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Discorso del ministro della giustizia alla Festa del Corpo Della Polizia Penitenziaria
Roma, 28 settembre 2005
Signor Presidente della Repubblica Signor Presidente del Consiglio Signor Vice Presidente del Senato Signor Vice Presidente della Camera Colleghi Ministri Autorità Donne e Uomini della Polizia Penitenziaria, Signore e Signori, Un sincero ringraziamento per essere qui oggi per la Festa della Polizia Penitenziaria. In particolare ringrazio Lei Signor Presidente della Repubblica per aver voluto ancora una volta essere vicino al Corpo, per celebrare questa ricorrenza. Un sentito ringraziamento anche a Lei, signor Presidente del Consiglio che ci onora della Sua presenza, che sottolinea l’importanza del ruolo che il Corpo svolge oggi nel Paese. La Festa, da tre edizioni è tornata a svolgersi all’aperto, in mezzo alla città. Non è stata una scelta casuale. Essa manifesta, da un lato la volontà di stare in mezzo ai cittadini, ma dall’altro vuole anche simboleggiare plasticamente il ruolo diverso che la Polizia Penitenziaria svolge oggi nella società italiana. Gli Agenti non operano più soltanto dietro le mura degli istituti, ma sono investiti di un ruolo aperto al mondo esterno, coerentemente alla convinzione che il dettato dell’art. 27 della Costituzione si realizza con un carcere il più possibile aperto alla società. Oggi, per chi come me ha avuto il privilegio di essere presente per la quinta volta consecutiva su questo palco, non può non essere tempo di bilanci. In questi anni, difficili e complessi, abbiamo vissuto e operato stretti, da un lato, dalla domanda sempre più pressante che nasce dal Paese di maggior giustizia e maggior sicurezza, dalle difficoltà di bilancio, dalla necessità di garantire un livello dignitoso di vita ai detenuti, e, dall’altro, dalla volontà, non solo politica, ma anche e soprattutto emotiva, di esaltare sempre più l’immagine del Corpo, di far conoscere al Paese che esso è cresciuto, cresce e crescerà, per raggiungere quei livelli di eccellenza che gli competono. Oggi allora è tempo di porci dei quesiti, è tempo, se possibile, di darci delle risposte, consapevoli, peraltro, che non è né elegante né razionale giudicare da sé il proprio operato, convinti che solo il popolo, in nome del quale tutti noi operiamo, così come vuole la Costituzione repubblicana, è l’unico giudice che può oggettivamente misurare l’attività di chi governa il Paese. Ma rispondere, o almeno tentare di farlo, è compito ineludibile e allora cercheremo, non di dare giudizi, ma dati oggettivi, su cui ciascuno possa meditare. Non vi è dubbio che il maggior problema che il Dipartimento dell’Amministrazione Penitenziaria ha dovuto affrontare in questa legislatura, è stato l’inesorabile e costante aumento di popolazione detenuta, che la legge del 1 agosto 2003 n° 207 ha soltanto rallentato. Nella storia della Repubblica il numero dei detenuti è sempre stato in tendenziale aumento. Esso è stato contenuto attraverso periodici provvedimenti di amnistia e indulto che hanno consentito di programmare e controllare la crescita della popolazione detenuta. La modifica apportata all’articolo 79 della Costituzione e soprattutto i mutati orientamenti della società che vuole più sicurezza e più certezza della pena, hanno mutato radicalmente il quadro di riferimento ed hanno fatto sì che si passasse dai 45.000 detenuti del 1996 ai 55.000 del 2001, fino ad arrivare ai 60.000 di oggi. Il Governo è stato consapevole di questo trend e non si è fatto cogliere impreparato. Abbiamo infatti accelerato la costruzione di nuovi penitenziari, varando un piano di notevole impegno sia progettuale che finanziario. Consapevoli, però, che a legislazione del 2001 il tempo medio di costruzione di un penitenziario andava dai 10 ai 20 anni, abbiamo messo a punto, attraverso interventi legislativi e amministrativi, strumenti innovativi che consentissero una più rapida realizzazione di nuove strutture. I tempi tecnici permangono tuttavia superiori all’arco della legislatura, per cui il Dipartimento si è trovato a subire l’urto dell’aumento della popolazione penitenziaria, potendo contare esclusivamente sulle proprie risorse organizzative, finanziarie, ma, soprattutto, umane. Di certo, se oggi possiamo affermare con orgoglio che il sistema ha retto e ancora regge, dobbiamo anche pubblicamente dire che ciò è accaduto soprattutto grazie alla professionalità e all’abnegazione del personale, la cui parte rilevante è costituita dagli agenti della Polizia Penitenziaria. Tutto ciò è accaduto, va ribadito, senza alcun ricorso a risorse straordinarie, anzi in presenza di significative contrazioni dei fondi per consumi intermedi. Le parole di stima per il personale che ho testé pronunciato non sono le consuete e dovute espressioni che si suole esternare in queste occasioni. Non certo la sorte, infatti bensì la volontà, di essere vicino alle donne e agli uomini della Polizia Penitenziaria, ha fatto sì che io fossi presente in due momenti difficili del Corpo: la notte tra il 20 e il 21 luglio 2001 a Bolzaneto a seguito dei noti fatti, e la notte tra il 17 e il 18 agosto 2004 a Regina Coeli quando detenuti in agitazione hanno devastato un braccio del penitenziario e dato vita ad un inizio di rivolta che avrebbe potuto degenerare con esiti anche gravi. Ebbene, posso, ma soprattutto, voglio testimoniare di aver visto grande responsabilità, senso del dovere, razionale freddezza, ma anche e soprattutto grande umanità. Sì, umanità, l’umanità degli agenti che nell’opera di tutti i giorni, rende la difficile vita del carcere vivibile. Dico ciò ad alta voce perché è giusto dirlo, perché il merito di ciò non va certo al Ministro, ma agli operatori che ogni giorno sono vicini ai detenuti. E poiché parlo di operatori mi sia consentito di rivolgere un saluto e un apprezzamento anche al personale amministrativo per la loro preziosa opera. Rivolgo anche un riconoscimento a quelle forze sindacali che sempre hanno svolto il loro mandato con grande responsabilità mai mettendo a rischio con atteggiamenti sbagliati l’immagine del Corpo. Stavamo parlando di umanità come dote imprescindibile nell’esercizio del mandato degli agenti di Polizia Penitenziaria. Anche le cifre confermano quanto dico. I suicidi, che sono certo un indice del disagio penitenziario, dopo aver toccato una punta dell’1,5 per mille nel 1987 sono scesi all’1,25 nel 2001 allo 0,92 nel 2004. Anche i decessi per cause naturali sono in diminuzione passando dal 1,95 per mille del 2001 all’1,85 del 2004. Per contro le evasioni, a testimonianza che si è stati in grado di coniugare umanità e sicurezza, sono in diminuzione. Questi fatti, inequivocabili, dimostrano che, anche in questi anni non semplici, le donne e gli uomini del Corpo hanno onorato il loro motto: "Despondere spem munus nostrum". Tutto ciò, anche a fronte dei compiti, sempre più vasti, complessi e impegnativi, che nel corso di questi anni si sono aggiunti. Il Presidente Tinebra li ha compiutamente illustrati, non ritengo pertanto ripeterli. Mi sia consentito, però, riprendere l’aspetto relativo all’attività sportiva. Attività non certo legata agli stereotipi negativi di alcune attività professionistiche esasperate che, ribaltando l’immagine positiva di una della più nobili e antiche attività umane, l’agonismo, danno pessimo esempio di rincorsa ai facili guadagni, di divismo fuori luogo e, purtroppo, in alcuni casi di doping. I nostri atleti, al contrario, hanno rappresentato perfettamente il detto: mens sana in corpore sano. Sport inteso quindi come maestro di vita, di lealtà, responsabilità e temperanza. Profondamente convinti della forza di educazione contenuta nell’attività sportiva abbiamo dato vita ad una squadra di calcio di detenuti, il Free Opera, che milita con onore nel campionato Figc di II categoria. Lo scorso anno poi è stata stipulata una convenzione tra il Dipartimento per la Giustizia Minorile e l’Accademia Aeronautica di Pozzuoli, che qui ringrazio calorosamente, per consentire ai ragazzi dell’Istituto Penitenziario Minorile di Nisida di svolgere l’attività di vela con istruttori, imbarcazioni e relative attrezzature. L’iniziativa offre ai giovani un’esperienza importante di prevenzione e formazione, ed è stata accolta anche dalle Istituzioni locali con grande favore. Donne e uomini della Polizia Penitenziaria, a Voi mi rivolgo. Il futuro si presenta difficile e colmo di sfide. La crescita numerica della popolazione detenuta, la sua sempre crescente eterogeneità, il numero vasto di patologie, la peculiarità stessa dei soggetti detenuti, pongono problemi nuovi e rilevanti. Uomini diversi, per razza, religione, usi, costumi, lingua, richiedono una professionalità sempre più elevata per la gestione del Pianeta carcere. L’operatore penitenziario ed in primis l’agente di Polizia Penitenziaria dovranno sempre più essere in possesso di mezzi culturali diversificati e raffinati, in continuo sforzo di aggiornamento per far fronte ad una realtà sempre più complessa e difficile. Chi Vi parla Vi ha seguito, osservato, sostenuto, ormai da quasi 5 lunghi anni. Non proferisco pertanto accenti di maniera, ma parlo con cognizione di causa, se oggi posso affermare che sono certo non deluderete il popolo italiano e sarete sempre all’altezza del Vostro difficile compito. Buon lavoro!
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