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Rimini: l’indulto di Clemente Mastella piace ai ciellini
Il Tempo, 25 agosto 2006
È l’unico leader dell’Unione non fischiato, finora. È molto più di un indulto quello che il popolo Cl ha concesso al leader dell’Udeur al Meeting di Rimini. È un vero trionfo per Mastella. La sala dove si parla di "Lavoro nelle carceri" è enorme ma non basta. In molti ragazzi e non solo sono seduti per terra ad ascoltare l’intervento del Ministro che conquista tutti. Alla fine c’è perfino chi gli chiede l’autografo. Si parla di indulto e carceri e Mastella piace perché parla di speranza, fede e perdono. E poi dopo il grande flusso delle scarcerazioni, bisogna pensare a gestire i 20 mila ex detenuti. Gestire gli interventi per il reinserimento nella società di queste persone potrebbe essere una grande occasione anche per Cl e le sue ramificazioni nel volontariato. La sussidiarietà in questo caso può diventare davvero preziosa, e tutti nell’Auditorium della fiera di Rimini lo sanno tutti. Forse anche per questo nessun fischio si alza contro il ministro pur sempre uno degli esponenti di punta del governo Prodi - da queste parti non amatissimo - né alcuna contestazione parte per chi sta in maggioranza con "cattolici adulti" e non credenti. Mastella del resto appartiene alla vecchia scuola Dc e si vede per come parla e per quello che dice. Al contrario degli altri leader che sono intervenuti al Meeting parla a braccio e, nonostante un notevole raffreddore, si fa capire benissimo. Omaggia Giulio Andreotti, altro relatore del convegno, ricordando di aver cercato proprio in lui sostegno alla vigilia della nomina a ministro della giustizia. Sa quello che deve dire per ingraziarsi il pubblico. Sull’indulto come prima cosa dice: "Bisogna sgombrare il campo dalle paure irrazionali", e porta i suoi numeri: "Sono solo 230 gli ex carcerati che sono tornati in carcere dopo essere stati liberati con l’indulto. L’importante è lavorare per non lasciare sole queste persone nell’affrontare la nuova vita". E qui applaudono tutti: vertici e base ciellina sanno che questa ora sarà anche la loro missione. Questo impegno in parte è già realtà: in sala chi applaude più forte è il gruppetto di ex detenuti e volontari della cooperativa Giotto per il recupero dei detenuti di Padova. Ma gli applausi arrivano anche quando Mastella parla a tutto campo di politica e alleanze: "Io non credo nella religione del bipolarismo". E ancora: "Non escludo che prima o poi arriverà il momento in cui di nuovo i cattolici possano essere tutti insieme, non so quando ma questo abbraccio potrà esserci, prima o poi". Per ora suggerisce di seguire più spesso il metodo Libano: "Discutere delle soluzione dei problemi tutti quanti insieme". Prima occasione dovrebbe essere la questione drammatica dell’immigrazione clandestina. Niente via alla Bossi- Fini, Mastella sceglie la strada della sensibilità umanitaria che qui nessuno può contestargli. Anche dopo quando in conferenza stampa qualcuno gli chiede dei Pacs non si fa nemici, almeno a Rimini, e dice tranquillamente: "Non ci sono nel programma dell’Unione". Di fatto gioca sull’equivoco perché nel programma unionista si parla solo di riconoscimento dei diritti alle coppie di fatto, come più tardi gli ricorda Grillini dei Ds, ma il problema c’è. L’importante comunque per Mastella era uscire indenne da fischi. Livorno: riaperto il "caso" della morte di Marcello Lonzi
Ansa, 25 agosto 2006
Saranno riaperte le indagini sulla morte di Marcello Lonzi, il detenuto livornese morto in carcere il 12 luglio 2003. Il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Livorno, Rinaldo Merani, ha infatti accolto l’istanza della procura che ha fatto propria la richiesta avanzata nei giorni scorsi da Ezio Menzione, difensore di Maria Ciuffi, la madre di Lonzi che si è sempre battuta per ottenere la verità sulla morte del figlio. Secondo la precedente indagine della procura livornese Lonzi sarebbe deceduto in seguito a un infarto. Ma le ferite sul suo corpo fecero subito insospettire la madre del giovane che ha sempre sostenuto che la morte del figlio potrebbe essere stata procurata dalle percosse ricevute in cella da parte di alcuni agenti della polizia penitenziaria. Sarebbero state proprio alcune ferite sul corpo di Lonzi a convincere la procura, e poi il Gip, che il caso meritasse ulteriori accertamenti. Ferite che prima non erano state prese in considerazione. Ma tra gli elementi nuovi prodotti vi sono anche alcune tracce di sangue collocate in zone non rilevate dai periti. Ora é possibile che la salma di Lonzi possa essere riesumata per effettuare altre analisi sul suo corpo. La vicenda di Lonzi ha varcato i confini livornesi ed è diventato anche una "bandiera" della sinistra antagonista e degli anarchici. Fu proprio la Federazione anarchica informale a dedicare a lui (con una rivendicazione) le azioni portate a termine la sera del primo marzo 2006 quando vi furono quattro esplosioni di altrettanti ordigni a Genova, Milano e Sanremo. Toscana: indulto, sono pochissimi quelli tornati dentro
Ansa, 25 agosto 2006
In Toscana, secondo i dati forniti alla Regione dal Provveditorato regionale dell’amministrazione penitenziaria, sarebbero finora 1500 le persone che hanno lasciato il carcere grazie all’indulto, di cui 1370 con sentenza definitiva. Il numero maggiore, informa una nota, spetta a Sollicciano: 475 dei quali 113 con revoca di custodia cautelare. I rientri riconducibili a reati commessi dopo la scarcerazione sono una quindicina. "In Toscana la quasi totalità dei rientri hanno riguardato persone non in regola con il permesso di soggiorno e per le quali, in base alla Bossi-Fini, si è configurato un nuovo reato derivante dalla violazione del provvedimento di espulsione emanato nei loro confronti - ha commentato l’assessore regionale Gianni Salvadori - questo dato dimostra l’inadeguatezza della legge e la necessità di riformularla proprio per evitare che la popolazione carceraria torni a livelli preoccupanti". "Dare la colpa all’indulto per i rientri in carcere è fuorviante - ha proseguito - se la percentuale di detenuti stranieri nelle carceri toscane è così alta la ragione è da ricercare nella Bossi-Fini. L’unica falla del provvedimento semmai è riconducibile alla mancanza di predisposizione di una rete di protezione sociale per le persone scarcerate. Ma su questo stiamo lavorando: entro breve con enti locali, servizi sociali e associazioni individueremo le misure più idonee". "Alla Bossi-Fini - ha concluso Salvadori - dobbiamo aggiungere altre due leggi approvate dal governo Berlusconi: la Fini-Giovanardi sulla droga e la Cirielli. Due leggi che hanno aumentato ulteriormente la popolazione carceraria andando a colpire soprattutto persone alle prese con problemi di tossicodipendenza, alcool o con disagio psichico o psichiatrico". Caserta: indulto, dalle carceri della provincia fuori in 661
Caserta Sette, 25 agosto 2006
Ai 328 scarcerati per indulto dal carcere di Santa Maria Capua Vetere si aggiungono quelli di altri penitenziari della provincia e si arriva a 661 beneficiari. Ma di questi 41 restano dentro per altri reati e altri 89 ai domiciliari. Un gran numero di altri soggetti, per i quali era prevista una pena di 3 anni, non hanno proprio varcato la soglia del carcere. Sulla base di questi dati, la Prefettura ha tenuto una riunione per verificare le misure che possono essere effettuate per il reinserimento sociale dei detenuti alcuni dei quali hanno chiesto un contributo economico ai servizi sociali dei comuni di appartenenza, ma senza risultati. Latina: indulto, inadeguati i fondi stanziati per i detenuti
Il Messaggero, 25 agosto 2006
Sono i 23 detenuti usciti dal carcere di Latina che fanno parte dei quasi 19 mila di tutta Italia, individui che si trovano, con la riconquistata libertà, ad affrontare tutti i problemi connessi al loro reinserimento nella vita sociale. C’è chi imbocca la stessa strada che lo aveva portato in carcere: scippo, furto, rapina, aggressioni e viene lasciato a se stesso nel momento in cui avrebbe più bisogno di sostegno. Ed è proprio su questo aspetto che pone l’accento l’assessore provinciale alle politiche sociali Fabio Bianchi, evidenziando le difficoltà legate alla carenza di fondi messi a disposizione dalla Regione per sussidi e progetti di recupero. Il Governo per pagare tirocini di formazione e garantire sostegni economici agli ex detenuti ha stanziato 13 milioni di euro ma nella nostra provincia ne sono arrivati solo 7.556,00, insufficienti anche solo per coprire le prime emergenze. "Anche in provincia di Latina - dice Bianchi - stiamo vivendo giorni di particolare impegno e difficoltà per quel che riguarda la realizzazione di forme di intervento a favore di quei soggetti che hanno beneficiato della concessione dell’indulto. Per quel che riguarda il territorio pontino sono 23 i casi finora accertati di persone uscite dal carcere del capoluogo. A questi vanno aggiunti altrettanti casi (ma il numero cresce quotidianamente) di ex detenuti usciti da istituti di pena di altre città italiane e rientrati in provincia di Latina. Come nel resto d’Italia, anche qui da noi l’emergenza è sempre la stessa: queste persone bussano alle porte dei Comuni chiedendo sussidi, assistenza, posti di lavoro e quant’altro. Richieste legittime - certo - ma che per essere soddisfatte necessitano di risorse economiche che le amministrazioni locali non possiedono". L’assessore ritiene che Provincia e Comune siano stati lasciati allo sbaraglio nell’affrontare questo problema, senza avere gli strumenti e le risorse adeguate per affrontarlo: "Sconcerta e preoccupa l’atteggiamento di totale assenza da parte del Governo nazionale, mentre a sua volta, la Regione Lazio ha ritenuto di dover erogare a favore della nostra provincia la somma di Euro 7.556,00 che è del tutto insufficiente anche solo per quel che riguarda le prime emergenze. Si è poi chiesto alla Provincia di Latina uno sforzo economico non rientrante affatto nelle sue specifiche competenze e che non può affatto rappresentare la soluzione della grave emergenza venutasi a creare. Oltretutto il trascorrere del tempo non fa che rendere sempre più tardivo ogni eventuale ulteriore provvedimento. Provincia e Comuni sono stati lasciati in prima linea senza le necessarie risorse economiche. Per questo - conclude Bianchi - come assessore provinciale alle Politiche Sociali - ritengo sia mio dovere sottolineare la negatività di un disinteresse che danneggia i soggetti in stato di bisogno, ma anche l’intera comunità provinciale stante gli eventuali possibili riflessi sull’ordine pubblico e la sicurezza della gente". Enna: indulto, assistenza ai detenuti dall’Ass. "Don Milani"
Vivi Enna, 25 agosto 2006
Finita la fase di emergenza detenuti dovuta alla concessione dell’indulto, le organizzazioni sociali di Rete Solidale - Ades, La Tenda e don Milani - sono ora impregnate nella seconda fase, quella più complessa e delicata del reinserimento sociale, dopo la riacquistata libertà. Nei giorni scorsi, due detenuti extracomunitari, K.M. e R.A.M., sono stati ospiti del centro di accoglienza adiacente la chiesa di S. Pietro, dopo la scarcerazione avvenuta a sera inoltrata, dove hanno consumato un pasto, dormito e il giorno successivo, forniti di biglietto ferroviario hanno raggiunto località del nord Italia. Uno di essi vuole tornare per stabilirsi ad Enna, città dove ha avuto la possibilità di iniziare una nuova vita, sperimentare la libertà nella sana convivenza con gli altri. Per interessamento dell’associazione don Milani è stata individuata la possibilità di un lavoro certo, che come dice il presidente Claudio Faraci, "è un investimento prezioso che può ricostruire dignità e autonomia per chi deve rimontare una doppia china, per una terra desolata da cui si è fuggiti e una vita sbagliata". L’iniziativa della Conferenza Permanente indetta dalla Prefettura e coordinata dalla d.ssa Di Raimondo nei primi giorni del mese di agosto, è stata utile perché è servita a dare una semplice ma concreta risposta di solidarietà. Liguria: indulto, comunicato del Sappe; sono usciti in 700
Comunicato Stampa, 25 agosto 2006
A 25 giorni dall’approvazione della legge sull’indulto, sono più di 700 i detenuti usciti fino ad oggi dalle carceri liguri per effetto dell’indulto. Di questi, la metà sono gli stranieri. Il numero maggiore è quello del carcere genovese di Marassi (da dove sono usciti più di 350 detenuti), poi vi è il nuovo complesso penitenziario di Sanremo (poco meno di 100), il carcere di Pontedecimo (90 circa), La Spezia (una settantina), Imperia (poco più di 50), Chiavari (40 circa) e Savona (22). Ciò ha comportato naturalmente un parziale alleggerimento delle drammatiche condizioni di lavoro del Personale di Polizia Penitenziaria, considerato che il sovraffollamento dei penitenziari ricade principalmente proprio sui poliziotti penitenziari, che sono impiegati nelle sezioni detentive 24 ore su 24, 365 giorni all’anno, con notevole stress psico-fisico ormai in una irreversibile inferiorità numerica rispetto ai detenuti presenti. Ma l’episodio dell’evasione di 3 detenuti dal penitenziario di Imperia a Ferragosto ed i due agenti aggrediti ieri nel carcere di Marassi da un detenuto dimostrano che la criticità del sistema carcere - anche e soprattutto per le gravi carenze negli organici di Polizia Penitenziaria - permane a livelli allarmanti." È il commento di Roberto Martinelli, segretario generale aggiunto del Sindacato di Polizia Penitenziaria SAPPE, il più rappresentativo della Polizia Penitenziaria con oltre 12mila iscritti, circa gli effetti dell’approvazione dell’indulto per i detenuti in Liguria. "È ora opportuno" aggiunge Martinelli "che per non vanificare in pochi mesi questo atto di clemenza, Governo e Parlamento devono prevedere con urgenza provvedimenti concreti di potenziamento dell’area penale esterna, che tengano in carcere chi veramente deve starci ed incrementando quindi gli organici di Polizia Penitenziaria cui affidare i compiti di controllo sull’esecuzione penale; un maggior ricorso alle misure alternative alla detenzione non legato ad automatismi ma a un concetto davvero premiale; una legge sugli extracomunitari che permetta espulsioni più facili piuttosto che la detenzione in Italia (a livello nazionale sono il 30% - circa 20mila - i detenuti stranieri, percentuale che si raddoppia negli Istituti liguri). È davvero necessario ripensare il carcere. Bisogna adottare con urgenza rimedi di fondo al sistema penitenziario, come chiesto anche dal Capo dello Stato Giorgio Napolitano. All’approvazione dell’indulto dunque devono seguire interventi strutturali sull’esecuzione della pena, che garantiscano la giusta sanzione a chi commette reati soprattutto a tutela delle vittime della criminalità e che rendano la pena uno strumento efficace per ripagare la società del reato commesso. Oggi chi sconta la pena in carcere non ha nulla da fare: è forse il caso di ripensare all’introduzione del lavoro obbligatorio per i detenuti, con un 50% della retribuzione destinato a chi lavora e l’altro 50% in un Fondo dello Stato da destinare alle vittime della criminalità. Altrimenti qual’è l’aspetto sanzionatario ed afflittivo della pena?. "Adesso auspichiamo che Governo e Parlamento assumano i provvedimenti di competenza" conclude Martinelli, "a cominciare dalla riassunzione in servizio dei circa 530 agenti di polizia penitenziaria ausiliari, licenziati a fine 2005 e dall’individuazione di provvedimenti legislativi che potenzino maggiormente l’area penale esterna". Giustizia: Uno bianca, Savi ha ritirato la domanda di grazia
Brescia Oggi, 25 agosto 2006
Alla fine ci ha ripensato Roberto Savi, il "corto" della banda della Uno Bianca: con una lettera inviata al Ministro di Giustizia, Clemente Mastella, ha ritirato la domanda di grazia che lui stesso aveva avanzato. D’altronde il ministro era stato chiaro fin dall’inizio: "Avevo già detto che non avrei concesso la grazia", ha ricordato ieri Mastella, "forse questa è la ragione per cui ha ritirato la domanda". Ma i familiari delle vittime sono convinti che Savi abbia fatto un tentativo per "saggiare il terreno" e che ci riproverà: "Da lui ci aspettiamo questo ed altro". Roberto Savi, che era agente sulle "Volanti" della Questura di Bologna, è stato a capo di una banda, composta quasi completamente da poliziotti, che tra 1987 e il 1994 si lasciò dietro 24 morti e oltre cento feriti tra il capoluogo emiliano, la Romagna e le Marche, rapinando banche, uffici postali e supermercati, sparando a testimoni, carabinieri e poliziotti, o a chi, come unica "colpa", era nomade o straniero. Tutte azioni spietate, quasi sempre compiute servendosi di auto "Fiat Uno" di colore bianco rubate servendosi di una scheda telefonica. La "firma" della banda. Savi, che è in carcere da dodici anni condannato all’ergastolo, aveva inoltrato la domanda di grazia alcuni mesi fa. Nei giorni scorsi era arrivato il parere negativo del Pg di Bologna Vito Zincani. La stessa avvocatessa Donatella Degirolamo, che ha difeso Savi, lo aveva consigliato di ritirare la domanda di grazia che aveva presentato a sua insaputa. Rimini: l’esempio di Padova apre uno squarcio di speranza
Giornale di Vicenza, 25 agosto 2006
"Ringrazio Dio per essere ancora un anno in mezzo a voi". Dopo essere stato sepolto da un applauso scrosciante, Giulio Andreotti viene investito dalle risate del pubblico di Rimini. Perché il pubblico del Meeting di Cl è il suo pubblico, il pubblico di Giulio, l’inossidabile presidente. Stavolta è qui per parlare di carceri e carcerati, insieme a un ministro che è anche un suo allievo, quel Clemente Mastella che, come ha rivelato il diretto interessato, all’indomani dell’incarico di Guardasigilli, telefonò proprio al senatore a vita: "Giulio, mi hanno fregato, mi hanno dato la Giustizia e io volevo le Attività Produttive. Non so niente di Giustizia". Andreotti lo rassicurò: "Clemente, per caso sai qualcosa di bulloni? Ascolta me, prendi la Giustizia, che sarà il tema più importante della prossima legislatura". Detto, fatto. Ed eccoti servito l’indulto, che non è che fin qui abbia ricevuto una grande accoglienza tra i cittadini. Del resto, tra furbetti che escono di prigione e assassini a piede libero, è passata facilmente l’idea che sia stato un inciucio tra maggioranza e opposizione con esiti nefasti. E Mastella è ritenuto l’artefice massimo di questo provvedimento svuota-carceri. Ieri al Meeting è stata data una lettura completamente diversa, sarebbe giusto dire opposta, della vicenda indulto. Merito soprattutto dell’esperienza portata avanti nel carcere di Padova, dove dal lontano 1991 è operativo un efficace progetto di lavoro riservato ai detenuti. Insieme ad Andreotti e a Mastella c’erano, sul tavolo dei relatori, anche Giovanni Pavarin, magistrato di sorveglianza del Tribunale di Padova, Graziano Debellini, presidente Tivigest, e Nicola Boscoletto, presidente della cooperativa Giotto, che coordina l’attività lavorativa dei carcerati. Titolo del convegno, appunto, "Il lavoro nelle carceri", ma le relazioni sono state precedute da un filmato che è servito a squarciare un velo di speranza dall’altra parte della barricata, tra coloro che finiscono sui giornali solo quando c’è posto nella cronaca nera. In sottofondo Bob Dylan canta "Hurricane", famosa canzone dedicata a un pugile finito in carcere per errore, e intanto Marino, un detenuto, spiega che "grazie al lavoro lui ha trovato un motivo di speranza, anche se ha molti anni ancora da scontare". "Il modo più bello di celebrare il 60° della Costituzione - ricorda Andreotti - è stato quello di andare a Regina Coeli. Lì un carcerato mi ha fatto una domanda, in perfetto dialetto romanesco. Mi ha chiesto cosa noi fuori pensiamo di loro che stanno dentro. Gli ho risposto: "Forse qualcuno di voi è dentro per errore; in compenso ce ne sono fuori che stanno liberi per errore". Bisogna ricordarselo". E adesso c’è l’indulto, un argomento complicato, scivoloso, difficile da trattare. Si sa che gli ultimi fatti di cronaca non lo hanno reso molto popolare, la gente non è convinta che sia buona cosa rilasciare i furbetti del quartierino o, ancora peggio, assassini. Eppure qui al Meeting bisogna connettersi con un altro ragionamento. Lo comincia a fare Pavarin che, da magistrato di sorveglianza qual è, sa bene di cosa parla. "Io credo che il parlamento abbia fatto una scelta di grande civiltà - afferma - che consente di riportare la situazione delle carceri a livello fisiologico. Adesso abbiamo i numeri di 20 anni fa e si può ripensare a gestire i penitenziari in modo efficace e umano. Qualcuno dice che si sono liberati assassini, ma io credo che si stia esagerando. Fanno notizia solo i fatti di cronaca nera, ma i grandi numeri dicono che le cose stanno andando meglio. E poi, consentitemi, non si può tollerare che un Paese come l’Italia abbia celle che ospitano 14 detenuti con una turca in mezzo". C’è Mastella, sul palco, che in queste settimane si è preso le sue belle critiche per aver promosso questo indulto. E non può non essere d’accordo con Pavarelli. "Ma il vero padre di questo indulto è Andreotti - rivela - sì, perché è colpa sua se sono finito a fare il ministro di Giustizia. Io volevo le Attività Produttive e quando Prodi mi comunicò che sarei diventato Guardasigilli ho telefonato subito ad Andreotti. Guarda che è questo il tema più importante dei prossimi anni - tagliò corto. E così accettai". C’è l’esempio di Padova che fa ben sperare, per quanto riguarda le carceri. I numeri dicono che, a livello nazionale, tra tutti i detenuti che escono, l’80 per cento ritorna presto dietro le sbarre. A Padova, grazie al lavoro che dal ‘91 viene dato ai carcerati da imprese del calibro di Roncato e Morellato, soltanto il 5 per cento di chi esce viene rivisto in galera. "E se non bastasse la motivazione umana - dicono i responsabili della cooperativa - va ricordato che un punto percentuale di ogni recidiva (cioè di ogni detenuto che viene pizzicato a fare di nuovo lo stesso reato) costa allo stato 50 milioni di euro". Macerata: i detenuti che producono e vendono miele
Il Messaggero, 25 agosto 2006
Ci sarà anche miele prodotto dai detenuti del carcere di Macerata Feltria alla manifestazione "Apimarche" che si terrà a Montelupone dal 25 al 27 agosto. Uno stand sarà dedicato ai prodotti della fattoria agricola della casa mandamentale feltresca con gli stessi detenuti impegnati nella vendita. Quest’attività volta alla rieducazione dei reclusi ha avuto inizio nel 2003, quando per volere del provveditore Raffaele Iannace è stata realizzata la fattoria tra i boschi del Montefeltro. Grazie ad un corso di preparazione finanziato dal Fai, e sotto la guida dell’agronomo Sandro Marozzi e la supervisione della direttrice del carcere di Pesaro Maria Benassi, si è passati dalle 15 arnie iniziali ad un vera e propria attività di apicoltura. "Siamo molto contenti dei risultati ottenuti - dice Daniela Grilli, responsabile della formazione dell’amministrazione penitenziaria delle Marche. Grazie all’indulto, però - rileva - un quarto dei detenuti delle Marche sono in libertà, e paradossalmente siamo rimasti senza addetti". Immigrazione: il sottosegretario Lucidi visita il Cpt di Trapani
Ansa, 25 agosto 2006
Il sottosegretario all’Interno, Marcella Lucidi, ieri mattina ha visitato il centro di permanenza temporanea per extracomunitari clandestini "Serraino Vulpitta" di Trapani, che attualmente ospita 54 persone. "Loro lì non vogliono stare - ha detto la Lucidi - è questo il problema. E poi ho notato che la struttura, come del resto tutti gli altri centri, risente pesantemente della presenza di immigrati usciti dal carcere. Il percorso di identificazione dell’immigrato deve essere avviato quando questi varca la soglia del carcere per scongiurare che si venga a creare una promiscuità e una convivenza nociva. Si tratta di una nevralgia che va eliminata. In questa direzione, recentemente, si è svolta una riunione alla quale hanno preso parte i rappresentanti del ministero dell’Interno, del ministero di Giustizia, del dipartimento di pubblica sicurezza e dell’amministrazione penitenziaria per studiare modalità garantiste che anticipino l’identificazione dell’immigrato nel momento in cui mette piede in carcere. Questa è una priorità che ci siamo dati". Nigeria: rilasciati 10.000 detenuti in attesa di processo
Ansa, 25 agosto 2006
La Nigeria sta rilasciando 10.000 detenuti che hanno trascorso ormai dieci anni in carcere in attesa di processo. La decisione fa parte di un progetto di riforma del sistema penitenziario nigeriano, all’interno di una campagna organizzata dal governo assieme a ong locali e con il sostegno delle Nazioni Unite. I tempi di attesa per un processo, al momento, vanno dai cinque ai dieci anni e molti carcerati non vengono giudicati per i motivi più vari; non è raro che la polizia perda i loro dossier.
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