Rassegna stampa 24 agosto

 

Rimini: dal Meeting appello per recupero in carcere

 

Vita, 24 agosto 2006

 

L’indulto, un provvedimento necessario come gesto di umanità clemenza e carità, può diventare anche occasione di ricostruzione. Lo spunto dell’indulto cioè deve diventare trampolino di lancio per migliorare concretamente la situazione anche all’interno delle carceri altrimenti l’atto di clemenza rischia di ridursi a un intervento senza prospettiva.

Oggi l’80% delle persone che escono senza un percorso di rieducazione, di inserimento al lavoro, ritorna a delinquere e perciò ritorna in carcere. Bisogna considerare che un 1% di recidiva corrisponde a circa 50 milioni di euro ogni anno. Nei progetti basati sulla rieducazione e l’inserimento al lavoro invece questo valore scende sotto al 5%. Chiediamo a tutte le realtà sociali rilevanti nel nostra Paese di unirsi in questo impegno comune per il lavoro per le carceri.

Chiediamo alle autorità competenti un intervento straordinario in favore di chi opera per la rieducazione e l’inserimento al lavoro. Lo riteniamo un investimento fondamentale importante sotto il profilo umano (i detenuti sono figli di questa nostra società) sia sotto il profilo sociale per non ritrovare la realtà delle carceri italiane, di qui a breve, nelle stesse condizioni.

È questo il testo dell’appello per il recupero in carcere lanciato oggi dal Meeting di Rimini che ha avuto l’adesione del sottosegretario alla Giustizia Luigi Manconi e la firma di "Mario Mastella", il ministro alla Giustizia che ha partecipato a un incontro dedicato proprio al tema "Il lavoro nelle carceri" ha dichiarato che come Clemente Mastella, titolare del dicastero non lo potrebbe fare. Piena adesione anche da parte del magistrato di sorveglianza di Padova, Giovanni Pavarin che con Mastella e Andreotti è stato protagonista dell’incontro che ha presentato l’esperienza della cooperativa Giotto di Padova del consorzio sociale Rebus che dal 1991 opera nel carcere padovano.

Questo appello si accompagna anche a una serie di proposte di emendamenti che stanno girando tra gli operatori del settore, il mondo dell’associazionismo e della cooperazione sociale legato al carcere e che riguardano la legge 381, la Smuraglia, la Bossi Fini e la questione dell’Iva.

Rimini: Mastella; faremo nuove carceri, ma ci vogliono 20 anni

 

Apcom, 24 agosto 2006

 

Nuove carceri in arrivo. "Dopo l’indulto credo di sì, però vanno create altre condizioni". Il Guardasigilli Clemente Mastella, risponde così, oggi al Meeting di Rimini, a chi gli chiede se si realizzeranno nuove carceri in Italia. "Nel nostro Paese - spiega però il ministro della Giustizia - per realizzare un carcere statisticamente ci vogliono 20 anni. Spero di passare alla cronaca come uno che li realizza in 19, così entrerei nel guinness dei primati della politica del fare. Speriamo - conclude quindi Mastella - di fare qualcosa in più con la comprensione di maggioranza e opposizione".

Rimini: al Meeting di Cl un seme gettato oltre le sbarre

 

Avvenire, 24 agosto 2006

 

Anche quest’anno il Meeting porta alla ribalta dei numerosi visitatori che affollano la fiera e dell’opinione pubblica eventi che silenziosamente stanno cambiando la realtà sociale italiana. È il caso dell’incontro di questa mattina che mette a tema il lavoro nelle carceri. Si è parlato molto, non senza polemiche, dell’indulto. Come si sa, tra le ragioni di questo provvedimento, sollecitato persino da Giovanni Paolo II, c’è il sovraffollamento delle carceri italiane, ormai giunto a un livello davvero insopportabile.

Ragione sacrosanta, come sacrosanto è il provvedimento che dovrebbe favorire il reinserimento lavorativo dei detenuti predisposto dal ministro del Lavoro Damiano e dal ministro della Giustizia Mastella.

Purtroppo, molto minore è l’attenzione a quanto avviene durante la detenzione: è veramente gestita e vissuta, secondo il dettato costituzionale, come un momento di rieducazione e reinserimento dei detenuti? Cosa succede nella vita quotidiana nelle carceri? Nella drammatica condizione carceraria questa norma costituzionale viene, al di là delle intenzioni e della volontà delle autorità, spesso disattesa. Non per niente la recidiva sfiora ormai l’80%.

La speranza di un cambiamento generale nasce da tentativi coraggiosi che evidenziano che anche in carcere è possibile un percorso educativo, vero fattore di rinascita della persona.

Trai i protagonisti di questo tentativo, tanto necessario quanto poco praticato, la Cooperativa Giotto di Padova, nata da persone che vivono l’esperienza di Comunione e Liberazione. Nel 2001, con l’avvento della legge Smuraglia, la Cooperativa incomincia ad operare con una serie di attività, artigianali e non, all’interno del carcere: mensa, giardinaggio, attività per la moda, call center. Sono gli stessi carcerati a parlare dei risultati in un video che sarà trasmesso all’inizio dell’incontro: sono testimonianze che parlano di voglia di lavorare ("può sembrare paradossale, ma proprio i detenuti reclamano tanto la necessità del lavoro dietro le sbarre"), di speranza ("tornare a lavorare e ricevere manifestazioni di fiducia obbliga a rimettersi in gioco e a cercare di reimpostare la propria vita, perché rinascono delle speranze, che uno aveva quasi dimenticato") e del coraggio di riconoscere il proprio errore ("occorre che, pur pagando quello che si deve pagare, ciascuno di noi abbia una prospettiva, perché, quando ci si rende conto del male fatto, non si vorrebbe più finire di scontare la propria pena").

Testimonianze confermate da Salvatore Pirruccio, direttore della casa di reclusione di Padova: "È indubbio che il lavoro in carcere è il primo elemento con il quale si può ottenere il reinserimento sociale del detenuto".

Come nell’edizione 2005 del Meeting Passera e Siniscalco di fronte alle opere di formazione professionale per i ragazzi espulsi dalla scuola, così oggi Andreotti, Mastella e Pavarin (il magistrato di sorveglianza, che ha avuto e ha con gli altri magistrati di Padova il grandissimo coraggio di credere in questa avventura) ascolteranno e commenteranno questo tentativo. Nella speranza che questa e le altre rondini presenti nelle carceri italiane facciano primavera.

Dopo l’indulto rimane il problema sociale degli ex detenuti

 

Il Gazzettino, 24 agosto 2006

 

Che in Italia le carceri siano insufficienti è noto da molto tempo; così pure che i tempi della giustizia siano eccessivamente lunghi e talora ingiusti e che per tutti i reati minori non si sostituisca la pena detentiva con forme di rieducazione alternative. Per non dire altro.

Ma se il problema della giustizia è complesso (e lo è), non è certo spalancando le porte del carcere che lo si affronta con saggezza e intelligenza. Per molti detenuti il carcere è diventata la "casa" tanto che non hanno trovato parenti e famiglie ad accoglierli sui cancelli. Sapendo bene quanto piangano i bilanci ristretti degli enti locali, come si è arrivati ad una scarcerazione immediata e di massa? Con l’indulto un problema nazionale (carceri insufficienti) è stato trasformato in problema locale (gestione dei detenuti liberati). Si sono svuotate le prigioni ma restano le persone, gli ex-carcerati, con tutti i loro fardelli irrisolti e di essi qualcuno se ne dovrà ben occupare.

Con l’indulto anche la legge ha perso credibilità: arresto, processo, condanna annullati. Chi ha subito il danno si vede sfilare libero sotto il naso il responsabile e il concetto di giustizia sembra sparito. Quale senso profondo di frustrazione hanno le forze dell’ordine e quanti in coscienza cercano di applicare le leggi con giustizia ed equità? Perché non si è andati a monte del problema "giustizia" ricercando le cause del disagio sociale che porta alla criminalità, accrescendo il senso morale e civico dei cittadini, mettendo sane basi per una società ricca di valori, dove è di casa il benessere non solo economico ma anche e soprattutto quello spirituale e morale?

 

Lettera firmata

Ristretti Orizzonti, l’indulto visto da chi è rimasto in carcere

 

L’Eco di Bergamo, 24 agosto 2006

 

Ornella Favero è il direttore responsabile del periodico "Ristretti orizzonti" curato e realizzato dai detenuti del carcere "Due Palazzi" di Padova e dalle detenute del carcere della Giudecca a Venezia. Dal 1997 ad oggi sono stati pubblicati oltre cinquanta numeri della rivista che, anche attraverso il sito Internet ad essa collegato www.ristretti.it, è diventata un punto di riferimento per tutti gli operatori del settore: direttori di carcere, agenti di polizia, volontari, detenuti ed ex detenuti che nelle sue pagine trovano approfondimenti, novità legislative e dibattiti relativi proprio alla realtà carceraria italiana. La direzione di questo giornale, diffuso in duemila copie in tutta Italia e per il quale lavorano circa trenta carcerati, fornisce alla Favero un punto di vista privilegiato per osservare le aspettative e le speranze dei detenuti, alla luce anche del recente indulto, e per analizzare, e spesso criticare, i mass media italiani per il modo in cui trattano l’intera materia.

"Erano ormai diversi anni che i detenuti italiani attendevano un atto di clemenza: questa speranza era stata fortemente alimentata dalla visita di Giovanni Paolo II nel 2002 al Parlamento italiano. Quest’anno, quando in parlamento si è capito che c’erano i numeri per dare il via libera alla legge, si è pigiato sull’acceleratore per approvarla il prima possibile ed evitare ripensamenti. Tutto ciò però ha evidenziato la situazione che i detenuti devono affrontare una volta fuori di prigione, dove spesso sono abbandonati a se stessi" racconta la Favero. Le suona il cellulare: è uno dei volontari, detenuto fino a qualche anno fa, che opera all’interno dell’ufficio padovano "Sos indulto".

È al lavoro per aiutare una persona scarcerata nei giorni scorsi grazie all’indulto e che non sa come tornare a casa. "A Padova, ma credo che la situazione si sia ripetuta anche in altre prigioni italiane, i detenuti sono usciti dalle celle letteralmente a tutte le ore del giorno, appena arrivava il via libera dalla Procura che li aveva condannati. Per evitare di essere accusate di sequestro di persone, le prigioni hanno fatto uscire gli ex detenuti anche a notte fonda. Ho visto tre uomini liberati al "Due Palazzi" all’una di notte: due di loro non avevano soldi in tasca, il terzo invece, aiutato anche da un agente della polizia penitenziaria, ha chiamato un taxi e ha offerto loro un passaggio".

Le aspettative di chi è rimasto dentro rimangono alte: "C’è chi grazie all’indulto, pur non uscendo di prigione, ha avuto un accorciamento della pena: molti di loro già confidano nella riforma del codice penale" aggiunge il direttore di "Ristretti orizzonti". Per aiutare gli ex detenuti a reinserirsi nella società è fondamentale modificare l’atteggiamento di chi è fuori: "Attualmente nelle carceri italiane operano circa ottomila volontari: pochi di loro però si preoccupano del dopo, di ciò che avviene ad una persona una volta scarcerata. Ritengo quindi che sia fondamentale lavorare nel settore dell’informazione affinché cambi la mentalità dei cittadini che non hanno mai avuto problemi della giustizia nei confronti degli ex carcerati".

A questo proposito la Favero attacca senza mezze misure alcuni mass media per come hanno trattato l’argomento creando paura e allarme nei cittadini. "Fino a pochi giorni fa - aggiunge - i giornali italiani, nazionali e locali, avevano poche notizie di cui parlare, come spesso succede d’estate, e per questa ragione si sono tuffati a pesce nel mare delle storie di chi usufruiva dell’indulto. Rivendico, per chi si è macchiato di una colpa, il diritto all’oblio: non è pensabile che a distanza di anni un ex detenuto venga risbattuto in prima pagina ricordando a lui e a tutta la comunità in cui dovrebbe reinserirsi gli sbagli per i quali ha già pagato la pena prevista dalla legge".

Caserta: indulto, oltre 300 in libertà a Santa Maria C. Vetere

 

Il Mattino, 24 agosto 2006

 

Sono 328, a oggi, i detenuti che hanno lasciato la casa circondariale di Santa Maria Capua Vetere grazie al provvedimento di indulto firmato quasi un mese fa dal Guardasigilli Clemente Mastella. Varia la tipologia di reclusi che hanno beneficiato dell’atto di clemenza applicato anche a chi si è macchiato di reati finanziari, ai reati contro la pubblica amministrazione e ai reati di scambio elettorale mafioso.

Esclusi, invece, i destinatari di reati di terrorismo, strage, sequestro di persona, associazione a delinquere e di stampo mafioso, prostituzione minorile, pedopornografia, tratta di persone, acquisto e alienazione di schiavi, violenza sessuale, riciclaggio, produzione, traffico e detenzione di sostanze stupefacenti e usura. Le scarcerazioni hanno tenuto impegnati per tutta l’estate gli uffici giudiziari della Procura, del Magistrato di Sorveglianza e avvocati. Dunque, è più che raddoppiato, rispetto alle iniziali previsioni di 150 unità, il numero delle scarcerazioni che hanno riguardato anche reclusi non residenti nella provincia di Caserta ma che si trovavano dislocati per varie ragioni nella struttura alle porte della città del Foro.

Un provvedimento che ha fatto scattare un notevole decremento dei reclusi scesi alle attuali 600 unità. Ma il numero dei beneficiari potrebbe continuare man mano a salire (nel frattempo, è però rientrato qualche detenuto, si tratta di alcuni extracomunitari, nuovamente arrestati) considerando anche chi non è recluso ma è stato destinatario di una condanna non definitiva dai a tre ai cinque anni e chi si trovava agli arresti domiciliari. Anche nei prossimi giorni, dunque, all’ufficio matricola del carcere sammaritano potrebbero arrivare ulteriori notifiche di scarcerazione. Sul fronte del sovraffollamento, nel nuovo penitenziario di Santa Maria Capua Vetere si sfioravano, poco prima del provvedimento di indulto, quasi le 900 unità, con diversi disagi anche per la polizia penitenziaria in sottorganico che comunque reclama attenzione.

Nel carcere sammaritano, visitato in passato anche da una delegazione della Commissione Giustizia del Senato, la ricettività ottimale sarebbe di 450 unità. Ma spesso è stata superata anche quella cosiddetta "tollerabile". Una buona parte dei reclusi è rappresentato da extracomunitari mentre circa sfiorano le duecento unità, i detenuti tossicodipendenti. L’organico degli agenti penitenziari si attesta sulle 350 unità e, a fronte dei turni e degli impegni nei vari quadranti si arriva ad un rapporto di un agente ogni sessanta detenuti sulla base di circa 900 detenuti. Un rapporto variato - a beneficio della polizia penitenziaria, almeno per il momento - con il notevole decremento dei reclusi che hanno lasciato la casa circondariale grazie all’indulto.

Verona: l’indulto ha riempito le strade e le panchine

 

L’Arena di Verona, 24 agosto 2006

 

Usciti di prigione, tornati sulla strada. È la realtà di molti ex detenuti liberati dal recente indulto, che non avendo alcuna rete di sostegno, senza documenti, senza casa, senza un lavoro, sono per strada. I più fortunati passano la notte al dormitorio, gli altri nei letti di cartone appoggiati alle panchine. Mangiano alle mense di carità, i vestiti e i piccoli presidi sanitari li ricevono dalle associazioni. Ma non hanno prospettive, e ogni giorno fanno i conti con un grande problema, l’alcolismo, che mina la loro salute e spegne la speranza di reinserimento.

È a queste persone che si rivolge il progetto Ismaele, per l’inserimento sociale e lavorativo delle persone senza dimora e problematiche di dipendenza e alcool correlate, finanziato dal Comitato di gestione del Fondo speciale della Regione Veneto, e realizzato da una rete di associazioni ed enti, con capofila l’Acat (alcolisti in trattamento) di Verona.

"Il 70% dei detenuti usciti da Montorio con l’indulto sono stranieri senza permesso di soggiorno" spiega Gilberto Corazza, presidente dell’associazione Il Corallo, uno dei bracci operativi del progetto. "Noi contattiamo i senza fissa dimora per strada, rilevandone i bisogni, i problemi sanitari, le richieste, che sono quasi sempre le stesse: documenti regolari innanzitutto, per cercare poi un lavoro e una casa". Il Corallo col progetto Ismaele nell’ultimo anno, dal settembre 2005 a luglio 2006, ha avuto su strada a Verona 704 nuovi contatti, per un totale di 5.566 contatti ripetuti.

Mentre la Ronda della carità (che fa parte del progetto) lavora di notte, gli operatori del Corallo escono al mattino, per distribuire cappuccini e brioche, materiale sanitario di base, l’occorrente per farsi la barba, sapone, shampoo, spazzolini e dentifricio. Delle molte persone contattate, una trentina hanno iniziato un percorso di reinserimento, che parte necessariamente dall’aspetto sanitario.

"Dall’indulto in poi, è aumentata la gente per strada almeno di un 30 per cento" conferma Paolo (il nome è fittizio), un cinquantenne senza fissa dimora con un passato di alcolista, che dorme ancora al dormitorio ma da quest’anno lavora con il Corallo per i contatti su strada. "Attualmente sono circa 250-300 i senza fissa dimora, pochi gli italiani e tutti sopra i 40 anni, la maggior parte extracomunitari di 25-40 anni. Alcuni addirittura lavorano un po’, ma essendo senza permesso, vengono sfruttati in nero, e non ce la fanno a venirne fuori. E poi stanno male, hanno problemi al fegato per l’abuso di alcool o droghe, spesso si aggiungono anche disturbi mentali".

"Mancano progetti specifici per questa gente" spiegano gli operatori del Corallo, "d’inverno almeno gli viene trovato il posto dove dormire, anche ai clandestini, ma d’estate neanche quello. In ogni caso il dormitorio al mattino chiude, qualche ora possono trascorrerla in centri di accoglienza diurna, ma il resto della giornata stanno fuori, che col freddo significa essere esposti a malattie polmonari, che minano un fisico già debilitato dall’alcool".

La maggior parte sono uomini, a vivere sotto le stelle, ma ci sono anche alcune donne. Giovanna (non è il suo vero nome) è un’operatrice del Corallo, di origine vicentina, con un passato di droga e carcere: "Rivedo nelle persone i miei vecchi problemi" racconta, "e so quindi come affrontare le loro resistenze e le loro paure".

L’approccio è fondamentale. "Occorre creare dei percorsi individuali, perché non bastano le risorse assistenziali, buone per l’emergenza ma non in prospettiva" dice ancora Corazza. Infatti il progetto Ismaele, che per ora su strada è attivo solo a Verona, ma è in rete regionale e verrà - si spera - esteso ad altre città, prevede l’affiancamento individuale nel cammino di disintossicazione, cura e reinserimento sociale e lavorativo. Le associazioni come il Corallo sono l’elemento di contatto tra la strada e i servizi, ai quali i senza fissa dimora, da soli, non si rivolgerebbero mai.

Lodi: indulto, ma chi esce ha ancora bisogno di aiuto

 

Il Cittadino, 24 agosto 2006

 

La libertà che non cancella la tristezza, un sentimento strano anche per i detenuti che hanno visto spalancarsi le porte del carcere. L’indulto ha concesso loro una seconda opportunità, ma spesso accanto alla contentezza si fa largo un sentimento di solitudine. A svelare uno dei tanti retroscena legati all’indulto, approvato lo scorso luglio dal governo, è il cappellano della casa circondariale di Lodi, don Gigi Gatti: "Almeno 4 dei detenuti usciti subito dopo il provvedimento - racconta don Gatti -, mi hanno telefonato pochi giorni dopo perché si trovavano ad affrontare qualche disagio: a casa da soli perché la famiglia era partita per le vacanze non sapevano come reagire.

Per tutti gli altri non ci dovrebbero essere stati problemi, ad aspettarli c’erano i parenti e in alcuni casi un lavoro". Spesso mentre i mesi e gli anni passano in via Cagnola, i rapporti con le persone rimaste a casa si logorano. "Queste storie - dice don Gatti -, mettono a nudo il problema dei legami, spesso le relazioni con la famiglia si incrinano dal momento che una persona si trova in carcere". Ma questo ovviamente non significa che i detenuti non siano contenti di poter beneficiare dell’indulto. "Ovviamente ne sono felici - aggiunge il cappellano -, solo si sono trovati spaesati: uno di loro era a casa solo perché la moglie aveva già prenotato le vacanze.

Inoltre, durante il periodo di Ferragosto, con negozi e ditte chiuse, era anche difficile trovare qualcosa da fare". Don Gigi, dall’altra parte del telefono, cerca sempre di rassicurarli. "Ho detto loro di chiamarmi ogni volta che ne sentono il bisogno". Una telefonata che potrebbe aiutarli anche a stare lontani dalle tentazioni. Dopo queste prime settimane c’è già chi si interroga sulle conseguenze di un provvedimento a lungo contestato.

"Credo sia bello l’entusiasmo iniziale - dice don Gatti -, ma forse l’indulto è stato un po’ affrettato. Per quanto riguarda l’affollamento delle carceri, a Lodi non ci sono mai stati grossi problemi". Secondo i dati del Provveditorato regionale, nonostante le carceri si siano sensibilmente svuotate grazie all’indulto il numero dei detenuti resta al di sopra del limite. "Non ci possiamo lamentare - spiega Raffaele Ciaramella, comandante degli agenti di polizia penitenziaria di Lodi -, abbiamo più spazio, è chiaro che sarebbe meglio averne di più ma il nostro caso non è il più grave. Al momento ci sono circa 55 detenuti, ma il numero ottimale affinché tutto funzioni perfettamente sarebbe 50".

Parma: indulto, sono 215 i detenuti usciti da via Burla

 

Gazzetta di Parma, 24 agosto 2006

 

Indulto, sono 215 i detenuti usciti da via Burla In corso la valutazione delle posizioni di altri venti reclusi. Il direttore: situazione migliorata Sono già 215 i detenuti usciti nell’ultimo mese e mezzo dal carcere di via Burla per effetto dell’indulto. E altri venti carcerati attendono di conoscere il loro futuro, nel senso che potrebbero presto tornare a una vita normale dopo il complicato conteggio di quella che in gergo tecnico si chiama "liberazione anticipata" e che prevede lo sconto di un anno di pena ogni quattro scontati.

Calcoli che dovrà effettuare la magistratura e che non si concluderanno prima di ottobre. La situazione in via Burla In ogni caso gli effetti del provvedimento di riduzione della pena si sono già fatti sentire all’interno del penitenziario cittadino dove il problema del sovraffollamento è oggi quasi azzerato.

Immigrazione: cambiare legge o avremo affollamento carceri

 

Asca, 24 agosto 2006

 

In Italia la popolazione carceraria, tra il 2004 e il 2005, è passata da 82 mila unità a circa 90 mila. "Alla Bossi-Fini - ha concluso Salvadori - dobbiamo aggiungere altre due leggi approvate dal governo Berlusconi: la Fini-Giovanardi sulla droga e la Cirielli. Due leggi che hanno aumentato ulteriormente la popolazione carceraria andando a colpire soprattutto persone alle prese con problemi di tossicodipendenza, alcool o con disagio psichico o psichiatrico, incrementando le file della cosiddetta "detenzione sociale". Per queste persone occorrono altre politiche, altri tipi di intervento. Non si può pensare di risolvere situazioni così delicate ricorrendo al carcere".

 

 

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