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Indulto: 21.126 gli scarcerati; i detenuti sono ancora 37.620
Il Gazzettino, 29 agosto 2006
È trascorso circa un mese da quando l’indulto è diventato legge e da allora (sino a ieri) sono usciti dalle carceri italiane perché hanno beneficiato dello sconto di pena esattamente 21 mila 126 detenuti. Un numero impressionante che è andato ben oltre le prime stime che parlavano di 12 - 15 mila persone. Non solo. Attualmente nelle patrie galere sono rinchiuse 37 mila 620 persone, un numero che va al di sotto della capienza regolare (stabilita cioè dai regolamenti penitenziari delle singole strutture), che si assesta a circa 43 mila. I dati li ha forniti ieri il deputato della Rosa nel Pugno Sergio D’Elia, arrivato a Pordenone per una visita al "Castello", il carcere circondariale della città sul Noncello. Il segretario di Presidenza della Camera (la sua elezione scatenò violenti polemiche perché D’Elia, ex esponente di Prima Linea fu condannato a 25 anni di prigione in quanto coinvolto all’assalto del carcere di Firenze e ne scontò più o meno una dozzina) ha fornito anche altri dati, ma soprattutto ha voluto rimarcare la bontà del provvedimento. "I numeri parlano chiaro - ha spiegato - e in particolare quello che più conta è che non si è verificata quell’ondata di violenza e di pericolo sociale che qualche Cassandra aveva previsto. I detenuti usciti con l’indulto che si sono poi macchiati di delitti per i quali è stata necessaria nuovamente la carcerazione, sono stati in tutto una decina. Percentuali infinitesimali". Ma D’Elia non si è fermato qui. È andato avanti con il concreto rischio di stravolgere i delicati equilibri che tengono in piedi la maggioranza di centrosinistra. Già, perché ha dato due spallate non da poco su settori "delicati" che più volte hanno marcato differenze all’interno della compagnie che regge Romano Prodi: la modifica della Bossi - Fini e la depenalizzazione delle droghe leggere. Di più. Il parlamentare della Rosa nel Pugno ha anche fatto presente che sarà necessario "trovare strumenti legislativi per decriminalizzare quei reati comuni come scippi, rapine e furti commessi da tossicodipendenti per procurarsi la droga". "Si deve mettere mano al codice penale e alla giustizia - ha spiegato Sergio D’Elia - perché ci sono 10 milioni di processi dei quali 6 milioni e mezzo penali. I tempi sono lunghissimi e già tante volte l’Europa ha condannato l’Italia per i ritardi". Ma come risolvere la questione? Dopo l’indulto una amnistia. "È l’unica strada da percorrere - ha fatto presente - ma il provvedimento deve essere molto ampio: si dovrà fare la più grande amnistia della storia repubblicana". E la certezza della pena? E la tutela del cittadino onesto che non ha mai commesso reati? "Non è possibile fare altrimenti se vogliamo mettere mano ai problemi della giustizia". Ma se dopo pochi mesi le carceri tornano a riempirsi dovranno scattare altri benefici? "Serve un cambiamento legislativo - è andato avanti - che deve portare per prima cosa all’abrogazione della legge Bossi - Fini che non ha dato le risposte che il centrodestra si aspettava . È necessario ampliare le quote di accesso anche perchè lo chiedono gli imprenditori, specialmente nel Nordest che è lo zoccolo duro del voto per la Casa delle Libertà. Alcune indicazioni su questo fronte le ha date il Ministro dell’Interno, Giuliano Amato. La concessione della cittadinanza italiana agli immigrati dopo cinque anni di residenza può sicuramente aiutare perché i reati commessi dagli stranieri in regola sono pochissimi. È l’irregolarità che si associa ai comportamenti criminosi". Infine le droghe. "Depenalizzare quelle leggere e decriminalizzare i reati dei tossicodipendenti che hanno agito per il bisogno di trovare la dose. Se a questo si aggiunge una applicazione corretta della legge Gozzini - ha concluso il parlamentare - le carceri non saranno più invivibili a causa del sovraffollamento". Indulto: Sappe; intervenire adesso per migliorare le carceri
Apcom, 29 agosto 2006
"A nemmeno un mese dall’approvazione della legge sull’indulto, sono più di 20mila i detenuti usciti fino ad oggi dalle carceri del Paese per effetto dell’indulto. Di questi, 7mila circa sono gli stranieri. E questi dati vanno ben oltre ogni stima iniziale, che parlava di circa 12mila potenziali fruitori del provvedimento. Il numero maggiore di detenuti è uscito dalla Lombardia (3mila), Campania, Sicilia e Lazio (tutte con più di 2mila beneficiari del provvedimento). Ciò ha comportato naturalmente un parziale alleggerimento delle drammatiche condizioni di lavoro del Personale di Polizia Penitenziaria, considerato che il sovraffollamento dei penitenziari ricade principalmente proprio sui poliziotti penitenziari, che sono impiegati nelle sezioni detentive 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, con notevole stress psico-fisico ormai in una irreversibile inferiorità numerica rispetto ai detenuti presenti. Ora è necessario che Governo e Parlamento si diano da fare per interventi strutturali al sistema penitenziario nazionale". È il commento della Segreteria Generale del Sindacato di Polizia Penitenziaria Sappe, il più rappresentativo della Polizia Penitenziaria con oltre 12mila iscritti, circa gli effetti dell’approvazione dell’indulto. "È ora opportuno" aggiunge il Sappe "che per non vanificare in pochi mesi questo atto di clemenza Governo e Parlamento prendano con urgenza provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci ed incrementando quindi gli organici di Polizia Penitenziaria cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale; un maggior ricorso alle misure alternative alla detenzione non legato ad automatismi ma a un concetto davvero premiale; una legge sugli extracomunitari che permetta espulsioni più facili piuttosto che la detenzione in Italia (a livello nazionale sono il 30% - circa 20mila - i detenuti stranieri, percentuale che si raddoppia negli Istituti del Nord Italia). È davvero necessario ripensare il carcere. Bisogna adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario, come chiesto anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. All’approvazione dell’indulto dunque devono seguire interventi strutturali sull’esecuzione della pena, che garantiscano la giusta sanzione a chi commette reati soprattutto a tutela delle vittime della criminalità e che rendano la pena uno strumento efficace per ripagare la società del reato commesso. Oggi chi sconta la pena in carcere non ha nulla da fare: è forse il caso di ripensare all’introduzione del lavoro obbligatorio per i detenuti, con un 50% della retribuzione destinato a chi lavora e l’altro 50% in un Fondo dello Stato da destinare alle vittime della criminalità. Altrimenti qual’è l’aspetto sanzionatario ed afflittivo della pena? ". "Adesso auspichiamo che Governo e Parlamento assumano i provvedimenti di competenza" conclude il Sappe, "a cominciare dalla riassunzione in servizio dei circa 530 agenti di polizia penitenziaria ausiliari, licenziati a fine 2005 e dall’individuazione di provvedimenti legislativi che potenzino maggiormente l’area penale esterna". Giustizia: Manconi; con misure alternative meno recidivi
Ansa, 29 agosto 2006
Il rischio di recidiva è esponenzialmente inferiore per chi è condannato a misure alternative alla detenzione rispetto a chi è recluso in carcere: lo ha detto al Meeting di Rimini Luigi Manconi, sottosegretario alla Giustizia con delega agli affari penitenziari. "Una ricerca del 1998 realizzata dal dipartimento Affari penitenziari - ha spiegato Manconi in una conferenza stampa - diceva che oltre il 70% di chi usciva dal carcere per fine pena ci ritornava, e nel 2002 un altro studio diceva che il 48% dei detenuti condannati a una pena definitiva hanno almeno un altra condanna. Le percentuali di recidiva, invece, crollano per i condannati a misure alternative. Sembrerà strano perché a fare notizia sono solo i casi Izzo, ma solo l’1,3% dei condannati alle misure alternative viola i vincoli; se il dato provvisorio ci dice che solo l’1,3% di chi ha lasciato il carcere grazie all’indulto ci è tornato, allora vuol dire che la situazione non è in alcun modo emergenziale". Lombardia: Anci; progetto borse-lavoro per gli ex detenuti
Ansa, 29 agosto 2006
La sezione lombarda dell’Anci, l’Associazione nazionale comuni italiani, ha aderito al progetto del Provveditorato amministrazione penitenziaria di Milano, che prevede la realizzazione di borse lavoro per i dimessi dal carcere a seguito del provvedimento di indulto. Si tratta del primo atto concreto, spiega in una nota l’Anci Lombardia, dopo che nei giorni scorsi le questioni relative all’indulto erano state al centro di alcune riunioni dell’associazione, alla presenza degli assessori alle Politiche sociali dei capoluoghi di provincia lombardi e dei rappresentanti della Regione Lombardia, del Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria e del Centro di giustizia minorile. "Per quanto riguarda le borse lavoro - sottolinea Lorenzo Guerini, presidente di Anci Lombardia - le singole amministrazioni comunali concorderanno con i locali uffici dell’Esecuzione penale esterna le modalità di collaborazione ed il coinvolgimento delle rete dei servizi e delle risorse per l’inserimento lavorativo attive nei rispettivi territori". Secondo Guerini, dunque, "si sta dando piena attuazione all’invito che il ministro Clemente Mastella ha rivolto al presidente dell’Anci Dominici, sottolineando l’importanza di un lavoro comune fra tutte le istituzioni presenti sul territorio". Torino: Sindacato Autonomo Polizia; la Lega Nord ha ragione
Ansa, 29 agosto 2006
Otto arrestati su dieci sono extracomunitari e oltre 500 detenuti, in maggioranza stranieri, sono stati rilasciati con l’indulto: sulla base di questi dati la sezione di Torino del Sap (Sindacato autonomo di polizia) denuncia le conseguenze dell’indulto, dicendosi "in linea con la denuncia della Lega Nord sulla questione. Per verificare di persona la situazione di Torino, il segretario provinciale del Sap, Silverio Sabino, ha invitato i ministri Mastella e Ferrero a una visita in città, "da Porta Palazzo ai Murazzi, passando per Porta Nuova", che definisce "la città vera, non quella tirata a lustro e ripulita per un paio d’ ore, quando il potente di turno arriva con la propria scorta a fare il turista per caso". Giustizia: prefetto di Roma; l’indulto può far aumentare i reati
Il Tempo, 29 agosto 2006
"L’attuazione del recente provvedimento di clemenza può determinare una lievitazione del pericolo di commissione di reati, specie di quelli a carattere patrimoniale". Lo scrive il prefetto di Roma Achille Serra in un documento sull’indulto inviato al presidente vicario del Tribunale di Roma Alberto Bucci e al procuratore della repubblica Giovanni Ferrara, affinché tengano conto di ciò, anche alla luce di altri aspetti riguardanti l’ordine pubblico, ai "fini della eventuale richiesta dell’ausilio della forza pubblica per compiti di varia natura, anche quando connessi alla tutela di diritti patrimoniali". L’ammonimento del rappresentante di governo nella Capitale scaturisce dal richiamo fatto dal ministro dell’Interno "sulle esigenze - è detto nel documento - di ottimizzazione dell’impiego delle risorse, umane e strumentali, delle forze di polizia in occasione del periodo estivo". "Tale necessità - afferma Serra nella missiva inviata a piazzale Clodio - è tuttavia sensibilmente avvertita, in dipendenza di vari fattori consistenti, ad esempio, nell’affollamento delle località di richiamo turistico, con conseguente crescita del pericolo di scippi e rapine, anche per la trasmigrazione di elementi criminali in dette località, nonché del maggior rischio di furti negli appartamenti e di altri episodi di criminalità predatoria, soprattutto a danno di persone anziane e di altri soggetti particolarmente vulnerabili". Quanto agli aspetti legati alla scarcerazione di numerosi detenuti in applicazione dell’indulto, il prefetto di Roma sottolinea "la necessità di valutare adeguatamente le esigenze connesse all’impiego di personale, onde privilegiarne l’utilizzazione nei servizi di prevenzione e controllo del territorio". Da qui - si afferma nel documento inviato ai magistrati - l’esigenza di evitare "ogni forma dispersiva che attenui o incida negativamente sulla capacità operativa e sui livelli di efficienza dei servizi in questione". Dagli istituti penitenziari romani sono usciti 589 detenuti di Rebibbia e 118 di Regina Coeli. I primi di agosto, una circolare urgente del Viminale era stata inviata a tutti i prefetti perché mettessero in atto "necessarie azioni" di prevenzione generale dei reati in relazione al recente provvedimento di clemenza che "può determinare una pericolosa lievitazione della commissione di reati, specie quelli a carattere patrimoniale". Il Viminale invitava a porre in atto "servizi di prevenzione e controllo del territorio" utilizzando tutto il personale disponibile e raccomandava di evitare qualsiasi forma di dispersione degli uomini delle forze dell’ordine "che possa incidere sulla capacità operativa e sui livelli di efficienza dei servizi di controllo". Vicenza: consegnati 527 libri ai detenuti del San Pio X
Il Giornale di Vicenza, 29 agosto 2006
Dopo una partenza sottotono nel dicembre scorso, l’iniziativa "Liberi di leggere", lanciata dalla Biblioteca Bertoliana a favore dei detenuti della casa circondariale di Vicenza, è giunta a risultati soddisfacenti sia sul piano del numero dei libri acquisiti sia sul piano della sensibilità che si è diffusa intorno a questa tematica. È l’indicazione che arriva dal presidente Mario Giulianati e dal Consiglio di amministrazione della storica istituzione di contrada Riale. Il progetto, nato nell’ambito della più ampia collaborazione tra la stessa Bertoliana, il Comune di Vicenza e la direzione della casa circondariale di Vicenza, ha portato infatti in questi giorni alla consegna alla biblioteca dell’istituto penitenziario di 527 volumi. Si tratta per lo più di narrativa corrente, ma anche di classici, acquistati per questo scopo dai clienti delle 16 librerie (11 di Vicenza) che hanno aderito all’iniziativa natalizia dello scorso anno, oppure donati da privati e consegnati nelle 14 biblioteche aderenti al servizio bibliotecario provinciale (8 di Vicenza). Sebbene la maggior parte delle librerie abbia concluso questa prima fase dell’iniziativa, alcune di esse si sono rese disponibili a tenere viva la raccolta sia di denaro che di donazioni librarie con l’esposizione dei contenitori in via continuativa. Un ulteriore risultato raggiunto è il moltiplicarsi delle donazioni librarie anche direttamente alla casa circondariale, donazioni grazie alle quali la Bertoliana implementerà ulteriormente la biblioteca del carcere. Tutte queste nuove acquisizioni sono state catalogate e inserite nel catalogo cumulativo del servizio bibliotecario provinciale visibile all’indirizzo http://biblioteche.provincia.vicenza.it/, riconoscibili per la sigla "Casa Circondariale".. È in corso inoltre, in accordo con la direzione e il personale dell’istituto penitenziario, un riassetto dell’ordinamento della biblioteca per renderla a poco a poco simile alle biblioteche pubbliche a cui tutti siamo abituati. Giustizia: Calissano libero a metà gennaio grazie a indulto
Tg Com, 29 agosto 2006
Paolo Calissano, accusato della morte per overdose di una ballerina brasiliana, sarà libero da metà gennaio 2007, per effetto dell’indulto d’ufficio. La notizia è trapelata negli ambienti della Procura. L’attore genovese, quindi, beneficerà di tre anni di sconto di pena. Per i fatti accaduti nel settembre dello scorso anno, aveva patteggiato una condanna a 4 anni, dei quali aveva già scontato 7 mesi ai domiciliari. La notizia è trapelata negli ambienti della procura dove l’ ufficio esecuzione pena sta vagliando i numerosi casi di detenuti con sentenze definitive che hanno diritto all’applicazione di questo provvedimento deciso dal Parlamento. Il difensore, l’avvocato Carlo Biondi, alla notizia dell’applicazione d’ufficio dell’indulto per il suo assistito, ha spiegato di non averne ancora notizia e di non aver fatto richiesta in tal senso, anche perché il provvedimento in questi casi è automatico. Il legale, che è in vacanza, ha invece annunciato che presenterà per Calissano la richiesta di liberazione anticipata, avendo l’ attore già scontato oltre sei mesi di detenzione. Il tribunale di sorveglianza di Genova il 28 luglio aveva accolto l’istanza presentata dal legale per l’affidamento terapeutico alla Comunità per tossicodipendenti "Fermata d’Autobus" di Trofarello (Torino) e al Sert di Genova. Calissano, già con questa decisione, aveva evitato il carcere. L’attore ha trascorso il mese di agosto in Sicilia, in un alloggio della comunità di Trofarello, dove è stato sottoposto, insieme ad altri ospiti, a terapie mirate per guarire dalla tossicodipendenza. La notte in cui morì la ballerina, anche Calissano venne trovato in overdose e fu salvato grazie al tempestivo intervento dei militi di una pubblica assistenza, chiamati da un amico dell’ attore, a sua volta presente nell’abitazione dove si era svolto il droga-party.
"Mi è tornata la voglia di vivere"
"Dire che a Natale sarò a casa, forse è un po’ troppo, ma non passeranno molti giorni da quella data". Paolo Calissano aspetta con ansia di essere nuovamente un uomo libero. Raggiunto telefonicamente nella comunità terapeutica di Trofarello, nel Torinese, dove sta portando avanti il suo programma terapeutico, non nasconde la sua gioia. "Per me avere tre anni di condanna condonati dall’indulto rappresenta un segno del destino. Ho tanta voglia di ricominciare, di tornare al mio lavoro: ho finalmente ritrovato la gioia di vivere, gli entusiasmi di un tempo. In questo mi hanno aiutato le oltre quindicimila lettere che ho ricevuto dal giorno del mio arresto ad oggi. Le conservo tutte dentro alcuni scatoloni: ognuna di esse mi è cara. Proprio per tutti i miei fan sento il dovere di ricominciare e dare loro quello che si aspettano da me". L’attore, lo scorso 23 marzo, aveva patteggiato la pena di quattro anni di carcere. Era accusato di omicidio colposo in conseguenza di un altro reato: la cessione di cocaina che aveva causato la morte per overdose della ballerina brasiliana Ana Lucia Bandeira Bezerra. La donna fu trovata senza vita nell’abitazione dell’attore in via Boselli il 25 settembre di un anno fa. Paolo Calissano, consigliato dal suo avvocato Carlo Biondi, aveva deciso di chiedere il patteggiamento per concludere il più velocemente possibile l’iter giudiziario e quindi per lui è stata pronunciata una sentenza definitiva: oggi è tra quelle pene che l’indulto diminuisce di tre anni. I primi di settembre il dottor Bruno di "Vivere" avrà trascorso sei mesi agli arresti domiciliari. L’avvocato Biondi chiederà per lui la liberazione anticipata di 45 giorni, come prevede la legge in caso di buona condotta. A Calissano resteranno da scontare allora ancora quattro mesi mezzo, quindi verso la metà di gennaio sarà un uomo libero. Ma valutando la situazione è possibile che le porte della comunità terapeutica si aprano per lui anche qualche giorno prima, giusto per trascorre Natale a casa. "È un provvedimento giusto - commenta ancora l’attore a proposito dell’indulto - perché con esso si è voluta dare una minima umanizzazione alla vita dei carcerati . Ora si tratterà di creare nuove strutture per cercare di migliorare il problema a monte. Per quel che mi riguarda ripeto: per me è stato un segno del destino. I miei programmi? Tanti e anche importanti. Penso che potrebbe concretarsi un primo lavoro al quale tengo molto già la prossima primavera. Un mio testo che vorrei anche interpretare. Sì, avrà qualche collegamento con quanto ho vissuto in questo ultimo anno. Lavorerò ma starò sempre in contatto con l’équipe terapeutica che tanto mi ha aiutato in questo periodo. Ora mi sento forte e fiducioso e voglio continuare in questo modo senza più commettere errori. Quello che è accaduto sarà sempre presente dentro di me: purtroppo alcune cose succedono senza che uno lo voglia, senza che ne sia cosciente... Come chi va forte in auto: è chiaro che rischia un incidente. Io non voglio più rischiare nulla. Voglio tornare l’attore che ha fatto sognare tanti spettatori... Questo è quello che i miei fan mi chiedono nelle loro lettere e questo è quello che cercherò di fare con tanto entusiasmo". Rimarrà nella comunità di Trofarello, Paolo Calissano sino al giorno in cui ritornerà un uomo libero. In quella comunità in cui ha imparato a conoscere tanti giovani con storie disperate e che piano piano stanno ritrovato la forza di tornare a vivere". Salerno: muore in moto 16enne in permesso dalla comunità
Il Mattino, 29 agosto 2006
Sarebbe dovuto rientrare ieri sera in una comunità per minorenni Carmine Libetti, il sedicenne morto sabato sera in un incidente stradale in via Carlo Tramontano. Il ragazzo aveva ottenuto dal presidente del tribunale per i minorenni un permesso per stare due giorni a casa, a partire dal sabato in cui ha trovato la morte. Una beffa del destino per il giovane paganese, soprannominato "Cinque chili jr", che era ospite della comunità, dopo che alcuni mesi fa, assieme ad altri due giovani, era stato arrestato per rapina, furto e detenzione di un’arma. Un ragazzo con i suoi problemi, Carmine, già denunciato a piede libero lo scorso anno assieme ad altri due parenti in un’operazione dei carabinieri nella quale fu trovato una sorta di allevamento di tre cani da combattimento pitbull e di un rotwailer nel rione Casa Marrazzo, non lontano dal castello di Corte in Piano. "Problemi si, ma tanta voglia di vivere e di imboccare una strada nuova per la sua esistenza - afferma il suo avvocato Bonaventura Carrara - Carmine frequentava una scuola di pugilato e disputava incontri dilettantistici, già con numerose vittorie nel palmares. Una volta scarcerato, sarebbe stato impegnato in lavori di pubblica utilità a Salerno". Il magistrato lo aveva autorizzato a stare a casa sua durante il permesso, dove doveva rimanere, tranne sabato mattina per andare nell’abitazione della nonna. Ma la sera del 26 agosto, la sua nota passione per la moto ha preso il sopravvento e, eludendo la sorveglianza dei genitori, ha deciso di uscire di casa e "farsi un giro" sulla Suzuki su cui troverà la morte. Per Libetti, i funerali saranno celebrati questa mattina alle 10, nella basilica di Sant’Alfonso. Sul fronte investigativo, il pm Sabrina Serrelli della procura della repubblica di Nocera Inferiore, che dirige le indagini eseguite dai carabinieri della tenenza paganese, ha disposto l’autopsia sul cadavere di Tommaso Romano, conducente della Suzuki Gsx 750 su cui viaggiava Libetti. Il medico legale Giovanni Zotti dovrà stabilire le esatte cause della morte del giovane e le condizioni fisiche in cui si trovava il venticinquenne conducente della moto, al momento dell’incidente.Nel frattempo, i carabinieri del tenente Giuseppe Castrucci hanno ascoltato diversi testimoni presenti al sinistro stradale. La dinamica che appare più veritiera vede la Fiat Punto condotta da uno studente universitario - figlio di un ristoratore con un locale in Germania - che sabato sera esce dal parco "Verde" all’altezza del civico n. 54 e s’immette su via Carlo Tramontano in direzione Nocera. In questo momento, sopraggiunge sulla stessa direttrice di marcia la Suzuki con a bordo Romano e Libetti che impatta contro la Punto e i due motociclisti finiscono sotto una Fiat Seicento parcheggiata. Alcuni testimoni, inoltre, avrebbero visto la moto impennare sulla ruota posteriore, ma atterrare prima di raggiungere la Punto. Non vale a molto sapere che la moto era sottoposta a sequestro amministrativo, pare a seguito di una contravvenzione per mancato uso del casco (sabato sera, pare che Romano indossasse il casco, Libetti no). Mentre si indaga sulla vicenda, i paganesi sono rimasti attoniti di fronte a questa nuova tragedia, dopo che il 12 agosto scorso aveva perso la vita un altro motociclista Umberto Sorrentino di 23 anni, a bordo della sua Yamaha R6. Pordenone: Sergio D’Elia; in città non serve un nuovo carcere
Il Gazzettino, 29 agosto 2006
"Il nuovo carcere di Pordenone? Non serve e non è certo una priorità". Gela tutti il parlamentare della Rosa nel Pugno, Sergio D’Elia, membro della commissione Giustizia e segretario dell’Associazione "Nessuno tocchi Caino", in città per una visita al Castello. Come se non bastassero tutti i problemi già esistenti, ultimo dei quali la bocciatura della gara da parte della Commissione Europea, ora anche da parte di un rappresentante della maggioranza di Governo arriva uno stop ad un progetto che - ironia della sorte - è in piedi da circa 25 anni. Eppure Sergio D’Elia, ieri a Pordenone insieme a Stefano Santarossa dei Radicali e a Elisabetta Zamparutti è stato chiarissimo. "Non servono nuove strutture. Anzi, il carcere di Pordenone proprio perché integrato nel tessuto cittadino ha svolto la sua funzione molto meglio rispetto ad altre strutture sradicate dalla realtà sociale e inserite in un contesto periferico. A Pordenone - è andato avanti - l’integrazione tra i detenuti, i servizi sociali dei Comuni, le Associazioni e l’amministrazione penitenziaria ha garantito che si creasse un clima favorevole". Sarà anche così, ma quello che conta è come è ridotto il Castello. Celle piccole, tanti detenuti, impossibilità a svolgere ogni tipo di iniziativa utile al reinserimento e grosse difficoltà anche per le guardie carcerarie. Per D’Elia, però, i presupposti sono cambiati. Con l’indulto. "Dalla struttura carceraria di Pordenone - spiega - con il provvedimento legislativo sono stati rimessi in libertà 20 detenuti e altri 2 -3 usciranno tra poco. Questo ha comportato il fatto che attualmente ci siano 63 detenuti a fronte dei 53 previsti da regolamento. La situazione, dunque, è decisamente migliorata e potrebbe essere ancora migliore se gli strumenti legislativi venissero fatti funzionare bene. Penso alla legge Gozzini: una corretta applicazione di questa norma garantirebbe al carcere del capoluogo di non essere più sovraffollato e quindi di poter svolgere appieno alla sua funzione senza la necessità di realizzarne uno nuovo". Il parlamentare della Rosa nel Pugno va avanti. "Allo stato attuale nella sezione dei detenuti comuni la situazione è vivibile. Ce ne sono 18 con quattro celle. I letti a castello non sono tutti occupati e c’è lo spazio sufficiente". Discorso diverso, invece, per i detenuti "protetti", quelli che sono accusati (o sono stati condannati) per reati sessuali. "Su questo fronte - è andato avanti D’Elia - le cose vanno peggio. I detenuti sono 45 e le celle disponibili sono 9. Ma il problema è un’altro: Pordenone è l’unica struttura deputata ad ospitare i "protetti" praticamente dell’intero triveneto e per questo ci sono problemi di sovraffollamento. Ritengo, però, non sia necessario costruire un nuovo carcere, basterebbe affrontare il problema cercando anche altre sedi". Ma come la mettiamo se gli effetti dell’indulto tra qualche mese si esaurissero e al Castello dovessero tornare i 70 - 75 detenuti che c’erano solitamente? "L’ho già detto - ha concluso il parlamentare - l’applicazione della legge Gozzini, alcune nuove norme legate alla cancellazione della Bossi - Fini e alla depenalizzazione delle droghe leggere e di alcuni reati connessi all’uso di droghe pesanti, risolverebbero la situazione e non ci sarebbe bisogno di altre carceri. Tantomeno a Pordenone dove voglio ricordare che la direzione penitenziaria ha fatto un ottimo lavoro e sono convinto che continuerà ad andare avanti su questa strada". C’è da aggiungere che allo stato attuale sono detenute al Castello 3 persone in regime di semilibertà, 36 stranieri e 25 con sentenze passate in giudicato. Tredici, infine, i detenuti tossicodipendenti. Secca la replica del sindaco Sergio Bolzonello, dopo le dichiarazioni di Sergio D’Elia. "Credo sia una follia quanto dichiarato. Evidentemente quando ha visitato il carcere di Pordenone D’Elia non si è accorto dello stato in cui si trova: aveva gli occhi girati da un’altra parte. In caso contrario si sarebbe accorto che non c’è lo spazio, né per i detenuti impossibilitati a fare ogni tipo di attività legata al reinserimento, né per gli stessi agenti penitenziari che stanno facendo salti mortali per poter operare. Non capisco proprio come abbia potuto fare affermazioni del genere anche a fronte del fatto che da anni si stanno muovendo tutti per arrivare alla realizzazione di un nuovo carcere, compresi i parlamentari dei due schieramenti opposti. Per quanto ci riguarda - ha concluso - il Comune farà quanto nelle sue possibilità per arrivare nei tempi più brevi possibile ad avere una nuova struttura". Ragusa: un aiuto agli ex detenuti beneficiari dell’indulto
La Sicilia, 29 agosto 2006
Vertice degli assessori ai servizi sociali del comprensorio ieri a palazzo San Domenico per discutere in merito ai problemi legati all’assistenza da dare agli ex detenuti che di recente hanno beneficiato del provvedimento d’indulto, tornando in libertà. È stato l’assessore Paolo Garofalo a farsene promotore alla luce delle varie problematiche che sono emerse di recente investendo gli organi istituzionali e nell’ambito del Distretto socio-sanitario n.45 che comprende giurisdizionalmente i comuni di Modica, Scicli, Ispica e Pozzallo. Alla riunione erano presenti anche i rappresentanti delle forze dell’ordine, anche alla luce di alcuni eventi che si sono verificati in questi giorni e che rischiavano di determinare dei problemi di ordine pubblico. Intanto è stato sancito il principio che tutto dovrà fare capo al servizio degli assistenti sociali, che è stato pertanto allertato. Ci sarà un primo immediato intervento d’emergenza per far fronte con le poche risorse finanziarie di cui dispongono i Comuni alle prime necessità. Per il resto si sta approntando un apposito progetto, così come è stato già concordato in precedenza nel corso di una riunione svoltasi in Prefettura, tenendo anche conto di quanto in materia è stato disposto a livello nazionale con intervento dello Stato. L’obiettivo è quello di potere, attraverso la collaborazione degli assistenti sociali, pervenire ad avere un quadro completo delle necessità, e quindi potere assicurare in maniera mirata non solo assistenza ma anche delle possibilità occupazionali. Si vuole fare in modo per il resto che anche dal punto di vista dell’ordine pubblico si eviti l’insorgere di problemi, facendo in modo che tutto faccia capo ad un’unica istituzione. Va ricordato che anche per l’assistenza sanitaria già da qualche settimana era stato disposto che essa venisse assicurata da parte dell’ospedale Maggiore. Treviso: sette overdose per l'eroina nell’ultima settimana
Il Gazzettino, 29 agosto 2006
Nella sola settimana tra il venti e il ventisette sono stati chiamati sette volte i mezzi del Suem del solo ospedale di Treviso per ricoveri da overdose di eroina. "È certamente una coincidenza con il provvedimento di indulto, che ha fatto uscire oltre che i ragazzi condannati perché avevano pochi grammi, anche gli spacciatori con dosi molto più consistenti", dicono gli addetti ai lavori. L’indulto ha tolto ben tre anni dalle condanne: così hanno potuto uscire anche detenuti faticosamente condannati a 5 o 6 anni (a metà pena è prevista la semilibertà). Nessuno dei sette è morto; età media attorno ai 25/30 anni; causa, o solo l’eroina o i mix tremendi tra pastiglie ed eroina che rovinano il cervello e che sulla distanza rendono una persona una specie di automa catatonico, incapace di reagire ad altro stimolo che a quello della ricerca dello stupefacente. Sono riconoscibili per la magrezza: perfino il nutrirsi diventa una necessità assolutamente di quint’ordine e relativa al minimo necessario. I giardinetti di Sant’Andrea sono invece spesso la meta di chi si inietta e mixa con pastiglie o alcoolici, e costringe i mezzi del soccorso a lunghi interventi che a volte si concludono con il ricovero, a volte no. Del resto gli stessi operatori non possono fare molto. Una volta passata la crisi da eventuale overdose, la persona torna in libertà e ricomincia. Tutti quelli che sono usciti da un giorno all’altro dalla casa circondariale, e magari sono senza famiglia, non hanno pensato ad altro che a qualche sistema per procurarsi lo stupefacente". Il progressivo indebolimento che il fisico della persona subisce, fa sì che prima o poi questi tossicodipendenti siano destinati ad una fine ben triste, ormai inevitabile. Chi comincia a drogarsi magari a quindici sedici anni, ha un fisico devastato già quando raggiunge i trenta. Livorno: mostre; i detenuti custodi delle opere di Ciardi Duprè
Ansa, 29 agosto 2006
Sorvegliati che sorvegliano l’arte. È l’iniziativa dell’artista fiorentina Amalia Ciardi Duprè, che per la sua mostra personale "I miti sono con noi e il mare li custodisce", fino al 30 ottobre al centro culturale De Laugier di Portoferraio, ha affidato la biglietteria e la sorveglianza delle opere alla Cooperativa Sociale San Giacomo di carcerati dell’Isola d’Elba. Impegnata da anni sui temi del sociale, Amalia Ciardi Duprè, propone, sullo sfondo dell’ antica Portoferraio, un’ampia panoramica sulla sua produzione artistica degli ultimi 25 anni con cinque grandi bronzi, una quarantina di sculture e 27 studi grafici, fra cui numerose opere inedite. Sulla scalinata rosa della cittadina, fatta costruire da Cosimo I, il grande bronzo della Venere da Castiglione accoglie il visitatore e lo conduce nel cuore della mostra il cui ricavato sarà devoluto alla stessa Cooperativa San Giacomo per creare nuove opportunità di inserimento lavorativo e sociale dei detenuti. Fra le opere in mostra ‘Sognò con cui l’artista ha vinto un’edizione del "Fiorino d’Oro". "La materia mitologica - spiega Amalia Ciardi Duprè - per me è come una sorta di riflessione su valori universali che proprio attraverso la consolazione del mito mi hanno dato l’opportunità di cercare un’ interpretazione all’essenza della vita". La mostra all’Isola d’Elba, il cui suggestivo allestimento è reso possibile grazie alla Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron e all’ Ente Cassa di Risparmio di Firenze, rappresenta una tappa importante nella carriera dell’artista, perché coincide con una scelta precisa della scultrice, ultima erede della grande tradizione di famiglia: lasciare a Firenze, indiviso, il frutto di una vita del suo straordinario talento, attraverso la donazione delle sue opere più famose alla Fondazione Parchi Monumentali Bardini e Peyron che conserverà le sue sculture in via permanente, nel giardino della Villa Peyron al Bosco di Fontelucente vicino a Fiesole. Padova: corso di difesa personale per gli agenti penitenziari
Giustizia.it, 29 agosto 2006
La formazione rappresenta il veicolo privilegiato per dar valore e accrescere il bagaglio professionale degli operatori; partendo da questo concetto, si è cercato di dare ampio spazio alle richieste espresse dagli operatori al fine di rendere più "vivace" e coinvolgente la Formazione. Nasce così il Progetto "Fight club? No!, solo legittima difesa". Il gruppo di progetto costituito da varie figure professionali ha cercato di coniugare le esigenze espresse dagli operatori con gli input pervenuti dal Dap, dopo la formazione di Istruttori appartenenti al Corpo di Polizia Penitenziaria,proponendo un progetto di natura sperimentale che oltre alla didattica comprendesse anche un addestramento pratico al fine di portare il Personale di Polizia Penitenziaria al raggiungimento di una preparazione rivolta esclusivamente alla tutela dell’incolumità personale e nei confronti di terzi. Il corso che ha visto coinvolti circa 30 unità si è distinto per interesse e socializzazione, infatti va sottolineato come la formazione rappresenti un momento sì di arricchimento professionale ma anche di scambio di esperienze e di ritrovata Unità di Corpo. Il gruppo in breve tempo, nonostante un livello di preparazione fisica eterogenea,ha raggiunto un addestramento tale che ha permesso ai discenti di acquisire un maggior controllo ed una maggiore sicurezza delle proprie capacità professionali da spendere nell’ambiente in cui operano che spesso si caratterizza per gli eventi critici da affrontare. Il clima di attenzione creatosi all’interno del gruppo ha permesso di effettuare delle esercitazioni di livello superiore che prevedevano oltre all’applicazione delle tecniche basilari anche il disarmo con recupero arma da attacchi con bastone e coltello. È stato inoltre possibile inserire anche alcune tecniche di disarmo da pistola nonché l’uso e il maneggio dello sfollagente in dotazione. L’atmosfera di "complicità" tra i corsisti si è mantenuta anche durante le lezioni teoriche, tanto da coinvolgere tutti i partecipanti a porre domande, sempre pertinenti, a seconda della materia trattata. Il coinvolgimento del Personale di Polizia Penitenziaria in questa esperienza Formativa conferma che il "senso di appartenenza" evidenziato dal gruppo, oltre che a costituire una visibile realizzazione di una moderna gestione del personale, è la dimostrazione che la volontà di operare per unità di intenti può rilevare in tutti quei posti di servizio, in istituto o fuori, ove l’agire in gruppo motivato ed omogeneo costituisce un reale fattore di miglioramento del servizio stesso. La riprova che la formazione è anche un momento di aggregazione è dimostrata dal fatto che alcuni componenti del gruppo si sono attivati, fuori dall’orario di servizio per "realizzare" un cd con foto e filmato a testimonianza dell’esperienza vissuta. Sull’onda del positivo traguardo raggiunto è stato già inviato un nuovo progetto da rivolgere al restante Personale di Polizia Penitenziaria in servizio negli Istituti esclusi dalla I edizione sperimentale.
Ufficio della Formazione Prap Padova Rosa De Marco Aurelio Lococo Droghe: cocaina; a Roma parte un progetto per i consumatori
Redattore Sociale, 29 agosto 2006
Al via anche a Palombara Sabina (Roma) il "Progetto cocaina", realizzato dall’associazione Dianova; l’intervento, finanziato da fondi privati, prevede moduli residenziali e di breve durata. Questa nuova attività nasce dall’esperienza maturata attraverso il progetto Contraddiction, "Centro di Trattamento per consumatori di cocaina", che prevede sviluppo sperimentale triennale ed è stato avviato lo scorso anno a Milano da Associazione Saman (titolare del progetto), Associazione Dianova, Aisel, Cad, Cart e Cooperativa Atipica, destinato ai consumatori problematici di cocaina privi di gravi compromissioni sul piano sociale, lavorativo, psichiatrico e fisico. Una categoria che, "pur essendo numericamente consistente, difficilmente viene intercettata dagli organismi preposti alla cura delle dipendenze", fa notare l’associazione Dianova. Nel 2003 a Milano una ricerca sul consumo problematico di cocaina - realizzata dall’Osservatorio Dipartimento delle Dipendenze Patologiche, Asl Città di Milano in collaborazione con le organizzazione del privato sociale - ha stimato che circa 15.000 milanesi potrebbero presentare forme di abuso o dipendenza da cocaina. Su questa categoria è stato sviluppata un’ipotesi di intervento terapeutico che prevede il raggiungimento di molteplici obiettivi: "sperimentare moduli flessibili e individualizzati di trattamento, destinati alla presa in carico di soggetti che manifestano consumi problematici di cocaina; offrire un servizio di aggiornamento e consulenza, destinato a professionisti e organizzazioni dell’area sociosanitaria (medici di base e ospedalieri, operatori dei Ser.T. e del privato sociale) che possono intercettare le domande di questa categoria di consumatori; offrire un servizio di orientamento rivolto ai cittadini che entrano, più o meno direttamente, a contatto con queste problematiche; valutare, sul piano clinico e organizzativo, l’efficacia dei moduli trattamentali sperimentati". Il progetto viene realizzato presso un Centro, attivo da marzo del 2005, che offre ai consumatori e ai loro familiari la possibilità di intraprendere percorsi individualizzati e modulari, dati dall’integrazione di diverse offerte terapeutiche - informa ancora Dianova: psicoterapia individuale, familiare e di coppia, gruppi psicoterapici, consulenza medica e terapie espressive. È inoltre disponibile un servizio informativo e di documentazione per operatori socio-sanitari, medici di base e altri professionisti della salute. Il Centro è aperto il lunedì, mercoledì e venerdì dalle 17,00 alle 20,00 in Via Montepulciano, 13. Per informazioni e prenotazioni: cell. 339.3442022. Inoltre è attivo il numero verde 800.012729 per informazioni relative al progetto. Per maggiori dettagli sull’iniziativa, si può contattare la comunità Dianova di Palombara in Località Salvia (tel. 0774.66809, palombara@dianova.it). Droghe: cocaina; a Milano continua il Progetto "Contraddiction"
Redattore Sociale, 29 agosto 2006
Bilancio del primo anno di attività di Contraddiction, "Centro di Trattamento per consumatori di cocaina", realizzato avviato a Milano da Associazione Saman (titolare del progetto), Associazione Dianova, Aisel, Cad, Cart e Cooperativa Atipica, destinato ai consumatori problematici di cocaina. Dei 39 contatti avvenuti, 24 sono stati presi in carico. L’88% degli utenti è arrivato a chiedere aiuto senza essere stato inviato dal servizio pubblico; esclusivamente di sesso maschile, il 70% ha un’età che oscilla trai 25 e i 34 anni, il 75% è celibe; tutti gli utenti hanno conseguito la licenza di scuola media e il 58% ha un diploma di scuola superiore. Inoltre il 92% lavora e, tra questi, il 58% ha un’attività lavorativa indipendente, la metà vive con la famiglia di origine. Nella maggioranza dei casi, cioè in percentuale superiore all’80%, non hanno avuto problemi con la giustizia e utilizzano la cocaina sniffandola; il 58% ha iniziato a consumare in un’età compresa tra i 12 e i 19 anni, il 62% usa la cocaina quasi quotidianamente, l’87,50% usa anche altre droghe. "Il risultato dei dati è utile perché ci permette di riflettere sull’andamento del progetto e fornisce indicazioni, coerenti con quanto emerge dalle valutazioni cliniche, sulla peculiarità di un target molto diverso da quello tradizionalmente intercettato dai servizi, ambulatoriali e residenziali, per le dipendenze", fanno notare i realizzatori del progetto Contraddiction, rilevando un altro aspetto importante che emerge dal modo in cui gli utenti siano arrivati al progetto: "Soprattutto la rete informale, costituita dalle altre organizzazioni del privato sociale e da singoli professionisti della salute, si è dimostrata più interessata alle risorse messe in campo dal progetto, rispetto alla rete ‘istituzionalè dei servizi con i quali normalmente le stesse organizzazioni si interfacciano". "Il lavoro svolto sino ad oggi - aggiunge l’associazione Dianova - ci fa capire quanto sia importante la funzione di associazioni come la nostra per poter sperimentare progetti che rispondono a nuovi bisogni urgenti e rivolgersi a quella popolazione che a volte non trova risposte nel servizio pubblico. La speranza è che il progetto possa continuare a operare con le sue forze anche al termine del finanziamento". Giappone: "impronta elettronica" per il controllo dei detenuti
Ansa, 29 agosto 2006
Putiferio in Giappone per un nuovo sistema di controllo biotelematico dei detenuti. Si tratta di un sistema basato su una "impronta elettronica" del sistema venoso delle dita dei detenuti. Si intende sperimentarlo in un nuovo penitenziario, allo scopo di controllare gli spostamenti dei carcerati senza farli accompagnare da guardie. La federazione avvocati ha formulato una protesta ufficiale, giudicando degradante l’innovazione.
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