le sbarre erano rimasti in 37.620 su una capienza di 43mila. Ma si può fare di più e meglio. D’Elia pensa a una amnistia: "In Italia ci sono 10 milioni di processi pendenti con tempi di giustizia lunghissimi, tanto che l’Europa ha spesso condannato l’Italia per i ritardi. L’unica strada è approvare la più grande amnistia della storia repubblicana". E ancora: depenalizzare le droghe leggere e "decriminalizzare" scippi, furti, rapine e in generale tutti i reati commessi da tossicodipendenti per procurarsi la droga. Ultimo, ma non per ultimo, argomento toccato da D’Elia l’immigrazione: abrogare la Bossi-Fini, ampliare le quote d’accesso e dare la cittadinanza dopo cinque anni di permanenza in Italia. Tutte proposte che faranno certamente discutere, come fece discutere la sua elezione a segretario della Camera. D’Elia infatti, dopo una lunga militanza in Potere Operaio, entrò in Prima Linea e venne chiamato in causa per una serie di azioni terroristiche tra cui l’assalto al carcere di Firenze in cui rimase ucciso l’agente Fausto Dionisi. Condannato a 25 anni scontò circa la metà della pena, poi si avvicinò ai radicali e fondò l’associazione "Nessuno tocchi Caino" contro la pena di morte. Ma in molti ricordano ancora il suo passato tanto che il Sindacato autonomo di polizia di Torino, dopo le esternazioni di Pordenone, ha annunciato ieri una mobilitazione nel caso "D’Elia, di cui da mesi chiediamo le dimissioni e per cui siamo scesi in piazza con migliaia di cittadini, avesse la malsana idea di mettere piede a Torino, pensando di potersi permettere un giretto panoramico anche al carcere delle Vallette. Torino negli anni Settanta e Ottanta, ha infatti pagato un prezzo altissimo al fanatismo ideologico e alla violenza politica, con tanti innocenti ammazzati tra i cittadini, i giornalisti, i magistrati e le forze dell’ordine". Giustizia: Sindacato Polizia; D’Elia non venga in visita a Torino
Ansa, 30 agosto 2006
Il Sap (sindacato autonomo di polizia) polemizza con le visite nelle carceri italiane del parlamentare della Rosa nel Pugno Sergio D’Elia e lo invita a non venire a Torino. "Non solo - è precisato in un comunicato - è un ex terrorista. Non solo è stato condannato per l’omicidio di un poliziotto. Non solo è diventato parlamentare e pure segretario di presidenza della Camera a 30.000 euro al mese. Adesso se ne va pure in giro per le carceri di mezza Italia a esaltare l’indulto e a dire che vanno decriminalizzati reati come gli scippi, le rapine e i furti commessi dai tossicodipendenti. Ci auguriamo che D’Elia non abbia la malsana idea di mettere piede a Torino, pensando di potersi permettere un giretto panoramico al carcere delle Vallette per dire altre sciocchezze simili e farsi gratuita pubblicità". Il Sap di Torino, è aggiunto, "è pronto a mobilitarsi se l’ex terrorista D’Elia, di cui da mesi chiediamo le dimissioni e per cui siamo scesi in piazza con migliaia di cittadini, dovesse mettere piede nella nostra città che, negli anni settanta ed ottanta, ha pagato un prezzo altissimo al fanatismo ideologico e alla violenza politica, con tanti morti innocenti ammazzati tra i cittadini, i giornalisti, i magistrati e le forze dell’ordine". Giustizia: Prodi; ingiusto estendere l'indulto ai reati finanziari
Ansa, 30 agosto 2006
"Non era giusto estendere l’indulto ai reati finanziari, però ci volevano i due terzi" del Parlamento per approvare il provvedimento. Lo afferma il presidente del Consiglio Romano Prodi, aggiungendo: "Abbiamo cercato, anche con Mastella, di fare un compromesso sui reati finanziari per togliere un anno, invece che tre, abbiamo fatto di tutto, ma invano, e so che è impopolare ma era necessario fare l’indulto perché la situazione delle carceri era insostenibile". Pescara: alla Casa Circondariale una scuola oltre le sbarre
Il Messaggero, 30 agosto 2006
Un plauso per l’iniziativa di solidarietà degli studenti dell’istituto tecnico statale G. Manthonè di Pescara nei confronti dei detenuti della locale casa circondariale S. Donato. Il progetto portato avanti dall’istituto di pena con la scuola rappresenta un’esperienza da riproporre per far conoscere ai ragazzi come si vive dentro una cella. Come si superano le difficoltà per essere stati privati della libertà e cosa si attendono i detenuti dalle istituzioni una volta scontata la pena. Il reinserimento nella società civile è da sempre il passo più difficile da dover affrontare. Perché il detenuto è guardato con sospetto, è discriminato, ghettizzato e difficilmente riesce a reinserirsi a pieno titolo nel tessuto sociale. L’iniziativa dal titolo Carcere e scuola oltre i cancelli ha raccolto unanimi consensi e ha rappresentato una nuova base per comunicare e far partecipi gli altri dell’esperienze vissute dietro le sbarre. I ragazzi hanno così scoperto, grazie alla consulenza di due uomini della Polizia penitenziaria, Valentino Di Bartolomeo e Pellegrino Gaeta, come si possono superare certe difficoltà . A iniziare dalla vita in cella. I detenuti vengono suddivisi per etnie per permettere loro di mantenere usi e consuetudini che facilitano la già difficile convivenza forzata. A esempio ai detenuti Rom piace stare solo tra di loro, a quelli siciliani stare in solitudine, a quelli albanesi stare in gruppo. Nel carcere di Pescara c’è anche la possibilità di consumare abitualmente i pasti all’interno della propria cella e ciò anche sfruttando quella che viene definita scucitura; della legge che permette ai detenuti di consumare cibi precotti. Ma all’interno della struttura detentiva viene data notevole importanza anche al culto delle religioni e viene affrontato il tema dell’affettività. E che l’esperienza di un giorno in cella sia stata straordinaria come ricchezza d’apprendimento lo dimostra quanto hanno scritto gli studenti partecipanti al progetto e culminata con la stesura di un opuscolo dove sono state raccolte le testimonianze del progetto didattico - sociale. Dai discorsi con i detenuti sono venute fuori non solo tematiche molto importanti, come l’etichetta che la società attribuisce agli ex detenuti, ma anche la differenza tra chi vuole davvero cambiare e chi invece si lascia andare poiché non ha più la forza interiore necessaria a superare le difficoltà che l’ambiente sociale pone nei loro confronti. Sì, quella di Pescara è una esperienza da ripetere, magari coinvolgendo più scuole per accelerare il percorso di reinserimento dei detenuti nella vita di tutti i giorni. Deve essere, però, brava la scuola a non far vivere più l’esperienza dell’isolamento a chi, per vari motivi, è finito dietro le sbarre. Caserta: reinserimento, riunione dei sindaci in Prefettura
Il Mattino, 30 agosto 2006
Nuova riunione nella prefettura di Caserta per coordinare le diverse iniziative riguardanti gli interventi assistenziali, socio sanitari, volti a favorire il reinserimento sociale dei beneficiari del recente provvedimento di indulto. Vi hanno partecipato, tra gli altri, i rappresentanti dei comuni capofila degli ambiti territoriali previsti dalla legge. Nel corso dell’incontro - è spiegato in una nota della prefettura - è stato assicurato che tutti i comuni capofila sono pronti a far fronte, tra l’altro, ad eventuali situazioni di disagio sociale, di assistenza socio-sanitaria. Imperia: dopo l'evasione il Sappe scrive al Ministro Mastella
Ansa, 30 agosto 2006
La segreteria generale del Sindacato Autonomo Polizia Penitenziaria (Sappe), la più rappresentativa della Categoria con oltre 12 mila iscritti, ha inviato quest’oggi al ministro della Giustizia, Clemente Mastella, in riferimento all’evasione di 3 detenuti dal penitenziario di Imperia, nel giorno di Ferragosto. Questo il testo integrale della missiva: "Come Le è certamente noto, nel giorno di Ferragosto tre detenuti hanno posto in essere un’evasione dalla Casa Circondariale di Imperia. Per fortuna, i tre fuggiaschi sono stati arrestati e riassociati all’Istituto in poco tempo, scongiurando così conseguenze ben più gravi ed allarmanti. Un’evasione annunciata, a parere di questa organizzazione sindacale, poiché da tempo questa Segreteria Generale aveva segnalato al Provveditore Regionale della Liguria e agli Uffici competenti del Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria le gravi carenze di personale di Polizia Penitenziaria nell’istituto imperiese ed i riflessi negativi che ciò comportava in ordine alla situazione organizzativa delle condizioni di lavoro del Personale lì in servizio ed ai precari livelli minimi di sicurezza della struttura. Basti pensare che, il giorno dell’evasione, l’Agente che avrebbe dovuto controllare anche i detenuti ammessi nel cortile dei passeggi ricopriva, da solo, ben tre posti di servizio. Non più tardi di qualche mese fa, i rappresentanti di questa Sigla sindacale - in occasione di una visita ai luoghi di lavoro ad Imperia - avevano segnalato l’inagibilità proprio della garitta adibita al controllo dei detenuti ammessi a fruire dell’ora d’aria, definendola inadeguata, mal disposta e obsoleta. Nessun provvedimento risolutivo è però stato assunto dal Provveditorato Regionale della Liguria, ed ora ci si domanda se anche questo omesso intervento - associato alla cronica carenza di Personale di Polizia Penitenziaria - non abbia contributo al verificarsi del grave evento di Ferragosto. E le problematiche del Personale di Polizia Penitenziaria che opera nella struttura di Imperia emergevano con chiarezza anche nel documento elaborato pochi mesi fa da questa Segreteria Generale con la collaborazione dei nostri Quadri sindacali della Liguria (si fa riferimento al c.d. Libro bianco sulla situazione penitenziaria della Regione, inviato oltre che a Lei a tutte le Autorità istituzionali e politiche). Questo ennesimo episodio di criticità penitenziaria posto in essere nella Regione Liguria (che fa seguito ad altri tentativi di evasione, aggressioni di detenuti a danno di appartenenti a poliziotti penitenziari, sistematica carenza di personale cui si contrappongono provvedimenti di distacco davvero incomprensibili - è il caso di un Agente della Casa Circondariale NC di Sanremo inviato allo Stabilimento balneare di Maccarese per svolgere mansioni di bagnino …) palesano gravi carenze organizzative e gestionali del sistema penitenziario da parte del Provveditorato Regionale della Liguria e dei competenti Uffici centrali Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria. Ad avviso di questa Segreteria Generale, quindi, è probabilmente venuto il momento di affidare la gestione del Provveditorato Regionale dell’Amministrazione Penitenziaria della Liguria ad un Dirigente Generale che sappia far ritrovare al personale (che a seguito degli ultimi episodi critici è altamente sfiduciato, non vedendo in concreto alcun intervento risolutivo alle problematiche esistenti) adeguate motivazioni e nuovi stimoli professionali". Treviso: i nuovi poveri, dal carcere alla canonica
Il Gazzettino, 30 agosto 2006
Dal carcere alla porta della canonica. Nuove povertà varcano la soglia delle parrocchie della città e della periferia chiedendo aiuto. Sono in aumento gli ex detenuti graziati dall’indulto che si rivolgono ai parroci per un sostegno economico o per cercare un lavoro. Spesso si tratta di persone rimaste senza una famiglia su cui contare, ma non per questo prive di buoni propositi: "Una volta usciti dal carcere non tutti trovano i propri familiari pronti ad accoglierli - spiega don Aldo Sartor, parroco di San Bartolomeo - e si rivolgono alle parrocchie per chiedere una mano". Quasi sempre per ricominciare da zero passano attraverso le cooperative sociali che si occupano del reinserimento lavorativo degli ex detenuti. Ma per effetto dell’indulto sembra che anche questa possibilità sia al collasso: "Le cooperative fanno tantissimo per chi esce dal carcere - continua don Ado - ma non possono oltrepassare un certo numero. L’accoglienza dovrebbe riguardare tutta la società e non solo una parte. Invece a questo problema la risposta è insufficiente". Così la fila delle nuove povertà che suonano al campanello del parroco si allunga. E i nuovi arrivati vanno ad aggiungersi alle famiglie di immigrati in difficoltà. Ma anche a quei trevigiani che non riescono a sbarcare il lunario e che si presentano in canonica con la bolletta o il mutuo da pagare, la ricetta delle medicine da comprare o per ritirare il sacchettino della spesa fornito dalla Caritas. Quasi sempre sono anziani, giovani in difficoltà, famiglie separate: "Sanno che nelle parrocchie c’è sempre qualcuno disposto ad aiutarli - spiega don Angelo Visentin, parroco di San Pelagio - di solito tendiamo a dare un aiuto materiale fornendo generi alimentari. Cerchiamo di educarli dando cibo al posto di soldi. E in questo sono i parrocchiani che ci danno una mano portando in chiesa pasta, riso e altro che può servire. La mentalità di dare degli spiccioli spesso nasconde la fretta e la mancanza di un autentico rapporto umano. Dare un euro diventa quasi un gesto automatico, fatto in maniera sbrigativa". Durante il periodo estivo aumentano anche le richieste di aiuto: "Per via dei nuovi arrivi di immigrati che all’inizio non hanno un posto dove andare", dice qualche parroco. In prima linea ci sono i centri di ascolto e di distribuzione della Caritas. In diversi giorni della settimana distribuiscono dalle borse della spesa, ai buoni mensa, dall’arredamento al vestiario. In città si trovano nelle parrocchie di Selvana, Sacro Cuore, San Paolo, Santa Bona e Santa Maria Ausiliatrice: "Possono domandare dal cibo al vestiario a pezzi di arredamento - puntualizza don Paolo Zago della parrocchia di San Paolo - qualcuno domanda lavoro. Sono soprattutto persone che conosciamo e che fanno parte della parrocchia ma qualcuno viene anche da fuori". Pordenone: dopo l’indulto i detenuti tornano sui banchi
Il Gazzettino, 30 agosto 2006
Se uno dei disagi degli ex detenuti è quello di riuscire a reintegrarsi nella comunità da cui sono stati allontanati e dove spesso mancano legami familiari e impegni lavorativi, diventa sempre più urgente favorire dei processi guidati d’inserimento. Soprattutto a distanza di poche settimane dall’indulto concesso dal Governo, che ha consentito la liberazione di oltre una decina di detenuti anche a Pordenone. Con questo obiettivo l’ente di formazione Enaip, la Cooperativa sociale Oasi e l’Associazione San Vincenzo hanno organizzato a Cordenons per il prossimo autunno un corso di giardinaggio rivolto a carcerati ed ex carcerati della provincia ma non solo. Sono otto i posti messi a disposizione per imparare l’arte del pollice verde e saranno occupati da tre detenuti che hanno beneficiato dell’indulto e da altre cinque persone che stanno ancora scontando la propria pena. Il corso ha appena ottenuto i finanziamenti regionali e con ogni probabilità partirà non prima di ottobre. Circa quattrocento ore di attività che si svolgeranno nella sede dell’Enaip di Cordenons per la parte teorica e alla Cooperativa Oasi di via Seduzza per la parte pratica che necessità di adeguate attrezzature per la pulizia e la cura del verde. Inoltre le lezioni, che termineranno intorno al mese di marzo, prevedevano anche una fase di avvio guidato al lavoro, circa 150 ore, durante le quali i partecipanti avranno la possibilità di fare pratica in vivai, serre o anche nelle strutture messe a disposizione dalla Cooperativa Oasi e dall’Associazione San Vincenzo. "È la prima volta che progettiamo un corso di questo tipo ha spiegato il direttore dell’Enaip, Giovanni Ghiani, ma crediamo che sia a tutti gli effetti un’opportunità attraverso la quale i detenuti e gli ex detenuti potranno acquisire delle professionalità utili all’inserimento nella società". L’iniziativa rientra nel più ampio progetto Ero carcerato, promosso dall’Associazione San Vincenzo in collaborazione con il Comune di Pordenone e con la Provincia. L’idea che da cui ha mosso i primi passi tale progetto è appunto quella di portare il carcere sempre più vicino alla comunità, affinché le distanze si riducano e le sbarre non generino una divisione fisica e soprattutto sociale. Ecco che le associazioni da sempre sensibili a tale questione si sono mobilitate per dare un segno concreto del loro impegno. Anche la cura del verde può diventare un’occasione di riscatto da cui far germogliare nuove possibilità di integrazione. Latina: Provincia, dopo l’indulto servizi sociali in difficoltà
Il Messaggero, 30 agosto 2006
È l’argomento che ormai da settimane riempie le pagine delle cronache nazionali. E la gatta da pelare che arriva direttamente sui tavoli degli enti locali, con continui rimpalli di competenze e senza che nessuno sappia realmente far fronte all’emergenza. Pochi fondi, scarsi sussidi, altrettanto rare possibilità di reinserimento nel mondo del lavoro. A puntare il dito contro l’indulto, questa volta, è Fabio Bianchi, assessore ai Servizi sociali della Provincia, alle prese con il numero crescente di ex detenuti pontini che bussano alle porte dei Comuni chiedendo assistenza. "Stiamo vivendo giorni di particolare impegno e difficoltà anche in provincia di Latina - commenta Bianchi - per quanto riguarda la realizzazione di forme d’intervento a favore di chi ha beneficiato dell’indulto. Tutte richieste legittime, certo, ma che per essere soddisfatte necessitano di risorse economiche che le amministrazioni locali non possiedono. E a fronte di tutto ciò sconcerta e preoccupa l’atteggiamento del Governo nazionale". Sono 23 finora le persone che, grazie alla nuova legge, hanno abbandonato il carcere di via Aspromonte. Ma a queste si aggiunge, quasi quotidianamente, il numero di ex detenuti usciti dagli istituti di pena di altre città italiane e pronti a rientrare in provincia. Qualche volta senza una famiglia, spesso senza denaro e senza un’occupazione. Per tutta risposta dalla Regione sono arrivati a Latina 7.556 euro. Somma, neanche a dirlo, del tutto insufficiente perfino per gli interventi di prima emergenza. "E alla Provincia - continua Bianchi - si chiedono poi sforzi economici che non rientrano affatto nelle proprie specifiche competenze e che non possono rappresentare la soluzione della grave emergenza che si è venuta a creare".
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